Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Elikin    21/09/2015    3 recensioni
Gli occhi di Christa sono ancora gonfi ma vividi, hanno perso quella venatura di apatia e opacità che riesce ad inquietarmi. A volte mi fanno sentire come se mi leggesse dentro. Come se sapesse tutto di me. Come se mi avesse scoperta, semplicemente guardandomi.
[YumiKuri][Lievissimi spoiler per chi non segue le uscite del manga in Italia.]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Christa Lenz, Ymir
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il sapore salato della paura



 
Puzza di medicinali, un odore pulito che fa pizzicare il naso.

All’inizio non riesco a collegare bene cosa possa significare, sento le palpebre pesanti, il mio corpo è come intorpidito. Mi sento come se ogni estremità fosse costituita da sacchi di sabbia, pesanti, grossi e inutili. Eppure… eppure non credo di essere messa così male. Deve essere la testa, sì, è principalmente il fottuto dolore che ho per tutto il cranio quello che mi fa rendere conto di essere effettivamente sveglia e viva.
Per qualche attimo rimango immobile, distesa su quelle lenzuola che odorano di pulito e il materasso straordinariamente comodo. Cerco di fare mente locale sulla situazione; ricordo solo che stavo usando la manovra tridimensionale. Ero in aria, quindi? Il resto è piuttosto annebbiato, anche se non è difficile intuire cosa sia successo.

Sento la fronte oppressa, come se fosse stretta da qualcosa. Come fa ad essere cos dolorosamente morbida? Provo ad allungare la mano destra per allentare la fasciatura che probabilmente passa per tutta la mia testa, ed è in quel momento che mi rendo conto che anche questa - la mia mano - è conciata piuttosto male. Apro gli occhi con una fatica immane e mi fisso le dita con lo sguardo un po’ annebbiato e tremolante. Le mie enormi e uniche doti investigative mi fanno intuire che forse sono infermeria. Forse. Probabilmente avrò preso una bella botta. Non è esattamente una buona notizia, ma almeno sono viva.
 Faccio ricadere pesantemente il braccio accanto al mio fianco e sospiro, chiudendo di nuovo gli occhi, già stanchi per via dello sforzo improvviso. Potrei curarmi tranquillamente e far sparire ogni abrasione o dolore in un batter d’occhio se solo usassi i miei poteri, ma è meglio evitare. L’ultima cosa che voglio è venire usata come una fottuta cavia; ho sentito come uno degli ufficiali della Legione Esplorativa si diverta particolarmente con queste cose, preferisco evitare di avervi un incontro fin troppo ravvicinato fin quando possibile.  Dovrò tenermi il dolore.
Decido di aprire di nuovo gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per mettere a fuoco. È proprio il tetto dell’infermeria quello sopra di me. Beh, almeno potrò godermi qualche giorno in un letto decente, è questa l’unica nota positiva che vedo attualmente. Volto la testa verso sinistra, in direzione dell’entrata, ma tutto quello che vedo è una porta di legno chiusa e una persona di spalle che armeggia nei pressi di un tavolino, tagliando bende e prendendo unguenti dalla vetrinetta là vicino. Solo strizzando gli occhi ne distinguo le fattezze minute e i capelli chiari.

Deve essere sicuramente Christa.

Sospiro, tornando a fissare il tetto della struttura. Probabilmente deve essere stata lei a svegliarmi, sebbene la sua presenza sia a malapena percepibile. Non so se essere felice o meno per il fatto che si trovi qui. Ho già il vago presentimento di ciò che potrebbe accadere e non sono ancora pronta ad affrontare simili situazioni o discorsi. Torno a voltare la testa verso sinistra, per sincerarmi di cosa stia accadendo e noto che sta venendo verso di me, il passo è leggero anche se tremante. La vedo bloccarsi.
Per qualche istante i nostri sguardi si incontrano, tesi quasi alla stessa maniera, ma sono lesta a puntarlo con interesse sulle bende che tiene strette in mano, assieme ad un unguento, probabilmente adatto alle mie ferite.
La sento scostare la sedia accanto al mio letto e sedersi con delicatezza, il tutto in un perfetto silenzio. Non siamo nuove a questo genere di silenzi pesanti, a dire il vero la maggior parte del tempo assieme lo passiamo zitte, ma stavolta c’è qualcosa di diverso che mi fa tornare ai primi giorni d’addestramento, quando ancora io fingevo di essere troppo cattiva e lei troppo buona. Oso alzare di nuovo gli occhi su di lei, ma la rabbia che vi leggo dentro mi destabilizza, spaventandomi anche un po’, lo ammetto. Rimango a fissarla così, per qualche istante, cercando sul suo corpo qualche segno di fasciatura o di ferita che potrebbe essere testimone di un suo eventuale malore, ma è immacolata come sempre. Come mi assicuro che sia.

- Mettiti seduta.- la sua voce, apparentemente priva di emozioni, squarcia l’aria all’improvviso, non dandomi neanche il tempo di reagire, di fare qualcosa. Non chiede nemmeno i soliti “per favore” o “se non ti è disturbo” o altre cavolate con le quali riempie le sue frasi di solito, è un comando chiaro e tondo quello. Tutto quello che mi ritrovo a poter fare è eseguire il suo ordine, o almeno provarci, perché non sono esattamente sprizzante di energia, e le fitte che tutto il corpo mi manda non appena provo a fare un solo movimento ne sono la prova. Fortunatamente decide di aiutarmi; mi sposta il cuscino in modo da farmi appoggiare le spalle e si assicura che io sia in una posizione stabile.
La sistemazione non è esente dai dolori, ma almeno sono meno vulnerabile e in questo modo posso fare anche una stima dei danni: parecchi graffi, due dita rotte, un ginocchio molto probabilmente dislocato e rimesso al suo posto in malo modo, ma soprattutto una contusione alla testa niente male.  Mi son superata, complimenti a me.

Christa si sporge verso di me, facendomi segno di stare ferma e poi poggia le sue mani sulla mia testa. Non sono mani da “dea”, quanto più da contadina; sono piccole, con le dita lievemente cicciottelle e piene di calli. Mi piacciono, credo che le si addicano. È tuttavia interessante notare come ogni più piccolo particolare di lei sia in grado di smontare la copertura che con tanta caparbietà cerca di mantenere su se stessa. Capirà mai che una maschera è solo una maschera?
Trasalgo dalla sorpresa, non mi aspettavo che la ferita facesse così male. Non appena la sue dita poggiano sulla mia pelle o tirano le bende, sento come un fuoco che mi pervade la scatola cranica e si concentra sulla mia tempia destra. Le bende vengono giù, sporche di sangue incrostato, e Christa, dopo aver dato un’occhiata clinica alla ferita, inizia a immergere le mani nell’unguento. Un attimo dopo mi fa voltare tenendomi per il mento con le dita della mano sinistra e poggia il palmo della destra sul mio zigomo, mentre inizia a spalmare l’unguento sulla ferita. Sobbalzo di nuovo, con un verso di dolore.
- Stai ferma.- mi ammonisce aumentando la stretta sul mio mento. La sua voce è dura e apparentemente disinteressata, ma il suo tocco si mantiene morbido e quasi tremante. Ha paura di farmi troppo male? Il suo volto è abbastanza vicino al mio da permettermi di squadrarlo per qualche secondo in clandestinità, apprezzandone i i particolari del viso: tratti ben definiti ma allo stesso tempo delicati, i denti lievemente sporgenti che si intravedono dalle labbra sottili e rosse, semiaperte, questo prima che il mio sguardo risalga e incroci due azzurri si puntati su di me con fare accusatorio. Ancora non dice nulla, e quando ha finisce di merdicarmi si limita ad abbassare le braccia e osservarmi, facendomi sentire a dir poco minuscola.

- Sei stata incosciente per dodici ore.- la sua voce, ora finalmente carica di un qualche sentimento, irrompe nell’aria, rompendo quel silenzio così denso. Rabbia e preoccupazione si fondono in un unico tono cupo e graffiante. Rimane poi silente per qualche secondo, come se cercasse di mantenersi calma e controllata, prima di parlare ancora. – Eri coperta di sangue. Persino il Comandante Shadis si è spaventato.- mentre dice queste parole i suoi occhi continuano a fissarmi, accusatori e brucianti come non li ho mai visti, costringendomi a distogliere lo sguardo.
I ricordi di qualche ora fa prendono a riaffiorare, facendomi dolere la testa. Ora ricordo cos’è successo, non mi stupisce che si sia incazzata, in effetti.
Dopo aver fatto in modo di tagliare la collottola al il minor numero di bersagli senza destare troppi sospetti, sono andata a sbattere volontariamente contro un albero, fingendo di avere sbagliato manovra. Ricordo di aver sperato di non farmi troppo male, prima della botta. Poi una caduta da parecchio in alto, un dolore acuto e volti confusi sopra di me, prima che perdessi conoscenza.
Probabilmente sono stata esclusa dai primi dieci per questo. Ottimo. Ora la presenza di Christa come decimo membro al mio posto dovrebbe essere assicurata. Spero non abbia intuito qualcosa, fortunatamente non sembra essersi accorta di nulla durante, quando ho scambiato i compiti.

- Immagino di non aver passato l’esame a pieni voti.- è il mio unico commento sbiascicato. Non ho bisogno di mostrare una falsa costernazione con lei, sa benissimo che non me ne è mai fregato un tubo di primeggiare, nonostante mi sia ritrovata mio malgrado a superare di parecchio la media.  Il suo sguardo però non accenna a spegnersi. Sembra essersi preoccupata più del previsto. Perché? Le mie ferite sono davvero così gravi?
- Ohi Christa, dai. È stato solo un incidenteun paio di giorni e...-
- Un incidente,vero? Quindi è così che si dice quando qualcuno si lancia addosso ad un ostacolo senza fare nulla per evitarlo? Un incidente.- le sue parole bruciano su di me come se fossero velenose, mi costringono ad abbassare lo sguardo e a cercare delle scuse per giustificare il mio comportamento. Non posso certo svelarle la verità, probabilmente si arrabbierebbe solo di più ed in questo momento è meglio proteggere la mia salute fisica se non voglio che Christa si impegni per peggiorarla. Provo quindi a dire qualcosa, ma dalla mia bocca non esce un solo suono, come se non avessi più voce. È paura questa? Sento invece il respiro di Christa farsi sempre più pesante, come se si stesse trattenendo. Per un attimo credo davvero che stia per esplodere e farmi davvero tanto male, ma quando alzo lo sguardo noto che c’è qualcosa di sbagliato, di diverso da quello che avevo immaginato. Sembra che sia sul punto di piangere, ma si trattiene con tutte le proprie forze.  Sono lacrime di rabbia, paura e preoccupazione. Non sono false, queste sono vere. Dire che le ho fatto male sarebbe un eufemismo.

Vorrei dire qualcosa, di solito non ho problemi a parlare. Vorrei avvolgerla in un fiume di parole che le facia dimenticare tutta questa faccenda. Per il suo bene. Per il mio bene.
- Ho solo sbagliato manovra.- è tuttavia la mia laconica risposta. Non la guardo in volto mentre pronuncio quelle parole, so benissimo che le basterebbe una mezza occhiata per farle capire quanto io stia mentendo.
- Non hai “solo sbagliato una manovra”, Ymir. Tu l’hai fatto di tua spontanea volontà.- mi corregge, un tono duro e conciso - Perché?- aggiunge poi tirando su con il naso, trattenendosi come può.
Io sospiro, guardandola di sfuggita e non riuscendo a reggere il suo sguardo. Speravo non se ne accorgesse, speravo credesse che fossi solo una sciocca incapace nelle curve. Eppure allo stesso tempo l’ultimo mio pensiero era quello di farla preoccupare in quel modo. So benissimo quanto possa essere stupida in questi casi. Ma cosa le dovrei dire? Che l’ho fatto per lei? Come potrebbe reagire in modo positivo ad una cosa del genere.
- Se è tutto quello che hai da dirmi, finisci di medicarmi e vattene.- faccio con tutta la fermezza di cui sono capace, ora che mi è impossibile sottrarmi ai suoi occhi. Quell’azzurro appannato per le lacrime che non vuole lasciare uscire, nasconde una paura e un dolore che mai avrei voluto vedervi dentro, non per me almeno. Non ricordo di aver mai fatto preoccupare nessuno che non fosse lei del resto e la cosa mi mette a disagio.

Non dice niente per ora, si limita ad annuire, prendendo le bende dal proprio grembo e avvicinandosi di nuovo alla mia testa inizia a medicarmela, con cura, come sempre. Come se non fosse successo nulla. Quando la fasciatura è sistemata per bene sulla mia fronte, la assicura con un nodo, che sono sicura reggerà benissimo per almeno un paio di giorni, e poi mi fissa. Gli occhi di Christa sono ancora gonfi ma vividi, hanno perso quella venatura di apatia e opacità che riesce ad inquietarmi. A volte mi fanno sentire come se mi leggesse dentro. Come se sapesse tutto di me. Come se mi avesse scoperta, semplicemente guardandomi. Ringrazio che non sia vero, o probabilmente non mi troverei qui, su questo letto. Eppure la sensazione continua e mi mangia, mi divora. E pensare che si tratta solo di una ragazzina non particolarmente sveglia.
Vorrei dirle qualcosa per rassicurarla, mi fa male vederla così, ma rimango in silenzio. Alzando e riabbassando le braccia a vuoto.
- Credevo saresti morta.- mi dice in un sussurro Christa, un tono tremendamente rassegnato ma allo stesso tempo tremendamente vivo. Le sue mani sono scese sulle mie guance ora, le toccano appena, ma con fermezza. Mi provoca una strana sensazione quel contatto con le sue dita. Sono fredde, mentre io sono calda. Dei brividi mi corrono lungo la schiena, ma sospetto che non sia solo per via della differenza di temperatura.
- Non posso morire. Abbiamo un patto e intendo rispettarlo.- le rispondo con serietà. Non cerco di trasmetterle sicurezza o cavolate del genere, solo la consapevolezza che sono un tipo che se fa un patto lo rispetta fino alla fine. Quello che ho detto sulle montagne gelide non era una farsa. Quella è una promessa, la più importante della mia vita attuale.
- Avevo le mani sporche del tuo sangue, non respiravi...- Christa mi guarda come se fossi un’estranea, mentre continua a parlare come se neanche si rendesse conto della mia presenza di fronte a lei, gli occhi ricolmi di lacrime che ancora non vogliono cedere alla lussuria, da lei costretti a trattenersi fino a bruciare e fare male. Sembra che stia per aggiungere qualcosa, aprendo un paio di volte la bocca e poi richiudendola, ma alla fine non dice nulla, limitandosi ad avvicinare il volto al mio e stringere più forte le mie guance, imprimendo i polpastrelli sulla mia carne. Non c’è bisogno che dica nient’altro. So cosa sta pensando.

Ha avuto paura di rimanere da sola.

La guardo. In questo momento non è altro che una ragazzina che ha avuto paura di perdere la persona a cui tiene di più. Probabilmente non è mai stata così tanto se stessa come in questo momento. E che dire di me? Lei è sempre stata al mio fianco pur sapendo che razza di persona sono. Mi protegge dagli attacchi altrui. È l’unica che prova a capirmi, ad ascoltarmi. È l’unica che capisca cosa si provi quando non si ha nulla se non se stessi. Le stringo il polso destro con fermezza, con la mano sana, e non smetto di fissarla. Sono combattuta tra la voglia che ho di lei e la paura che ho di me.
Cosa dovrei fare?
Alla fine è lei a scegliere per me.
La osservo avvicinarsi ancora di più, fissandomi le labbra con uno strano sguardo. Indietreggio lievemente per istinto, facendo alzare le iridi azzurre su di me, le sopracciglia lievemente aggrottate, come se volesse capire qualcosa. Scuoto lievemente la testa, sperando che basti a dissuaderla, ma per tutta risposta mi afferra per un lembo della canottiera e mi avvicina a sé con una forza che non ti aspetteresti da un ragazza così piccola. Le nostre labbra si toccano con violenza, quasi ferendosi. Rimango ferma, immobile.
Non posso credere che stia accadendo veramente.
Con gli occhi socchiusi le guardo il viso; sembra distesa, ha le palpebre abbassate e delle lacrime iniziano a fare capolino ai lati degli occhi. Si sta lasciando andare. La sento muoversi contro le mie labbra, cercando di coinvolgermi in qualcosa di cui potrei pentirmi, di cui vorrò pentirmi. Eppure non riesco a rifiutarla, non riesco a ignorare quello che sento ora, in questo momento. Non riesco ad impedire al mio braccio sinistro di avvicinarla di più a me, afferrandola rudemente per la coscia e facendola così sedere sul mio letto di sbieco. Non riesco ad impedire all’altro braccio di circondarle la vita per sentirla meglio contro di me, per rendermi conto che tutto questo è reale. Vorrei toccarla, accarezzarla, ma le dita steccate me lo impediscono.
Non riesco a fare a meno di questo suo bacio, di accarezzare le mie labbra con le sue, con forza, con desiderio. Non temo di spaventarla, è questo il mio modo di dimostrarle la mia costernazione, quello che provo nei suoi confronti. Mai avrei voluto ferirla. Lei lascia che le lacrime scorrano sul proprio viso, copiose, e mi zittisce con la propria bocca, prima che io possa provare a dire qualcosa. La sento alzare un braccio fino alla mia nuca, per avvicinarmi ancora di più con desiderio febbrile, l’altra mano corre al mio fianco, stringendolo con forza.

Non so bene quanto tutto questo duri. Secondi? Minuti? Ore? Non mi interessa neanche saperlo.
Quando Christa si stacca da me le lacrime sono scomparse, il lieve sapore salato sulle mie labbra ne è l’unico testimone. Ne sono il volto alla ricerca di una qualche emozione, cercando di capire in qualche modo, di non ritrovarmi in balia degli eventi. Cerco il suo sguardo e noto che l’espressione però è rimasta la stessa. Non mi ha perdonato, ne sono certa. Lo immaginavo, non è una sorpresa. Dovrò trovare il modo di risolvere il problema entro il giorno del diploma. Potrebbe essere l’ultima volta che ci vedremo.
Non aggiunge nient’altro e io faccio lo stesso. Ricade uno strano silenzio tra di noi mentre mi controlla le altre ferite, assicurandosi che le bende non siano sporcate di sangue a causa del suo improvviso impeto, quindi annuisce a se stessa, abbastanza soddisfatta.
- Tornerò più tardi con la cena. Riposa.- mi dice soltanto. Fa per alzarsi dal letto ed è in quel momento che capisco che non appena varcherà quella porta farà come se non fosse successo nulla.
Non voleva mostrarsi debole, del resto non lo è mai stata, non nel senso che crede lei. Non voleva mostrarmi neanche la vera se stessa, non è ancora il momento. Aveva solo paura.
Vorrei stare ancora sognando, averla tra le braccia, sentendo il suo sapore su di me e quel suo odore dolciastro dal retrogusto lievemente acre invadermi le narici. Sebbene sia a pochi metri da me sembra già così distante da farmi male. Vorrei svegliarmi da questo incubo e scoprire che si trova ancora su quella sedia a rimproverarmi di aver fatto una stronzata.
Mentre la osservo allontanarsi, dirigendosi verso l’entrata dell’infermeria, mi accascio sul cuscino e fisso di nuovo il soffitto, che si fa stranamente appannato dopo qualche secondo.

Stavolta è il mio turno di piangere.


 


Eccomi qua! Innanzitutto grazie a chiunque sia arrivato a leggere fino in fondo! Che dire? Questa storia ha un trascorso un po’ burrascoso; è stata scritta circa sei mesi fa, ma ha dovuto essere riveduta due volte e mezzo prima di soddisfarmi abbastanza da decidere di pubblicarla. Probabilmente tra un altro mese la troverò nuovamente obbrobriosa, quindi ne ho voluto approfittare ora, prima che cambiassi idea.
Che dire? La storia nasce da un mio momento di frustrazione nei confronti del manga, in una notte in cui intelligentemente decisi di rileggermelo praticamente tutto, ritrovandomi di nuovo sommersa dalla storia di Ymir e Historia che per trenta capitoli, è stata una delle colonne portanti del manga. Avevo voglia di scrivere su di loro, qualcosa di un pochino angst che le facesse interagire, quindi è nata l’idea di questa storia, incentrata sulla paura in generale e sulle lacrime, in particolare quest’ultime probabilmente. Infatti come nel manga Ymir e Historia si ritrovano a piangere solo quando credono di essere sul punto di perdersi, succede anche in questa storia. Paura e lacrime. Insomma, una gioia.
Dopo quest’analisi, faccio le solite raccomandazioni: se notate qualcosa che nella storia non vi convince fatemelo sapere, anche via messaggio privato, non è un problema, stessa cosa se i personaggi vi sembrano OOC, ci tengo particolarmente a migliorarmi, per cui sentitevi liberi di lasciare tutte le critiche costruttive, sia positive che negative, che volete!


 
Dedico questa storia a te, sempre e solo a te. Spero che troveremo la forza di andare avanti, qualunque cosa accada.
   
 
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