Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    21/09/2015    1 recensioni
Sono passati secoli dagli eventi narrati nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Oggi quelli che una volta venivano chiamati i Sette Regni sono una pacifica comunità che è riuscita a trovare un ordine e a mantenerlo per lunghissimo tempo. La sola idea che qualcosa possa sconvolgere questo stato di assoluta armonia, rafforzata da secoli di pace e concordia, sembrerebbe ridicola. Eppure, il principe Daniel - terzo in linea di successione al Trono - sta per imbattersi in qualcosa di nuovo, mai prima d'ora visto in nessun angolo delle terre conosciute...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7
RITORNO DALL’OVEST
 
 
                Da quanto correva? Un’ora? Un giorno? Due?! Ormai non lo sapeva più. Sapeva solo che era tanto, troppo. Come facevano quelle creature infernali a non stancarsi? Erano numerose, forse si davano dei turni: ma perché mai dare a Xenya, e ai pochi uomini rimasti con lei, tutta quell’importanza? Una cosa era sicura: in quella terra dimenticata dagli dèi non esisteva senso dell’ospitalità.
                Erano partiti in dieci e lei, capo della spedizione, era l’unica donna. Poi, il mare e la disidratazione si erano portati via il vecchio Sherman. In nove avevano calcato di nuovo la terraferma e pensavano di aver trovato il paradiso: sole caldo, spiaggia infinita e un accogliente bosco da esplorare per trovarvi cibo e acqua. Fin dalla prima sera, addentrandosi nella radura, avevano trovato un torrente d’acqua dolce e limpida per mezzo del quale, finalmente, tornarono a bagnarsi le labbra, dopo che durante il lungo viaggio avevano terminato le pur numerose scorte d’acqua con le quali erano partiti. Ma il cibo aveva dimostrato loro che quello che avevano trovato non era, poi, un paradiso così affidabile. Anzi, era un paradiso effimero. Jenkins e Gordon avevano deciso di accompagnare il pesce che l’intero equipaggio stava mangiando per cena ad un mucchietto di bacche dall’aspetto invitante che avevano colto sotto una palma. Jenkins non rivide la luce del sole e, quanto a Gordon, fu colto da febbre alta e allucinazioni prima di lasciare anche lui per sempre questo mondo.
                Erano partiti in dieci, ma solo in sette arrivarono al fatidico giorno. Il giorno in cui la gente dell’Ovest, che era gente proveniente dall’est di quel territorio inesplorato, si rese conto che la landa che pensavano desolata, non lo era. C’era un tipo di vita che andava al di là delle bestie e della vegetazione. Quel mondo era abitato da uomini travestiti da demoni. Inizialmente, li accolsero con curiosità, nudi e con quella loro pelle del colore dell’avorio. Ma quando Meyer si limitò a liberarsi in una risata un pochino più sonora, una freccia trafisse la sua gola con inaudita velocità. Furono fatti prigionieri e in sei giunsero all’accampamento di quei diavoli. Questi si liberarono di Stein per puro divertimento. Inizialmente, osservando cosa gli stavano facendo, Xenya e gli altri del gruppo pensarono che i diavoli volessero cibarsi del loro compagno. Ma, a quanto sembrò, non lo fecero. Di tutte le empietà che caratterizzavano gli uomini di quella terra, il cannibalismo non ne faceva parte. Il fetore, l’omicidio, lo sberleffo, una lingua oscura e fatta di versi come quelli degli animali, una camminata oscillante e inquietante, un pessimo modo di mangiare e di vestire, una pelle nera come quella dei demoni della notte. Ma il cannibalismo no, quello non li connaturava.
                Poco importava. Dopo l’episodio di Stein, Xenya e i quattro superstiti insieme a lei, si convinsero che bisognava scappare. Andar via da quel mondo e tornare solo con la compagnia di un esercito armato fino ai denti. Xenya non aveva pensato che quelle creature fossero malvagie neanche quando avevano ucciso Meyer: erano uomini diversi di una società e una cultura diverse, un malinteso poteva anche sorgere. Ma lo sterminio assolutamente gratuito di Stein no: quello era stato un atto di barbarie. Non si poteva ragionare coi diavoli dalla pelle colorata; bisognava scappare.
                I tentativi furono numerosi e una volta Pashamanyna rischiò anche di farsi beccare. Tuttavia un giorno, la punta della lama di una guardia, lasciata con troppa noncuranza in balia di un gruppo di esperti uomini del Westeros, si dimostrò una sventatezza da parte degli oriundi e un quasi miracoloso colpo di fortuna da parte di Xenya e i suoi. Si finsero ancora legati e lasciarono l’accampamento nella tarda notte, quando il fuoco si era spento e i giochi con cui i diavoli si trastullavano ogni sera finiti. Durante la fuga, Xenya vide Gordimer morirle davanti agli occhi, trafitto da una specie di lancia rudimentale. Degli altri non seppe più niente: nella fuga accalorata, li perse tutti dentro i meandri del bosco.
                Quando – dopo una corsa estenuante che non riuscì mai a capire quanto fosse durata – l’esploratrice rivide la Avalonya, la piccola, rapida, bellissima nave con cui erano salpati mesi prima, per poco non pianse. Scoprì di essere l’ultima; Pashamanyna – con il suo inseparabile falco da comunicazione – Lucas e Mael erano già lì: quei pazzi l’avevano aspettata. Avrebbe voluto abbracciarli, stringerli a sé come fratelli, ma non lo fece. Lei era pur sempre un ufficiale dell’esercito del Regno Unificato, e quegli uomini i suoi sottoposti. Su quella nave tutti sapevano che non c’era bisogno di quel genere di convenevoli. Quasi senza fiato, Xenya si limitò ad esclamare al suo secondo e navigatore del gruppo: «Issate le vele, signor Pashamanyna. Torniamo a casa».
 
 
 
                «Vedi questo? È un messaggio da parte di un mio fedele, arrivato questa mattina presto sulle ali di un falco ammaestrato. Se quello che c’è scritto è vero, i conflitti che ci attendono raggiungeranno ben più che Roccia del Re e i territori ad essa attorno. Immagina… un nuovo continente, con nuove ricchezze da depredare, nuovi cibi da assaporare e nuove donne da sedurre. Quanto mai potrà valere Roccia del Re in confronto a questo?» Lord Justus Panecha lanciò uno sguardo carico di significato al suo collega, membro del Concilio Ristretto come lui, Lord Garhel Sawela. Questi, con fare decisamente più burbero, grattandosi la barba incolta che aveva sulla gola, rispose: «Finiscila, Justus! Sai bene che potrai anche incantare i tuoi serpenti e i tuoi elefanti con questi toni melliflui, ma non me. Io ti conosco da quando mercanteggiavi frutta secca presso i porti di Gonemor e Marrah Cankhubhia. Non ti ho chiesto di ciò che c’è fuori da Roccia del Re, ti ho chiesto di quello che c’è dentro»
                «Immagino» fece Panecha tornando ad accarezzare i suoi cobra «Che la risposta più conveniente sia che io non ho risposta»
                «Ma entrambi sappiamo che sarebbe falso. Tutti sanno che tu, Baelish e Braff siete gli uomini meglio informati della città»
                «Allora anche… i più sospetti?»
                «Decisamente»
                «Mio caro Lord Sawela, sono sincero quando dico che, per quanto io abbia delle idee, esse sono come ombre e polvere al momento. Ci sono, esistono, sono concrete; ma non possono essere afferrate. Sei un uomo saggio e se io ti dicessi qualcosa che poi si rivelasse veritiera, penseresti che sono in qualche modo invischiato con la morte del re, anche se sei abbastanza saggio da sapere che mai e poi mai ne sarei stato l’artefice materiale. Se ti dicessi qualcosa che poi si rivelasse, invece, sbagliata… perderei parte della mia credibilità ai tuoi occhi e, quindi, parte del mio potere su di te. Dunque converrai con me che non sarebbe saggio da parte mia espormi in questo momento»
                «E sia! Non parlarmi della morte di Lionel, se non vuoi. Ma dimmi almeno… se pensi che i nuovi risvolti cambino in qualche modo i nostri piani originari»
                «Ah, Garhel!» a questo punto il proverbiale stoicismo di Lord Panecha parve vacillare; si avvicinò a Sawela e disse riducendo a un sussurro il tono della sua voce: «A questo punto siamo arrivati! Parlarne apertamente! Non lo sai che le mura qui hanno occhi e orecchie?»
                «Ma Justus siamo nei tuoi uffici! Che si trovano nel tuo palazzo!»
                «Non ha importanza: non vedi come è morto il re? Ci sono ombre che strisciano da troppo tempo nelle buie notti di questa città» breve pausa, poi: «Comunque la risposta alla tua domanda è sì: le cose cambiano. Constant non è certo Lionel!»
                «Avevo capito che l’insediamento del Primo Cavaliere in vece del re fosse solo temporaneo»
                «Sì, questo è quello che dice lui. “Il re è vivo, ma nessuno può vederlo, quindi comando io”: ti sembra il tono di qualcuno che abbia talmente a cuore il bene di questo Regno da farsi da parte? E quello stupido del principino che gli va’ dietro! Dopo quella scenata ridicola di richiamarci tutti per determinare chi fosse il colpevole e concludere la nottata con un nulla di fatto! E Constant che promette: “ma lo troveremo”, e il principe che ci crede. No, non possiamo più attendere gli ulteriori sviluppi di questi biechi giochi di potere qui alla Capitale. Mio caro Garhel, io sono un uomo convinto che le vere rivoluzioni le facciano i politici e non i guerrieri. Pur tuttavia, ho bisogno che tu agiti un po’ le acque delle regioni del Sud-Est»
                «Benissimo!» fece Lord Sawela, non riuscendo a trattenere l’entusiasmo. «Ma ricordati, amico mio,» gli disse ancora Panecha «che io non starò dalla tua parte! Inveirò contro di te, dirò che hai portato il caos in una regione per decenni tranquilla, voterò anche contro di te se mi metteranno alle strette»
                «Questo è ovvio». A questo punto, anche Lord Justus Panecha si liberò in un sincero sorriso. Tese la mano al Tribuno Popolare della Regione dell’Est e disse: «L’Oriente otterrà finalmente il prestigio che gli è dovuto!»
                «O cadrà» fece Garhel Sawela, serissimo «Nel tentativo di farlo» e strinse la mano dell’uomo che, come lui, aveva cominciato la propria vita politica tra la gente affamata, bisognosa eppure onesta e sapiente che abitava l’immenso continente dell’Essos.
 
 
 
                «Lord Sawela!»
                «Lord Willoughby» salutò il Tribuno Popolare, con uno sforzo. Che sfortuna aveva avuto di incontrare quel vecchio rompiscatole proprio all’uscita del palazzo di Panecha, che si trovava in una delle più importanti piazze della capitale. Oltretutto era anche in corso il mercato, eppure – nonostante l’immenso numero di persone in mezzo alle quali nascondersi – il Lord che reclamava uno spazio a nord del territorio dell’antica stirpe degli Applegate, lo aveva visto e gli stava andando incontro. Sawela sapeva già cosa Willoughby voleva; da mesi ormai non gli parlava d’altro: da mesi ormai non parlava d’altro con chiunque. E anche quella volta il nobile delle terre a confine con il Castello Nero – dopo qualche convenevole – passò subito all’attacco: «Mio signore, badate, io non ho alcuna fretta, ma… mi chiedevo se aveste deciso qualcosa in merito alla vostra posizione per quanto concerne il riconoscimento alla casa che rappresento del territorio che rivendichiamo e che ci appartiene di diritto, anche se al momento occupato dai vermi Applegate»
                «No, Lord Willoughby, non ancora…» provò a tagliar corto Garhel. Ma Senus Willoughby non glielo permise, continuando il suo monologo: «È inutile ricordarvi come noi crediamo che le nostre esigenze siano vicine e, malgrado i popoli del nord non patiscano la fame come certi altri popoli che vivono in certe zone dell’est che voi sapientemente tutelate, comunque la fratellanza tra stirpi antiche, lavoratrici e al momento schiave – anche se per diverse ragioni – come le nostre, potrebbe suggellare un tacito patto che porti, in sede di voto al Concilio, uno scambio equivalente tra le nostre forze e le vostre. Ancora una volta, mio signore, io non ho fretta di sapere ora che cosa ne pensiate in termini ufficiali, ma… ecco, solo ufficiosamente, da amico, pensate che potrei contare su di voi?»
                «Willoughby…», Lord Sawela cercava disperatamente un modo per liberarsi di quella ingombrante compagnia senza risultare troppo brusco. Schierarsi apertamente con Willoughby, quando gli Applegate erano forti di quasi la totalità delle simpatie degli altri nobili del Regno Unificato, era impossibile anche per lui che, come noto, era un ribelle. Avrebbe anche sancito volentieri quell’accordo se gli avesse dato una qualche vaga certezza, ma l’indipendenza dei Willoughby sarebbe stata decisa con un voto; la nascita di un nuovo mondo in cui il baricentro del potere si sarebbe spostato dall’ovest all’est era invece tutto molto più complesso e fumoso. Sawela poteva fornire garanzie a Willoughby che Willoughby non poteva ricambiare e quindi sporcarsi le mani con un alleato così scomodo non era altro che la mossa sbagliata, e questo Garhel lo sapeva. D’altro canto, non voleva inimicarselo. Senus Willoughby era un passionale, come lui, e portare la discussione a uno scontro aperto significava fare la guerra con quella famiglia per diverse generazioni. Quindi il Lord Tribuno Popolare della Regione dell’Est si limitò a concludere: «I tempi non sono ancora maturi per discuterne in questi termini»
                «Maturi? MATURI?!» si alterò il vecchietto riuscendo a eruttare un vocione tetro e minaccioso: la forza dell’alterigia idealistica, «Sono decenni che attendiamo e attendiamo e ancora niente! Sappiate, mio buon signore, che la mela degli Applegate è molto più che matura! È invecchiata e sta per cadere dall’albero! La stella dei Willoughby invece brilla come non mai!»
                «Ma, signore, con questo fatto della morte del re» provò ancora ad appigliarsi Sawela. Niente da fare, il vecchio ormai era in carica come un ariete: «Questo non c’entra in alcun modo! I re nascono e muoiono. Le Antiche Casate restano, e così la loro gloria! Sono convinto che chi abbia attentato alla vita di quel poveretto presto verrà acciuffato e farà la fine che merita. Così come tutti quelli che provano a imporsi su un seggio che non gli appartiene!»
                «Basta così, signore!» fece dunque Garhel, serio, sperando che cambiare la tattica e dimostrarsi un po’ meno “disinteressato”, anche se ancora non esattamente “risoluto”, potesse infine liberarlo da quella scomoda situazione. «Considereremo il dafarsi quando il momento del voto sui Willoughby e gli Applegate si sarà avvicinato, e cercheremo di riflettere al meglio su quanto effettivamente vicini siano i nostri popoli e di conseguenza le nostre esigenze. Ma, per oggi, non avrete ancora una risposta»; detto ciò Lord Sawela sfruttò il momento di silenzio di Willoughby per incamminarsi lasciandolo con i suoi uomini, dalle stelle bianche ricamate al petto, alla piazza del mercato.
 
 
 
                Senus Willoughby non era un uomo saggio, né alcuno dei suoi figli e fratelli lo era. Erano audaci i Willoughby, risoluti, degli ottimi strateghi per quanto riguardava le battaglie sui campi. Ma erano del tutto invalidi per quanto concerneva l’intelligenza politica. E questo a Roccia del Re, lontani dalle nevi dei loro manieri, li rendeva come agnellini sempre buoni per il macello. E Henrich Bolton, come molti altri membri del Concilio Ristretto, non era tipo da non approfittarsene: aveva illuso il vecchio ex sovrano di Breccia sugli Astri di essere dalla sua parte; lo aveva coccolato e difeso come un pupo. Gli aveva detto che avrebbe votato per l’indipendenza della casata Willoughby contro gli Applegate quando sarebbe venuto il momento. Si era fatto pagare delle belle somme: l’ultima fresca di quella mattina. Ma in realtà aveva tutte le intenzioni di tradirlo al momento del voto: i Willoughby erano praticamente da soli, e schierarsi dalla loro non era conveniente. Anche se forse la loro era la miglior potenza navale del nord, anche se il legno per imbarcazioni del loro territorio era probabilmente il migliore di tutto il continente occidentale, anche se rischiare un conflitto armato con loro avrebbe potuto rivelarsi per i Bolton, che con parte del territorio rivendicato dai Willoughby ci confinavano, molto più dannoso che per altre famiglie… Bolton aveva già deciso che la migliore mossa sarebbe stata il tradimento, e li avrebbe traditi.
                Quella mattina il Lord Maestro delle Armi aveva ben altro a cui pensare. Alle prime luci dell’alba, presso un vicoletto abbandonato nei sobborghi della città, aveva riscosso la quota mensile che il vecchio Senus gli versava ormai da diversi anni. Poi, si era recato a palazzo, presso la sala del trono, per un incontro ufficiale con alcuni vecchi veterani dell’esercito. Dunque l’apice della sua giornata: l’incontro con la sua amante e confidente, l’amica con la quale era cresciuto e di cui sapeva di potersi fidare, quella verso cui riversava ogni suo sfogo e con la quale teorizzava ogni suo piano. Con lei bisognava fare il punto della situazione: i nuovi eventi di poche ore prima rendevano tutto molto più confuso e incontrollabile. E di molti di essi probabilmente lei doveva ancora essere informata.
                La raggiunse direttamente nelle sue camere del palazzo, tramite un percorso di corridoi segreti, celati ai più. Erano i tipici corridoi che conoscevano soltanto le spie più abili e gli innamorati più folli. E loro lo erano da molto tempo innamorati, anche se la loro era una storia che ritenevano insospettabile. Non appena lui venne fuori da dietro un arazzo, lei gli si precipitò tra le braccia, con la sua lunga svolazzante treccia di capelli castani. Si sorrisero, si baciarono. Dopodiché lei finalmente liberò la ragione per cui tutti nel regno la adoravano, e Bolton si riteneva fortunato a possedere il suo cuore: con la sua voce da usignolo, dolce come un frutto, Abigail Baratheon disse: «Mio adorato»
                «Abigail» si limitò a sussurrare lui, come sempre praticamente ipnotizzato dalla sua bellezza. «Due giorni interi senza farti vedere!» proseguì la moglie dell’erede al trono «Non osare mai più!»
                «Sono stati giorni impegnativi e pericolosi»
                «Oh» gli occhi della donna s’inumidirono, come se si stesse commovendo «Che cosa è andato male, mio diletto?»
                «Qualche minuto dopo l’attentato… Constant ci ha torchiati»
                «Come?»
                «Ha preteso che tutti quelli presenti al Concilio prestassero obbligatoria testimonianza, e poi fossero perquisiti. Come se l’attentato non potesse esser stato ordito in un momento antecedente al Concilio! Successivamente anche le nostre abitazioni sono state sottoposte al controllo della guardia reale, senza lasciarci modo di farvi ritorno fino a che l’ultima non fosse controllata. Naturalmente il Primo Cavaliere non ha trovato niente, concludendo come solo esito della giornata di aver perduto parte del suo e – cosa infinitamente più grave – del nostro tempo»
                «Non disperare» fece lei con la fermezza di una montagna «Di tempo ne avremo, quando nostro figlio verrà incoronato re»
                «Sì ma questa non è la cosa peggiore… Lionel non è morto»
                «Che cosa?»
                «Oh meglio: Constant sostiene che sia così, e il Gran Maestro conferma. Tu sai che il parere del Gran Maestro è vincolante, in questo genere di cose»
                «Septimus… quell’inutile invertito d’un vegliardo. Beh per quanto a lungo potranno continuare con questa farsa? Prima o poi i falchi della politica di questo mondo si stuferanno della testimonianza di quel vecchio sibillino, e richiederanno un riscontro di tipo più oggettivo»
                «Infatti non è questo il punto»
                «E qual è allora?»
                «Il punto è che se quello che Constant dice è vero, allora tuo marito non sarà mai re! La legge è chiara: è il Primo Cavaliere che governa il regno in caso di impedimento del re»
                «Questo è inaudito!»
                «È una cosa che non accade da circa un millennio! Tesoro…» la prese per mano «Per la prima volta dai tempi bui delle grandi guerre, la linea di successione potrebbe essere spezzata. Un cataclisma di dimensioni pantagrueliche e io…» si accarezzò la fronte «non ho idea di cosa fare! Pensavamo di aver pianificato ogni cosa e invece…»
                «Amor mio non piagnucolare. È inutile e ti rende un uomo ridicolo». Adesso Henrich riconosceva la donna che amava. Quella di cui solo lui era al corrente: la fine stratega, l’accorta diplomatica, la perfida arpia.
                Non erano più potenti come una volta i Baratheon. Il loro prestigio si era estinto da secoli, ma il loro nome in qualche modo sopravviveva e continuava ad essere una garanzia di nobiltà. Per questo Abigail, proprio lei, era stata scelta come regale consorte dell’uomo che un giorno sarebbe stato re: Axelion figlio di Lionel Lannister. Solo per questo. Ma lei, che era cresciuta nei boschi neri attorno a Capo Tempesta, protetta fin dalla nascita dall’ala rassicurante dei Bolton, lei invece aveva un temperamento ambizioso e combattivo; in quella sua testa calcolatrice, Abigail Baratheon bramava di più, molto di più… Abigail Baratheon voleva ogni cosa; Abigail Baratheon voleva il trono! Da anni, insieme ad Henrich come un po’ il suo complice e protettore e un po’ la sua pedina, aveva ordito piani e messo in atto vere e proprie opere di pura recitazione. Aveva lasciato credere ai Lannister che il loro inetto figliolo era stato in grado di metterla incinta. Ma lei sapeva che ci voleva un uomo forte e navigato per supportare il figlio che aveva tutta l’intenzione di mettere sul trono. E Axelion era dolce, buono, comprensivo, ma non era forte e men che meno navigato. E d’altro canto lei preferiva le rudi doti del Maestro delle Armi piuttosto che le tenere coccole del principino.
                Anche se la spaventava, Abigail si rese conto che l’unica carta che gli restava di giocare era proprio quella del suo debole e insulso marito. Condivise la sua idea con l’uomo di cui era veramente innamorata: «Dobbiamo sperare in Axelion» disse a Bolton «È l’unica alternativa che ci rimane…»
                «Axelion?!» domandò Lord Henrich, giustamente stupito «Non andrebbe mai contro il parere di Constant: adora suo zio. E oltretutto… notoriamente il tuo affezionato consorte non è il tipo d’uomo che prende da sé decisioni importanti. Non ha la fibra per farlo»
                «Hai detto bene» insisté Abigail con la sua ipnotica e suadente voce «Axelion non le prende da sé le decisioni importanti, ma… ascolterà sua moglie, che parlerà in difesa di suo figlio. Lo convincerò ad affrontare Constant»
                «Mia diletta… io non metto in dubbio le tue abilità, né le ragioni – pure importanti – che presenteresti alla portata del principe. Ma Constant è uno degli uomini più risoluti del Regno, e uno dei più potenti. E tuo marito è un vigliacco. Questi sono due solidi argini oltre i quali lui non riuscirebbe mai a far esondare il suo spirito, quali che siano le ragioni. E chi gliele pone». Osservando la donna che amava, Henrich Bolton si rese conto che forse era riuscito a scalfire la sua volontà di pietra; per una volta, era stato lui ad aprire gli occhi a lei, a darle un suggerimento, a farla ragionare su qualcosa che… non era stato calcolato.
                Accarezzandosi mento e bocca, la possibile futura regina disse piano, come a voler fare un commento piuttosto che intavolare una nuova discussione: «Braff…»
                «Oh, no» fece Bolton, intuendo già tutto. Senza neanche degnarlo di uno sguardo, lei proseguì: «Lord Braff possiede un solido legame con mio marito; ha su di lui un ascendente perfino più grande di quello che ho io… figuriamoci per quello che potrebbe avere Constant»
                «Abigail: Braff è un uomo pericoloso. Lui non viene manovrato: lui manovra!»
                «Una volta, quando Braff era un giovane e Axelion poco più di un bambino, il Maestro dei Sussurri fece qualcosa per lui. Non so… gli salvò la vita, o la salvò a una delle sue sorelle, non sono mai riuscita a capirlo bene, e Axelion – stranamente – ha sempre evaso le mie domande in merito a questa questione. Ma da allora sono legati»
                «Abigail: chi ha tentato di uccidere il re fisicamente, tu ne hai una qualche idea? Per molti la sua dipartita sarebbe stato un bene, ma chi ha avuto il coraggio?». Con fare estremamente subdolo la principessa Baratheon rispose al suo amante: «Tu credi sia stato lui?»
                «Sì, io credo che ne sarebbe molto capace»
                «Ma per qualche ragione Braff ha invece sempre avuto un atteggiamento sospettosamente protettivo nei confronti della dinastia ufficiale, quindi…»
                «Amor mio, Braff è uno di quegli uomini di cui non si sai mai cosa vogliano. E quando non sai cosa vogliono, non sai neanche cosa sarebbero disposti a fare per ottenerlo. Dobbiamo tenerci lontani da individui simili»
                «Non correremo rischi» decise lei, e lui avrebbe fatto quello che lei avrebbe deciso «Proporrò al Maestro dei Sussurri di aiutarmi a convincere mio marito a pretendere il trono. Nel caso non vorrà farlo, sono convinta che si limiterà a declinare l’offerta…»
                «Ma così scoprirai anche le nostre carte»
                «Ah sì? E che cosa capirà allora quel subdolo ruffiano? Che io sono la fedele moglie dell’erede al trono, e che voglio che mio marito governi questo regno, com’è legittimo che sia. Non temere, mio diletto, le nostre carte sono ancora ben celate all’interno delle mie maniche di moglie e di madre».
 
 
 
                La giornata volgeva già al termine quando Gino di Lungotavolo venne, dopo una non breve attesa, accolto in uno degli uffici di Lord Alexis Braff, il Maestro dei Sussurri. Insieme a lui, entrò Kellan, una delle guardie personali al servizio del politico della Capitale. «Mylord» salutò Gino, restando in piedi davanti alla porta. Quello, sorridendo beffardo, gli disse: «Sedetevi sir Gino: siete un ospite». Il giovane eseguì. Braff continuò coi convenevoli: «Gradite qualcosa da bere? Vino?»
                «No, grazie signore»
                «Latte? Ho del latte appena munto»
                «No signore, grazie»
                «Vogliamo finirla con questo tono ufficiale? Ve l’ho detto: siete un mio ospite. Potete chiamarmi Alexis»
                «Signore, non so se è il caso…»
                «Non transigo. Saremo amici: vedrete che lo saremo. E gli amici debbono fidarsi tra loro e non ci si può fidare se uno dei due chiama l’altro “mylord” o “signore”. D’ora in poi, solo Alexis». A questo punto, Braff versò del vino da una brocca in due coppe smaltate. Ne bevve e chiese rivolto a Kellan: «Vi hanno seguito?»
                «Nossignore» rispose quello, serio come un militare, anche se non era un membro dell’esercito del Regno Unificato. «Bene. Gino, tu ti domanderai il perché ti abbia convocato qui oggi, a così breve distanza dal tuo arrivo a Roccia del Re»
                «In effetti sì, mio si… volevo dire: Alexis»
                «Bene: facciamo progressi. Dimmi tu cosa diresti se io ti dicessi da questo momento in poi di smettere di considerarti un uomo dei Tyrell e di considerarti un mio uomo? Di… lavorare per me»
                «Lavorare… per te?»
                «Beh continuare a stare con loro, naturalmente. A vivere con loro, ad ascoltarne sfoghi e… intenzioni. E poi… disinteressatamente, venirmeli a raccontare davanti a una coppa di buon vino»
                «Cioè…» Gino cambiò idea e decise di bere anche lui un po’ di vino «Mi stai chiedendo di fare da spia per te…»
                «Beh è un modo un po’ prosaico di porre la questione ma sì, sostanzialmente direi che ci hai preso»
                «Io…»
                «Sappi che non saresti l’unico. L’ultimo uomo dei Tyrell andato in pensione, Lord Grisham, in realtà era dei miei. E anche un altro allo stato attuale lo è, solo che… per qualche ragione sento di non potermi più fidare di lui: non capisco più se racconta le cose dei Tyrell a me o se racconta le mie ai Tyrell e capirai bene che in una posizione delicata come la mia…»
                «Alexis io ti ringrazio per la fiducia, ma mio padre si aspetta da me che…»
                «E se ti dicessi…» a questo punto il tono del Maestro dei Sussurri si fece improvvisamente serio «che tuo padre è al corrente dell’offerta che ti sto facendo?»
                «Cosa? Ma…». A questo punto Gino percepì qualcosa di strano accadere tutto attorno a sé. Braff e Kellan si limitarono a sorridere come se nulla fosse cambiato, ma le luci per un attimo tremolarono e il vento fuori parve alzarsi. Una porta laterale che Gino avrebbe giurato non esserci pochi istanti prima in quella stanza, si aprì. E Gino, per la priva volta da quando si trovava a Roccia del Re, rivide finalmente un volto amico. Era Sir Rollo, l’anziano direttore della biblioteca della magione di Lungotavolo, l’uomo che aveva cresciuto sia lui che suo padre, e che insieme a suo nonno aveva contribuito a rendere Lungotavolo il luogo florido che era tutt’ora. Entusiasta, il giovane esclamò: «Sir Rollo!»
                «Non ti… scomodare, figliolo!», fece quello austero, alzando una mano. Era stranamente poco affabile, rispetto a come Gino aveva imparato a conoscerlo; ma avrà avuto le sue ragioni. Gino decise di contenere l’entusiasmo e rimase seduto. Sir Rollo continuò: «Sono qui per testimoniarti che un accordo è stato sancito tra tuo padre, il signore di Lungotavolo, e Lord Braff. Tu servirai i Tyrell, ma servirai i Tyrell per servire Lord Braff»
                «Ma sir Rollo…» fece Gino, confuso «proprio voi e mio padre mi avete detto di restare fedele ai signori di Altogiardino, qualsiasi cosa fosse accaduta, chiunque mi avesse proposto il contrario… e adesso…»
                «E adesso proprio io ti sciolgo da quel vincolo» concluse sir Rollo «Tuo padre e io abbiamo convenuto che le garanzie che il qui presente stimabile signore ci pone sono migliori rispetto a quelle dei Tyrell e quindi noi non onoreremo quel patto. Onoreremo questo che ci si sta ponendo dinanzi». Gino continuava ad essere confuso: ricordava abbastanza chiaramente che Rollo e suo padre erano stati molto insistenti nello spiegargli che i Tyrell non andavano traditi. Quasi spaventati dal fatto che potesse accadere il contrario! E ora Rollo che appariva come un fantasma… Rollo che non aveva mai varcato il torrente che segna il confine del territorio di Lungotavolo. Che ci faceva a Roccia del Re? Cosa stava combinando? Tuttavia, di una cosa Gino era ancora più certo: Rollo era probabilmente la persona più leale al signore di Lungotavolo che esistesse. Suo padre stesso aveva molta più fiducia in Rollo che in Gino. E Rollo aveva anche compiuto scelte importanti, scelte poco convenienti alla sua persona, pur di proteggere e rafforzare l’affetto che lo univa al suo luogo di nascita: non avrebbe mai tradito Lungotavolo. Quindi, Gino decise di fidarsi, anche se un ulteriore mutamento nell’atteggiamento del vecchio continuò a lasciarlo perplesso. Senza troppe giustificazioni, Rollo disse che aveva altre cose da fare lì a Roccia del Re; addirittura disse di avere fretta, così si congedò subito, senza neanche una carezza al ragazzo che praticamente aveva cresciuto.
                Le luci tornarono a tremolare brevemente, il vento si rialzò ancora, anche se solo per qualche attimo e poi… Gino tornò a concentrare la propria attenzione sullo sfavillante, sincero sorriso di Lord Alexis Braff. «Allora farai ciò che ti chiedo?» chiese dunque il Maestro dei Sussurri «Risponderai a me dell’operato dei Tyrell? Sarai sincero, come non ho dubbi che lo saranno sia tuo padre che sir Rollo?». Braff si alzò in piedi, fece il giro della scrivania e tese a Gino la propria mano. Stringendogliela, Gino disse: «Lo farò». Detto questo, anche Lord Braff disse che aveva una certa fretta e che un affare che riguardava la corona lo premeva assolutamente; praticamente cacciò Gino dal suo ufficio, sbattendo anche la porta. Gino rimase con Kellan, il quale gli spiegò che quel modo di fare di Braff, di essere sempre così affabile e amichevole, era uno dei tanti elementi di cui si componeva la sua tattica per tessere la sua tela di patti, accordi e altro genere di legami più o meno taciti o palesi. Per Kellan, far trovare a Gino sir Rollo quella sera era stata da parte di Braff come il voler fare una specie di piacevole sorpresa al rampollo di Lungotavolo – effetto peraltro abbastanza riuscito, pensò Gino – al fine di sciogliere ancora di più gli imbarazzi e creare, quasi per davvero, una specie di amicizia. Ma quando Gino ricordò a Kellan che lui stesso lo aveva messo in guardia dalla pericolosità di Braff, quello si limitò ad annuire, in un gesto vago che poteva significare sia “beh e in effetti è così” che “meglio lasciar stare: non puoi capire”. Anche Kellan chiuse a Gino una porta: il cancello esterno di quel palazzo pubblico nel quale si trovava l’ufficio di Braff, e Gino tornò all’accampamento dei Tyrell, molto più confuso di quanto già la politica di Roccia del Re non lo avesse reso.
 
 
 
                Bene: anche quel piccolo pensiero di spostare quanto prima una sua nuova pedina sul campo dei Tyrell era stato concretizzato. Lord Braff adesso poteva concentrare tutte le sue attenzioni su quello che da qualche ora ormai era “il problema” per la gran parte degli uomini e delle donne di Roccia del Re, o almeno per quelli che contavano di più: il disequilibrio che si era creato a partire dall’attentato ai danni del re. Braff lo sapeva: quando accadevano regali uscite di scena così sospette, inevitabilmente scattava una lotteria per capire chi si sarebbe seduto sul trono e una corsa per cercare di avvicinarsi il più possibile all’uomo che l’avrebbe fatto. E così anche Braff aveva intenzione di fare: aveva preparato un bel cavallo da battaglia in caso di prematura scomparsa del re, e quel cavallo da battaglia era il principe primo in linea di successione al trono: Axelion.
                Axelion era fondamentalmente buono e, proprio per questa ragione, era fondamentalmente tonto: per il Lord Maestro dei Sussurri sarebbe stato un sovrano ideale, animato da buoni sentimenti e, nel caso in cui bisognasse prendere decisioni intelligenti, dispostissimo a lasciare che qualcun altro lo facesse per lui. Un modo di essere re esattamente uguale a quello del sovrano che l’aveva preceduto: suo padre Lionel Lannister. Sì, Axelion sarebbe stato un re con i fiocchi per Lord Braff, se solo fosse stato realmente re. Il fatto che Lionel non fosse morto, poneva tutto in una situazione di stallo burocratico potenzialmente esplosiva. In teoria, per come la vedeva Braff, che di leggi del Regno ne capiva abbastanza, il Primo Cavaliere avrebbe dovuto occuparsi solo delle questioni di ordinaria amministrazione per poi definitivamente rassegnare le proprie dimissioni e fare in modo che la linea di successione non venisse spezzata. Ma Constant, il Primo Cavaliere del Re, era un uomo abbastanza imprevedibile: conservava vecchi veleni nei confronti del fratello e dell’intera casata reale che sì – a giudizio di Braff – avrebbero potuto tradursi nell’intenzione di tenere la corona tutta per sé. Eppure, era capitato anche che nel corso degli anni avesse dimostrato un qualche sentimento di affetto e di protezione, specie nei confronti di tutti e cinque i suoi nipoti: l’erede al trono Axelion, il futuro Primo Cavaliere e attualmente studioso di arti magiche Daniel, l’impetuoso Marcus (noto ormai ovunque con il termine “Andalo”), lady Hana, altissimo segretario del re in uscita, e infine la piccola Mirietta, sovrana reggente al palazzo di Lannisport.
                Constant rappresentava per il Maestro dei Sussurri un’incognita da risolvere quanto prima. E nel caso in cui avesse fatto i capricci, Axelion avrebbe dovuto pretendere il ruolo di re. Fu per andare a parlare con il giovane, suo vecchio allievo, che Braff lasciò nelle ore inoltrate del vespro il suo ufficio con l’intento di dirigersi al Palazzo Reale.
                Scortato da Kellan e da altri uomini addetti alla sua sicurezza, chiuse il chiavistello dei cancelli del suo palazzo e si voltò. Aveva avvertito la sensazione di non essere da solo, e così era in effetti: Lady Abigail Baratheon, voce da angelo, moglie dell’erede al trono, stava davanti a lui con fare fiero. Anche lei era circondata da guardie che scambiavano occhiatacce in cagnesco con gli uomini di Braff. «Milady Baratheon» fece Braff non riuscendo a celare un certo disgusto «A cosa devo la vostra visita?».
                Abigail Baratheon era una donna tanto bella quanto abietta. Protetta dai Bolton, aveva scalato l’alta società di Roccia del Re col fare famelico di una fiera. Era riuscita a riportare agli onori delle cronache un vecchio cognome aristocratico ormai praticamente estinto, e pareva essere particolarmente affamata di ottenere quanta più gloria possibile per il nome della sua casata. Era riuscita a farsi amare dal re Lionel e dalla regina e a imporsi come consorte di un non poco riluttante Axelion (Braff era il confessore del giovane ai tempi, e sapeva quanto seppur bella, la personalità ipnotica di Abigail mettesse a disagio il futuro re). Non paga, si era anche fatta mettere incinta, in modo da rimettere – dopo migliaia d’anni – sul trono un sovrano con sangue Baratheon. Il figlio non era di Axelion, bensì di lord Bolton: questo era un falso segreto ben noto ai più; solo il Maestro delle Armi e la regale consorte parevano convinti del contrario. Ma ormai Braff aveva inquadrato la Baratheon: era avida e senza scrupoli, e mirava palesemente al trono per suo figlio. Braff lo aveva capito quando, con una certa insistenza, nel corso degli anni la futura probabile regina era venuta ad offrirgli favori in cambio di informazioni su politici, nobili, e soprattutto membri della casa reale. Talvolta Braff aveva ritenuto conveniente dargliele, altre volte no e, in questi casi, le minacce di Lady Abigail erano state assai pesanti. Una volta aveva cercato di attentare alla sua vita, anche se senza alcun successo: Braff aveva saputo dell’attentato circa una settimana prima che si compisse. Ma questo, insieme a tanto altro, faceva in modo che il Maestro dei Sussurri avesse un’idea quantomeno controversa della donna moglie del suo pupillo.
                «Mio buon Lord Braff» rispose Abigail «Ancora in piedi a quest’ora?»
                «Lo sapete: mi state vedendo»
                «Infatti. Straordinari?»
                «In verità, signora, ho delle questioni da sbrigare al Palazzo»
                «Bene. Saremo lieti di scortarvi»
                «Non è affatto necessario»
                «Oh, ma insisto». Facendo strada, la donna si avvicinò al solo Maestro dei Sussurri e con un amabile sussurro all’orecchio tornò a domandargli: «Chi ha attentato alla vita del re?»
                «Io non lo so. Voi?»
                «Io?!» reagì quella, sconcertata. Braff riprese: «Era una domanda: voi lo sapete?»
                «No, naturalmente. Ma io non sono l’uomo con più spie al suo servizio dell’intero continente»
                «Ah, milady» sorrise quello «Voi mi sopravvalutate»
                «Cosa andate a fare al Palazzo?»
                «A parlare con vostro marito in verità»
                «Per dirgli cosa?»
                «Questi non sono affari che vi riguardano»
                «Sapete: anch’io ho bisogno di parlargli»
                «E questi non sono affari che riguardano me»
                «Voi lo volete sul trono: non è così?»
                «Certamente»
                «E così anch’io!»
                «Me ne rallegro»
                «Andate per convincerlo a sfidare Constant?»
                «Mia signora, sono disposto che voi presenziate al nostro colloquio, se mi promettete che fino ad allora la finiate con le vostre domande. Reputate conveniente quest’affare?»
                «Io… sì»
                «Bene!» a questo punto il Maestro dei Sussurri si liberò in uno sfavillante sorriso, dicendo: «Kellan». Kellan sollevò in aria il suo possente braccio sinistro e, quando lo fece, dal nulla, dalle ombre, una serie di piccole frecce piovvero dai tetti della città andandosi a conficcare su tutt’e sei le guardia personali della nobildonna. Naturalmente, Abigail fu colta da un momento di terrore il quale causò un silenzio che fu nuovamente interrotto dal Maestro dei Sussurri: «Vogliamo proseguire, milady? Non preoccupatevi per la vostra sicurezza: la scorteremo noi personalmente». Non avendo altra scelta, la donna annuì, e l’itinerario fu proseguito sia da Abigail, che da Kellan, Braff, gli uomini della scorta di quest’ultimo e gli assassini ombra che lo seguivano costantemente in ogni suo spostamento.
 
 
 
                Nonostante il cospicuo numero di uomini che si spostavano quando si spostava Lord Braff, furono solo in due a bussare alla porta di uno degli appartamenti di Axelion, il principe primo in linea di successione al trono. Axelion aveva un appuntamento per circa quell’ora proprio con Braff, e perciò aprì la porta sapendo già chi avrebbe incontrato. Prima ancora di invitare il Maestro dei Sussurri a entrare, lo abbracciò entusiasta e disse: «Lord Alexis! Che piacere vedervi! Ne sentivo il bisogno dal momento dell’attentato a mio padre»
                «Lo capisco, figliolo»
                «Mi scuso per il mio atteggiamento “ufficiale” per la sera in cui trattenemmo tutti i membri del Concilio nella sala del parlamento, ma… Constant dice…»
                «Mio giovane amico, non preoccuparti: è tutto passato»
                «Mia signora, ci sei anche tu» fece dunque Axelion, lieto anche se leggermente insospettito; chiarì: «Ma non dovevamo vederci da soli, Lord Alexis?»
                «Sì ma la vostra consorte ha gentilmente richiesto di poter presenziare, e io non me la sono sentita di vietare a due cuori innamorati di ritrovarsi, anche se per l’ennesima volta, l’uno accanto all’altro».
                Axelion e Abigail si baciarono. Il giovane si sincerò dello stato di salute del piccolo Napoleon, poi sorprese entrambi i suoi ospiti con l’affermazione: «Ma sarà una cosa veloce Lord Alexis, non è vero?»
                «Che intendete, Axelion?»
                «Voi… avevate detto di avere l’urgenza di scambiare solo qualche parola e…»
                «Infatti è così, ma non capisco perché tanta fretta»
                «Vedete, mia sorella Mirietta… porta importanti notizie da Lannisport»
                «Ah, sì? E di cosa si tratta, se mi è concesso?»
                «Non me l’ha voluto dire. Dice che la notizia è talmente delicata da non poter far altro che comunicarmela personalmente. Ma non stava più nella pelle: lo si capiva dai toni usati nella sua missiva. Aveva detto che sarebbe stata qui in serata, quindi potrebbe arrivare a momenti…».
                A questo punto, Braff e Abigail si scambiarono un’occhiata dubbiosa. Poi, il Maestro dei Sussurri passò al contrattacco: «Bene, mio signore, la materia di cui dovremo trattare è delicata e mi serve tutta la vostra attenzione, ma credo che potrò essere rapido»
                «Sì?»
                «Noi vogliamo mettervi in guardia»
                «Ah» rise Axelion «Da cosa?»
                «Da… Constant. Io so che voi provate un atavico e giustificabilissimo affetto nei confronti di vostro zio, che con voi è sempre stato amabile e giusto. Ma, Axelion, il Trono di Spade è qualcosa di pericoloso. Possederlo può ottundere le menti, e infiacchire il senno. E Constant, nel suo ruolo di Primo Cavaliere, vi si sta avvicinando troppo»
                «Non vogliamo dire» fece Abigail, con la sua voce celeste «di scontrarti con lo zio che tanto ami, ma soltanto di guardarti le spalle»
                «Se lui» la interruppe ancora Lord Alexis «conserverà tale ruolo temporaneamente, ci permetterà di vedere le condizioni di tuo padre, parlerà di volersi fare da parte e nell’arco di poche settimane lo farà, allora adempirà perfettamente ai suoi compiti di Primo Cavaliere»
                «Ma se» disse ora Abigail «accamperà scuse, rinvierà i tempi una, due, tre volte, o, peggio, farà delle velate minacce a te o alla tua famiglia, allora dovrai prendere provvedimenti»
                «Qui non c’è in gioco» ora Braff «Solo il potere. Si tratta della tua vita e, peggio, di quella di tuo figlio»
                «E io non ho intenzione di mettere a rischio la vita del nostro piccolo per una questione di biechi giochi di potere»
                «È una situazione parecchio delicata» affermò Braff «Duhenlar che lascia per sempre questo mondo dopo una cena non diversa da mille altre, e poi l’attentato a tuo padre… Non voglio spaventarti, figliolo, ma sta succedendo qualcosa in questa città»
                «Qualcosa di pericoloso»
                «E oscuro…». Il Maestro dei Sussurri fece appena in tempo a concludere, che fuori da quella stanza, più o meno all’altezza della sala del trono, risuonò forte uno squillo di trombe. Il ciambellano, o un qualche altro addetto al palazzo, urlò: «LADY MIRIETTA DI CASA LANNISTER, SOVRANA REGGENTE DI LANNISPORT!».
                «Amico mio» disse Axelion con sincerità all’uomo che era anche stato suo insegnante di diritto e storia «Vi ringrazio della vostra preoccupazione e prenderò seriamente in considerazione ciò che mi dite. Mi spiegherete meglio più tardi ma… ora devo andare». E ciò detto il principe si diresse verso la sala del trono. Braff ed Abigail lo seguirono.
 
 
 
                La sala del Trono di Spade. Simbolo del Regno Unificato. Da sempre la minuta, ma tosta, Lady Mirietta la considerava come la più noiosa del castello. Era quella per la quale i suoi antenati si erano uccisi tra loro e con altri uomini. Era quella per cui suo padre spesso aveva troppi pensieri, e troppo spesso non poteva giocare con lei e i suoi fratelli. Era il luogo nel quale più spesso, se veniva beccata a correre o saltare, veniva rimproverata. La Sala del Trono era come qualcosa di esterno al castello, come se il castello stesso vi fosse stato scolpito attorno. Come se fosse sempre esistita, come se sarebbe esistita per sempre.
                Mirietta riabbracciò suo fratello dopo circa un anno. Salutò sua moglie Lady Abigail e quel vecchio marpione del Maestro dei Sussurri, il saggio e potente Lord Braff. Domandò ad Axelion di suo figlio, e di Daniel e di Marcus e di Hana. Infine, gli presentò la donna e l’uomo che erano arrivati insieme a lei. La prima, capelli a caschetto, fisico dinamico, aria furba e vissuta, vestita come una piratessa. Il secondo, invece, vestito come un monaco, molto magro, pelato, con un falco poggiato sulla spalla. Erano Xenya l’esploratrice e il suo secondo, il signor Jorando Pashamanyna.
                «È un piacere conoscere questi signori» disse Axelion «ma chi sono?»
                «Ricordi, caro fratello…» fece Mirietta tutta allegra «quando provai a convincerti di finanziare un’operazione di ricerca, nelle acque a ovest di Lannisport e delle Isole di Ferro? Che provai a farti sborsare del denaro per un’intera flotta? Che ti dissi che l’arma più potente che è a nostra disposizione è la conoscenza?»
                «Sì, allora?» rise Axelion «Ricordo che non ti diedi un centesimo»
                «Riuscii a racimolare qualcosa per conto mio, dalle casse di Lannisport. E insieme a me si aggiunsero anche i Panecha, del continente orientale. Niente di importante, un fallimento rispetto a quello che avevo progettato eppure: ecco che l’unica nave che è partita dal nostro porto, ha oggi fatto ritorno…»
                «Ritorno…» fece Lord Braff «dall’ovest?»
                «Sì, mio signore!» esclamò la piccola Mirietta, tutta allegra. Axelion, invece chiese, «E che cosa hanno trovato i nostri avventurosi viaggiatori?»
                «La morte» rispose Xenya «Per otto di noi. Uno lungo il viaggio di andata, due lungo quello di ritorno. E cinque… cinque sono morti sulla terraferma»
                «Terraferma?» chiese Lady Abigail, scettica «Non ci sono terre oltre l’oceano occidentale. Non oltre le Isole di Ferro»
                «Ci sono» insistette Xenya, serissima «Noi le abbiamo viste. E non si trattava di isole, o arcipelaghi. Si trattava di un bel lembo di terra, di cui non si scorgeva la fine. Il signor Pashamanyna, qui, è un esperto navigatore. Mi ha giurato, e potrà giurare anche a voi che quello su cui abbiamo messo piede non era niente di diverso da… un continente»
                «Un continente?!» domandarono in coro Axelion, Braff e Abigail. «Esatto, signori, un continente. Nuovo, inesplorato» mentre Xenya continuava con il suo monologo, degli uomini di Mirietta portavano agli occhi del principe e degli altri nobili astanti due casse contenenti della frutta e degli ortaggi mai visti prima d’ora, «…e pericoloso. Capirete, come me, che questo rivoluziona gran parte della nostra concezione geografica: c’è da cambiare le carte, signori miei. Quello che noi fino ad oggi conoscevamo come il nostro Occidente, diviene adesso… un continente in posizione centrale»
                «Ferma un attimo!» s’immischiò Braff «Avete delle altre prove, signora, per dir questo… oltre a delle frutta esotica e alle convinzioni di un, sebbene esperto, solo navigatore?»
                «Gli altri uomini della mia squadra sono la prova: Jenkins, Gordon, Meyer, Stein e Gordimer i loro nomi. Morti tutti per causa di quello che abbiamo trovato su quel territorio»
                «E che cosa avete trovato?» chiese Axelion, ormai completamente perso nel discorso e convinto della verità delle parole dell’esploratrice. Xenya rispose: «Diavoli colorati, travestiti da uomini. Ci hanno attaccato, rapiti e… qualcuno di noi è stato ucciso. Mio signore…» Xenya s’inginocchiò «Dopo tale servizio fornito all’intera comunità di cui voi siete uno dei governanti, io ora vi chiedo un immenso favore»
                «Parlate!» concesse Axelion, quasi commosso. E Xenya: «Permettetemi di fare ritorno su quei luoghi, con una nuova scorta di uomini, più numerosa stavolta, e armati di tutto punto. Chi prima arriverà sul nuovo continente, sarà re del nuovo mondo».
   
 
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