Memories of a Stolen Childhood
Capitolo 24: Death
“Matiuska… Vorrei che prendessi questa, prima di andare.”
“Che cos’è? Oh, una tua foto! Grazie, Mihael! Non ne ho mai avute di foto tue!”
“Me l’hanno fatta all’orfanotrofio, ero andata a recuperarla qualche tempo fa, e ho pensato che forse sarebbe stato piacevole per te tenerla.”
“Grazie, amore! La terrò sempre con me! Ti voglio tanto bene! Dammi un bacio e abbracciami!”
“Anche io te ne voglio… Ci rivedremo presto, non temere… Ciao, mamma…”
“Ciao, Mihael! A tra due giorni!”
Erano passati, i due
giorni. Natassia aveva aspettato trepidante
nell’appartamentino affittato per conto suo da quando si trovava lì a Los
Angeles. Cercava di stare calma, ma ogni minuto pareva durare un’ora, e non
riusciva a star ferma… Avrebbe potuto finalmente avere la vita che sempre aveva
sperato, vivere vicino al suo Mihael, felice, senza
alcuna preoccupazione, serena.
Non passava momento in
cui non si rigirasse tra le mani quella fotografia che le aveva regalato prima
che lei uscisse dall’appartamento che lui divideva con Matt. Era perfino
emozionata di averla ricevuta: non aveva mai posseduto una macchina fotografica
visto le poche disponibilità economiche, quindi non aveva mai fatto delle foto
al figlio, nonostante avesse voluto. Spesso si era rattristata per questo,
negli anni in cui era lontano da lei, perché così non poteva avere nemmeno
un’immagine del suo viso, niente di niente… Ora invece poteva ammirare quel
sorriso di lui da bambino, circa dieci o undici anni, senza cicatrice… Era
sempre tanto bello…
E in quel pomeriggio
di trepidazione, proprio non era riuscita a stare tranquilla. Era uscita di
casa a fare due passi, il cuore pieno di piccole
speranze di una vita normale. Finalmente, una vita normale.
Voleva scaricare un
po’ di quell’adrenalina che le vorticava nelle vene, giusto appena prima di
rivedere suo figlio. Oltretutto, di certo non le avrebbe fatto male. Le
passeggiate svuotano la mente, e aiutano a passare il tempo.
Camminava, così,
camminava sul marciapiede stretta nel suo cappotto, osservando gli edifici
grigi e rossi, le vetrine dei negozi strabordanti di
mercanzia, le insegne colorate che luccicavano, i cartelli con scritto “sales” appiccicati ad
ogni entrata. Già, era periodo di saldi.
Le venne in mente che
forse avrebbe potuto comprare un regalo per Mihael.
In fondo, non gliene aveva fatti quando l’aveva ritrovato, presa alla
sprovvista, mentre lui invece le aveva donato quella foto… Anche se non sapeva
assolutamente quali fossero i suoi gusti. Un libro? E se per caso l’aveva già
letto? Dei vestiti?Sì, ma dove avrebbe potuto trovare degli abiti simili a
quelli che gli aveva visto indossare, tanto diversi da quelli che lei gli
comprava da bambino? Quelle cose tutte nere e succinte non le piacevano nemmeno
molto, anche se non aveva mai espresso nessun commento al riguardo, per non
dare origine a polemiche inutili.
Fu proprio mentre
immaginava che cosa avrebbe potuto comprare, che passò davanti ad un chiosco di
giornali. Non ci avrebbe fatto nemmeno molto caso se i suoi occhi non fossero
cascati accidentalmente sulla copertina di un quotidiano.
Forse fu il titolo
scritto a caratteri cubitali enormi. Forse fu solo un’insensibile sesto senso. La scritta “Ritrovati i corpi caronizzati di Kyiomi Takada e del suo rapitore. Era Mello, famoso ricercato.” la paralizzarono lì davanti, incredula.
No, non era possibile.
Mello era Mihael, e Natassia lo sapeva bene purtroppo. Se era stato ritrovato
il suo cadavere, ciò voleva dire che… No. Semplicemente, era impossibile. Mihael non poteva essere morto… Si rifiutava di crederci.
Sbatté le palpebre un
paio di volte, e le sue mani afferrarono i giornale
per leggere il trafiletto, scorrendo febbrilmente le pupille tra le righe. Sono
frasi a caso, tutte ugualmente dolorose, tutte a conferma dell’incubo in cui sta
incappando: “Mello, ricercato per omicidio,
associazione mafiosa, terrorismo, traffico di armi, di stupefacenti,
sfruttamento della prostituzione…”oppure
“Vera identità del rapitore non rivelata dalle autorità competenti, il
cadavere ritrovato insieme a quello della nota portavoce di Kira
nell’edificio in fiamme…” o ancora “Complice
ucciso durante la fuga.”.
Mihael era morto sfidando Kira.
Era quello allora, il conto che doveva regolare.
Natassia lasciò cadere a terra il giornale, che
emise un piccolo tonfo, di fronte all’espressione stupefatta del giornalaio.
Era sbiancata di colpo, gli occhi stralunati. Il labbro inferiore le tremava.
“Signora… Si sente
bene?” chiese educatamente l’uomo.
“Sì…” mentì
balbettando nonostante il suo stato d’animo in subbuglio fosse estremamente
visibile “Non si preoccupi…”
I suoi passi furono
lenti e ciondolanti. Le sue stesse gambe, che parevano tutto ad un tratto fatte di piombo, la trascinarono stancamente,
quasi arrancando, fino alla più vicina panchina. Vi si sedette con apatia,
nonostante fosse gelata. Il suo cervello era concentrato su tutt’altro, il
freddo non lo sentiva.
Mihael… Il suo dolce angioletto… Non l’avrebbe
rivisto mai più. E nemmeno gli aveva detto addio, solo
un normale saluto, che ora sapeva di amaro. Era morto Mihael,
aveva smesso di vivere, ucciso dalle fiamme secondo l’articolo… Un trapasso
terribile, uno dei modi peggiori per morire, uno tra i più dolorosi. Doveva
aver sentito
Che cosa aveva senso
ora? Di che cosa avrebbe dovuto preoccuparsi, senza il
suo Mihael e senza Matt (Perché il complice citato
rimasto ucciso nell’inseguimento doveva essere lui per forza.)? Che cosa ne
avrebbe fatto della sua vita, senza più alcuno scopo? Faceva troppo male
pensarci.
Le risalirono alla
mente come tante piccole bollicine in un liquido molte immagini, ricordi più o
meno felici dell’infanzia del figlio. L’aveva visto nascere, crescere,
piangere, ridere, l’aveva consolato, incoraggiato, a volte sgridato, coccolato,
ed ora lui non esisteva più. Era solo un cadavere irriconoscibile che non
avrebbe avuto una tomba, e che non avrebbe potuto reclamare.
La disperazione per la
perdita di Mihael la travolse come un fiume
gorgogliante dopo aver rotto una diga, unita ad una serie interminabile di
ricordi passati…
Il 13 dicembre 1989 nevicava nei dintorni di Baranavichy. Faceva un freddo pungente, il cielo era una massa indistinta di grigie nuvole basse.
Natassia passeggiava avanti e indietro nella sua casetta fredda poco distante dalla città, avvolta in un maglione per proteggersi dal gelo che entrava dagli spifferi, agitata, sotto lo sguardo mediamente apprensivo delle amiche che aveva chiamato subito dopo i dolori di quella stessa mattina. Non voleva certo star sola ed essere costretta ad arrangiarsi quando sarebbe giunto il momento tanto atteso. Alcune di loro, poi, avevano avuto delle esperienze in passato, e sicuramente avrebbero potuto aiutarla, in assenza del medico, nonostante praticamente nessuna approvasse la sua scelta. Partorire a casa in quelle condizioni era sempre un rischio, lo sapeva bene. Aveva sentito dire che se c’erano complicazioni avrebbe potuto finire male per lei e per il nascituro, ed era spaventata all’idea. Avevano tentato di convincerla a interrompere la gravidanza anche utilizzando quest’argomento, ma lei era stata irremovibile. No, lo avrebbe avuto, non c’erano discussioni.
Era però in ansia, e cercava di alleviare la tensione passeggiando. Di tanto in tanto si fermava, si guardava in qualche specchio vecchio il viso smunto e poi la pancia, accarezzandosela con delicatezza. Era tonda e sporgente, come se avesse appena ingoiato un cocomero intero. C’era il suo bambino lì dentro…
Essendo di corporatura estremamente esile, quel ventre rigonfio e pesante le gravava parecchio, costringendola a camminare in modo goffo, piegata leggermente all’indietro per fare da contrappeso. Ma tutto questo sarebbe finito presto, se lo sentiva. Stava per dare alla luce il suo piccolo, nonostante tutte le difficoltà che la colpivano: sola, povera, rimasta incinta per sbaglio, appena diciotto anni compiuti… Ma non le importava. Quel bambino in sé era qualcosa di straordinario che doveva per forza accettare. Gliel’aveva donato Dio, e non si pentiva di aver scelto di tenerlo. Se l’Onnipotente stesso aveva deciso così di metterla alla prova, lei avrebbe dimostrato il suo valore, il suo coraggio e il suo spirito di sacrificio.
Tutto ad un tratto, senza alcun preavviso, arrivò la prima violenta e dolorosa contrazione, e da lì tutto iniziò a procedere molto velocemente, che quasi non se ne accorse. Faceva male, quello lo sentiva, e la sofferenza fisica occupò tutto lo spazio disponibile nella sua mente. Le era impossibile non pensare ad altro, a mala pena avvertiva quello che le stava succedendo attorno.
Si rese conto distrattamente di quando le compagne rimaste calme l’appoggiarono nel suo letto malandato sorretta dai cuscini, mentre quelle più turbate correvano di qua e di là eccitate con coperte, stracci e bacinelle d’acqua, strillando. Non comprese tutto quello che le veniva detto, con quel fardello vivo che premeva e scalciava insistentemente nel suo grembo senza tregua, udì principalmente che le gridavano perlopiù di spingere. E lei spinse, spinse con tutte le sue forze, fino a rimanere sfibrata, a non farcela più.
Era passato un tempo indefinito, probabilmente circa un’ora, ed era esausta, il suo corpo troppo gracile era allo stremo. Ma non poteva mollare, doveva resistere, per sé stessa e per la sua creatura. Se non ce l’avesse fatta, l’avrebbe costretto a morire mettendo in pericolo anche la propria vita. Doveva tenere duro, e le sue fatiche sarebbero state ripagate!
“Non gettare la spugna, natassiuska! Spingi!”
“Spingi che è quasi fuori! Già la testa si vede!”
“Devi resistere! Un ultimo sforzo, Natassia! Concentrati e spingi!”
Natassia sentì che finalmente ce l’aveva fatta, quando avvertì un corpicino viscido sgusciarle tra le cosce, mettendo fine al dolore, il suono tanto atteso di vagiti affannati. Tutte le ragazze la accerchiarono sorridendo e gridando di gioia, mentre lei riprendeva le forze ansimando, in un bagno di sudore, nonostante tutto felice e appagata dall’impresa compiuta. Ci era riuscita, l’aveva partorito, il suo bambino…
Non arrivò tuttavia subito a muoversi, completamente esausta. Restò sdraiata con le palpebre semichiuse provando a riportare il suo respiro ad un livello normale, senza guardare cosa stesse succedendo davanti a lei. Voleva astrarre per un attimo la mente, racimolare i suoi pensieri, intanto che le altre si prendevano cura del neonato, tagliandogli il cordone ombelicale, lavandolo, pulendo i resti del parto e togliendo da sotto di lei le coperte intrise di sangue e altri liquidi. Il suo cervello, si concentrò al fine di accettare l’idea che ormai era diventata madre, e che avrebbe visto tutto in modo diverso da quel momento. Le pareva ancora troppo strano, doveva abituarsi al fardello di responsabilità che sentiva di avere.
Passarono ancora diversi minuti in cui passò il tempo a svuotare il suo cervello, prima di sentirsi psicologicamente pronta ad accogliere le novità.
Sentire quel pianto infantile le faceva provare anche un’emozione particolare, che mai aveva provato prima: era un male interiore, ma non vera e propria sofferenza. Piuttosto, era una spinta, un impulso a fare qualcosa per lui, a prenderlo con sé. Desiderava fermare quelle urla strazianti per il suo cuore di madre, l’avrebbe fatto ad ogni costo.Fece ordine nel
“Per favore…” mormorò “Datemelo, sta piangendo…”
“Un momento, Natassiuska, adesso te lo diamo.”
La giovane aspettò allora tendendo le braccia tremanti, finché un piccolo involto di coperte non le venne offerto. Finalmente. Finalmente teneva la sua creatura tra le braccia. Natassia si sentì pervadere da calore e affetto per quell’affarino che probabilmente faceva a mala pena tre chili. Era suo, era suo figlio, piccolo e fragile…. E aveva un bisogno disperato di lei.
Era a prima volta che si rendeva conto di essere importante, anzi, addirittura vitale per qualcuno. Senza di lei, non avrebbe potuto sopravvivere in alcun modo…
Lo scoprì per vederlo in viso dopo tanta estenuante attesa. Era un volto contratto nello sforzo del pianto, tutto rosso. Le faceva sempre più pena a vedere quel neonato innocente così amareggiato emettere quegli strilli angoscianti, tanto che istintivamente si alzò il maglione che aveva continuato a indossare anche durante il parto per proteggersi dal freddo scoprendo un seno, apprestandosi ad allattarlo, sostenendogli con l’altra mano la testa delicatissima coperta da radi capelli talmente chiari da sembrare bianchi, una testa che, immaginò, avrebbe potuto fracassarsi alla minima stretta un po’ più forte. Il piccolo, affamato, si attaccò subito al capezzolo tirando con forza, il pianto pian piano trasformato in singhiozzo.
La madre lo accarezzava sorridendo, praticamente in lacrime a sua volta, tanto era felice di tenere quel neonato tra le braccia.
“A quanto pare è un maschio.” La informò di colpo una delle compagne interrompendo il silenzio che si era creato in una specie di aura sacra “Allora… Vuoi tenerlo? Sei davvero sicura?”
“Sì.” Rispose Natassia debolmente, ma con tutta la fermezza di cui era capace “E’ mio, Dio l’ha dato a me, è stato come un miracolo… Lui è come… Come un Angelo… Il mio Mihael…”
E così decise il suo nome. Mihael, come l’Arcangelo che combatteva Satana.
Certo, a quel tempo Natassia non avrebbe mai potuto immaginare il destino che avrebbe segnato quel bambino, alla sua nascita così indifeso, quando sarebbe diventato in futuro un martire della crociata contro Kira, il falso dio che pretendeva di portare la sua giustizia oscurando quella del Signore. No, questo Natassia non avrebbe mai potuto prevederlo.
Non avrebbe nemmeno potuto aspettarsi tutte le lacrime che avrebbe disperso, il suo cuore fatto a pezzi, letteralmente stritolato e martoriato dal dolore crudele dato dalla morte di una creatura a cui lei stessa aveva instillato la vita. No, nessuna angoscia sarebbe mai stata tanto atroce, nonostante avrebbe tentato di credere con tutta sé stessa, che sarebbe stato Dio a volerlo richiamare a sé, tra le sue schiere.
Perché Mihael era un Angelo, e il posto degli Angeli era il
Paradiso.
Il prossimo sarà
l’epilogo, il finale definitivo di questa lunga e sudata storia, dopo questo
capitolo luttuoso, che sinceramente non mi fa venire alcuna voglia di ridere.
Mi scuso per
l’imperdonabile ritardo, ma purtroppo ho dei problemi con l’internet. Spero che
mi capiate…
Vorrei, prima dei
ringraziamenti, mettere in chiaro un punto che potrebbe apparire oscuro: Natassia non sa che Mello in
realtà è morto per attacco cardiaco, quindi per lei è stato naturale pensare
alla sua morte tra le fiamme. Ovviamente, se qualcuno desidera delle delucidazioni
su qualcosa, può scrivermelo nelle recensioni o contattarmi via msn!
Ringrazio velocemente
questa volta: Sydelle, KLMN, Elly_Mello,
reidina, TheCrazyHatter, patri_lawliet, L i a r, aiko neko black. La prossima e ultima
volta farò delle belle risposte ad ognuno, promesso!
Come sempre vostra,
Lolly<3