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Autore: demrees    22/09/2015    1 recensioni
Durante quella retata gli agenti Carter e Harris hanno rischiato di fare una brutta fine... la stessa che era toccata ai loro colleghi.
Entrambi avevano riconsegnato i loro distintivi: Jackson Harris a causa delle lesioni subite, Savannah a causa di ciò che era successo dopo.
I due colleghi decisero di rimanere insieme e aprire un negozio di apparecchiature informatiche. Un lavoro più sicuro rispetto a quello che avevano abbandonato.
A due anni dall'incidente, Harris chiede a Savannah un favore: scoprire cosa sta succedendo nell'azienda vinicola di suo cognato.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo uno

SETTEMBRE 2011
Faceva già troppo freddo per essere una notte di metà settembre. La zona era tranquilla, regnava un silenzio assoluto, gli unici suoni che si sentivano erano il canto dei grilli e il rumore del vento tra gli alberi.
Qualcosa non andava, era tutto troppo tranquillo, eravamo troppo isolati, a chilometri da Londra, in aperta campagna e nessuno sapeva dove eravamo. Sarebbe finita male e avevo solo due scelte: fare la brava, ignorando le mie sensazione e seguire gli ordini, oppure andare dal comandante e dirgli cosa pensavo.
«Signore è una pessima idea … è troppo pericoloso» l’uomo si voltò con un sorriso di scherno sul volto
«Non ci posso credere l’agente speciale Carter ha paura» i capelli brizzolati gli cadevano ribelli sulla frante
«Ho un brutto presentimento. Non sappiamo neanche quante persone ci siano all’interno» si stava alterando
«Ma che ti prende?! Sembri una femminuccia piagnucolosa»
«Signore so che questa potrebbe essere una buona occasione per chiudere la faccenda ma … mi dia retta, nessuno sa dove siamo. È meglio segnalare la nostra posizione e aspettare …» l’uomo mi afferrò per un braccio strattonandomi, mi guardo dritto negli occhio. Era furioso, mi avrebbe sicuramente fatto rapporto per aver messo in discussioni i suoi ordini
«Senti ragazzina faccio questo lavoro da più di trent’anni, so come muovermi e per tua informazione l’agente Ruiz ha già segnalato la nostra posizione» la presa sul braccio si allentò e i suoi occhi tornarono normali, probabilmente si era accorto che aveva esagerato «Hai del potenziale bambolina, nonostante la tua età e il tuo sesso sei uno dei migliori agenti con cui ho lavorato, ma se mi creai altri problemi te la farò pagare» l’uomo mi lasciò andare, portando le braccia lungo i fianchi
«Non mi fido dell’agente Ruiz è …»
«Lavoro con lui da più di dieci anni. Mi fido molto più di lui che di te» l’agente Ruiz si avvicino proprio in quel momento richiamando l’attenzione del comandante Tartt; mentre l’agente Gier e Harris si avvicinarono a me
«Sav che hai?» il ragazzo aveva quattro anni più di me, aveva concluso il corso due anni prima di me, mi era stato assegnato come istruttore negli esercizi di autodifesa. Era venuto verso di me con aria sicura e un sorriso affabile, mi aveva detto che si sarebbe andato piano visto che ero una donna. Meno di due minuti dopo aveva lo avevo immobilizzato contro il materassino   
«Ho un brutto presentimento, è come se fosse tutto preparato» Gier si sistemò il giubbino antiproiettile
«Dipende dal fatto che siamo troppo isolati, vedrai che andrà tutto bene»
«Savannah ha ragione, Tartt non ha valutato bene la situazione» Harris, aveva le braccia conserte e lo sguardo preoccupato. Aveva cinquant’anni, la stessa età del comandante, solitamente era un uomo pacato, si troppo razionale, poco impulsivo, queste qualità lo avevano aiutato a diventare uno dei migliori agenti infiltrati, era stato lui a guidarmi durante i corsi di addestramento e se anche lui era convinto che qualcosa non quadrava eravamo veramente nelle merda.  
Tartt e Ruiz si avvicinarono 
«Arriveremo al casolare in quindici minuti. Una volta sul posto ci metteremo in posizione. Non sappiamo quante persone ci siano all’interno, il nostro unico vantaggio è che non ci aspettano ... Muoviamoci»
Ci incamminammo cercando di fare meno rumore possibile. A ogni passo il mio disagio cresceva, stava per succedere qualcosa. 

La testa mi stava per esplodere, sentivo delle voci in lontananza. Aprii gli occhi lentamente, avevo la vista sfuocata e un sapore metallico in bocca. Ero seduta su una sedia e avevo le caviglie  legate insieme. Sollevai lo sguardo, avevo i polsi legati separatamente da una corda al di sopra della mia testa a qualcosa una sbarra. Ero stata disarmata, non avevo più ne il giubbino antiproiettile ne il maglione. Cautamente iniziai a guardami intorno, finché non li vidi. Il comandante Tartt e l’agente Gir buttati in un angolo … morti.
Un ragazzo entrò nella stanza, aveva un felpone rosso e un berretto con la visiera, sta trascinano l’agente Harris, lo fece sedere su una sedia proprio davanti a me, e iniziò a legargli le braccia dietro la schiena. Poi sentii la sua voce 
«Shane … seppellisci quei due e togliti dai coglioni»
L’agente Ruiz si accucciò davanti a me. Mentre il ragazzo legò Harris e si avvicino ai due cadaveri
«Buongiorno bella addormentata. È una bella serata non trovi?» mi passò un dito sulle gambe. Le sollevai velocemente, dandogli un colpo sul ginocchio; l’uomo perse l’equilibrio e cascò con il sedere a terra.
Il ragazzo rimase immobile, guardandomi in modo strano, sembrava sorpreso. Poi si chino verso uno dei due cadaveri, lo sollevò e lo mise dentro una specie di carriola
Ruiz, si rialzò e si rimise in piedi, iniziando a girare introno alla mia sedia «Savannah sei una ragazza molto particolare sai? Sei legata, impossibilitata a difenderti e nonostante questo continui a non arrendenti, non riesco a capirne il motivo»
«Il peggio che puoi farmi e uccidermi» non era il peggio e lo sapevo bene, ma più tempo restavo in vita, più possibilità avevo di capire come liberarmi.
L’uomo si fermò dietro di me e si avvicinò all’orecchio    
«Non ti ucciderò subito,  sarà una cosa lenta e dolorosa. Voglio che prima tu ti sottometta a me » mi accarezzò un braccio «Ci sono tante cose che si possono fare con una donna» due omoni uomini entrarono nella stanza, uno si diresse verso un tavolo mentre l’altro tirò una tenda che mi avrebbe impedito di vedere cosa sarebbe accaduto al mio collega.
«Non preoccuparti piccola, i miei uomini si occuperanno del tuo amico … mentre tu sarai solo mia»
Sentii qualcosa muoversi sopra di me; la sbarra a cui ero legata iniziò a sollevarsi, trascinandomi con se e facendomi assumere la posizione eretta; la sedia venne spostata, lo senti afferrarmi la maglietta, poi inizio a tagliarla 
«Hai una bella schiena … quasi quasi mi spiace rovinarla »

Non sapevo quanto tempo era passato. Avevo perso la cognizione del tempo, mi avevano dato sei pasti, Ruiz aveva giocato con me quattro volte; dopo che aveva finito entrava una donna a medicarmi la schiena. La tenda che avevo davanti era sempre tirata, non potevo vedere Harris ma lo sentivo: le urla di dolore, mentre li supplicava di ucciderlo, sentivo il pianto rassegnato di un uomo che sa che non tornerà più a casa.  Ed io non avevo ancora idea di come liberarmi.
«Non resisterai ancora per molto Savannah»
Continuai a guardare Ruiz dritto negli occhi, cercando di rimanere con la schiena il più possibile staccata dalla spalliera della sedia. Avevo perso ogni sensibilità alle braccia, ma vedevo come il sangue mi colava lungo gli avambracci. Aveva ragione non avrei resistito per molto.
«Shane prendi quelle borse e raggiungimi in macchina» Ruiz uscì dalla porta. Seguii il ragazzo con lo sguardo, aveva la stessa felpa nera e lo stesso berretto con la visiera, solo che questa volta anche il cappuccio era calato sulla sua testa. Mi passo davanti e si diresse verso il fondo della stanza, si chinò e afferrò due borsoni. Mi passò nuovamente davanti, ma invece di tirare dritto mi si avvicinò, lasciò cadere a terra una borsa e mi fece una carezza, poi si chinò verso il mio orecchio
«La sbarra a cui sei legata è agganciata alla catena da un anello semi aperto, se Sali sulla sedia riuscirai a liberarti. Le auto con cui siete arrivati sono parcheggiate sul retro. Rimarrai qui da solo per un paio d’ore, appena ci senti andar via liberati e vattene» riafferrò  la borsa che aveva
«Non perdere tempo con il tuo collega, è praticamente morto» il ragazzo uscì dalla stanza.
Restai in attesa di sentire il rumore dell’auto che prativa. Aspettai qualche minuto e appena tornò il silenzio mi tirai sù facendo pressione con le braccia e le gambe. Mi attaccai alla sbarra con le mani e sollevai le gambe per salire sulla sedia. Una fitta atroce mi fece quasi perdere l’equilibrio. Una volta sù sganciai la sbarra dalla catena; ero troppo debole e persi l’equilibrio, cadendo in avanti, feci appena in tempo ad evitare di sbattere la faccia sul pavimento. Rotolai di fianco, poggiando le mani a terra per rimettermi in piedi. Un dolore lancinante alla schiena, mi tolse il respiro per qualche secondo. Attesi che passasse, poi mi avvicinai alla tenda saltellando e la tirai via. Harris era lì, ancora seduto con le mani legate dietro la schiena. Era coperto di sangue e aveva la testa riversa sul petto. Mi voltai in cerca di qualcosa per liberarmi, vidi un tavolo e saltellai verso di lui cercando di non cadere.
Appena gli fui davanti notai una serie di coltelli coperti di sangue; li avevano usati su Harris. Presi un pugnale, e con molta attenzione iniziai a tagliare le corde che mi tenevano i polsi legati alla sbarra, poi liberai i piedi. Avevo i polsi scavanti dalla corda e la schiena mi stava uccidendo.
Mi avvicinai di nuovo ad Harris, gli liberai le mani e i piedi. Poi gli alzai leggermente il viso, gli misi due dita sulla vena del collo cercando di trovare il battito.      
«Basta …» l’uomo iniziò a singhiozzare
«Sono io. Ora ti porto via, riesci a camminare?»
«Vattene … vai via … perderai solo tempo»
Mi guardai intorno, in cerca di qualcosa per portarlo fuori da quella stanza. Uscii dalla stanza e mi trovai in un cortile vuoto, a circa 8 o 10 metri da me c’era un cancello in ferro aperto.
Aveva detto le auto erano state lasciate sul retro, quindi inizia a camminare accostandomi il muro, un po’ a causa del dolore, un po’ per paura che ci fosse qualcuno in attesa.
Arrivai sul retro. Le due auto con cui eravamo arrivati erano parcheggiate l’una accanto all’altra. Mi avvicinai cautamente, aprii lo sportello posteriore dell’auto n 1 e tastai al di sotto il cuscino. Chiusi lo sportello, mi avvicinai alla seconda auto e feci lo stesso. Afferrai il manico di uno piccolo Sai, lo presi e me lo infilai negli stivali. Richiusi lo sportello e aprii quello dalla parte del guidatore, notai che ne quadrante c’erano ancora le chiavi, così salii in macchina, tenendo la schiena ben staccata dal sedile e dopo averla fatta partire, feci il giro del casolare e la portai davanti alla porta da cui ero uscita poco prima.
Scesi e aprii lo sportello posteriore, poi entrai nuovamente nella stanza. Harris mi guardò spaesato
«Dobbiamo muoverci Harris»
«Ti avevo detto di …»
«Dobbiamo sbrigarci. Ti aiuto ad alzarti»
 
Luglio 2014
Entrai in ufficio con due caffè fumanti in mano. Mi diressi verso la mia scrivania e accesi la segreteria
«Signorina Carter sono Glenn Hamilton, della “Hamilton e Harper”   vorrei confermare l’appuntamento per domani a pranzo. Le invierò un messaggio con la via del ristorante.»
«Buongiorno Sav»
«Buongiorno Harris» l’uomo era appena entrato in ufficio e si stava togliendo il cappotto, mi avvicinai a lui porgendogli uno dei caffè
«Come va oggi?»
«Mi fa molto male la gamba. Tu invece come ti senti? Sei riuscita a dormire?» l’uomo si avvicino alla sua scrivania, zoppicando e aiutandosi con un bastone
Erano passati tre anni, ma le nostre vite erano state distrutte. Ruiz e i suoi complici furono arrestati, Harris era entrato in pensione, mentre io a causa di alcuni spiacevoli avvenimenti avevo mollato riconsegnato il distintivo.   
«Non molto …»
«Vedrai che passeranno. Allora hai parlato con mio cognato»
«Il signor Hamilton ha confermato un appuntamento per domani»
   
 
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