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Autore: Marra Superwholocked    23/09/2015    1 recensioni
Una misteriosa ragazza di nome Annabeth è l'unica che può fermare l'Oscurità.
Ma Crowley ha nascosto ai Winchester un segreto a dir poco imbarazzante... Cosa c'entra la dolce e potente Annabeth con il diabolico e sadico Re dell'Inferno?
Genere: Avventura, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Castiel, Crowley, Dean Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Annabeth, la saga'
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Capitolo 4

The man in white

 

Alcuni piccioni stavano volando in circolo sopra la testa pensierosa di Annabeth. La ragazza aveva attraversato circa due città, indagando su di un certo Crowley, senza conquistare il benché minimo indizio su dove quel demone si trovasse. Erano passati ben duecentonovantadue anni ed era abbastanza inutile cercarlo col suo vero nome: Fergus era ormai un mucchio d'ossa. Inoltre, se avesse usato anche un solo piccolo incantesimo o una millesima parte dei suoi straordinari poteri, i demoni – o peggio – l'avrebbero trovata.
Annabeth entrò in una tavola calda dall'insegna vecchia e malridotta. Perfetta per passare inosservati. Si sedette ad un tavolo in fondo alla sala e attese il caffé dopo averlo ordinato. Era caldo, ma non abbasta; tuttavia, resistette dal porre le mani attorno alla tazza per riscaldarla e si accontentò.
La cameriera e i clienti non davano segni demoniaci di alcun tipo. La loro faccia era a posto, era umana, le loro auree idem. Ma vi era comunque qualcosa, nell'aria, che non la convinceva.
Annabeth buttò qualche moneta vicino alla tazza del caffè e uscì dalla tavola calda come qualcuno che si è appena ricordato di aver lasciato il gas di casa aperto. In un lampo era fuori da quella bettola e scorreva veloce tra le strade del paesino di cui non ricordava nemmeno il nome. Che strano, pensò la ragazza: come ci sono finita fin qui?
Annabeth ripensò alle ultime tappe: due cittadelle e mezza, l'ultima sosta in quella tavola calda da brividi... Ma prima? Erano passate settimane da quando era scappata dal suo rifugio, impossibile che avesse macinato così pochi chilometri, sebbene fosse a piedi. E all'improvviso, come un funghetto dopo una giornata di pioggia, spuntò fuori un ometto dall'aria timida e solitaria. Sostava a poche decine di metri da lei e la guardava quieto. Fu in quel momento che Annabeth si rese conto che nei dintorni vi erano solo lei e quell'uomo.
«Ehilà?» sospirò Annabeth col cuore in gola.
L'uomo le sorrise.
La ragazza pensò che fosse un tizio amichevole, ma perché diavolo non c'era nessun altro? Un incubo?
«Sta bene, signore?» Annabeth non si rese conto di essersi avvicinata a quell'uomo finché questi non le toccò una spalla.
«Ciao, Annabeth» salutò l'uomo.
Ora che la ragazza gli era vicina, poteva notare quanto fossero azzurri i suoi occhi. I capelli castani spazzolati all'indietro alla rinfusa gli davano un'aria sbarazzina, ma il volto era quello di una persona saggia ed estremamente vecchia. Indossava un meraviglioso completo bianco – anche la camicia e la cravatta erano bianchi, persino le scarpe! – così luminoso da dar fastidio alla vista di chiunque, ma Annabeth riusciva a fissarlo senza dover ripararsi gli occhi. L'uomo emanava una luce spaventosamente soprannaturale, tanto che la ragazza non poté fare altro se non fissarlo a bocca aperta.
«Sai dove siamo?» le chiese l'uomo infilandosi le mani nelle tasche dei suoi candidi pantaloni.
Annabeth lo guardò dubbiosa: probabilmente si era addormentata in qualche vicolo o davanti ad un panino ed era crollata nel mondo dei sogni. Oppure non si ricordava di essere morta e quello era il suo Paradiso personale. Ma non era del tutto sicura che la sua razza avesse diritto ad un luogo così puro. «Si tratta di un sogno?» disse, infine, la ragazza. In fondo, quell'uomo sapeva il suo nome.
«Sì. Ti sei addormentata in compagnia di alcuni vagabondi che ti hanno offerto del cibo e una coperta. Sei al sicuro, tranquilla» le disse cordialmente.
«Ma chi sei? Perché sei nel mio sogno? E come hai fatto ad entrarci?!» Annabeth era più furibonda che spaventata. Sentiva già ribollirle il sangue nelle vene, ma nei sogni le emozioni sono alterate e più vigorose e mantenere il controllo le risultava difficile.
«Oh, non importa chi io sia e come abbia fatto ad entrare nella tua mente» le disse l'uomo. «Importa solo il perché
«Allora perché sei nel mio sogno?» gli chiese nuovamente Annabeth.
L'uomo, spostando il peso su di una sola gamba magra come un grissino ma più forte di quanto sembrasse, cercò le parole giuste per risponderle. «Ho bisogno del tuo aiuto.»
«Un momento, credo di aver capito...» Annabeth indietreggiò. «L'unico essere che può entrare nei sogni della gente è un angelo, ecco cosa sei!» esclamò felice.
Ma l'uomo negò con un leggero cenno della testa. «Non sono un angelo. Né sono un demone. Non sono nemmeno un umano o uno stregone. Ma se vedessi il mio vero volto, la tua mente esploderebbe.»
Annabeth si accigliò. Non riusciva proprio a capire chi diamine avesse di fronte. Forse un profeta? O un arcangelo? Probabile. Poi la ragazza si ricordò della richiesta di quell'uomo e si ricompose, eliminando ogni traccia di insicurezza. «Hai detto che hai bisogno del mio aiuto, prima. Che cosa intendevi?» gli chiese.
«So che muori dalla voglia di parlare a Fergus, vale a dire Crowley. Ebbene, ci sono due ragazzi, due uomini, che possono aiutarti. Si chiamano Sam e Dean Winchester. Sono due fratelli e loro hanno Crowley, ma stanno cercando Castiel, un angelo, il quale è più facile da ritrovare, credimi. Ho bisogno che tu vada da Castiel, riportalo in carreggiata, poi lui ti condurrà dai Winchester ed allora avrai Crowley.»
Annabeth restò allibita. «Come fai a sapere tutto questo?» gli chiese quasi senza fiato.
L'uomo distese le labbra in un sorriso delicato. «So molte cose» le disse semplicemente.
Nemmeno Annabeth seppe spiegarsi come, ma gli credette. Diede fiducia allo sconosciuto piombato nel suo sogno, ascoltò le sue informazioni, le sue raccomandazioni e stette molto attenta a ricordarsi il luogo in cui era nascosto Castiel.
«Okay, bene» fece la ragazza incrociando le braccia. «Tutto ciò che devo fare, adesso, è svegliarmi e andare da Castiel?»
Lui fece cenno di sì.
«E una volta che avrò trovato l'angelo? Insomma... Per quale motivo devo ritrovare questo Castiel?»
«Una volta che avrai trovato l'angelo» le rispose l'uomo, «la strada ti si aprirà davanti da sola. Si è perso e non sa come tornare sui propri passi, quel poveretto.»
Annabeth, dunque, acconsentì. Trovare un angelo, per lei, era davvero una sciocchezza. L'unico modo per farlo era attraverso un incantesimo. La ragazza non ebbe nemmeno il tempo per chiedere all'uomo come avrebbe fatto a svegliarsi che eccola riaprire gli occhi in quel vicolo dimenticato – si fa per dire – anche da Dio.
Bene. Perfetto. E ora? si disse.
Annabeth sentì la brezza fresca delle prime ore dell'alba. Il sole stava cominciando a farsi strada tra le nuvole violacee e lei svegliò Bart, il vagabondo che dormiva accanto a lei. Lo ringraziò di cuore per l'ospitalità e lui la salutò a nome di tutti. Le diede un panino vecchio di due giorni da portar via, senza dirle che quel panino era anche l'ultima cosa che gli rimaneva da mangiare.
Passo dopo passo, Annabeth si allontanò dal vicolo e prese a camminare sempre più velocemente in una strada frequentata da gente con la puzza sotto il naso e bambini troppo impegnati a fare i bulli per accorgersi di quanto bello fosse passeggiare per mano alla propria madre prima di essere lasciati a scuola.
Fu lì, in quel preciso istante, che Annabeth vide un vecchio ristorante abbandonato. L'insegna sbiadita ed ingiallita dal tempo e dalla pioggia faceva pensare ad una tavola calda anni '50, mentre all'interno sembrava messo tutto sotto sopra, tavoli e sedie lasciate lì a marcire e a far da casa a tarme e ratti dalla coda grassoggia. Convenne che sarebbe sgattaiolata al suo interno, ma passando per il retro. Quindi, superò l'angolo dell'isolato e percorse la strada a ritroso fino ad una porta mangiata dalla muffa.
Vi entrò e scaricò sul bancone la sua sacca. Il rumore di vecchie armi e arnesi per gli incantesimi e la loro eco le misero i brividi.
All'interno del locale non vi era anima viva, a parte strani animaletti nati e cresciuti lì.
Uno alla volta, lentamente, sfilò fuori dalla sacca ingredienti, ciotole e fiammiferi.
Con un gessetto, disegnò poi a terra un simbolo enochiano – era la traduzione del nome Castiel – e vi si posizionò sopra, cominciando a recitare l'incantesimo.
E solo quando finì di pronunciare l'ultima parola dell'incantesimo stesso si ricordò del pericolo: da lontano, fuori dalla finestra logora e tappezzata di quotidiani datati, mentre una luce l'avvolgeva, Annabeth vide correre la coltre nera che la stava cercando e, veloce, raggiungendo.

   
 
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