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Autore: Stella cadente    23/09/2015    6 recensioni
Francia, 1482:
Parigi è una città che nasconde mille segreti, mille storie, mille volti e mille intrecci.
Claudie Frollo è un giudice donna che tiene alla sua carriera più di ogni altra cosa al mondo.
Olympe de Chateaupers è una giovane ragazza da poco al servizio del giudice e, sebbene sia spavalda e forte, si sente sempre sottopressione sotto lo sguardo austero di quella donna cinica ed esigente.
Nina è una semplice ragazza di quindici anni, confinata nella cattedrale a causa di un inconfessabile segreto..
L’arrivo di Eymeric, un giovane ramingo gitano, sconvolgerà le vite di queste tre donne, in un modo diverso per ognuna.
Ma alla fine, di quali altri segreti sarà testimone Parigi?
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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XX.
All’alba
 

Eymeric
 
 
 

Clopin mi guardava con una faccia stralunata.
«Come sarebbe a dire che eri nella residenza di Claudie Frollo?»
«Ebbene, è così» dissi io. «E non mi ha torto un capello.»
Ero arrivato alla Corte dei Miracoli la notte precedente, e non ne ero più uscito per tutto il giorno, per paura di vedere lei camminare lungo le strade di Parigi con quella sua andatura lenta e regale.
Che cosa ho fatto?
Adesso era notte fonda, e il Re dei gitani aveva fatto irruzione nella mia tenda chiedendo spiegazioni.
«Non ti avrà fatto il lavaggio del cervello, spero» fece, alzando un sopracciglio.
«No» mi affrettai a dire «solo che …»
«Cosa?»
«Dobbiamo andarcene da Parigi.»
L’uomo incrociò le braccia.
«Non se prima non mi spieghi cos’è successo. Ti ha ricattato? Ti ha minacciato?»
«No, niente del genere.»
Sbuffai e mi accasciai sul pavimento della tenda variopinta.
Clopin si sedette accanto a me e mi diede una pacca affettuosa sulla spalla.
«Dimmi ciò che ti turba, fratellino.»
«Io…»
Dirglielo o non dirglielo?
«So che c’è qualcosa» aggiunse. «Non hai fatto avvicinare nessuno, finora. E tutto questo non è da te.»
Mi aveva messo alle strette. Non avevo scelta, adesso.
«Clopin, io non so come fare.»
La mia voce doveva essere uscita fuori molto disperata, perché il Re mi guardò con una compassione che prima non aveva. Sentivo le mie sopracciglia aggrottarsi in un’espressione di puro sconforto. Dovevo avere un aspetto molto sciupato.
«Dimmi tutto.»
«Io… è successo qualcosa, tra me e...» mi faceva strano dirlo. «… e Frollo.»
«Cosa?!»
Aveva urlato talmente forte che ero sicuro che avessero sentito anche dal di fuori.
«Chiedo scusa» Antea, infatti, fece capolino nella tenda. «Tutto bene qua dentro?»
Clopin cercò, con scarsi risultati, di ricomporsi.
«Certo» disse. «Tutto per il meglio. Ora vorresti lasciarci da soli un momento?»
Mia sorella fece un cenno d’assenso col capo, poi si congedò.
«Ascoltami bene, Eymeric» fece il Re, avvicinandosi con aria seria. «Premesso che spero che tu non faccia sul serio, ti avverto: stai giocando con il fuoco. E lo sai. Sai benissimo com’è quella donna, cosa ha fatto negli anni alla nostra gente. Oramai per colpa sua siamo costretti a nasconderci come topi di fogna.»
«Lo so» replicai io, atono.
«Dimmi che è uno scherzo, che ti stai prendendo gioco di me.»
Ma doveva aver capito benissimo, guardando i miei occhi, che non era affatto così.
«Mi piacerebbe tanto poterti dire di sì, ma non è così. Dobbiamo andarcene» replicai. «Così eviteremo tutta questa storia.»
Clopin si allontanò un po’ da me. Sembrava guardarmi con occhi diversi, ed io non lo sopportavo.
«Credo che non serva» fece, dopo aver tirato in su col naso.
«Che vuoi dire?»
Ci fu una pausa, poi il Re disse:
«Frollo è stata scortata nelle prigioni del Palazzo di Giustizia ieri, verso il tardo pomeriggio. L’hanno accusata di stregoneria.»
Spalancai gli occhi.
«Che significa?» chiesi, sconvolto.
Il Re fece un sospiro e mi guardò di nuovo con quello sguardo compassionevole.
«All’alba la bruceranno su un rogo.»
 
 
****


 
Non sapevo cos’era stato a farmi correre e uscire dalla Corte, ma mentre correvo non pensavo.
Non pensavo a nulla, se non che Frollo sarebbe stata bruciata su un rogo quella stessa mattina. Avevo creduto che Clopin scherzasse, ma così non era.
Ora vedevo il Palazzo di Giustizia stagliarsi lontano, con le sue torri imponenti, scuro in quella notte fredda.
Frollo si trovava lì. Ancora stentavo a crederci.
Ma la cosa più strana, e più terribile, era che avrei dovuto essere contento del fatto che la persecutrice del mio popolo fosse stata arrestata – seppur ingiustamente – e condannata a morte.
Invece mi sentivo male.
 
 
****


 
Le celle sembravano tutte uguali. Ero riuscito ad intrufolarmi nell’enorme edificio in breve tempo, e ora mi ritrovavo a camminare lungo quei corridoi bui e umidi.
Il vago eco prodotto dai miei piedi sulla pietra era quasi inquietante. La mia vista cominciava ad abituarsi un po’ di più all’oscurità, e mi sembrò di vedere qualche topo scorrazzare negli angoli.
Passavo davanti ad ogni inferriata, controllando chi ci fosse all’interno. Vedevo uomini e donne con il corpo rovinato dalla fame, dalle malattie e dalle torture subite. Quelle stesse torture che, prima, lei infliggeva ai cittadini.
Passai quelle che mi sembrarono ore a cercarla. Fu quando arrivai ad una delle ultime celle – una di quelle in isolamento rispetto alle altre – che la vidi. O perlomeno, vidi una che le assomigliava.
Una donna era rannicchiata nell’angolo della prigione, voltata di spalle. La carnagione era pallida come la sua, i capelli scuri come i suoi.
«Ministro Frollo... ?» sussurrai.
La donna si voltò. Lo fece lentamente, come se quella semplice azione le costasse una fatica enorme.
E, quando la sua faccia venne illuminata dalla luce della luna, riuscii a riconoscerla vagamente.
Era lei, ma era cambiata. Era diversa.
Il viso era scavato, gli occhi talmente infossati da sembrare enormi e sproporzionati rispetto al resto del corpo. Le braccia erano sottili e scheletriche; notai anche che alla gamba sinistra aveva un rigonfiamento che andava dal ginocchio in giù, dove la gamba era livida e martoriata. I capelli neri – che adesso sembravano sorprendentemente lunghi – le ricadevano sciolti e arruffati lungo le spalle ossute. Sembrava che avesse sofferto la fame per anni.
Ma la cosa che mi colpì subito, fu la sua espressione. Non era quella che la caratterizzava, sprezzante e altezzosa. Era disperata, umiliata e rassegnata insieme.
L’espressione di una condannata a morte che sente avvicinarsi la sua ora.
Mi incenerì con lo sguardo, poi si attaccò debolmente alle sbarre.
«Che cosa ci fai tu qui, maledetto diavolo sobillatore?»
La sua voce uscì stanca, quasi strascicata, nulla a che vedere con quel timbro limpido, cupo e deciso che aveva di solito. Era debole, ma carica di una rabbia potente, velenosa come le sue sentenze.
Quel tono mi fece provare il vecchio terrore che un tempo avevo nei suoi confronti.
«Ho saputo ciò che è successo» mi limitai a dire.
Lei mi lanciò uno sguardo che mi fece arretrare leggermente.
«Tra poche ore brucerò su un rogo come una strega, ed è solo colpa tua. Sei venuto ad assistere alla mia morte? Oh, ma certo. È sempre stato il tuo scopo, non è vero?»
«Deve esserci un modo per tirarvi fuori di qui.»
Mi fermai.
Cosa sto dicendo? La sto… salvando?
«Che Dio ti maledica, zingaro infesto!» esplose improvvisamente, e la sua voce mi colpì come un pugno.
Silenzio.
«Avrei dovuto saperlo che mi avresti portata alla rovina. Ed invece no, ho voluto fare di testa mia, come sempre. Avrei dovuto ricordare quello che mi diceva mio padre su voi zingari. Siete tutti uguali. Tutti. E col tempo ho imparato che aveva ragione.»
«Ministro, io…» tentai ancora una volta.
«Non dire baggianate, Eymeric!»
Il cuore mi mancò un battito.
Era la prima volta che pronunciava il mio nome.
«Non fingere che ti importi qualcosa di quello che sarà il mio destino! Non mentire a te stesso! Tu saresti contento se io morissi!»
Pronunciò quelle parole con così tanta rabbia che mi fece rabbrividire. Volevo dire qualcosa, ma la lingua sembrava immobilizzata dalla forza di quella frase.
Tu saresti contento se io morissi!
«Hai architettato tutto sin dall’inizio» continuò. «Non avrei dovuto fidarmi di te» ripeté, con un’amarezza che mi fece inaspettatamente stringere il cuore. «E ad ogni modo, da una parte è un bene che io sia stata condannata, così non sarò più vittima del tuo malvagio incantesimo.»
«Sentite» dissi, deciso «vi tirerò fuori di qui, costi quel che costi.»
Lei rise.
Una risata che mi fece accapponare la pelle.
«E come pensi di fare?» fece, la voce come la lama affilata di un coltello.
«Io non voglio la vostra morte» dissi d’un tratto.
Silenzio.
«Ero sincero, quella sera.»
Lei si ammutolì, una sorpresa malcelata negli occhi color ghiaccio.
Premesso che spero che tu non faccia sul serio, ti avverto: stai giocando con il fuoco.
«Io credo veramente di essere legato a voi, signora.»
E lo sai.
«È impossibile» replicò.
Sai benissimo com’è quella donna, cosa ha fatto negli anni alla nostra gente.
«Lo pensavo anche io, sapete?»
Oramai per colpa sua siamo costretti a nasconderci come topi di fogna.
Frollo mi squadrò con occhi diversi; sembrava che mi vedesse veramente per la prima volta. Adesso non era più il Ministro della Giustizia di Parigi che aveva indetto personalmente una persecuzione contro gli zingari, ed io non ero uno di loro, quello da lei più odiato; era semplicemente una donna, ed io semplicemente un uomo.
«Non so come, non chiedetemelo… non so cosa ci sia di così diverso, rispetto a prima. Ma qualcosa c’è. Qualcosa è cambiato.»
Silenzio. Lei mi fissava con un’espressione indecifrabile, ma che in qualche modo mi fece sentire inerme di fronte a quella situazione.
Trascorsero secondi che mi sembrarono interminabili, poi la lama mi ferì di nuovo.
«Vattene» disse, inespressiva.
Obbedii subito, senza protestare.
Ma mentre mi allontanavo, mi sembrò di sentirla piangere.
 
 
                                                                                                               
****
 
 
Il rullo dei tamburi per le esecuzioni scandiva i secondi di quell’alba di inizio febbraio. Un’alba fredda, gelida.
Ero in mezzo alla folla accalcata vicino ad una pira accatastata nella piazza, formata perlopiù dal popolo e da gitani urlanti di gioia.
«Strega! A morte!» gridavano. E ogni parola mi feriva come mille coltelli.
Che cosa macabra, pensai, essere felici della morte di qualcun altro.
«Ecco la strega!» gridò  Alexandre, un ragazzo della Corte di circa sedici anni. Il mio cuore iniziò a battere così forte che lo sentii anche nelle tempie, e mi voltai di scatto.
Claudie Frollo, con il corpo orribilmente smagrito, avanzava barcollando tra la gente del popolo che la guardava con disprezzo.
«È proprio lei!» continuò Alexandre. «Ha ucciso migliaia di persone condannandole per stregoneria, quando invece era lei la strega!»
Guardai Frollo. Aveva arricciato il naso. Manteneva la sua solita espressione disgustata e guardava Grenonat – che la scortava al centro di Place de Grève – con aria di sfida, come per dire che fino all’ultimo non si sarebbe mai mostrata debole.
Fino all’ultimo secondo di vita sarebbe sempre stata il Giudice Frollo, temibile Ministro della Giustizia.
Continuai a fissarla, con gli occhi sbarrati e il cuore che impazziva, mentre veniva legata alla pira. Vestita con un semplice abito di stoffa bianco e con i capelli sciolti sembrava molto più giovane, indifesa e vulnerabile.
Sentii le gambe molli – non seppi il perché.
Grenonat prese la torcia dalle mani del boia e si avvicinò a lei, che continuava a guardarlo con disprezzo, poi si voltò verso il popolo.
«La qui presente Claudie Frollo, strega e profanatrice del suo titolo di Ministro, ha rifiutato l’esilio. Con ciò» guardò Frollo con occhi fiammeggianti di rabbia «mi accingo, adesso, ad eliminare una volta per tutte questa traditrice dalla nostra città!» disse, con la sua voce di serpente.
Abbassò la torcia e il fuoco divampò, dando vita ad una danza che anneriva la legna e che avrebbe annerito anche il suo corpo.
Per la prima volta, guardandola bene, notai il terrore sulla faccia di Claudie Frollo nel vedere che le fiamme si avvicinavano sempre di più a lei.
Non volevo assistere a quell’orrendo spettacolo. Non potevo starmene lì con le mani in mano. Sarei andato contro il mio popolo, ma dovevo fare qualcosa.
Saresti pronto a farti nemica persino la tua gente, Eymeric?
Non ci pensai un attimo. Non appena vidi che lei cominciava a tossire e perdere conoscenza, mi lanciai verso la pira, sgomitando tra la folla, scansando donne, uomini, ragazzi, non mi importava chi. Quando fui abbastanza vicino spiccai un salto fino ad arrivare sulla pedana, e sotto gli occhi stralunati di Grenonat attraversai le fiamme, slegai Frollo e la presi in braccio, semisvenuta.
Sentii la voce del Ministro urlare: «Guardie! Prendetelo! È lo zingaro con cui la strega ha complottato!» e cominciai a correre più veloce che potevo, finché non fui certo di averli seminati. Era tutto confuso; il calore del fuoco che mi aveva toccato poco prima mi aveva disorientato, ma guardandomi alle spalle mi sembrò di vedere Clopin che aveva attirato l’attenzione dei soldati, guidando i gitani in una rivolta contro Grenonat. Forse era vero, forse no, ma al momento sapevo solo che dovevo correre.
Era come se i miei muscoli si muovessero da soli, non riuscivo nemmeno a sentire la stanchezza.
L’unica cosa che sapevo, mentre mi sembrava di sentire ancora il fuoco catturarmi le gambe come una trappola, era che dovevo portare Frollo alla Corte dei Miracoli, dove sarebbe stata più al sicuro.
Al resto avrei pensato dopo.

 
 
Eccoci qui, al capitolo 20 :D
È stato un parto scriverlo, ma alla fine ce l’ho fatta. Come vedete la situazione sta sfociando sempre più nel drammatico,e  di complicazioni ce ne sono a bizzeffe; non crederete mica che Eymeric la passerà liscia, giusto?
Il capitolo aveva lo scopo di essere ricco di pathos e di scene evocative.  Non so se sono riuscita ad ottenere questo effetto, anche perché l’ho riletto talmente tante volte che ora come ora non saprei proprio dirlo. In compenso però, dal punto di vista del contenuto mi è piaciuto scriverlo: raccontare la scena del dialogo tra Claudie e il nostro amato zingaro mi ha emozionata un sacco.
Detto ciò, aspetto i vostri giudizi; specialmente a questo capitolo tengo davvero tanto. Quindi fatevi sentire, miei prodi!
Alla prossima,
Stella cadente
  
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