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Autore: Shayleene    23/09/2015    1 recensioni
Mi chiamo Anis.
Sono un'arma a cui manca solo l'anima di una strega per diventare finalmente Death Scythe.
Ecco perché sono venuta a Death City: per trovare un Maestro d'Armi che mi aiuti in questa impresa.
Credevo sarebbe stato facile, ma a volte bisogna stare attenti in chi si ripone la propria fiducia...
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10


Stavo lucidando le due katane che mi aveva prestato Blackstar nel caso in cui Kazuhiko usasse un altro trucco dei suoi per privarmi dei miei poteri di arma, e intanto riflettevo su ciò che avrei dovuto fare una volta raggiunta la meta. 
Se Maka poteva davvero vedere le anime e se Kazuhiko aveva un uovo di Kishin dentro di sé, nulla mi avrebbe impedito di ucciderlo definitivamente. Tuttavia come mi sarei dovuta comportare in caso contrario? Nonostante fosse stato esiliato perché ritenuto pericoloso essendo un maestro. d'armi non potevo portarlo alla morte 
"Ma questo non significa che non possa picchiarlo così tanto da farlo desistere da ogni suo piano malvagio" pensai cinicamente. 
Il trillo del campanello mi riscosse dei miei pensieri, e scesi in fretta le scale per vedere chi era.
-Ehilà Anis!- Era Soul, che mi salutò con un cenno del capo e uno dei suoi fantastici sorrisi. Alla Shibusein avevo sentito numerose persone definirlo come un egocentrico scontroso, e non capivo proprio come facevano a pensare una cosa del genere.
-Ehm... ciao. Sali pure!- balbettai, realizzando che ero vestita con una tuta malconcia e avevo i capelli legati in una pessima coda di cavallo. Nonostante tutto, ci tenevo ancora parecchio a fare bella figura con lui. 
-Sono di fretta, ero solo venuto a chiederti se sei ancora intenzionata ad andarci. Insomma, se vuoi ci pensiamo io e Maka, ti assicuro che faremo un ottimo lavoro!- esclamò facendomi l'occhiolino.
Ormai mancavano solo 3 giorni alla partenza ed effettivamente l'agitazione iniziava ad annidarsi dentro di me ma non mi sarei tirato indietro non questa volta un sorriso determinato e anche piuttosto sadico compare sul mio volto è molto gentile da parte vostra ma voglio essere io a farlo soffrire così tanto da implorare pietà rispondi con un tono che quasi non mi apparteneva accipicchia guarda che adesso hai paura anche a me riso e sole mi raccomando ricordati di venire stasera a casa mia per decidere il piano da seguire insieme agli altri vedrai sistemeremo tutto in un batter d'occhio detto ciò se ne andò fischiettando le mani in tasca come sempre riprese ad affilare le armi ma ormai la mia mente vaga va per conto suo facendomi rivivere l'istante in cui caso dico mi aveva buttato a terra e se n'era andato e quando aveva finito di chiedermi scusa per precoci dirmi capendo che non avrei mai collaborato.
Possibile che avesse finto fin dall'inizio, che cercasse solamente qualcuno abbastanza forte da aiutarlo ad uccidere lo Shinigami? Ma soprattutto, perché credeva che io avrei accettato? Forse aveva scordato qualcosa in me di cui nemmeno io mi ero accorta, e il solo pensiero mi fece provare un brivido. Probabilmente era destino che continuassi a combattere da sola come facevo sin dall'inizio.
Quando ero piccola e i miei poteri non si erano ancora rivelati ero una bambina come le altre, ma dal giorno in cui ferii gravemente una mia compagna di giochi tutto cambió. 
Ci stavamo rincorrendo nel prato dietro casa mia e lei continuava a sfuggirmi. Quando finalmente riuscii a prenderla lei si dimenava, ridendo. 
-Ti ho detto di stare ferma!- urlai stringendola forte a me. 
Sentii un gemito e qualcosa di caldo gocciolarmi sul piede nudo. Mollai la presa e Suzuki cade a terra: sulla sua pancia c'era un lungo taglio rosso da cui usciva molto sangue. Solo in quell'istante mi resi conto che il mio braccio destro era diventato una lama. 
Gridai disperatamente aiuto e mi inginocchiai vicino a lei. Le lacrime mi offuscavano la vista e non sentii i passi che si avvicinavano, solo un forte colpo alla testa. 
Poi il buio.
Quando ripresi i sensi mi trovavo in una cella, legata alle pareti con delle catene; il braccio era di nuovo come prima. Nessuno mi rivolgeva la parola, solo sguardi pieni di paura e odio, ma dai discorsi che riuscivo ad udire mi avrebbero ucciso dopo pochi giorni.
Poi arrivó lui. Disse di essere un medico, che poteva curare quelle come me. Disse che mi avrebbe portata via, e ovviamente tutti ne furono contenti.
In realtà anche lui era un arma, e dopo avermi riportato a casa spiegó tutto ai miei genitori. Mia madre non voleva nemmeno che mi avvicinassi a lei, e mio padre... non appena seppe di Death City e della Shibusein non aspettò nemmeno un attimo prima di mandarmici.
Inizialmente lo avevo odiato per questa decisione, ma ora mi rendevo conto che era stato bene per me. Avevo conosciuto delle persone splendide, imparato a controllare le mie capacità e ottenuto la possibilità di fare qualcosa per gli altri.
Pensando a tutto questo ripromisi ancora una volta me stessa che tutto sarebbe tornato il più presto alla normalità.
   
 
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