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Autore: vali_    23/09/2015    6 recensioni
Dean non si sente a suo agio negli ultimi tempi: beve senza trarne i benefici sperati, dorme poco e sta sempre da solo e questo non è un bene per uno come lui, che mal sopporta la solitudine, convinto che riesca solo a portare a galla i lati peggiori del suo carattere.
Il caso vuole che un vecchio amico di suo padre, tale James Davis, chieda aiuto al suo vecchio per una “questione delicata”, portando un po’ di scompiglio nelle loro abituali vite da cacciatori. E forse Dean potrà dire di aver trovato un po’ di compagnia, da quel giorno in poi.
(…) gli occhi gli cadono sui due letti rifatti con cura, entrambi vuoti. Solo due.
Sam è ormai lontano, non ha bisogno di un letto per sé. Dean non lo vede da un po’ ma soprattutto non gli parla da un po’ e il suono della sua voce, che era solito coprire tanti buchi nella sua misera esistenza, di tanto in tanto riecheggia lontano nella sua mente. A volte pensa di non ricordarsela neanche più, la sua voce. Chissà se è cambiata in questi mesi (…)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Note: … *deglutisce per la millesima volta e muove con lentezza estrema i ditini sulla tastiera, conscia che sta per subire un pestaggio*
Ok, scherzi a parte (ma neanche tanto), non avete idea di quanto io sia agitata e in ansia a pubblicare questo capitolo e quelli a venire. E presto scoprirete perché… il che mi mette ancora più ansia! XD
Come vi ho anticipato nelle risposte alle vostre (sempre splendide) recensioni, qui comincerete a capire cosa è successo tra i “migliori” papà in circolazione e molte cose che riguardano Ellie. E sì, io spero di non deludervi perché la faccenda comincia a farsi delicata… *si asciuga la gocciolina di sudore dalla fronte che tradisce il suo nervosismo*
Di certo, a chi è mancata l’azione nei prossimi capitoli sarà accontentato, perché saranno impegnati da un nuovo caso.
L’ho fatto anche nelle note in fondo, ma ci tengo a specificare la cosa anche qui: il mostro della settimana è una mia invenzione, a partire dal nome a tutto il resto. Se esiste una qualche leggenda che parla di qualcosa di simile, io non ero a conoscenza XD ho cercato ovunque qualcosa che facesse al caso mio, ma quando non l’ho trovata mi sono rassegnata e mi sono convinta che la cosa migliore era fare da sola u.u
Alla luce di tutto ciò, vi chiedo di non risparmiarvi nei commenti: se il mostro e tutto quello che lo riguarda fa schifo, ditelo senza problemi XD
Ho chiacchierato abbastanza, perciò vi lascio un forte abbraccio e vi ringrazio come sempre per il vostro caloroso supporto.
Alla prossima settimana!

 
Capitolo 19: Can’t get no love without sacrifice
 
This is the way you left me,
I’m not pretending
No hope, no love, no glory,
no happy ending
This is the way that we love,
Like it’s forever
Then live the rest of our lives, but not together.
 
(Happy Ending – Mika)
 
 
E’ sdraiata sul letto, le gambe distese e le braccia incrociate su cui ha appoggiato la testa. Ha i capelli legati in una treccia spostata da un lato e fissa un punto preciso sopra il cuscino, a qualche centimetro dal suo viso.
 
E’ notte fonda eppure il sonno non arriva, così aspetta e osserva il nero intenso di quella specie di scatolina apribile e ne fissa il display, cliccando un pulsante a lato del piccolo marchingegno ogni due minuti per verificare che sia davvero rimasto com’era poco prima e si sente una come tante, senza nessun futuro di mostri o sciagure, solo una ragazza scaricata e illusa come chissà quante altre, magari proprio dallo stesso uomo.
 
Ellie sbuffa; si gira di lato e si copre con le lenzuola, portando un dito alla bocca e rosicchiandone l’unghia, l’ultima che le era rimasta più o meno intatta. Le altre le ha consumate in altre notti, nervose e insonni come questa ma tanto, con il lavoro che fa, non ha di certo bisogno di mettere lo smalto. Qualcuno glielo aveva anche detto una volta, quando hanno seguito il loro primo caso insieme, ma a ripensarci ora quella battuta – o qualsiasi cosa fosse – non la fa più tanto ridere.

Non è la prima notte che si ritrova ad eseguire gli stessi movimenti, che fissa il cellulare aspettando che squilli o emetta una qualche vibrazione, ma non succede mai niente. I giorni passano lenti – soprattutto adesso che suo padre ha deciso di starle spesso appresso – e i pomeriggi che trascorre nel piccolo fastfood di Wrigley, in Tennessee, dove ha trovato un impiego – era un po’ che non capitava – la distraggono quanto basta per aiutarla a non pensare, ma quando cala la sera e si ritrova da sola a dormire - o meglio, a provare a farlo - la mente la riporta in quel letto disfatto insieme a lui, a quando tutto le sembrava perfetto ma forse non era così.
 
Si chiede in che cos’altro ha sbagliato, quale altra mossa non era giusta e soprattutto perché, di tutte le ragazze al mondo, è andato a prendere in giro proprio lei. Pensava fossero amici, lei e Dean, sperava che, nonostante la sua ricerca costante di sostenitrici di sesso femminile, non si sarebbe mai abbassato a usare lei in caso di necessità estrema, ma a quanto pare è quello che è successo, perché non riesce a trovare un’altra spiegazione.
 
Ripercorre con la mente tutto quello che ha fatto da quella mattina, quando ha sentito delle voci provenire dal piano di sotto, tanto forti da svegliarla; si è ritrovata fra le braccia di Dean ed istintivamente ha sorriso vedendolo tranquillo e addormentato al suo fianco. Ha chiuso gli occhi di nuovo provando a riaddormentarsi, ma le voci erano troppo forti e, dopo aver riconosciuto quella di suo padre, si è scostata da Dean piano, attenta a non svegliarlo – in fondo erano solo le sei di mattina -, si è infilata la sua maglietta e gli slip – sparsi a terra insieme al mucchio di vestiti di Dean – ed è scesa al piano inferiore trovando in cucina Bobby e suo padre e il suo sguardo minaccioso non ammetteva repliche quando le ha ordinato di prepararsi immediatamente, che se ne sarebbero andati all’istante. Pensava fosse ancora arrabbiato con lei per la storia di Bobby ed ha provato a dirgli qualcosa, ma la risposta è stata solo un’occhiataccia e non ha potuto replicare oltre. Così, è tornata in stanza e si è vestita in fretta, cercando anche di recuperare tutti i vestiti che aveva nell’armadio; non ha avuto neanche il tempo di farsi una doccia ed è rimasta qualche istante ad osservare Dean dormire, incerta sul da farsi. Poteva svegliarlo e spiegargli la situazione velocemente, ma forse sarebbe stato assonnato e non avrebbe neanche capito fino in fondo cosa Ellie gli stesse dicendo e la voce di suo padre – o meglio, l’urlo – che le diceva di sbrigarsi – mai una volta che abbia un po’ di pazienza con lei – l’aveva convinta a lasciarlo stare. Lo avrebbe chiamato e gli avrebbe dato le spiegazioni che meritava.

Poi è stato più facile a dirsi che a farsi. All’inizio, aveva pensato di inviargli un messaggio, ma non le era sembrato il caso: troppo freddo e poi non sapeva cosa scrivergli. Insomma, cosa si dice in questi casi? “Sono stata bene”? Le sembrava brutto e distaccato. Alla fine aveva deciso di farsi coraggio e di telefonargli, pensando per ore intere a cosa dirgli, ma quello che aveva sentito dalla sua voce l’aveva scoraggiata, così tanto da farle dimenticare tutto il suo bel discorso e si era ritrovata a mettere insieme un paio di frasi quasi balbettate e a darsi della stupida subito dopo. Dean sembrava assente e distante e le poche certezze che Ellie pensava di avere erano crollate miseramente.
 
Nei giorni successivi, si è imposta di non telefonargli e lui non ha mosso un dito: non un messaggio né un niente a nessuna ora del giorno o della notte ed Ellie continua ad aspettare invano qualcosa che ormai è sempre più sicura che non arriverà. Ok che non si sentono spesso – non lo fanno mai a dire il vero –, ma le cose sarebbero dovute cambiare dopo quello che è successo.

Di sicuro Janis, l’unica amica che abbia mai avuto, se fosse qui con lei adesso le direbbe che ha fatto male, che non si richiama mai un tizio dopo esserci andata a letto. Deve essere lui a cercare te, anche solo per chiedere un altro giro.
 
Aveva una filosofia di vita tutta sua e le sembra ancora di risentire la sua voce nelle orecchie quando le dava consigli sui ragazzi e, ogni volta che Ellie non li ascoltava, le diceva che era pazza e continuava a perseguire le sue idee strampalate, cercando di “convincere” anche lei.
 
In questo caso, però, Ellie era davvero convinta che non ci fosse niente di sbagliato nel provare a telefonargli e spiegargli, che era una cosa normale – soprattutto per loro che hanno condiviso tanto – e adesso che ci pensa non è più sicura di niente.

Stringe il cuscino e chiude gli occhi, cercando di provare a prendere sonno; sono troppe notti che non si riposa a sufficienza e ci manca solo che suo padre si accorga che qualcosa non va.

Ha passato i giorni successivi a quella notte a coprirsi il collo spostando i capelli di lato, cercando di nascondere i piccoli segni rossi che Dean aveva lasciato sulla sua pelle e quasi le mancavano poi quando sono diventati più sbiaditi, praticamente invisibili. Le ricordavano l’ultima cosa bella che avevano condiviso ed ora non le rimane niente.
 
Sa con assoluta certezza che non sarebbe successo se ci fosse stato qualcun altro al posto di Dean. Non ha dubbi su questo, perché ha già fatto un errore del genere una volta e non aveva alcuna intenzione di ricascarci. Più volte aveva pensato a come sarebbe potuta andare a finire tra di loro e forse un po’ lo immaginava che avrebbe ceduto facilmente. Ormai dormivano insieme una sera sì e l’altra pure ed Ellie aveva imparato a sentirlo più vicino di prima, nonostante lui facesse di tutto per scappare. 
 
Ellie aveva notato quel suo continuo… fuggire quando si avvicinavano un po’ più del dovuto, ma lei non lo faceva per provocarlo o per scatenare una qualche reazione.
 
Non ha mai fatto niente per compiacerlo: è sempre stata se stessa, fin dal primo giorno, e di certo non voleva usare nessun mezzo strano per provarci. Un po’ perché aveva paura che le cose sarebbero potute cambiare, ma soprattutto perché… beh, perché non voleva che cominciasse a vederla come quella che non è, perché con lui è sempre stata libera di essere se stessa, sempre.
 
Per questo Dean è sempre stato diverso ai suoi occhi: c’è un rapporto vero con lui, una confidenza ed una fiducia tale da indurre Ellie a lasciarsi andare, perché era certa che non si sarebbe mai comportato con lei come con un’altra di cui non gli importa.
 
Ne avevano parlato quella volta in spiaggia. Ellie conosceva perfettamente il suo punto di vista, ma questo, quando ha cominciato a rendersi conto che qualcosa per lei stesse cambiando, non l’aveva portata a cambiare idea su di lui. E’ vero, non vogliono le stesse cose, ma Ellie cercava di sorvolare ogni volta che ci pensava e che lo guardava negli occhi e sembrava vedere qualcosa che la induceva a tentare, a non cercare di soffocare qualsiasi cosa le stesse nascendo dentro.
 
Da qualche parte del suo cervello, poi, ad un certo punto si era pure convinta che potesse piacergli, che ricambiasse quello che sentiva lei. Non tanto perché l’aveva baciata – quello avrebbe potuto farlo con chiunque, conoscendo il tipo –, ma che si comportasse in un certo modo perché forse provava qualcosa che andava oltre il semplice affetto e che, se avesse trovato il modo di capirlo da solo, poi sarebbe stato tutto più facile.
 
Per questo è stata discreta. Per questo non ha fatto un passo verso di lui dopo il suo compleanno; l’ha fatto per lui, perché voleva che realizzasse da solo quello che provava lei, la natura di quel sentimento che le cresceva forte nel cuore, quell’amicizia che si stava lentamente trasformando in qualcosa di più profondo. Non può chiamarlo amore, è qualcosa a cui non saprebbe nemmeno dare un nome perché è diverso ma altrettanto intenso.
 
La mamma le diceva sempre che le cose belle accadono a chi sa aspettare e lei lo aveva fatto, aveva atteso paziente, nella speranza che quel bacio non fosse l’ultimo e che forse anche Dean, da qualche parte del suo cuore, provava le stesse cose.
 
Di certo non può scoprirlo adesso però, “imprigionata” in una stanza puzzolente e lontana chissà quante mila miglia da lui.

Sospira afflitta, cercando ancora di trattenersi per non svegliare suo padre.
 
Non pensa di rivedere Dean a breve, visto che papà e John hanno litigato di brutto; è proprio per questo che era tanto arrabbiato quel giorno. Non perché John era andato a cercarlo, ma perché, a quanto pare, erano d’accordo per vedersi per parlare di Ellie non ha capito bene cosa e John alla fine si è arrabbiato, accusando suo papà di fargli perdere tempo, ed Ellie è sicura che un po’ la colpa sia anche sua.
 
John Winchester è troppo ligio al dovere, troppo concentrato sulla sua missione di vendetta per andare in soccorso a qualcun altro troppo a lungo e forse Ellie ha sempre saputo che prima o poi sarebbe arrivato quel giorno, che le strade si sarebbero definitivamente divise e Dean è fin troppo sottomesso, troppo obbediente a suo padre per potersi opporre e forse non lo vuole neanche, forse anche per lui è stata tutta una perdita di tempo, tutto quanto e, ora che si è davvero preso tutto quello che poteva prenderle, è sparito e quest’ultimo pensiero fa scoppiare in lacrime Ellie.
 
Per giorni ha solo aspettato, sperando che qualcosa cambiasse in un modo o nell’altro, che ci fosse ancora una possibilità, ma adesso non ha più illusioni.
 
Butta il telefono a terra spingendolo via con la mano e piange così forte che chiude gli occhi e stringe le palpebre, pregando se stessa di smettere, ma non ci riesce, il macigno che ha nel cuore non glielo permette. Abbraccia il cuscino più forte sperando di calmarsi, si copre la bocca per soffocare i singhiozzi e per non svegliare suo padre che russa forte, ignaro di tutto quello che è successo, ma adesso che ci pensa non cambierebbe nulla. Non le chiederebbe mai niente, se sta male o se è accaduto qualcosa di brutto, perché non si è mai davvero interessato a lei, non gliene è mai importato niente.
 
Anche questi giorni in cui è stato praticamente costretto a passare del tempo insieme ad Ellie, a parte quando le ha raccontato di questa storia di John – e una parte di lei le dice che lo ha fatto apposta, per farla sentire in colpa –, non le ha mai rivolto la parola per cose più importanti, lasciandola al motel da sola a trovarsi un passatempo. Infatti, è per questo che Ellie ha deciso di tornare a lavorare; era un po’ che non lo faceva e ormai aveva rimasto pochi soldi da parte. Poi, meglio trovarsi un impiego che rimanere su un letto ad oziare per tutto il giorno. 
 
Lui, comunque, non è la mamma e Dean aveva provato a dirglielo più di una volta, ma lei ha sempre voluto chiudere gli occhi e le orecchie e non ascoltarlo, invece aveva ragione e questa consapevolezza le fa stringere ancora di più il cuore in una morsa di ghiaccio e dolore.
 
Sente di non avere più nessuno al mondo Ellie Morgan, nessuno che le voglia bene davvero e a cui potersi aggrappare e adesso si sente sola e confusa come non le succedeva da tanto tempo ed ha bisogno d’aria, così si alza e prende una coperta dal letto, avvolgendosela addosso. Esce fuori in punta di piedi, cercando di non fare il minimo rumore e appoggia la testa al muro, chiudendo gli occhi ed inspirando quanta più aria possibile.
 
Non fa tanto freddo, è quello che le esce dalle ossa a farla tremare, ancora scossa dai singhiozzi che non riesce a placare in nessun modo. Si siede a terra, rannicchiandosi il più possibile in quella coperta che trasmette tutto fuorché calore.
 
Si chiede cosa succederebbe se provasse a scappare, a fuggire via da quell’uomo che non le ha mai dimostrato un briciolo di affetto o comprensione in quei tre anni abbondanti di vita insieme. Potrebbe farlo davvero; lui neanche se ne accorgerebbe o perlomeno è sicura che non si scomoderebbe a cercarla e, anzi, forse sarebbe felice di liberarsi di lei.
 
Prova a pensare a dove potrebbe andare e il primo nome che le balena nella testa è un altro dal quale vuole fuggire e non le viene in mente nessun altro a cui potrebbe affidarsi e quel pensiero la rende ancora più triste.
 
Appoggia la testa sulle ginocchia e le lacrime continuano a scorrerle silenziose giù dagli occhi. I pensieri rimbalzano nella sua testa uno dopo l’altro, come le palline di un flipper impazzito e le vengono a galla tanti ricordi, tutti i momenti che ha passato insieme a Dean negli ultimi mesi: le torte, i gelati, le sbronze e tutte le cose stupide che hanno fatto; le cacce e le rare confidenze sulla sua vita, quelle che Ellie considerava tanto preziose e tutto quello che gli ha raccontato lei, cose che non aveva confidato a nessun altro, neanche alla mamma. E poi le sue mani quella notte che sembra sempre più lontana nella sua memoria, le sue carezze gentili e i suoi occhi, così sicuri e belli e luminosi e non c’era nessuna traccia di pentimento, solo affetto e tenerezza.
 
Ellie non ha tantissima esperienza in queste cose, è vero, ma è stata abbastanza a lungo con qualcuno da capire quando un ragazzo vuole solo del sesso o cerca qualcos’altro e, cavolo, neanche per un istante gli occhi di Dean si sono scostati dai suoi, quella notte. Ha cercato di mantenere un contatto visivo per tutto il tempo – soprattutto quando si muoveva su di lei – e quello era un forte segnale che le suggeriva che stava facendo sul serio, che non voleva solo scoparsela ma che era il suo modo di dimostrarle che la desiderava davvero e… e niente, perché invece ha finito col trattarla esattamente come tutte le altre, quindi forse non c’ha capito nulla.
 
Si passa le mani sul viso, lasciandole sugli occhi e sospirando forte. Che stupida.
 
E’ stata così superba da credere che sarebbe stato diverso, per lui, che appunto avevano un rapporto e non si sarebbe mai azzardato a muovere un dito su di lei se non fosse stato più che sicuro di quello che sentiva.
 
Ripensa a quanto le era stato difficile riuscire a lasciarsi andare con quel suo ragazzo del liceo. Non era passato tantissimo tempo da quel piccolo incidente a quella festa di compleanno quando l’ha conosciuto, ma lui era gentile e non le metteva fretta e questo suo atteggiamento, pian piano, l’aveva aiutata a superare i suoi complessi e l’imbarazzo e a voler andare fino in fondo.
 
Con Dean è stato diverso perché con lui si è sempre sentita a suo agio ed è convinta che se lo avesse fermato, se gli avesse detto che non se la sentiva, lui non avrebbe insistito. E’ sempre stato rispettoso nei suoi confronti e questa era un’altra delle cose che l’aveva convinta a buttarsi, a dargli ancora più fiducia di quanta gliene avesse già data da che lo conosce e quasi rimpiange di averlo fatto. Non è che si è pentita, perché lo voleva ed è stato bello – più di quanto avesse mai potuto immaginare –, ma… avrebbe semplicemente voluto una conclusione un po’ diversa, meno amara e tagliente, così difficile da mandare giù.
 
La cosa che le fa più male, in realtà, è il pensiero che lui possa pensarla come John, che in un angolo remoto della sua testa abbia sempre creduto che Ellie fosse una spina nel fianco, qualcosa di cui liberarsi il prima possibile perché inutile, una distrazione futile e priva di significato. Le fa male quel pensiero, più di tutti gli altri, perché è stato proprio lui, in una notte come questa – entrambi insonni nella cucina di Bobby a condividere la sua torta preferita e dei pensieri più o meno intelligenti – ad averle detto di non essere inutile, che era in gamba e si rimboccava le maniche e faceva del suo meglio. Però sembra non fregargliene più niente lo stesso.
 
Ellie non è solita passare subito alle conclusioni, ma ci ha pensato così a lungo nelle ultime settimane e, a forza di fare due più due, si è convinta che non può essere altrimenti: Dean l’ha presa in giro e lei ci è cascata con tutte le scarpe, come la peggiore delle stupide. 
 
Forse se suo padre non fosse tornato proprio quella mattina, se non avesse litigato con John e se lei avesse avvertito Dean della sua partenza le cose sarebbero andate in modo diverso, ma non può fare niente a parte chiedersi come sarebbe andata ed è meglio smetterla di farsi tante domande e lasciar perdere, tanto le cose non cambieranno e nessuno potrà mai restituirle il pezzo del suo cuore che Dean ha portato con sé.
 
Si asciuga le guance con le mani; il cielo sta cominciando a rischiararsi e l’alba sembra vicina ormai e forse sarebbe meglio rientrare, perciò fa per alzarsi ma cambia idea quando sente la porta aprirsi. Suo padre compare sulla soglia, già vestito. Dev’essere passato parecchio tempo da quando è uscita, non se n’era resa conto.
Poco più che la guarda in faccia «Vestiti, ho un caso per te».
Ellie si alza in piedi, senza darsi pena di asciugarsi meglio il viso. «Di che si tratta?»
«Ho sentito un comunicato della polizia alla radio. Pensavo che fossi in stanza e che avresti potuto pensarci da sola, ma non c’eri così ti ho segnato le cose più importanti su un fogliaccio. Io ho faccende più urgenti da sbrigare» Ellie annuisce e tira su col naso, schivandolo e rientrando dentro la stanza.
 
Ascolta la descrizione dell’accaduto da suo padre senza guardarlo mai, gli occhi puntati sul borsone che prepara in fretta, infilandovi vestiti e le sue cose alla rinfusa – come fa sempre più spesso ultimamente – e cercando di prestare attenzione ad ogni dettaglio.
 
Indossa un paio di pantaloni senza preoccuparsi di cambiare maglietta, lo farà strada facendo. Tanto quello che deve fare è semplice: rubare una macchina a qualche poveraccio che senza dubbio ne ha molto più bisogno di lei, andare sul posto e fingere, ancora; affittare per qualche giorno un’altra stanza polverosa e lavorare, concentrarsi per cercare, trovare e uccidere il cattivone di turno. 
 
«Comunque, è scritto tutto qui» appoggia un foglio stropicciato sul letto accanto al suo borsone e lei continua ad annuire senza osservarlo, come un piccolo soldatino. Alza appena lo sguardo solo quando è ora di andare e suo padre la blocca, tenendole un braccio fermo e la guarda negli occhi e per un attimo Ellie crede di essersi sbagliata, che forse – forse – gli interessa davvero di lei, che magari si è accorto che non sta bene e che ha bisogno di un po’ di affetto, quello che lui non è mai stato capace di darle. Fondamentalmente perché non si è mai curato di farlo. «Hai qualcosa da obiettare?»
Ellie aggrotta le sopracciglia. «No, perché?»
«Non lo so, di solito sei più… entusiasta, più reattiva». Ellie non risponde, mordendosi appena il labbro inferiore. «Ti ricordo che l’hai voluta tu questa vita. Sei tu che mi hai chiesto di istruirti».
Ellie espira dal naso emettendo un lieve sbuffo, le labbra piegate leggermente in un sorriso che ha poco di felice e di rilassato e lo guarda negli occhi, in un modo in cui è sicura di non aver mai fatto. «Già, peccato che non ti sei mai preso la briga di farlo da solo, hai sempre affidato il compito a qualcun altro» fa una piccola pausa, senza distogliere lo sguardo da quello appena incredulo di suo padre «Ed io l’ho fatto per starti accanto, non per farmi mandare in giro come un piccione viaggiatore a risolvere casini di cui tu non ti vuoi occupare perché hai faccende più urgenti da sbrigare».
 
Jim sembra sempre più allibito; sbatte le palpebre dei suoi occhi grandi – più del solito – un paio di volte, come a volersi capacitare di aver sentito bene, ma Ellie non gli dà il tempo di rispondere. Mette il borsone in spalla e se ne va, chiudendosi la porta alle spalle senza voltarsi indietro.
 
Cammina per un paio di isolati – gli occhi ancora lucidi e i pensieri ingombranti a martellarle la testa – e poi sfila dal borsone una grossa lama, facendo attenzione e assicurandosi di essere sola; la infila nel finestrino anteriore di una vecchia Toyota e riesce a far scattare la serratura. Non è esattamente pratica con quel gioco dei fili, ma con un cacciavite ed una pietra risolve il problema delle chiavi e mette in moto, partendo alla ricerca del prossimo mostro da far fuori.  
 
*
 
L’aria è ancora calda per essere quasi la metà di ottobre e Dean attraversa la strada di quel piccolo quartiere di Linden, Tennessee.
 
Completo grigio da federale addosso, cravatta rossa che gli stringe un po’ sul collo e allenta con le dita prima di avvicinarsi all’ingresso di una delle villette a schiera – una delle tipiche casette americane, anonima, incastonata tra tante altre – e suonare al rispettivo campanello.
 
Le ultime due settimane sono state terrificanti. Non tanto per la presenza di suo padre che, anzi, si è rivelato più piacevole e meno “sergente” del solito, ma si sono trovati faccia a faccia con una bestia che era tutto fuorché gradevole e che li ha tenuti in allerta e svegli per troppe notti.
 
Ed ora, per di più, si è ritrovato a dover seguire un altro caso quando l’unica cosa che vorrebbe fare è sdraiarsi su un letto e dormire per un giorno intero. Probabilmente la pensa così perché ha passato giorni troppo tranquilli prima e adesso gli mancano, così come Ellie.
 
Non l’ha più vista né tantomeno sentita dopo quella strana telefonata, ma pensava di rivederla a breve, solo che a quanto pare la caccia si è protratta più a lungo del previsto e l’unica cosa che aveva voglia di fare quando riusciva a staccare dalle ricerche e dagli inseguimenti era cercare di riposarsi. Poi – e questo è davvero strano – suo padre non ha mai nominato Jim nel tempo che hanno trascorso insieme e sì, è vero che a volte passavano settimane intere prima di incontrare di nuovo lui ed Ellie, ma almeno lo menzionava, ogni tanto.
 
A parte questo, però, sul fronte John Winchester sono state le due settimane più tranquille dell’ultimo anno: niente uscite strategiche, niente colpi di testa particolari, niente di niente. Dean non sa se è perché era particolarmente preoccupato per il caso che stavano seguendo o perché aveva davvero intenzione di passare del tempo insieme a lui. Ogni tanto si diceva che era solo la calma prima della tempesta, ma poi si zittiva, perché suo padre sembrava veramente e incredibilmente tranquillo per i suoi standard.
 
Tutta questa faccenda, comunque, non gli ha di certo impedito di pensare ad Ellie e, nonostante abbia un po’ paura che le cose possano essere cambiate per lei – visto che, appunto, non si è più fatta sentire –, non vede l’ora di rivederla.
 
Cammina lungo il piccolo vialetto della casa della signora Kathleen Miller, vedova del defunto marito Jonathan, il noto psicologo di trentatré anni ucciso due giorni fa. Nessun segno di strangolamento o ferita da arma da fuoco, solo due vistosi buchi sul collo che hanno contribuito alla morte – e al prosciugamento, perché ok che era morto, ma non aveva mai visto un cadavere tanto “secco” – e Dean, come prima ipotesi, ha pensato ad un vampiro, per quanto gli sembrasse assurdo [1], ma non riesce a ricordare l’esistenza di un’altra creatura che riesca a fare uno scherzo del genere per uccidere la sua vittima.
 
Sa tutto questo dal giretto che ha fatto all’obitorio stamattina ed ora tocca alla vedova afflitta, sperando – per così dire – che sia un po’ più addolorata delle ultime signore nella stessa condizione che gli sono passate davanti agli occhi.
 
Suona il campanello e attende almeno un minuto buono prima che una donna sui trent’anni, slanciata, castana e con due vistose occhiaie sotto gli occhi scuri gli apra la porta.
Dean, come da manuale, mostra prontamente il distintivo «Buongiorno signora, sono l’agente May [2], FBI. Volevo farle qualche domanda sulla scomparsa di suo marito».
La donna sbatte le palpebre un paio di volte, visibilmente perplessa. «Beh… se vuole entrare faccia pure, ma sto già parlando con una sua collega».
 
Dean aggrotta la fronte, confuso. Non ha altri colleghi che stanno seguendo il suo stesso caso, o almeno la cosa non è di sua conoscenza, ma a questo punto è curioso e convinto che si tratti di qualcuno come lui, perché nessun vero agente dell’FBI avrebbe interesse a scavare a fondo in questa strana storia praticamente già archiviata sotto la voce “attacchi di animali” così segue la signora fino al salotto.
 
Sbatte le palpebre un paio di volte tentando con tutte le forze di nascondere un sorriso quando trova Ellie seduta sul divano aranciato che lo guarda sorpresa. Indossa una gonna delle sue – avvitate e che le arrivano sopra al ginocchio, quelle che mette per queste occasioni più “formali” – e una camicetta bianca leggermente aperta sul davanti; i capelli sono raccolti in uno chignon e il trucco è un po’ più pesante del solito, più marcato, soprattutto sugli occhi, mentre le labbra sono colorate di un rosa chiaro. Dean, col tempo, ha scoperto di preferirla più al naturale, con i capelli sciolti e la postura meno rigida e impostata, ma questo non gli impedisce di constatare quanto sia bella anche in questa veste.
 
«Non so se vi conoscete, ma… la signorina Morrison mi stava già interrogando» è la vedova Miller a interrompere il suo flusso di pensieri e Dean si gratta dietro la nuca, cercando di non mostrare la leggera agitazione che sente.
«Sì, ma—»
«Non sapevo saresti venuto, altrimenti ti avrei aspettato per cominciare» Dean fissa Ellie per qualche secondo, realizzando in fretta quanto sia diventata brava a fingere. Non si è minimamente scomposta di fronte all’imprevisto che ha incontrato “per strada” e, se non la conoscesse a fondo, sarebbe caduto lui stesso in quella grossa balla che è appena uscita dalla sua bocca.
 
Abbozza un sorriso e, ovviamente, si presta al gioco «Mi dispiace non averti avvisata, ma l’ho saputo all’ultimo minuto» e la donna, non appena si rende conto che si conoscono, lo invita a sedersi sul divano e Dean obbedisce, sistemandosi accanto ad Ellie che prontamente tira verso il basso il lembo della gonna con uno scatto nervoso. Dean finge di non farci caso, ma la cosa in realtà non gli sfugge affatto.
 
La signora Miller si siede a sua volta, proprio sul divanetto di fronte. Dean non aveva avuto modo di osservare prima la stanza: l’ambiente non è particolarmente decorato e nessun oggetto presente in quella sala lascia intendere che quella donna sia ricca o in qualche modo benestante, ma la cosa che salta più agli occhi di Dean è che c’è aria di casa, di famiglia. Le fotografie appoggiate sul legno del caminetto addossato alla parete la ritraggono insieme ad un uomo che Dean sa già essere suo marito – anche se, quando l’ha “incontrato” stamani, aveva tutt’altro che la bella cera che ha invece in queste foto – e sembrano essere felici, ma soprattutto uniti. A giudicare da come la donna adesso stringe il fazzoletto tra le dita – altro particolare che Dean non aveva notato in precedenza –, la sua perdita deve essere stata davvero un brutto colpo, per lei.
 
«Quindi suo marito Jonathan faceva lo psicologo di professione» Ellie parla, forse riprendendo il discorso da dove l’aveva lasciato prima dell’arrivo di Dean. 
La donna annuisce «Tutti in città lo conoscevano. La maggior parte, diciamo».
«Di cosa si occupava precisamente?»
«Beh… aveva pazienti di tutte le età, ma l’ambito di studio che preferiva era la psicologia infantile. Seguiva molti bambini».
 
Ellie annota tutto su un taccuino, proprio come Dean le ha sempre detto di fare. E’ bello constatare che saprebbe anche cavarsela da sola, che ha imparato qualcosa dai casi che hanno seguito insieme. Non che avesse dubbi a riguardo, ma è soddisfacente averne la certezza.
 
«E non so, ha mai notato qualcosa di strano? Odori particolari, rumori… »
La donna scuote la testa, sbattendo le palpebre con la chiara intenzione di trattenere delle lacrime «Questa casa non è tanto grande, ma… a Jonathan piaceva proprio per questo, perché è tutto… sotto controllo, così. E gli piaceva spendere soldi per dei viaggi più che per q-queste cose, l-lui voleva vedere il m-mondo e… » non riesce a contenersi e abbassa la testa, singhiozzando in modo silenzioso.
 
Dean si volta a guardare Ellie e anche lei sembra visibilmente dispiaciuta per quella donna gentile. «Può sembrare una frase fatta, ma… mi dispiace davvero per la sua perdita, signora Miller».
 
La donna annuisce senza alzare il viso ed Ellie e Dean convengono silenziosamente che è meglio andarsene; non è a conoscenza di nessuna informazione utile per loro ma, soprattutto, non se la sentono di rimanere ancora a disturbarla.
 
Quando escono dal vialetto di quella casa modesta, Dean non riesce a dire una parola. Non solo perché non si aspettava di vedere Ellie, ma è come se tutto un malloppo di cose gli sia rimasto bloccato in gola e non riesca a sgrovigliarlo per farlo uscire.
 
Senza dubbio avrebbe saputo come salutarla se fosse rimasta con lui quella mattina, un po’ meno cosa dirle, ma adesso è tutto un po’… diverso.
 
Si morde il labbro, nervoso. Ellie stringe il taccuino al petto, senza guardarlo negli occhi; gli cammina di fianco ed è stranamente silenziosa, distaccata. Forse è rimasta un po’ così per la reazione di quella donna poco fa.
«Da quanto sei qui?» Dean non sa davvero come ha fatto a spiccicare parola, non ha idea del perché sia così agitato o… in imbarazzo. Con lei non gli era mai successo prima.
«Qualche giorno». Risposta secca, striminzita. E ancora non lo guarda in faccia.
Dean non sa come interpretare questo strano mutismo, perciò tenta di buttare il discorso sul lato professionale del loro incontro casuale «Beh, bene. Insomma, di materiale credo ce ne sia un po’. Io sono stato all’obitorio e—»
«Anch’io, ma… » Ellie prende fiato un attimo, continuando ad ignorare il suo sguardo «Voglio occuparmene da sola». Dean si ferma, incredulo di aver sentito realmente quelle parole ed Ellie fa altrettanto, la testa ancora bassa.
«Come?»
«Voglio… » alza gli occhi adesso, titubante, e solo ora Dean riesce ad osservarla bene e a capacitarsi del fatto che Ellie sembri davvero stanca. Le occhiaie sono nascoste con cura sotto il fondotinta, ma Dean sa riconoscere i segni della stanchezza in qualcuno, soprattutto se lo conosce «Voglio fare per conto mio. Ero nei paraggi e papà mi ha spedito qui e… e voglio fare da sola, per vedere se so cavarmela».
«Ma scusa ci sono io, perché vuoi—»
«Ti ho detto che voglio occuparmene da sola».
 
La sua voce suona aspra e antipatica – le ultime parole scandite in modo troppo secco – e Dean la guarda ancora più perplesso. Non si è mai comportata così e si chiede che cos’ha fatto o detto di sbagliato per provocare una reazione tanto brusca.
Ellie fa per voltarsi e allontanarsi, ma Dean d’istinto allunga una mano e afferra il suo polso, costringendola a girarsi nella sua direzione.
 
Rimane un attimo così, in attesa, ancora incredulo di averla sentita parlare così a lui e del tutto all’oscuro di quale potrebbe essere la sua colpa. «Che c’è Ellie?»
Lei allarga appena gli occhi «Che vuoi dire?»
«Perché fai così? Ti ho detto che voglio aiutarti, non che voglio soffiarti il caso. Voglio solo darti una mano».
«Sì, ma… » Ellie strattona appena il braccio, decisa a liberarsi dalla presa di Dean che invece non ci pensa neanche a mollarla «Davvero, è l’occasione che ho per dimostrare che posso fare da sola, che me la so cavare. Lasciamelo fare».
Dean continua ad osservarla e… perché tutta questa scenetta non lo convince per niente? Scuote la testa «Io non me ne vado da qui».
«E allora resta. Fai come vuoi, ma lasciami andare» ma Dean, anziché ascoltarla, istintivamente stringe la presa sul suo polso. C’è una patina di tristezza negli occhi di Ellie, un'ombra, qualcosa che è tanto che non traspare dal suo sguardo e tutto ciò lo convince ancora di più del fatto che gli sta nascondendo qualcosa. Lei strattona di nuovo il braccio «Lasciami, Dean, mi… mi fai male».
Quelle tre semplici parole con cui Ellie ha concluso la frase lo riportano alla realtà e Dean non riesce ad aggiungere altro e lascia la presa, la traccia rossa della sua mano sul suo polso sottile; evidentemente ha stretto più di quanto pensava. «Ok, senti… rimango nei paraggi, se hai bisogno alloggio al Blue Motel [3], stanza quattordici».
Ellie alza le spalle e si volta, proseguendo per la sua strada, le braccia incrociate al petto e Dean la guarda andarsene senza riuscire a capire cosa le sta succedendo e, soprattutto, perché fa così con lui.
 
*
 
I pomeriggi sono terribilmente lunghi quando non si ha nulla da fare e Dean si ritrova a constatare che non era vero che aveva bisogno di riposarsi. O meglio, sì, ma quando la noia – e soprattutto i pensieri – hanno la meglio non c’è verso di farlo.
 
Tutto quello che è riuscito a fare invece di dormire è stato pensare a quella specie di incontro–scontro con Ellie e… sì, in pratica è tutto quello che ha fatto.
 
Perché se l’era immaginato in modo diverso. Non si aspettava che Ellie gli saltasse addosso, ma almeno un sorriso – uno dei suoi, di quelli che ti scaldano dentro – avrebbe potuto farglielo. Una stretta, un abbraccio, qualcosa di diverso dalla freddezza e dal distacco che invece gli ha mostrato.
 
Non ha mai fatto così, neanche quando non si conoscevano; è sempre stata gentile e sorridente con lui, affettuosa, invece oggi era… strana, diversa.
 
Forse c’entra quella carogna di suo padre – Dean non sa perché, ma quando c’è un problema è la prima persona a cui pensa – o forse è lui ad aver fatto qualcosa di sbagliato, chissà; sa solo che quando arriva la sera non ce la fa più e, con la scusa che ha fame, prende un paio di panini e due birre al primo fastfood che incontra per strada e va da Ellie, nel motel dove alloggia.
 
L’unica cosa che ha fatto nel pomeriggio è stata proprio quella di cercare il posto dove lei sta trascorrendo questi giorni qui a Linden e non è stato poi tanto difficile: il GPS [4] del suo cellulare era acceso. Forse voleva farsi trovare, o forse è solo distratta e ha dimenticato di spegnerlo.
 
Il motel si trova a qualche isolato da quello dove alloggia lui e Dean bussa alla porta un paio di volte prima di vederla comparire sulla soglia. Ellie ha gli occhiali da vista appoggiati sul naso, un paio di pantaloni della tuta grigi ed un maglioncino leggero.
 
Lo guarda perplessa – o forse un po’ arrabbiata – «Che ci fai qui?»
Dean alza il sacchetto bianco con il cibo nella sua direzione «A te cosa sembra?» le sorride appena, ma lei non ricambia «Sono venuto a farti compagnia. Ho pensato avessi fame».
 
Ellie sembra un po’ titubante, ma poi alza appena le spalle e lo fa entrare. Dean si siede sul letto dopo essersi tolto la giacca verde militare e avercela appoggiata sopra e si guarda intorno. Questa stanza è una delle più piccole che abbia mai visto: è come se tutto fosse concentrato. La cucina, il letto, tutto quanto e Dean non può fare a meno di chiedersi se Ellie si è presa proprio questa perché è a corto di soldi o perché le piace davvero.
 
Vorrebbe dirle che potrebbe andare con lui e dividere l’ambiente che ha affittato per questi giorni – non perché sia più bello, ma almeno è più spazioso – invece di stare in questo buco, ma qualcosa gli dice che è meglio tacere.
 
Addenta il suo panino e la osserva mentre si stappa la birra e ne beve un sorso per poi appoggiarla sopra la tavola accanto alla quale è seduta – anche questa stipata contro il muro, praticamente addosso al ripiano del lavello.
 
«Hai scoperto qualcosa?»
Ellie si volta e, con immensa sorpresa di Dean, lo guarda quasi in cagnesco. «Sei venuto a controllarmi?»
Lui d’istinto aggrotta la fronte, lo sguardo duro «No!» Ellie lo scruta attentamente, gli occhi grandi ridotti a due fessure e a Dean dà sui nervi questo atteggiamento odioso, ma cerca di far finta di niente per quieto vivere o perché… boh, non lo sa neanche lui il perché. «Non ci vediamo da un po’, volevo solo fare due chiacchiere, tutto qui». Ellie continua a fissarlo e forse ha l’impressione che è sincero perché la smette dopo qualche istante, tornando a concentrarsi sullo schermo del suo computer.
 
Dean la osserva con attenzione mentre beve un sorso della sua birra: ha i capelli legati in una strana acconciatura sorretta da una pinza colorata di giallo e arancione, il pugno chiuso sotto il mento e le dita dell’altra mano a battere sulla tastiera e non gli è mai sembrata tanto distante.
 
Si volta dopo un’eternità e lo guarda un attimo, gli occhiali ancora sul naso «Potresti venire qui un momento?»
Dean obbedisce, appoggiando la sua cena sul tavolo e le si avvicina, finendo di masticare il boccone. Prende una sedia per mettersi accanto a lei, alla sua sinistra, ed Ellie gli porge il suo taccuino, quello che aveva stamattina dalla signora Miller, e gli mostra una specie di schema con un elenco di fatti, luoghi e date.
 
«Jonathan Miller non è l’unica vittima, non so se lo sai» Dean scuote la testa, perplesso. O non ha letto il giornale con attenzione oppure gli è proprio sfuggito ed è probabile, perché in fondo è qui da neanche un giorno «Ecco, c’è stato un altro omicidio. Una donna, un’insegnante alle scuole elementari» Ellie indica con una matita un nome scritto sul suo taccuino e batte un paio di volte sopra la carta «Cecilia Ford. Era nubile, viveva ancora con la madre».
Dean la ascolta con attenzione, ragionando tra sé. «Donna, nubile… non sembra avere niente in comune con l’altra vittima».
Ellie annuisce «Esatto, infatti ero in alto mare. Poi, però, mi è venuto in mente che una volta ho letto di una creatura che si nutre della linfa vitale delle persone, quindi sangue e tutte le sostanze nutritive, aspirandola dal collo».
 
Ellie si volta di nuovo verso lo schermo del computer e digita velocemente qualcosa; Dean segue i suoi movimenti e istintivamente le si avvicina, la mano destra a stringere lo schienale della sedia su cui è seduta e il viso sempre più vicino a quello di lei che, dopo un po’, riesce a trovare il sito giusto.
 
«Guarda qui».
Dean legge le prime righe di uno strano articolo «Un Kendra [5]? Che diavolo—»
«E’ una creatura e si nutre di umani. Li uccide prosciugandoli».
«Questo spiegherebbe perché il povero Freud era particolarmente asciutto, stamattina. E come si riconosce questo coso?»
Ellie si volta a guardarlo ed è terribilmente vicina – così tanto che lo sguardo di Dean si posa sulle sue labbra per un istante –, anche se ormai lui ha imparato ad apprezzare questo tipo di pericolo. «E’ difficile perché ha l’aspetto di un essere umano, ma sembra che quando individua una vittima i suoi occhi brillino di un blu intenso un paio di volte, come uno sfarfallio. So solo che si nutre ogni due anni e sempre in città diverse, infatti ho trovato una marea di casi simili» prende altri fogli che aveva sopra il tavolo e li mostra a Dean «Millenovecentonovantasei, novantotto, duemila… fino ad oggi».
«Evidentemente ha finito le sue scorte e ha deciso che questo posto gli piace tanto per ricaricarsi».
«Già» Ellie incrocia le gambe, appoggiando i gomiti sulle ginocchia «Ma devo ancora capire come sceglie le sue vittime».
 
Dean le sorride «Beh, ma sei già stata brava» fa una pausa osservandola mentre lei alza lo sguardo nella sua direzione, gli occhi limpidi e forse meno tristi di questa mattina «Anche se poi hai dovuto chiedere un consiglio all’esperto in materia».
Ellie sorride appena «Ma se non hai fatto altro che annuire!»
«Beh, ma hai comunque avuto bisogno di me! Vedi che ho fatto bene a restare?»
 
Ellie abbozza un sorriso – molto meno luminoso del precedente –, la testa china, e a Dean sembra di nuovo lontana, distante. Vorrebbe chiederle perché si comporta così, ma ha l’impressione che lei finirebbe per cambiare discorso o non gli risponderebbe. Per di più, c’è un pensiero che gli gira in testa da tutto il giorno – o forse anche da prima – e non ce la fa più a tenersi dentro quest’idea, così cerca di sondare il terreno in un altro modo.
 
Si allunga a prendere quello che resta della sua cena «Ah, ho ancora il tuo braccialetto, mi sono scordato di portartelo» ed è vero. Lo ha tenuto dentro il suo borsone per tutto questo tempo, per non perderlo e non l’ha lasciato lì di proposito. Ok, forse un po’ sì, ma non crede di doverlo utilizzare come scusa per rivederla. O almeno ne era sicuro fino a qualche minuto fa.
 
Ellie lo guarda di nuovo, prestandogli forse più attenzione di quanto abbia fatto nell’ultima mezz’ora. «Ah, già… mi ero dimenticata che ce l’avessi tu». Dean la osserva ed è assolutamente certo del fatto che sta mentendo. Non si separava mai da quel dannato braccialetto, non può essersi dimenticata che era lui a tenerlo con sé in attesa di restituirglielo e questa certezza scava una traccia profonda e terribilmente amara dentro di lui.
 
Era questo il pensiero che lo ha disturbato per tutto il giorno: l’idea che Ellie si fosse pentita di essere andata a letto con lui e che per questo era così strana, per questo lo stava tenendo a distanza e questa risposta non fa altro che accreditare la sua consapevolezza, facendogli stringere il cuore in una morsa.
 
Non gliene sarebbe fregato niente se ci fosse stata un’altra ragazza al posto suo, ma con Ellie è differente perché è stato diverso e così bello e completo che il solo pensiero che lei possa essersi pentita lo scuote e divora. Non tanto per il suo orgoglio, ma per il suo cuore, che è crollato con un tonfo sordo non udibile a lei né a nessun altro.
 
Annuisce in modo totalmente meccanico, senza un minimo di convinzione e sente di aver bisogno d’aria, così si mette in piedi, appoggiando la bottiglia ancora mezza piena sul tavolo, e riprende la giacca che aveva appoggiato sul letto.
«Va beh, io vado».
Ellie lo guarda confusa e si alza a sua volta. «Dove?»
«Io, beh… a dormire, sono stanco. Ho avuto delle settimane pesanti e ho bisogno di riposarmi».
«Non finisci neanche la birra?»
«No, non… non mi va. Ci vediamo».

Sente lo sguardo di Ellie su di sé ma non si volta né si ferma e in pochi passi è alla sua amata macchina.
 
Non sono tanti i chilometri che ha fatto quando si accosta al ciglio della strada. Scende dall’Impala per poi richiudere lo sportello e appoggiare le mani sul tettuccio, proprio sopra il finestrino e quello che sa per certo è che si sente terribilmente imbecille.
 
Forse si è lasciato coinvolgere troppo, da lei e da quello che è successo, eppure dovrebbe essere allenato a tenere le distanze, dovrebbe sapere più di chiunque come si fa, ma si è fatto fregare come un ragazzino alla prima cotta.
 
Non sa se ha senso prendersela tanto, ma credeva che con Ellie potesse essere diverso, che forse c’era la possibilità di… scuote appena la testa, stringendo forte le palpebre ed ispirando l’aria fresca di questa strana serata di ottobre. In fondo, quella di Ellie era solo una frase e forse non ce l’ha davvero con lui e, comunque, prima di fasciarsi la testa deve essere certo di quello che sta succedendo, ma di una cosa è sicuro: non ha nessuna intenzione di lasciare la città. Ellie potrà anche voler provare a cavarsela da sola, ma questo non gli impedirà di tenerla d’occhio perché l’ultima cosa che vuole è che si faccia male in qualche modo. 
 
[1] Nella prima stagione, precisamente nell’episodio 1x20 “Dead’s man blood”, Dean scopre per la prima volta l’esistenza dei vampiri. Dice espressamente che credeva fossero una semplice leggenda ed è suo padre John a dirgli che, invece, esistono sul serio. Ho cercato di mantenere la “tradizione” XD
[2] Il cognome per la copertura di Dean è stato “preso in prestito” da Brian May, noto chitarrista dei Queen.
[3] Piccolissimo e forse insignificante riferimento rigirato a mio piacemento all’episodio 4x18 “The monster at the end of the book” poiché Chuck aveva predetto che Lilith e Sam avrebbero passato una notte “sprofondando in un vortice di ardente passione demoniaca” nel Red Motel.
[4] Non so da quando ha cominciato a funzionare la tecnologia del GPS, ma mi sono presa una piccola licenza. In fondo, nel 2008 (quando Dean è tornato dall’Inferno) è in questo modo che ha trovato Sam, perciò ho pensato che in quattro anni la situazione “tecnologica” non fosse così tanto diversa.
[5] Non sono minimamente a conoscenza del fatto se effettivamente esista oppure no una creatura con questo nome. Che io sappia, non esistono leggende su esseri simili che sono solo frutto della mia fantasia e il nome, Kendra, proviene dall’universo Buffyano. Più precisamente, è lo stesso della cacciatrice mandata a combattere insieme a Buffy, l’antenata – se così si può chiamare – di Faith. 
  
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