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Autore: bambolinarossa98    24/09/2015    3 recensioni
Dal testo:
"In effetti Doflamingo era un soggetto misterioso, sempre con un sadico sorriso sulle labbra o, in rari casi, stirate in un’espressione seria; non l’avevo mai visto triste o preoccupato perché quegli occhiali nascondevano l’unica parte di lui incapace di nascondere le emozioni, l’unica parte che si affacciava sulla sua anima: gli occhi."
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boa, Hancock, Donquijote, Doflamingo
Note: Nonsense | Avvertimenti: Tematiche delicate
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~E’ mattino, il sole filtra attraverso la finestra aperta e io mi desto di soprassalto; stavo facendo un bel sogno in cui c’era Rufy con me. Sorrido e guardo al mio fianco, ma non è Rufy quello che vedo.
La chioma bionda di Doflamingo brilla quasi quanto i raggi del sole, il suo busto pallido e muscoloso mi dà le spalle mostrandomi la schiena scolpita, il resto è coperto dal lenzuolo.
Sospiro delusa e abbandono la testa fra i cuscini, per quanto tempo possa essere passato, per quanto lontano possiamo essere io continuo ad amarlo; ma non è me che ha scelto.
Chissà come se la starà cavando là fuori, su quel mare insidioso e pieno di pericoli e chissà quali avventura sta vivendo con i suoi amici mentre io sono qui, alla mercé di questo individuo.
Doflamingo si rigira nel sonno e borbotta qualcosa, si volta proprio verso di me e mi passa un braccio oltre la vita continuando a dormire; ho un primo piano del suo pallido viso ben delineato, con lo sguardo serio e rilassato e gli occhi chiusi. Forse sono stata la prima in questo universo a vedere i suoi occhi, i suoi splendidi occhi verdi dal taglio orientale.
Si è tolto quegli orrendi occhiali da sole già la prima notte, quando mi prese per la prima volta: ero rimasta incantata da quelle iridi e mi chiedevo come mai li nascondesse sotto un doppio strato di lenti viola.
In effetti Doflamingo era un soggetto misterioso, sempre con un sadico sorriso sulle labbra o, in rari casi, stirate in un’espressione seria; non l’avevo mai visto triste o preoccupato perché quegli occhiali nascondevano l’unica parte di lui incapace di nascondere le emozioni, l’unica parte che si affacciava sulla sua anima: gli occhi.
Forse lo faceva di proposito per impedire ai nemici (o anche agli 'amici') di leggere le sue emozioni, il suo animo, le sue preoccupazioni... chissà cosa avrebbero letto, forse debolezza, e lui odiava mostrarsi debole.
Io in quegli occhi ho letto solo lussuria, soddisfazione, piacere mai nulla che mostrasse un'aspetto del suo carattere, anche minimo, o un'aspetto del suo dolore. Perché quello c'era, eccome se c'era: spesso la notte lo sento agitarsi mormorando nomi e una volta, sono pronta a giurarlo, ho visto delle lacrime in quegli occhi verdi prima che lui scappasse in bagno.
Con gli occhiali è solo una sadico pazzoide con manie di grandezza... ma senza è una persona tormentata dai fantasmi del passato.
Mi chiedo chi siano questi fantasmi e cosa rappresentino per lui; ma più spesso mi chiedo cosa rappresento io per lui. Non ha mai accennato al simbolo che ho impresso sulla schiena, finge di non sapere nulla ma io so che lo ha visto.
Cosa avrà mai pensato di me? Dopotutto lui è stato un Drago Celeste in passato, ha avuto degli schiavi e quel simbolo lo conosce anche troppo bene.
Il dubbio che lui mi consideri una sua schiava per diritto mi fa crescere un odio profondo verso quell'essere disgustoso che si crede Dio, ma poi...
"Già sveglia, Principessa?" mugugna girandosi di schiena con uno sbadiglio mentre si poggia un  braccio sugli occhi per proteggerli dal sole.
"Non è mia abitudine fare ora tarda la mattina" rispondo fredda. Lui ghigna.
"Beh, dopo una serata impegnativa..."
Non rispondo ma gli volto le spalle tirandomi le coperte fino alle orecchie che però vengono strappate via pochi istanti dopo e me lo ritrovo prepotentemente addosso. Ha messo gli occhiali sul naso e le sue mani sul mio corpo.
"Non era stata una serata impegnativa?" domando gelida.
"Non abbastanza" mi risponde lui col suo solito ghigno mentre mi stringe il seno tra le proprie dita "Ma nulla c'impedisce un bis, no?" aggiunge facendosi largo col busto tra le mie cosce; mi penetra senza troppe storie e si spinge in me con foga. Un gemito sfugge al mio controllo, getto il collo indietro e le sue labbra si avventano su di esso coprendolo di baci e sospiri.
Ma poi... ma poi... lui riesce sempre a sorprendermi facendomi quasi credere che sia amore anche se ben so che è tutto fuorché quello.
Anche dopo l'amplesso Doflamingo non accenna a volersi staccare da me, mi osserva con le labbra stese in un espressione seria mentre il mio petto si alza e si abbassa velocemente cercando di ritornare tranquillo... dopo alcuni istanti scende dal letto e si dirige verso il bagno con nonchalance, fiero di mettere in mostra il suo culo di marmo che sa io osservo; la domanda mi sorge spontanea.
"Ma almeno li togli quei cosi quando fai la doccia?"
Lui si ferma sulla soglia e risponde senza neanche voltarsi: "Perché non lo scopri da sola?" ed entra in bagno lasciando la porta socchiusa.
Mi alzo, non per andare da lui bensì per vestirmi, sento l'acqua della doccia scorrere e ne approfitto per uscire senza che se ne accorga.


Quando Doflamingo uscì dal bagno e trovò la camera vuota s'irritò, e non poco, ma sapeva che sarebbe tornata. Era sempre così con quella donna.
Si tolse l'asciugamano dalla testa e si guardò allo specchio, sfilò gli occhiali ed esitò un secondo prima di aprire gli occhi.
Le sottili iridi color smeraldo gli rilanciarono uno sguardo freddo e profondo, si era quasi dimenticato com'erano fatti tanto era il tempo trascorso da quando aveva indossato per la prima volta quel paio di occhiali e che non si era più tolto.
Doflamingo era un tipo a sé, non gli piaceva mostrare le proprie emozioni e gli occhi la dicevano lunga su di lui... troppo lunga.
Non li aveva tolti nemmeno quando uccise Rocinante poiché sapeva che i suoi occhi avrebbero tradito il suo sorriso, che avrebbero mostrato esitazione e rimorso. Però con lei lo aveva fatto, poiché era sua abitudine dormire con il faccino scoperto; però... non poteva negare di sentirsi meglio. Da quando c'era lei gli incubi erano diminuiti; forse per l'orgoglio di non mostrarsi debole neanche durante il sonno, una cosa che non era mai riuscito a controllare, si era autoimposto inconsciamente di tenere a freno certi fantasmi, non lo sapeva con certezza ma era quasi un sollievo per lui.
E lei?
Non l'aveva mai vista priva del sul carattere freddo e autoritario, non l'aveva mai sentita piangere o lamentarsi neanche durante il sonno, i suoi fantasmi non la tromentavano eppure quel segno marchiato a fuoco sulla sua pelle la diceva lunga sul passato di quella donna.
Per quanto tempo era stata schiava? Com'era scappata?
Essere schiavo non è una passeggiata, men che mai per una ragazza, la maggior parte vengono violentate di quando in quando o diventano le scaldaletto del padrone; un abuso fisico e traumatico oltre ogni dire.
Da ragazzo aveva sentito di una ragazza che si era data fuoco subito dopo essere stata stuprata dal suo padrone, aveva a malapena quindici anni... ne era rimasto scioccato, benché sbandierasse ai quattro venti di essere di nobile famiglia ed avere innumerevoli servi quella storia gli aveva lasciato un segno profondo nell'anima che sarebbe diventata una tacita promessa personale: non avrebbe mai abusato di una propria schiava.
Ovviamente dopo la decisione del padre di lasciare il titolo e vivere come un semplice nobile di campagna, decisione che avrebbe poi portato alla drastica svolta della sua vita e alla morte della madre, non aveva avuto altri che una vecchia cameriera e un maggiordomo... poi più nulla.
Anche ora, nella sede della Donquijote Family, si aggiravano delle concubine in minigonna e scollatura ma per di più prestavano i loro servizi a Buffalo, Gladius, Señor Pink... lui non voleva averci nulla a che fare: anche se erano loro a volerlo gli sembrava quasi di abusare del loro corpo. Usare una donna per il proprio piacere personale lo faceva sentire... sporco.
Con Hancock era diverso: lei non era la sua schiava, la sua scaldaletto o la sua compagna di giochi lei era la sua donna. Solo sua, di nessun altro, e non c'era solo sesso tra loro.
E lei?
Pensava a Cappello di Paglia; lui lo sapeva benissimo. Qualche volta la sentiva mormorare il suo nome nel sonno mentre abbracciava il cuscino sorridente... ma lui l'aveva respinta anzi, non l'aveva mai voluta.
Doflamingo non dava peso a quel moccioso, perché sapeva che non era nulla di importante: se Hancock avesse amato davvero Rufy non avrebbe mai accettato di venire lì a Dressrosa per lui, non avrebbe mai condiviso il letto con lui, non avrebbe mai mostrato quel segno proprio a lui.
A volte aveva il dubbio che lei facesse tutto ciò perché si sentiva ancora una schiava, forse credeva che fosse un suo diritto servirlo poiché lui discendeva da una famiglia di Draghi Celesti e questo gli faceva uno spiacevole effetto: come se le viscere gli si contorcessero e una vocina gli diceva di darci un taglio.
Se davvero fosse stato così allora... poggiò il palmo della mano sullo specchio e guardò il proprio rilfesso che gli rivolgeva uno sguardo freddo e crudo.
Era diventato ciò che non voleva essere.
Era forse questo il motivo per cui se ne andava? Cambiava idea e trovava ingiusto dover ancora comportarsi in quel modo quando era oramai libera? E allora perché tornava?
Lei tornava, sempre... ma se non fosse più tornata?
Chiuse la mano e tirò un pugno allo specchio, il vetro andò in frantumi e il sangue gli colò sulle nocche macchiando il pavimento.
E se invece non fosse stato così? Se lei andava da lui perché, in un certo senso, lo amava?
"Pfft..." represse una risata e osservò i molteplici riflessi che lo guardavano divertito dagli angoli divisi dello specchio. Figuariamoci, quella donna non amava nessuno all'infuori del moccioso!
Probabilmente per lei Dofalmingo era semplicemente uno sfogo per reprimere la noia e la mancanza del vero oggetto del suo desiderio.
Vista così la cosa faceva sembrare lui lo scaldaletto, il che era ironico.
Si raddrizzò e si allontanò dallo specchio pulendosi la mano insanguinata sull'asciugamano con noncuranza, aprì l'armadio ed iniziò a tirar fuori i vestiti: la sua camicia bianca, i suoi improbabili pantaloni fuxia e gialli, il suo amato Boa nero... stop.
I suoi Boa erano rosa non neri. Come ci era finito quel coso lì?
Lo guardò attentamente e un lampo gli attraversò gli occhi: Rocinante indossava Boa neri.
Spostò lo sguardo sullo specchio incrinato e vide i propri occhi scintillanti divenuti spenti e opachi... maledizione!
Gettò il cappotto di piume a terra e gli diede le spalle, ecco cosa odiava dei propri occhi, ecco perché indossava gli occhiali: quelle iridi dicevano ciò che lui non voleva né vedere né mostrare. Lo spaventavano le sue stesse emozioni.
Se gli altri non le vedono io non gli do peso.
Era divenuto il suo motto personale quando aveva preso gli occhiali da sole tra le mani per la prima volta, quando li aveva indossati, quando aveva varcato la soglia lasciandosi il padre morto per mano sua, la madre morta di malattia nel letto e Rocinante a piangere sul corpo di quest'ultima, alle spalle.
Suo fratello non aveva mai avuto problemi a mostrarsi debole, avevano due caratteri completamente opposti, sin da bambini, e questo era ciò che più li differenziava oltre alle strade parallele che avevano intrapreso e che avevano portato alla morte del ragazzo.

Ti ho accolto nella mia casa, ti ho tratto con tutti i riguardi, eri la mia unica famiglia... perché mi hai tradito?

Quelle parole gli erano salite alla gola quel giorno di tredici anni prima ma erano rimaste lì, mute, mentre premeva quel grilletto all'apparenza senza esitazione o ripensamenti. Invece era tutto lì, dietro quelle lenti dal colore scuro che per la prima volta avevano conosciuto l'umidità dell'amarezza senza però sfociare in una sola lacrima.
Neanche allora aveva ceduto alle debolezze dell'animo umano, perché avrebbe dovuto farlo ora?
Stupida vita, stupide emozioni, stupidi occhi!
Perché i rimpianti e le amarezze devono sopraggiungere proprio ora? Ora che la sua vita sta andando così bene... ma stava davvero andando così?
Maledizione!
Poggiò le mani chiuse a pugno contro le ante dell'armadio e mise la testa fra esse: Calmati, Doflamingo, calmati.
Respirò a fondo finché non calmò la spiacevole sensazione nel suo stomaco e i brividi che per un attimo l'avevano scosso.
Cosa ti è successo, neh? Ti sei rammollito? Cazzo, non è il momento, non dopo tutto quello che hai fatto per arrivare dove sei! Non dopo tutto ciò che hai sacrificato, non dopo tutto ciò che hai patito... non puoi perdere il controllo delle tue emozioni ora: se lo fai adesso sarà finita per sempre!
Respirò per tre volte, molto profondamente, poi si mise dritto ed iniziò a vestirsi molto accuratamente, si gettò addosso il cappotto di piume rosa e recuperò gli occhiali dal comodino indugiando un attimo sulla porta.
Alla fine l'inforcò e tutti i colori assunsero tonalità diverse sovrastate dal viola pesante delle lenti. Indossò il suo miglior sorriso e varcò la soglia diretto alla stanza centrale della sede della Donquijote Family.
I suoi occhi non sarebbero mai più stati un problema, così come le sue emozioni e se queste due cose si fossero incrociate, allora, se li sarebbe cavati dalle orbite piuttosto che mostrarli a qualcuno al culmine della loro debolezza.
Lui era Donquijote Doflamingo, un nome che ispirava potere ma anche rancore.
Lui era forte di potere e di carattere.
Lui era un Demone, e i demoni non sono deboli.

Ma... anche i Demoni piangono

   
 
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