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Autore: The Writer Of The Stars    24/09/2015    2 recensioni
. Erano tremendamente imperfetti: Sakura parlava troppo, Sasuke per niente; Sakura sorrideva sempre, Sasuke aveva paura di ridere; Sakura sapeva piangere, Sasuke sembrava non aver mai imparato. Eppure, nel loro connubio di imperfezione, formavano la coppia perfetta, sia nel ballo che nella vita futura, che Kakashi era convinto avrebbero condiviso insieme. Si completavano a vicenda in un puzzle intricato di arabesque, degaje, attitude e prese disperate accompagnate dalla drammatica colonna sonora della loro vita.
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AU! |SasuSaku|
Angst, malinconico, introspettivo
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Ispirata da “See you again”, tratta da Fast and Furious 7.

 
“Sakura, stendi meglio la gamba! Devi riuscire a gravare il meno possibile su di lui, e tu, Sasuke, devi afferrarla prima sui fianchi o rischi di andare fuori tempo e di farla cadere!” Gli occhi verdi di Sakura si aggrottarono, afferrando e decifrando al meglio i suggerimenti impartiti dal loro maestro. Sasuke lasciò la presa su Sakura non appena udì la musica fermarsi, e subito volse lo sguardo dinanzi a sé, anche lui attento a quelle raccomandazioni. Kakashi li guardò, un minuscolo sorriso nascosto dalla caratteristica maschera che indossava sempre a impregnargli le labbra; quei due piccoletti erano fenomenali. Avevano appena undici anni, era vero, eppure non aveva mai visto nessuno ballare come loro. Era quasi assurda e incredibile la chimica che scorreva tra di loro quando ballavano eppure, per quanto sembrasse onirica e metafisica, era reale, c’era, esisteva e impregnava ogni pomeriggio le pareti scrostate e decadenti di quella minuscola saletta confinata nel palazzo fatiscente alla periferia di Chicago. Lo aveva capito subito, dal primo momento in cui li aveva visti su quel vecchio marciapiede liso dal tempo, le risate di Sakura che risuonavano a tempo con la melodia della chitarra acustica di quel mendicante poco più giù, e loro due, appena nove anni sulle spalle, che si muovevano a tempo con la musica, Sasuke che l’afferrava prontamente prima che lei inciampasse, in semi cadute degne di una perfetta ed intensa coreografia di danza contemporanea. Aveva letto, sul fondo di quelle iridi buie come la notte e verdi come la speranza, che quei bambini avevano qualcosa in più e nei loro passi improvvisati, quasi accidentali e dettati dall’impossibilità bambinesca di restare immobili, aveva scorto ciò che non vedeva da tempo: talento. Puro talento. Aveva capito che anche loro avevano avuto la sfortuna di nascere dall’altra parte della strada, di trascorrere l’infanzia tra i palazzi fatiscenti e le risse tra bande di quel quartiere pericoloso, come era avvenuto a lui. E proprio perché sapeva cosa significasse vivere lì, aveva deciso – e capito- che quei due se la meritavano eccome una possibilità. Così se li era portati in quel palazzo di quel quartiere di merda, in quella saletta con gli specchi rotti ai muri e le sbarre traballanti alle pareti, dove lui stesso aveva iniziato a danzare- a vivere- e aveva trasformato quello sgabuzzino nella loro nuova casa. Per solo due ore al giorno, ma almeno era una casa, quella che fisicamente avevano ma nel cuore, oh nel cuore, proprio non c’era.

Sakura era stata facile da convincere. Era bastato palesarle il suo talento nascosto, farle presente quanto bella fosse la sua espressione quando danzava, e lei era già lì, scaldamuscoli di lana ai polpacci doloranti e piedi scalzi – perché le scarpette costavano- sporchi di pece greca, la testa già puntata avanti, ad un teatro vero. Sasuke era stato un problema. Sebbene gli occhi di Kakashi fossero sinceri ed emanassero convinzione quando diceva loro che meritavano di più, che avrebbero potuto farcela ad emanciparsi da quel covo di arretrati mentali e che Broadway non era tanto lontana infondo, nemmeno nei loro sogni, Sasuke non ci aveva creduto. Aveva dato loro tre giorni per decidere, e quando allo scoccare delle 18,00 dell’ultimo giorno non li aveva visti arrivare, Kakashi aveva sentito un dolore sordo al petto per la consapevolezza che la vita di quelle anime di talento sarebbe andata sprecata. Ma poi, quando aveva sentito la vocina acuta di Sakura strillare un “Sasuke, muoviti!” dalla tromba delle scale e aveva visto una testina rosata, accompagnata da due occhioni scuri e impassibili sbucare dallo stipite della porta che cadeva a pezzi, un sorriso di sincera gioia gli aveva illuminato segretamente in viso; non avrebbero sprecato la loro vita. Ne avrebbero fatto un capolavoro.

Erano passati due anni da allora e Sakura e Sasuke sembravano, incredibilmente, migliorare sempre di più. Avevano ormai raggiunto un livello di bravura talmente alto che Kakashi stesso era consapevole non provenire dai suoi insegnamenti ma dal talento e da quella chimica inspiegabile che legava i due bambini dai primi anni di vita, quando si erano conosciuti per caso su quel marciapiede morente, davanti a quel barbone con la chitarra in mano. Erano tremendamente imperfetti: Sakura parlava troppo, Sasuke per niente; Sakura sorrideva sempre, Sasuke aveva paura di ridere; Sakura sapeva piangere, Sasuke sembrava non aver mai imparato. Eppure, nel loro connubio di imperfezione, formavano la coppia perfetta, sia nel ballo che nella vita futura, che Kakashi era convinto avrebbero condiviso insieme. Si completavano a vicenda in un puzzle intricato di arabesque, degaje, attitude e prese disperate accompagnate dalla drammatica colonna sonora della loro vita.

Se c’era una cosa che Kakashi aveva notato, era che quando danzassero, quei due piccoletti dimenticassero tutto il mondo intorno a loro;  sembrava che le grida della gente sulla strada sotto di loro si dissolvessero nell’aria, che i soldi che non c’erano in casa non servissero più, che i debiti del padre di Sakura e la severa violenza di quello di Sasuke venissero seppelliti da tutt’altra parte, lontano dai loro sguardi complici. Non si trattava di essere tecnicamente perfetti, perché per quanto anche lui fosse stato fino a poco tempo prima parte del corpo di ballo della “American Ballet” – cacciato poi per la sua irriverenza e la sua voglia diversa di vedere la danza, non come fredda accozzaglia di movimenti ma come unione di due anime in una sola melodia onirica- la prima cosa che saltava agli occhi non erano le punte dei piedi di Sakura perfettamente tirate o la potenza con cui Sasuke spiccasse quei salti così alti, no; la prima cosa che tutti notavano erano loro. Le loro espressioni, i loro sguardi di intensa solitudine e silenzio, i loro occhi che non si staccavano mai gli uni dagli altri, l’aura di sbagliata e costretta maturità che avvolgeva le loro anime fanciullesche. Semplicemente loro. Sasuke e Sakura, Sakura e Sasuke.


“Crede che potremmo farcela?” Kakashi si riscosse da quei ricordi, fissando l’undicenne dai capelli rosati dinanzi a lui, che aveva appena aperto bocca.

“Dico sul serio, non voglio illusioni.” Continuò, prevedendo ogni sua eventuale rassicurazione programmata. Gli occhi di Sasuke chiedevano la stessa cosa, quel “Broadway” luccicava sul fondo delle sue iridi, sovrastato da un enorme punto interrogativo. Kakashi abbandonò il suo piccolo sorrisino, fissando i ragazzi sudati e accaldati per lo sforzo dinanzi a lui.

“Non vi avrei mai proposto una cosa del genere, se non fossi stato sicuro delle vostre capacità.” Rispose semplicemente, gli occhi però inteneriti dinanzi a quelle comprensibilissime preoccupazioni e incertezze fanciullesche.
Quando grazie alla sua vecchia compagna di accademia Tsunade era venuto a sapere che presto ci sarebbero stati dei provini per l’American Ballet proprio lì a Chicago, non ci aveva pensato un attimo a riferirlo ai due ragazzini e ad incoraggiarli a provarci, perché loro avrebbero potuto farcela e perché loro se la meritavano quell’occasione. Erano ancora piccoli, vero, ma quella era l’opportunità di andarsene di lì e di dimostrare al mondo le loro capacità, dimenticandosi finalmente tutte le sofferenze passate e lasciandosi alle spalle quella parte di Chicago che nessun bambino avrebbe mai dovuto vedere. Il padre di Sakura era stato riluttante all’inizio, incredulo per così dire; ma quando Kakashi gli aveva spiegato che se ce l’avesse fatta a superare l’audizione, Sakura avrebbe ricevuto una borsa di studio per studiare all’Accademia di danza di New York, il signor Haruno aveva sospirato pesantemente, concordando con lui che Sakura se la meritava quella vittoria e che almeno così se ne sarebbe potuta andare da quel posto.

Dai genitori di Sasuke invece non aveva sentito niente. Aveva provato a convincerlo che avrebbe parlato lui con loro, ma Sasuke era stato irremovibile e lo aveva liquidato assicurando che ci avrebbe pensato lui. Quando il giorno dopo si era presentato alla lezione con le mani ficcate nelle tasche e il collo ben infilato tra le pieghe della felpa, dicendo semplicemente che sì, avrebbe sostenuto l’audizione, consegnandogli l’autorizzazione firmata, Kakashi lo aveva guardato poco convinto, ma pochi secondi dopo era arrivato l’uragano Sakura a travolgere Sasuke, abbracciandolo felice perché avrebbero realizzato il loro sogno insieme. Sasuke non aveva risposto all’abbraccio, ma si era limitato a fissare la chioma rosata di Sakura con una sfumatura di malinconia negli occhi che Kakashi mai gli aveva visto in volto.


Le labbra di Sakura si aprirono in un sorriso raggiante e rassicurata dalle parole di Kakashi lanciò uno sguardo colmo di speranza e decisione a Sasuke, sentendo i muscoli rabbrividire leggermente sotto i vecchi scaldamuscoli ormai sdruciti. Si stavano raffreddando, bisognava rimettersi subito al lavoro.

“Coraggio, all’opera! Non passerete di certo nessuna audizione poi domani, stando fermi come stoccafissi! Dall’inizio!” esclamò Kakashi sorridendo, avvicinandosi al vecchio stereo. Sasuke e Sakura annuirono impercettibilmente, posizionandosi al centro della sala, seduti in terra, gambe al petto, schiena contro schiena, le mani che si sfioravano e i cuori che battevano all’unisono. Poi una nota familiare. Primi accordi che si elevavano dallo stereo mezzo rotto di Kakashi. E due animi ancora illibate che tornavano ad unirsi, danzando.
 


“Fa davvero freddo, né Sasuke?” esclamò Sakura con voce leggermente tremante, sfregando le mani fra di loro nel tentativo di scaldarsi. Sasuke le lanciò uno sguardo di sufficienza, ficcando le mani ancora più affondo nelle tasche della giacca, gli occhi persi per troppi secondi nelle iridi verdi e innocenti di Sakura.

“Se ti coprissi di più, non sentiresti così freddo; e vedi di non ammalarti, altrimenti con chi ballo io?” lo disse con tono freddo e disinteressato, eppure in quelle parole, Sakura percepì il messaggio implicito di Sasuke, che ammetteva che senza di lei non avrebbe potuto più ballare; e dire che l’audizione doveva essere fatta singolarmente. Kakashi, pochi passi dietro di loro, le chiavi della sala prove strette tra le mani guantate, sorrise impercettibilmente, sentendo l’orgoglio e l’ansia per l’audizione di quei due piccoletti che ormai considerava come figli suoi agguantargli il cuore.

“Sasuke!” sobbalzarono tutti e tre, mentre gli occhi di Sasuke si spalancavano al suono di quella voce così imperiosa e minacciosa. Si voltò con lentezza, trattenendo il respiro.

“Papà?” esclamò con un fil di voce, sentendo la cicatrice sulla schiena, inflitta con la cintura del genitore, tornare e stillare sangue dentro di lui. Il padre di Sasuke lo fissava con astio, i pugni stretti in due morse letali, la bocca serrata e gli occhi fiammeggianti  di rabbia e corrugati in un’espressione che fece tremare anche Sakura.

“Che ci fai qui, si può sapere?!” ringhiò come un cane, gli occhi iniettati di sangue. Sasuke distolse lo sguardo dalla sua figura, sentendo le corde vocali improvvisamente secche.

“Ti avevo detto che non volevo vederti più in questo posto, o sbaglio?! Non ti è chiaro che devi stare lontano da questa stupida ragazzina?!” continuò, alzando sempre di più la voce e additando malamente Sakura. A tali parole la ragazzina spalancò gli occhi, sentendo gli occhi pizzicarle per la paura che quell’uomo le incuteva.

“Sakura.” Disse solamente Sasuke. Suo padre spalancò gli occhi.

“Cosa?”

“Si chiama Sakura.” Rispose, la voce fredda e il tono duro, una sfida persa in partenza negli occhi. Il signor Uchiha strinse maggiormente i pugni, un ringhio che si levava dalle sue corde vocali.

“Non me ne frega un cazzo di come si chiama! Ti avevo detto che non dovevi più venire qui!” esclamò rabbioso, gli occhi che disgustati si posavano su Sakura, ancora immobile con gli occhi sgranati.

“Ma …” tentò di protestare il ragazzino, subito interrotto dall’esclamazione sprezzante e cruda dell’uomo.

“Danzare! Ma come cazzo ti viene in mente, eh? Vuoi diventare una checca, eh?! Dì la verità, vuoi fare il frocio, brutto …”

“Adesso basta!” gli occhi neri di Sasuke e quelli gemelli di suo padre si spalancarono di scatto, voltandosi verso la voce tremante che aveva gridato. Sakura aveva i pugni stretti lungo i fianchi, gli occhi gonfi di lacrime che non voleva però versare.

“Lasci stare Sasuke! Non ha il diritto di parlargli coì, io …”

Sbam.

Sakura non riuscì a completare la frase, che la mano callosa dell’uomo si era schiantata contro il suo volto con una potenza tale da spingerla sino in terra, gli occhi a pochi centimetri da un tombino dove l’acqua della pioggia appena iniziata scivolava via.

“Sakura!” si ritrovò ad esclamare Sasuke, sgranando gli occhi preoccupato, senza nemmeno rendersene conto.

“Non ti hanno insegnato a stare al tuo posto, ragazzina?” chiese maligno il signor Uchiha, un ghigno sprezzante sul volto.

“Non sono cazzi tuoi come parlo a mio figlio, puttanella.” Terminò, sputando in terra contro di lei. Sakura sgranò ancora di più gli occhi a quell’appellativo malvagio, le lacrime di dolore che sgorgavano dagli occhi e l’orgoglio distrutto.

“Signor Uchiha.” L’uomo si voltò di scatto, infastidito da quell’ulteriore intromissione, ritrovandosi a fissare l’espressione dura di Kakashi, la bocca serrata sotto la maschera.

“E tu che cazzo vuoi adesso, eh?! È colpa tua se viene a sprecare i pomeriggi qui, anziché fare quello che dico io!” lo aggredì, un pugno serrato. Kakashi aggrottò lo sguardo, cercando di mantenere la calma.

“E cioè cosa, picchiarsi con altri ragazzini per conti che dovreste regolare voi adulti?” chiese cinico, sapendo di aver centrato in pieno. Il signor Uchiha rimase in silenzio, un ringhio selvaggio in gola.

“Comunque mi spiace se ho trattenuto Sasuke fino a quest’ora, ma dopodomani hanno l’audizione per l’ ‘American Ballet’ e dovevano finire di prepararsi al meglio …” Il signor Uchiha lo bloccò di scatto, con un fulmineo gesto della mano.

“Audizione per cosa?! Che cazzo sta dicendo, eh?!” chiese non capendo, la rabbia che ribolliva nelle vene. Sasuke abbassò lo sguardo verso l’asfalto consumato, mordendosi con forza il labbro inferiore. Kakashi sgranò gli occhi, confuso.

“Come di cosa sto parlando, Sasuke non le ha detto dell’audizione?” chiese incredulo, una nuova consapevolezza che si faceva spazio in lui. Il signor Uchiha serrò i pugni con più forza, afferrando di scatto Sasuke per un braccio e scuotendolo con vigore.

“No, non mi ha detto proprio niente! Che cazzo di storia è questa, eh Sasuke? Che ti era passato in mente, eh?!” chiese con veemenza, gli occhi rossi fuoco. Sasuke sobbalzò leggermente, lo sguardo sempre basso.

“Volevo andare a New York. Per ballare.” Spiegò con voce talmente bassa che se non fosse stato lì vicino, Kakashi non avrebbe di certo potuto sentire. Gli occhi dell’uomo si sgranarono ancora di più, la stretta sul braccio che si faceva sempre più forte e dolorosa.

“Ah è così?! Volevi ballare, eh?! Ora ti faccio vedere io dove ballerai, brutto figlio di puttana!” gridò, strattonando Sasuke con una forza tale da farlo gridare. Era ubriaco, Sasuke lo sapeva, sentiva l’odore di vodka pungergli le narici e istigarlo a conati di vomito che trattenne per orgoglio. Disgusto per suo padre, per l’alcol, per quella strada, per quel quartiere, per quella vita del cazzo. Con una violenza inaudita, il Signor Uchiha strattonò Sasuke verso di lui, prendendo a camminare via e trascinandoselo dietro con la forza. Sakura, sino a quel momento rimasta inerme dinanzi a quella scena, tentò di alzarsi in piedi, cercando con gli occhi pieni di lacrime quelli bui e profondi di Sasuke.

“Sasuke” gridò con voce arrochita, la pioggia che sovrastava il suo tono. Eppure Sasuke la udì comunque, perché si voltò a guardarla, fissandola come non aveva mia fatto sino ad allora. Silenzio. Occhi negli occhi, lacrime nella disperazione, amore nell’amore che non sapeva d’esserci ancora, supplica nelle scuse, addio nell’addio.

“Sasuke!” gridò ancora, le gambe molli e doloranti che cercavano di correre dietro di lui. Poi le braccia di Kakashi, strette attorno al suo busto, imprigionandola in una morsa ferrea, un “fermati” silenzioso.

Il “Stai ferma, Sakura, stai ferma” sussurrato in un orecchio, gli occhi verdi che si staccano sconfitti da quelli neri, le lacrime che scendono, il livido sul braccio di Sasuke per la violenza del padre e Kakashi che osserva la schiena di Sasuke allontanarsi sotto la pioggia, ormai per sempre.
 

Sei anni dopo...

Sakura alzò gli occhi verso l’alto, le nuvole bianche che si diradavano e si allargavano nel cielo, donandole un sorriso del sole dritto in fronte. Inspirò profondamente, l’aria viziata di New York che le inebriava i sensi, appagando i polmoni alla ricerca di un po’ di respiro. Quel giorno, la lezione all’Accademia era stata più dura, forse la più difficoltosa capitatale in quegli anni. Non era stato per il primo caldo estivo che l’aveva spossata fisicamente, e nemmeno per il fatto che la signorina Tsunade era stata più severa del solito quel giorno a destabilizzarla. No. Il problema era sorto quando dallo stereo ultramoderno della gigantesca sala prove, era partita quella melodia. Tsunade aveva scelto di creare una coreografia di danza contemporanea – quella che Sakura amava di più e in cui riusciva meglio- sulle note di una melodia che le aveva bloccato il respiro. Non appena gli accordi iniziali del brano si erano espansi dalle casse, Sakura aveva infatti avvertito il cuore arrestarsi di botto e gli occhi, spalancati a dismisura si erano riempiti di lacrime, a quel ricordo di sei anni prima. Aveva fatto un respiro profondo, cercando di calmarsi, ma gli occhi bui di Sasuke erano tornati a tormentarla con irruenza, arroganti e prepotenti come sempre. Perché Kakashi aveva scelto quel brano per loro due, sei anni prima, quando danzavano nella fredda saletta dalle sbarre traballanti, con gli scaldamuscoli rovinati e i piedi scalzi al contatto col vecchio parquet. Kakashi aveva scelto quel brano per loro, e loro l’ avevano ballato fino allo stremo, con gli occhi lucidi di una malinconia inspiegabile, le mani ancora infantili che si stringevano fra di loro con sicurezza, gli occhi che si incontravano e si perdevano in dimensioni tutte loro quando ballavano insieme. Schiena contro schiena, l’ultimo contatto di quel giorno in cui il destino aveva dettato il loro addio, in cui Sakura non aveva più visto Sasuke, in cui nonostante le lacrime di dolore Kakashi l’aveva portata comunque all’audizione, sussurrandole un “fallo per te e per lui, per il vostro sogno” e poi l’aveva spinta dentro all’aula, dinanzi gli esaminatori che l’avevano guardata sorpresi dalla sua giovane età ma che di fronte all’intensa malinconia dei suoi passi l’avevano accolta nel loro mondo, senza sapere che quegli enjambemant dovevano essere in due anziché una a farli.

Nonostante tutto ce l’aveva fatta, era andata a New York. Aveva detto addio a Chicago e a quella strada maledetta, a suo padre, a Kakashi che l’aveva abbracciata piangendo e che da sei anni a quella parte la chiamava ogni sera per sapere come andassero le lezioni, raccontandole poi di come si fosse finalmente fidanzato con una certa Rin e che probabilmente quella era la volta buona per compiere il grande passo. Ma Sasuke non l’aveva visto. Il giorno della sua partenza lui non c’era, e come addio le sarebbe dovuto bastare quello sguardo indecifrabile frammentato dalla pioggia, quegli occhi che da sei anni a quella parte popolavano i suoi sogni ed incubi più remoti, costringendo spesso le sue compagne di stanza dell’Accademia a svegliarsi per colpa delle sue lacrime disperate.

Aveva cercato di seguire la coreografia ideata da Tsunade insieme a tutti gli atri, ma ad ogni nota il suo cuore le dettava quei passi che Kakashi aveva ideato per loro e che lei e Sasuke avevano condiviso fino all’ultimo giorno, quando mancava tanto così per farcela. Per questo, non appena l’ora era finita, Sakura era corsa via dall’aula, gli occhi bassi e lucidi, il respiro ancora trattenuto, scappando via dalla scuola e salutando i suoi compagni di corso con un “a domani” stentato. E adesso stava camminando senza meta per le strade caotiche di New York, un peso ad opprimerle il cuore e la malinconia a straziarla, quegli occhi neri a torturarla. Era assurdo, sapeva di essere un’idiota, perché diavolo, aveva diciassette anni ora, eppure non era mai riuscita a dimenticare Sasuke e soprattutto a smettere di amarlo, rifiutando tutti per non tradire quell’amore che ancora sperava stupidamente di ritrovare.

 Doveva essere proprio impazzita allora, se dopo pochi istanti incontrò davvero quegli occhi bui come la notte, da qualche parte su quello spiazzale affollato. Sakura sbatté le palpebre con veemenza, certa che si trattasse di un sogno; eppure, quando riaprì gli occhi, il cuore smise definitivamente di battere.

I capelli neri erano ancora scompigliati e ribelli, come se li ricordava, e i tratti del viso erano rimasti pressoché identici, se non per il fatto che la linea della mascella si fosse indurita un po’, eppure gli zigomi conservavano ancora quella dolcezza angelica che da bambina l’aveva ammaliata. Era diventato alto, come sospettava, e il petto, fasciato in una t-shirt bianca e leggermente attillata, era scavato da muscoli che nella sua mente non faticò ad immaginare, con un moto di vergogna a scuoterla. E gli occhi, oh gli occhi, nonostante si trovasse abbastanza distante e per di più di profilo, riuscì a vederli benissimo, e il cuore smise definitivamente di battere. Era lui. Sasuke Uchiha stava lì, a New York, dinanzi a lei, seduto in terra al centro di quella piazzola affollata di curiosi. Ancora frastornata, sobbalzò violentemente all’udire una melodia dannatamente familiare espandersi da uno stereo poggiato in terra, poco distante dal ragazzo, e gli occhi, per l’ennesima volta, tornarono a farsi lucidi in quella giornata che sembrava essere l’apoteosi della malinconia e dei ricordi.

Ma Sasuke non era solo un ricordo adesso; Sasuke stava lì, era presente in carne ed ossa ed era bello, più bello di quanto ricordasse. Non riusciva a capacitarsi del fatto che si trovasse lì a New York, con uno stereo a fianco e un cappello pronto per raccogliere le monete dinanzi, nell’immagine perfetta dell’artista di strada che era sempre stato. E non seppe nemmeno lei il perché, ma non appena le note della loro canzone le perforarono i timpani, Sakura lasciò cadere il borsone dell’accademia in terra, abbandonandolo blandamente ai piedi del marciapiede. Le gambe presero a muoversi da sole, avvicinandosi con lentezza al suo obbiettivo, e più Sasuke – che non si era accorto di lei- si faceva vicino, più sentiva il dovere e il diritto di fare ciò che voleva fare. Con un movimento lento si sedette in terra, alle spalle del ragazzo. Schiena contro schiena, mani che si sfiorano sbadatamente, cuori che battono all’unisono. Sasuke sobbalzò al percepire una presenza alle sue spalle, mentre un brivido lungo la schiena e due occhioni verdi e colmi di lacrime si facevano spazio nella sua mente, come tutte le notti di quegli infiniti sei anni di lontananza. La musica continuò e ad un accordo comune, Sakura inarcò la schiena contro Sasuke, che nel mentre si spinse in avanti, facilitandole il movimento, incredulo: nessuno conosceva quella coreografia, nessuno a parte Kakashi e lei. Come da schema, Sasuke fece la stessa sequenza, inarcandosi stavolta verso quella schiena che tremava di Sakura e aspettando con tutto se stesso il momento in cui la musica e la coreografia li avrebbe costretti a voltarsi, per potersi guardare negli occhi.

E accadde. Si alzarono in piedi, facendosi forza a vicenda sulla schiena. Un ronde jambe di Sakura, liscio e fluido. La testa rosata che si alza di scatto, i cuori di entrambi che perdono un battito. Sasuke spalancò gli occhi all’incontro delle sue iridi con quelle verdi di Sakura – quanto gli erano mancati quegli occhi color della giada e talmente grandi e belli da spaventarlo, da fargli accelerare il battito cardiaco al solo guardarli, quand’erano ancora bambini- e per un attimo sentì il cuore saltare un battito, cosa che non gli era mai capitata in vita sua.

“Sakura …” sussurrò incredulo, Sakura che sorrideva con la bocca e con gli occhi. Gli prese subito la mano, stringendola con forza tra la sua più piccola e delicata, come allora.

“Sasuke …” rispose lei, un leggero sorriso a incurvarle le labbra. In un attimo, la presa sulla mano si rafforzò e i passi, ancora impressi alla perfezione nella memoria di entrambi, vennero da soli, spontanei. Sakura si gettò tra le braccia di Sasuke, in quella presa che anni addietro avevano provato centinaia di volte, che Kakashi aveva spiegato loro fino allo stremo e che ora era perfetta, come se non avessero mai smesso di provarla in tutta la loro vita. Un pivot step in tempo preciso, un change malinconico e le braccia di Sasuke che accolgono Sakura nuovamente, la portano sopra di sé, sulle spalle dove si adagia come non faceva da anni, più su, verso il cielo, come un’aquila che vola libera tra le nuvole bianche. I piedi che tornano a terra, il Jazz Square di Sasuke, il Ball Change deciso e al tempo stesso delicato, uno chasses da parte di entrambi per avvicinarsi,un developpe envelopè per allontanarsi di nuovo, un grand batman da entrambe le parti, i passi che si susseguono in simmetria perfetta, uno di fronte all’altro. La gente che passa e se ne va, quelli che si fermano e restano incantati da quella chimica, da quel modo di ballare che esclude il resto del mondo, come Kakashi aveva imparato ad amare, e Sakura e Sasuke che non vedono la folla, ma solo gli occhi dell’altro, che si perdono nel loro mondo a parte, come sempre, come non accadeva da sei anni. Sakura che scivola dolcemente in terra con un Sissonne Fall e Sasuke che arriva da dietro e la solleva con delicatezza, prendendola per i fianchi, come diceva sempre Kakashi, come gli suggeriva l’istinto. E poi un Hip Fall per entrambi, a tempo perfetto, i visi che si voltano di scatto, tornano a sedersi con le gambe al petto, di nuovo schiena contro schiena, le mani che si sfiorano sbadatamente, i cuori che battono all’unisono, la musica che finisce e la realtà che torna. L’applauso della folla, il tintinnio delle monetine gettate nel cappello di Sasuke che sbattono tra di loro, i bambini che continuano a indicarli stupiti mentre vengono trascinati via dai genitori impegnati. La vita che continua, mentre due si sono appena riunite.

Sakura respirò a fondo, senza staccare la sua schiena da quella di Sasuke, alzando gli occhi al cielo in un “grazie” rivolto oltre le nuvole. Sasuke rimase immobile come lei, il fiato corto, i capelli scompigliati, un rivolo di sudore che scorreva dalla fronte, percorrendo tutto il suo volto fino alla linea decisa della mascella, stillando poi una goccia sull’asfalto cocente di New York.

“Che ci fai qui?” chiese Sakura, sentendosi un’idiota per quella domanda. Non perché non le interessasse, anzi, ma in realtà avrebbe voluto dire qualcos’altro prima di quello, un “mi sei mancato” un “ti amo” che non gli aveva mai detto, qualunque cosa che potesse fargli capire che in quel momento era la persona più felice della terra. Ma niente. Solo quella stupida domanda. Maledette sinapsi incontrollabili.

Sasuke ghignò leggermente divertito, sfiorando sbadatamente il dorso della mano di Sakura con le proprie dita magre.

“Questo era il nostro sogno, non ti ricordi? Sono venuto per realizzarlo.” Rispose semplicemente, il tono distaccato di sempre. Sakura sorrise, stringendo la mano di Sasuke con forza e dolcezza, recependo tutto ciò che Sasuke non sarebbe mai stato in grado di dire.

“Ti amo anche io.” Sussurrò, il sole che sorrideva sulla sua fronte.
 

Sakura fissò il cielo limpido, libero da nuvole e colmo solamente di miliardi di stelle. La radiosveglia sul comodino che segnava le 3,00 le ricordava che a quell’ora sarebbe dovuta essere sotto le coperte, sprofondata nel sonno, perché la mattina successiva si sarebbe dovuto svegliare all’alba e essere pronta per la lezione di classica alle 7,30 precise, ma in quel momento se ne fregò delle tanto sudate scarpette da punta che l’ammonivano dal fondo del letto, ostinandosi a tenere lo sguardo puntato altrove. Gli occhioni verdi fissarono la luna, piena e bellissima quella notte, come si ricordava piaceva a Sasuke. Strinse le labbra, credendo assurdamente che in quel momento Sasuke stesse facendo lo stesso, che anche lui ora avesse gli occhi puntati al cielo e che guardando la luna stesse pensando a lei, chiedendosi se stesse bene, consapevole di non essersi dimenticato di quella ragazzina dai capelli rosa di cui era innamorato. Sakura sorrise leggermente, gli occhi lucidi ed enormi, la luna e il volto di Sasuke che si riflettevano in essi come enormi specchi.
 
“Sono arrivata davvero lontana dal punto da cui siamo partiti, sai Sasuke? Te lo prometto, ti racconterò tutto quando ci rivedremo di nuovo …”
 
 
“It’s been a long day without you my friend
And I’ll tell you all about it when I see you again
We’ve come a long way from where we began
Oh I’ll tell you all about it when I see you again
When I see you again …”
 
 
Nota autrice:
Seconda one shot Sasusaku, wow! E nuovamente AU, esatto. Personalmente pratico danza classica da ormai dodici anni, perciò mi sono liberamente sbizzarrita in questa storia, inserendo nomi su nomi di passi di danza classica e contemporanea, ma se volete farvi un’idea di cosa consistano i termini che ho utilizzato nelle descrizioni, vi lascio un link abbastanza dettagliato su di essi: http://www.dancevillage.com/danza_mondo/danza_moderna_termini.php
Spero che sia risultato abbastanza chiaro,  e soprattutto spero che la storia vi sia piaciuta! Fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima!
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