Quando
Eragon si destò la luna era ancora alta nel cielo, ma
all’orizzonte si iniziava
ad intravedere il sole che rischiarava il firmamento. Si rese conto di
non
essere più accanto a Saphira, ma non capì
immediatamente in quale tenda fosse
finito. Allora si guardò intorno, ma non riuscì a
distinguere alcuni elementi
con la stessa precisione e con la stessa dettagliata vista che aveva
fino alla
morte della sua dragonessa. Al momento non se ne preoccupò,
credendo di essere
ancora stanco per il combattimento del giorno precedente, ma poi
qualcosa lo
fece sobbalzare.
Si
ricordò che erano stati i draghi a farlo somigliare ad un
elfo, a renderlo
atleticamente perfetto, a dargli una forza fuori dal comune. Ma come
Cavaliere
dei Draghi. Cosa che ormai non era più, per colpa di
Galbatorix. Quindi era
tornato umano, si disse, e iniziò a pensare a tutti i
momenti passati con la
sua dragonessa. Lacrime di sconforto iniziarono a scendere lungo il
profilo del
suo viso, inesorabilmente umano, e lui si sfogò
completamente prima di riuscire
a controllarsi.
Si
alzò,
si fece un bagno freddo, indossò una delle sue tuniche
elfiche ed uscì, diretto
al padiglione di Nasuada, il comandante dei Varden. Le strade
dell’accampamento
erano ancora deserte, visto l’orario, eccezion fatta per le
sentinelle in
ronda. I pochi passanti che incontrò lo fecero sentire
ancora più inutile,
visto che abbassavano la testa al suo passaggio. Come biasimarli?
Dopotutto lui
e Saphira erano le uniche speranze di vittoria contro
l’Impero, gli unici in grado
di fermare il re crudele ed il suo fido braccio destro Murthag.
Giunse al rosso padiglione di Nasuada e notò che lei era sulla soglia, intenta a tessere un pizzetto. Lui la salutò così: << Salve Lady furia nera. Passata una buona notte? Dobbiamo parlare. >>
<<
Un
momento solo, Eragon Ammazzaspettri. Lo vedi, sono
impegnata. >>
Così
passarono circa due ore, dopo le quali Eragon si alzò di
scatto per protestare,
ma prima che avesse il tempo di farlo Nasuada lo fermò
esclamando: << Calma
Eragon. Andiamo dentro, anche io devo comunicarti qualcosa di
importante >>. E
così fecero. Quando il ragazzo scostò il lembo
della tenda che fungeva da porta
vide che all’interno il padiglione era stato riempito di
armi, armature e
scudi. Eragon si chiese il perché, ma non riuscì
a darsi una risposta
convincente. Devo,
devo dirglielo, ma come farò a
trovare il coraggio per ammettere
questo errore, fatale per i Varden? Non lo so, ma lei deve sapere,
pensò
l’ex Cavaliere. Meglio che venga a
conoscenza
del fatto da me, piuttosto che da Galbatorix. Anche perché
l’ora è tarda, lui
conosce il mio nome.
Iniziò
a parlarne con Nasuada, quando un tonfo
assordante rimbombò di fianco alla tenda e i Falchineri
stramazzarono a terra,
contorcendosi dal dolore. Troppo tardi,
si disse Eragon, e si preparò alla battaglia.