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Autore: Anita_Anita    25/09/2015    2 recensioni
Dopo la morte della nonna materna, la vita di Clare non è più la stessa.
Adolescente inquieta e introversa, si blinda in un guscio di lacrime e silenzi, sbalzi d'umore repentini e una negatività distruttiva che minaccia di trascinarla lentamente e disperatamente nell'oblio.
Ma Clare non sa di non essere sola. C'è qualcuno, una presenza invisibile ma sempre vicina, che non ha smesso di vegliare su di lei e che desidera restituirle la felicità perduta.
Proprio sua nonna infatti, affiancata dalla complicità dell'arcangelo Gabriele, tenterà in tutti i modi di sfidare le leggi del Paradiso per intervenire nella fragile esistenza della nipote e rimettere le cose a posto. E quando comprenderà che l'unico miracolo che potrebbe salvarla è l'Amore, si farà in quattro per trovarle il Principe Azzurro dei suoi sogni più romantici.
Ma sarà poi così giusto manovrare le redini del destino della ragazza?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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PROLOGO

 

 

Il giorno in cui mia nonna ci lasciò tirava un vento forte e gelido. Non volevo indossare qualcosa di troppo triste, così scelsi uno dei suoi abitini preferiti, che quando mi guardava mi diceva di assomigliare a una fata leggiadra. Era nero, in modo che potesse rivelare il mio dolore, ma aveva anche dei minuscoli fiorellini bianchi sul davanti identici a quelli del suo adorato giardino.

Mia nonna era una donna di ferrei principi e inconfutabili certezze, ma non era mai stata severa con me. Mi aveva trattata come una figlia prediletta, come il miracolo della sua vita. Mi voleva un gran bene.

Passavo quasi tutto il tempo in sua compagnia; mi piaceva per certi versi, mi faceva sentire al sicuro, in un luogo in cui si nascondevano tesori meravigliosi; dall’altra parte, però, mi metteva addosso un’impellente bramosia di libertà.

Aveva sempre una storia da raccontarmi. Favole inventate su misura per me, dove le principesse non rimanevano mai affacciate al balcone ad aspettare l’arrivo del principe (quasi sempre un ritardatario), ma montavano in sella al loro destriero e viaggiavano in lungo e il largo per il mondo in cerca di un'identità.

Perché ciò che mi insegnavano i suoi magici racconti, e ciò che mi ripeteva ogni volta che si accorgeva delle mie tristezze, era sempre e solo una cosa: siamo noi gli artefici del nostro destino. Noi che lo scriviamo e che ne determiniamo la direzione.

Mi mancava da morire, e non era solo un modo di dire.

Il fatto è che non ero mai stata pronta a dirle addio. Avevo sempre creduto che le fosse stata concessa una vita immortale ma avevo imparato che anche il mondo aveva i suoi «ferrei principi» e la morte occupava il primo, ineluttabile posto.

La chiesa era gremita, la funzione fu breve e commuovente. Non fui brava a trattenere i singhiozzi, ma in fondo cosa importava se gli altri mi sentivano piangere? Erano estranei alla sofferenza che provavo, e mai avrebbero potuto capire.

Nessuna cerimonia del «dopo funerale», nessun pietismo né ridicole pacche consolatorie sulle spalle. La gente se ne andò e noi parenti ci ritirammo nella solitudine.

Il tempo rallentò e da allora non ha più ritrovato il suo ritmo.

Si ruppe. Come il mio cuore.

Il giorno in cui mia nonna ci lasciò, tirava un vento forte e gelido. Entrai in quella che era stata la sua stanza, dove tutto era ancora al suo posto, come se lei avesse potuto comparire da un momento all’altro e aprire uno dei cassetti del suo portagioielli per indossare la sua collana preferita.

Chiusi gli occhi, mentre le lacrime continuavano a sgorgare ustionandomi le guance già irritate.

Le lenzuola conservavano il suo profumo, borotalco e quel lieve aroma fiorato che mi faceva pensare a distese di soffice erbetta e al sole di prima mattina. Anche i vestiti nell'armadio ne erano pregni. Tutto sapeva di lei.

Mi rannicchiai sul suo letto e strinsi forte il cuscino. Piansi fino a prosciugarmi, fino a farmi scoppiare la testa.

Non capivo perché se ne fosse andata. Era venuta meno al suo «patto». Non glielo avrei mai perdonato.

Il giorno in cui mia nonna ci lasciò, tirava un vento forte e gelido, il tempo si era rotto, la chiesa era gremita, le lacrime bruciavano, il vestito non era troppo triste, le pareti avevano trattenuto il suo profumo e io affondavo.

   
 
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