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Autore: f9v5    25/09/2015    1 recensioni
[Crossover; Full Metal Panic/Black Lagoon] [Linguaggio scurrile "gentilmente" concesso da Revy e anche da altri, astenersi finti moralisti]
Un nuovo incarico per i Fattorini che ogni tanto si scontrano con la legge, un rapimento che nasconde più trame di quante ne mostri all'apparenza.
Una Whispered incolpevole il cui unico peccato e avere concetti tecnologici in testa che lei neanche ha chiesto e un fissato delle armi che si crede sempre in guerra.
Attraverso la frazione rossa che porta al "Domani".
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kaname Chidori, Sousuke Sagara, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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-Insomma, mi state dicendo che il tenente comandante Kalinin vi ha insignito di un permesso speciale per prestarmi soccorso anticipato?- 

-Si… possiamo dire così. In realtà avrebbe detto che, per via di un mio problema (mia magistrale recita), potevo godere di qualche giorno di pausa per rimettermi in sesto e ha dato alla sorellina Mao il compito di assistermi nella mia guarigione.- spiegò Kurz, senza resistere alla tentazione di vantarsi per quella che, a sua detta, era stata una trovata geniale.

-Certo, ci aveva creduto eccome che avessi contratto il morbo della mucca pazza.- aggiunse Melissa con sarcasmo, facendo crollare comicamente l’aura di possanza che il collega aveva tentato di costruirsi.

In quel momento i tre colleghi e amici erano a bordo di un elicottero che la Mithril aveva fornito ai due colleghi di Sagara per andarlo a prendere.

In quello che era stato a tutti gli effetti  un gran colpo di fortuna, il radar del ragazzo aveva captato il segnale della cimice lasciata addosso a Chidori pochi minuti dopo il loro arrivo.

Sousuke non perse tempo a raccogliere tutte le sue cose e trascinare i due amici dentro il mezzo di trasporto ordinando a Melissa, con calma condita da grande serietà, di mettere in moto e partire subito.

Le ore successive erano trascorse  con Sousuke che spiegò come si fossero svolti i fatti che avevano portato al rapimento di Chidori, seguito appunto da Kurz che illustrò la sua recita per far si che lui e Melissa potessero contravvenire alle regole e recarsi in anticipo in soccorso del compagno. E se Mao poteva essere sincera, era fin troppo ovvio che Kalinin non avesse minimamente abboccato alla sceneggiata di Weber.

Ma era altrettanto ovvio quanto fosse forte il legame che quell’uomo aveva stabilito con Sousuke, abbastanza da permettere a loro due di andargli in soccorso.

Gli dovevano un favore.

-Allora sorellina, le coordinate della cimice dove portano?- chiese Kurz ad un certo punto.

Melissa, in quel momento alla guida, spostò leggermente lo sguardo al radar dell’elicottero.

Si morse il labbro al leggere il nome della destinazione verso cui stavano volgendo.

-Roanapur… Thailandia!- esclamò con disprezzo.

-Direi che questa città non ti è nuova? È un posto pericoloso?- chiese Sousuke con la massima serietà.

La bella donna storse il naso.

-Pericoloso?! Sinceramente non ci sono mai stata e pochissime volte è successo che una missione della Mithril coinvolgesse questa città, ma i pochi membri della nostra organizzazione che ci sono stati l’hanno descritta anche troppo chiaramente!-

Dopo aver ascoltato quel presupposto, persino Kurz perse parte del suo solito buonumore.

-E dunque?-

-Avete presente le favelas brasiliane?! Vi sembreranno un allegro villaggio vacanze a confronto. I nostri colleghi l’hanno definito un luogo dimenticato da Dio dove “Legge” e “Giustizia” non esistono nemmeno sui dizionari. Li sono le varie mafie a comandare e morire sparati alla fronte e la morte più dolce che possiate avere.- concluse la donna.

Non aveva certo pronunciato quelle parole per intimorire i suoi due colleghi (ormai l’esperienza le aveva insegnato che ci voleva ben di più per mettere in allarme quei due incoscienti), quanto piuttosto per far capire loro la pericolosità del posto in cui sarebbero andati a cacciarsi.

-Non vedo dove sia il problema. Se qualcuno tenta di farci qualcosa, un bel calcio nel didietro. Ritroviamo la piccola Kana, la salviamo e c’è ne andiamo di corsa dopo aver dato una bella lezione ai suoi rapitori. Dico bene Sousuke?- concluse il ragazzo biondo, porgendo all’amico quella che, in quel frangente, era la domanda più retorica del mondo.

-Affermativo!-

Pochi minuti dopo Melissa sollevò su una questione su cui non avevano ancora discusso.

-Ora che mi torna in mente: Sousuke, una volta che saremo arrivati lì dovremo ovviamente investigare e chiedere informazioni per scoprire con precisione dove stanno coloro che hanno rapito Chidori.-

-Si, e dunque?-

-Non hai pensato al fatto che, se per caso uno di loro ti vedesse e riuscisse ad avvisare gli altri questi si sposterebbero allungando ulteriormente la faccenda. In base a quanto ci hai detto, sono stati chiaramente assoldati da qualcuno, quindi c’è da presumere che si incontreranno a breve, a quel punto le nostre possibilità di ritrovare Chidori scenderebbero notevolmente.-

Kurz sollevò leggermente un sopracciglio, pensando che effettivamente l’osservazione della “sorellina” era corretta: Sousuke era sicuramente un esperto nel muoversi in incognito, ma se per disgrazia fosse stato notato avrebbero seriamente corso il rischio che l’operazione salvataggio fallisse.

Ma un lieve sorriso di sicurezza spuntò sulle labbra del giovane mercenario.

-Osservazione corretta. Anche io ci avevo riflettuto e ho escogitato uno stratagemma affinché nessuno possa riconoscermi o notare il mio aspetto.-

E quando aprì il suo zaino e ne mostrò il contenuto ai due colleghi, Kurz scoppiò a ridere, Melissa mollò i comandi dell’elicottero giusto il tempo di sbattersi una mano in faccia.

-Mi auguro tu stia scherzando.-

Ma lo conosceva troppo bene ormai… sapeva già che non stava scherzando affatto.

 

 

 

Kaname, da quando era stata portata in quell’appartamento, si sentiva più un ospite, anche se in un senso molto ampio del termine, che un ostaggio.

Nella sua mente immaginava che l’avrebbero ammanettata a qualche struttura ben solida per evitare che scappasse e che l’avrebbero nutrita a stento per stancarla, invece non era successo nulla del genere.

Quel quartetto di sbandati (oltre all’uomo e la donna che l’avevano rapita, aveva avuto modo di “conoscere” gli altri due membri di quel gruppo mercenario) l’aveva trattata nella stessa maniera con cui si sarebbe trattato un coinquilino dell’ultimo minuto.

Era quasi come se per loro lei non esistesse.

-Qui fuori è peggio dell’Inferno! Se hai anche solo un po’ di cervello non uscirai da questo appartamento… ammesso ovviamente che tu non voglia andare incontro ad una morte orrenda.- le aveva detto, sadicamente, l’unica donna del gruppo poco dopo il loro arrivo lì.

In un primo momento non ci aveva creduto, “Le solite cose che dicono i rapitori per tenere buono il loro ostaggio” aveva pensato.

Ma poi quello che vide per quelle strade fece sì che il suo primo tentativo di fuga fosse anche l’ultimo.

Era evidente che in quella città (sempre ammesso che si potesse definire tale) non avrebbe avuto nessuna possibilità di trovare qualcuno che l’aiutasse, era già stato un miracolo che fosse ancora viva.

E, le seccava dirlo, se non fosse stato per quella stessa donna che l’aveva rapita sarebbe morta in quel vicolo.

-Io ti avevo avvisato. E sappi che se adesso ti ho parato il culo e perché ci servi viva. Mi auguro quindi di non doverti più riprendere. Roanapur non è un posto dove i bambini possono scorrazzare liberamente!-

E nell’osservare quel volto annoiato misto ad intimidazione nei suoi confronti, Kaname non ebbe la forza di dire nulla e, a capo chino, la seguì senza fare storie.

-Gli ha sparato e non ha provato la minima emozione. Come si fa ad essere così freddi?- si chiese la ragazza, prendendosi la testa tra le mani per frenare i ricordi.

Aveva bucherellato quell’uomo come se niente fosse, come se per lei fosse stata un’azione abitudinaria e, sinceramente, non faticava a crederlo.

-Sei ancora sconvolta per quanto ti è successo qualche giorno fa, ho ragione?- chiese una voce maschile, distogliendola dai suoi pensieri.

Solo in quel momento Kaname notò l’uomo giapponese sedutosi accanto a lei sul divano.

In un certo senso, poteva dire con quasi assoluta certezza che fosse l’unico a non metterle timore.

Non che gli altri membri di quel gruppo le avessero mai recato problemi, però lui era l’unico nei cui occhi era riuscita a vedere solidarietà e umanità.

-Non hai motivo di crucciarti, è perfettamente comprensibile. Nessuno riesce a restare impassibile quando vede qualcuno venire ucciso davanti ai suoi occhi.-

-Non mi pare che la sua “collega” se ne sia preoccupata. Come si può avere una così bassa considerazione della vita umana?! Dovrei esserle grata perché di fatto mi salvato da uno stupratore, ma come faccio a non provare risentimento verso qualcuno che uccide come se fosse una cosa da nulla?- biascicò la ragazza, quasi con disperazione.

L’uomo, che nei giorni scorsi le si era presentato come Rock, la guardò con sincero dispiacere.

-Anche io ai miei primi tempi me lo chiedevo. Revy ha chiaramente passato un tipo d’infanzia che nei probabilmente avremmo potuto vedere solo nei nostri incubi. E quando la vita ti tratta da schifo, cominci a disprezzarla. E quando disprezzi qualcosa per tanto tempo, alla fine non ti importa più niente di essa. Non ho mai saputo cosa ha passato Revy e non credo di volerlo sapere… dubito riuscirei a sopportarne il peso.- concluse sommessamente Rock.

Kaname sospirò, affranta e spaventata.

-Lei sembra una persona del tutto diversa dai suoi colleghi. Cosa la spinge a restare in questo postaccio?-

Rock rimase in silenzio in un primo momento, dopo di che si accese una sigaretta.

Avevano avuto alcune discussioni anche nei giorni precedenti, le aveva raccontato in linea massima quali furono gli avvenimenti che, da anonimo impiegato di un’azienda, da Rokuro Okajima, lo avevano portato lì, a divenire membro di una banda di mercenari, a divenire Rock.

E Kaname se l’era sinceramente chiesto: ne valeva davvero la pena?

-Sai, la cosa paradossale di questo posto è che, pur dovendo sempre aver paura di uscire, e anzi, anche di restare chiuso in casa, qui vige, in una forma decisamente perversa, ma c’è, l’onestà. Qui non ci sono finti moralisti, che mostrano la faccia di bronzo per nascondere il marcio che hanno dentro. E poi…- durò solo per pochi istanti, Kaname notò gli angoli della bocca dell’uomo piegarsi in un ghigno innaturale, un qualcosa di così istintivo di cui lui sicuramente non si era neanche reso conto.

-… ogni volta che mi ritrovo coinvolto in una delle nostre folli missioni provo qualcosa. Non so di preciso come definirlo, ma mi fa venire i brividi lungo la schiena. Un qualcosa di estremamente piacevole, di cui non si può fare a meno.-

Dopo pochi istanti, quell’orrenda scintilla sparì dagli occhi dell’uomo e Kaname pensò di aver capito: era l’oscurità di quel posto. Roanapur era peggio dell’Inferno in Terra, era l’unione di tutte le cose brutte dell’essere umano, un cancro silenzioso che si sviluppa dentro il corpo per corroderlo lentamente, senza essere notato.

Quell’uomo era buono, lo era davvero, ma anche il suo animo era ormai rimasto macchiato dall’oscurità di quella città, la macchia era ancora molto piccola, ma era impossibile da rimuovere, si sarebbe espansa a poco a poco.

In quel momento, fu lei a provare dispiacere per lui.

Ad un tratto la porta dell’ingresso si aprì ed entrò l’imponente figura di un uomo di colore, che Kaname sapeva (grazie alle brevi discussioni avute con Rock) chiamarsi Dutch e che era il capo del gruppo.

-Ragazzi, ho contattato il nostro datore, la consegna avverrà stasera!- dichiarò, premurandosi di alzare la voce affinché anche tutti i suoi colleghi.

In quel momento la donna di nome Revy uscì da quella che doveva chiaramente essere camera sua con l’aria assonnata tipica di chi è stato appena svegliato.

-E a che scopo romperci le palle adesso, Dutch? Sono le tre di pomeriggio… se non fosse che sei tu a darmi lo stipendio ti avrei già aperto un buco in fronte.-

-Questo lo so, ma avevo intenzione di andare allo Yellow Flag a farmi qualche goccetto e non mi pare che tu abbia mai detto no ad un buon liquore. Ovviamente, Rock, la piccola Kana viene con noi!-

Kaname storse il naso; Rock le aveva parlato anche della curiosa abitudine del suo capo di dare soprannomi a destra e a manca, ma quante cavolo di possibilità c’erano che le affibbiasse proprio quello che già le davano i suoi amici e del quale aveva sempre cercato di liberarsi?!

-Neanche a farlo apposta.- borbottò in giapponese, sperando di non essere capita.

-E Revy, va a tirare Benny Boy fuori dal suo “covo”. Quando e impegnato con i suoi computer è così distratto che non sentirebbe neanche una bomba esplodere.-

Mezzo secondo dopo la donna trascinava l’informatico della Lagoon per la collottola per poi depositarlo al centro del soggiorno.

-Che mi sono perso?- chiese con calma, ormai abituato alle pessime maniere di Revy.

-Smuovi il culo, secchione, andiamo a scolarci qualche bicchiere.-

Mentre i primi tre membri della Lagoon cominciarono a guadagnare la porta, Rock prese un attimo in disparte il loro ostaggio.

-Ehm… ti dico solo di stare calma, non guardare per troppo tempo nessuno e se Revy ti sfida ad una gara di bevute tu rifiuta.- nell’ultimo avvertimento assunse involontariamente un’aria comica.

-Non bevo.- disse solo questo la ragazza prima di uscire.

Era finita proprio in un posto assurdo.

 

 

 

A Roanapur non c’era mai stato spazio per lo stupore.

Tutti coloro che ci vivevano erano consapevoli di se stessi, sapevano di essere, dal primo all’ultimo, dei bastardi figli di puttana di cui persino il Diavolo avrebbe avuto paura di fidarsi.

Perché, di fatto, gli abitanti di Roanapur, per quanto potessero superficialmente sembrare diversi tra loro, dentro volevano tutti la stessa cosa: il proprio tornaconto!

Furti, inganni, raggiri, uccisioni e tradimenti erano il pane quotidiano in quel posto verso cui persino Dio sembrava aver perso ogni speranza.

In quella città che non condivideva nulla con il resto del mondo si respirava un’aria opprimente, marcia come i suoi abitanti ed era cosparsa da quell’aura di follia e depravazione che mai nulla avrebbe potuto lavar via.

Una città dannata.

Ma persino in un posto del genere può capitare un evento fuori dall’ordinario.

-Ragazzi, ci guardano tutti e non sono gli sguardi di chi sta per appendere gli striscioni di benvenuto per darti una calda accoglienza.- borbottò Kurz Weber con una comica espressione terrorizzata.

Melissa Mao, accanto a lui, ricambiò il suo sguardo con uno comicamente rassegnato ed un sorrisetto tirato.

-E ti meravigli?! Anzi che nessuno ci ha ancora puntato armi addosso.-

Eppure nessuno dei due sentiva di aver davvero paura, quelli che lì osservavano erano sì bestie selvagge che non si facevano scrupoli ad uccidere per pochi quattrini, ma considerata la loro esperienza militare, dal loro punto di vista quelli erano pesci piccoli.

Melissa, esasperata, aggiunse un’ultima cosa sottovoce, con quell’aria comica che si stavano portando dietro.

-Ma, sinceramente Sousuke, è davvero così che pensi di non farti riconoscere?!-

-Beh, sai come si dice, sorellina: il modo migliore per nascondersi è stare sotto gli occhi di tutti!-

-Taci Kurz… e smettila di fissarmi le tette!-

Quel giorno, l’aura opprimente di Roanapur venne smorzata da un bizzarro trio di estranei guidati da un orsacchiotto a grandezza umana che guidava il gruppetto col passo cadenzato e il tono cantilenante.

-Fumo Fumo Fumo! Fumo Fumo Fumo! Fumoffu!-

 

 

 

 

 

 

Angolo dell’autore:

Ed eccoci con il quinto capitolo, come vedete avete dovuto aspettare molto meno rispetto al precedente, di questo devo ringraziare il tempo che avendo deciso finalmente di concedere un buon fresco mi permette di stare più tempo alla tastiera e scrivere.

E come avete letto, l’azione si è definitivamente spostata a Roanapur, la città del peccato (altro che Las Vegas)dove anche gli animi più buoni come quello di Rock rimangono macchiati a vita.

Parlando di Rock, forse vi sarà sembrato un po’ OOC, ma per chi conosce bene Black Lagoon (e, non per vantarmi, penso di saperne abbastanza)avrà notato che nell’arco narrativo “Roberta’s Blood Trail” Rock sembrava totalmente un’altra persona: oscuro, cospiratore, quasi perverso. Alla fine della saga si è scoperto che alla fine era solo una sua recita messa in atto per far funzionare meglio il suo piano e far si che nessuno restasse ucciso, ma quel suo piano è stato un vero e proprio azzardo, azzardo che il Rock di inizio serie, secondo me, non avrebbe mai tentato appunto perché troppo rischioso e soprattutto non avrebbe mai avuto abbastanza sangue freddo da fingersi un bastardo insensibile. È evidente dunque che, a sua stessa insaputa, Rock abbia involontariamente finito per “Roanapurizzarsi” (ho inventato un nuovo termine… mi aspetto di vederlo sui dizionari tra qualche anno! ^_^).

Questa storia si colloca prima di “Roberta’s Blood Trail”, certo, ma per come la vedo io, ci doveva già essere a questo punto qualche lieve sprazzo di follia di cui lo stesso Rock non si rende conto.

E parlando della fine… non mentitemi dicendo che non vi è scappato almeno un risolino al pensiero, perché non ci crederò!

Sì, gente: Bonta-kun è giunto a Roanapur!

Magari ad una prima analisi sembrerà del tutto fuori luogo (e, sinceramente, era quello che volevo: spezzare un po’ l’aria truce di Roanapur con qualcosa che, persino in un posto del genere, avrebbe destato stupore)eppure, ragionandoci un po’, vedrete che in fondo calza: voi sospettereste mai che il soldato che vi da la caccia sia dentro un pupazzo semovente che se ne va in giro senza preoccuparsi di essere visto?

Però, se nel precedente “Angolo dell’autore” sono stato molto sbrigativo stavolta ho parlato anche troppo.

Scusate, sarà l’euforia per aver finalmente detto Arrivederci a quell’Estate che tanto odio… che razza di siciliano sono?

Alla prossima gente!

 

 

  
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