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Autore: kissenlove    25/09/2015    5 recensioni
Dal capitolo #1
Era sempre una grande impresa riabituarsi a spazi nuovi, a compagni che ti guardano come se avessero davanti uno straniero, come se non avessero mai assistito a una cosa del genere.
Ciò mi portava inesorabilmente ad impegnarmi a ricercare tra una miriade di parole che mi ronzano nei pensieri qualcosa che potesse andare bene, qualcosa che desse un impatto positivo. Ero ferma, dinanzi alla figura del professore, che aveva appena concluso il suo consueto discorso agli studenti sul loro impegno nello studio, per poi accennare in modo vago il mio arrivo come nuova studente della Seiyo Accademy. Dopo di quello, un veloce chiacchierio di sottofondo si diffuse fra i miei nuovi compagni che si stavano chiedendo il motivo per cui non parlassi.
Era un problema presentarmi come si deve. Mostrarmi come ero in realtà, senza costruirmi una falsa me, ma anche questa volta riuscii a stravolgere tutto con un tono freddo che non mi apparteneva. Accennai un inchino, verso il basso, spingendomi in avanti, e poi alzando gli occhi color blu cobalto mi presentai.
-Piacere. Yumiko Hinamori. -
Il silenzio.
/STA A VOI SCOPRIRE COSA CENTRANO I PERSONAGGI CON AMU E IKUTO/
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amu Hinamori, Ikuto Tsukiyomi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                 Io, il lucchetto. Tu, la chiave.

                                                                        Daisuke #2




Accidenti, sempre la stessa storia, non riesco mai a imparare!
Mi dissi disperato, balzando da sopra il letto, per liberarmi di quel peso opprimente che nonostante tutto ritenevo quasi idilliaco. 
Avevo programmato tutto nel minimo dettaglio, non mi piaceva, adoravo quando tutto andava per il verso giusto, quando non c’era niente che potesse andarmi storto. Odiavo le previsioni irregolari del telegiornale, quando predicevano un sole bollente, e svegliandomi la mattina seguente mi trovavo un cielo talmente annuvolato che credevo fosse sera, e che con quegli acquazzoni che erano destinati a non concludersi per le prossime ventiquattro ore. Non ero un tipo che amava la pioggia. 
Con quell’inconveniente non riuscivi mai a salvarti da una bella influenza, ti inzuppavi tutto, e non potevo nemmeno portarmi dietro il mio adorato violino, dove ogni pomeriggio, in un parco nelle vicinanze di casa mia, mi fermavo ad esibirmi nel silenzio della notte. 
Alle volte dovevo inventare una scusa plausibile, perché mio padre non amava che me ne andassi in giro a quell’ora. In realtà, molte erano le cose che da quando ero nato non gli andavano giù, anche da quando si era sposato, non amava sentir parlare di violino, non voleva averlo tra i piedi, non voleva sentirmi intonare qualche nota, non voleva che il violino attirasse anche me; era strano il suo comportamento, anche se lo erano anche gli adulti, diceva che loo odiava, gli portava alla mente cose orribili successe in passato, cose che nemmeno lui voleva poter più ricordare, tra cui la sagoma indelebile di una persona che lo faceva ancora stare male, nonostante gli anni siano passati così velocemente, quasi come l’estate che dava il palcoscenico all’autunno. 
Non riuscivo a capire, eppure lui da giovane aveva persino rischiato la vita per riaverlo indietro. Comunque, ho smesso di applicarmi più di tanto su questa faccenda e di rimuginarci su come uno sciocco. 
Avrei dovuto prendermela con quell’aggeggio meccanico, che se ne stava inanimato sul bordo del comodino; lo avevo impostato alle sei e mezza quel dannato, la sera precedente, certo del fatto che mi avrebbe avvisato per tempo, ma a quanto pare per pigrizia non l’avevo sentito. Che cosa avrei detto ai professori? 
Mi sbrigai a scappar via dalla mia stanza, anche se fu molto difficile per mio padre non accorgersene. 
-Ehi, Daisuke? - mi chiamò, salendo le scale del nostro appartamento, che si era preso in affitto, dopo aver divorziato con mamma. 
Mi girai, ancora in pigiama. 
-Ciao, papà! - recuperai dal mobiletto nel corridoio un pezzo della biancheria di sotto, stendendomela sull’avambraccio.
-Tu cosa ci fai qua? Non dovevi andare a lavoro... - 
Lui sollevò le sopracciglia. 
-Sì, in teoria. Ma per colpa della fretta ho dimenticato alcuni documenti importanti.. - 
-Capisco, papà. La fretta è una brutta bestia. - gli dissi, ridendo. 
Lui mi osservò più da vicino, con fare investigativo. -Ma tu, in teoria.. non dovresti essere a scuola? - 
-Eh già! - dichiarai. 
Lui sospirò. Sapeva che quando mi trovava ancora alle nove e casa mi ero svegliato tardi. 
-Deduco che tu abbia dormito il più del dovuto.. - 
-Può essere. - replicai. - Guarda che è stata colpa della sveglia, va bene! - 
-Certo.. certo... uhm, non ti vorrai presentare ora a scuola? - mi domandò, con aria intimidatoria. 
-Invece sì. Anche se credo che non ce la farò a entrare per le nove e trenta. Comunque farò del mio meglio, per seguire le lezioni delle dieci, sperando che non mi becchi il preside. - feci io. 
-Allora non ti trattengo. Ho da fare una cosa importante, prendo i documenti che mi servono. - concluse lui, facendo l’atto di andarsene, mostrandomi il palmo alzato per salutarmi, e prese a scendere un primo scalino. -Tu hai bisogno di un passaggio? - 
Papà sarebbe tornato tardi a lavoro se avessi detto di sì, quindi preferii evitargli quella seccatura; gli feci notare che potevo prendere il treno alla stazione e giungere a scuola per le dieci, lui fece segno di aver capito, e si recò ai piani inferiori, mentre io scappai nel bagno, per introdurmi nella doccia. Da quando papà aveva deciso di divorziare con mamma, con cui aveva avuto anche una figlia, decisero di comune accordo di separarci, lui con me, mamma con la mia sorellina, fu una decisione sofferta ma indispensabile anche perché papà non aveva mai amato la mamma, si era sposato solamente con l’intento di volerne dimenticare un’altra, che ancora riuscivo a destabilizzarlo. Io ero il frutto di un’amore mai concretizzato, mi chiamo Daisuke, e ho da poco compiuto 14 anni. 
Vivo solo con mio padre, in un palazzo, in compagnia del mio gatto Romeo. I cani sono vietati. 
Dopo essermi infilato nel vano doccia, mi sono vestito con pantalone, maglietta bianca e una giacca nera, dopodiché sono sceso giù, e con borsa in spalla mi sono diretto verso la stazione di Osaka, per raggiungere in fretta e furia il liceo, anche se di norma in caso di ritardo dovevamo essere accompagnati dai nostri genitori, ma io avrei trovato una soluzione a questo inconveniente dicendogli che mio padre non avrebbe mai potuto accompagnarmi, visto e considerato, che lavorava a quell’ora; mi recai al treno, salii col fiatone e il cuore palpitante due rampe di scale, e poi ebbi accesso ai treni. Presi uno di quelli e vi saltai dentro. 
-Uhm, meno male... - sospirai, appoggiandomi di spalle vicino al finestrino che propinava la visione di un normale giorno di fine estate, con le montagne in lontananza su cui raggi di luce diurna vi si riflettevano, mentre le docili colline sembravano rincorrerle, creando quasi un effetto magico. Mi fermai ad osservare lo spettacolo, non a pagamento, con i miei occhi color ambra che si beavano di quella visione e il ciuffo ribelle di capelli color ametista che mi sfiorava delicatamente la parte alta della fronte; il treno generalmente vi impiegò venti minuti, e fermò duramente le rotaie alla fermata. Si aprirono le porte, e mano a mano tutte le persone che vi erano nel treno si ammucchiarono alla porta, nonostante il duro lavoro dei controllori per tenerli fermi, e farli agire con assoluta calma; aspettai il tempo necessario in modo che la folla andasse scemando, poi uscii anche io. 
Il liceo non era molto lontano, allungai il passo, e dopo altri cinque minuti mi trovai di fronte alla sua costruzione. 
Mi fermai su due piedi, e alzai il polso per osservare, dal mio orologio color nero, l’orario.  Erano le dieci, come previsto prima. 
Adoravo quando qualcosa andava come avevo previsto, infatti non sempre mi piaceva avere sorprese o essere stupito. 
Da questo punto di vista il tutto lo avevo ereditato da mio padre, che odiava le sorprese, odiava essere in ansia per qualcosa, e non sopportava nemmeno che la donna che lo amava lo facesse stare così, sopratutto se si trattava di Amu Hinamori. 
Non conoscevo quella signora. L’unica cosa che sapeva era che era stata la fidanzata di papà, ma che poi si erano lasciati, una cosa che mi lasciava di stucco dalla foto che teneva nascosto in un posticino che conosceva solo lui, era che lei era la mia fotocopia. 
Papà non me ne aveva mai parlato, anche perché raccontarmi di chi era Amu, voleva dire riaprire una ferita. 
Mi strinsi la borsa nelle spalle, e iniziai ad avanzare verso l’entrata. 
Con mia enorme fortuna non riscontrai nei corridoi la figura del preside, e mi addentrai con molta felicità nei corridoio del secondo piano, dove era stata disposta la classe prima, la mia classe; attraversai tutto il corridoio, sentendo la paura corrodermi lo stomaco e chiudermelo, se mi avesse visto qualcuno mi avrebbe condotto seduta stante in presidenza.. e io di certo non avrei voluto. 
Come avevo previsto, riuscii facilmente a eludere i collaboratori che passeggiavano, avanti e indietro, per i corridoi e trovandomi di fronte la porta, con su scritto, nella parte sinistra il numero della classe, bussai due volte. 
Ricevetti un avanti, e entrai. Il professore fissandomi dalle spesse lenti esclamò, seccato. - Ah... Tsukiyomi. Per me è un grande piacere averti qui, ma sappilo che non si fa salotto qui, si studia. - 
Lo sapevo che non facevo salotto. Guardai il resto della classe che sghignazzava, e in più notai una novità. 
-Lo so professore. Ma mio padre doveva lavorare, e quindi non ha potuto accompagnarmi. - mentii. 
Lui mugugnò. 
-Uhm, te la do buona per questa volta. - 
Io sospirai felice. Meno male, niente presidenza.
-Sì, Tsukiyomi. Te la do buona, soltanto perché non ho davvero voglia di chiamare il preside, quindi siediti pure. - 
Io assentii con un sorriso, e avanzai verso la fila dei banchi. Tra tutte le facce di sempre, ve ne era una in particolare, estranea. 
Si trattava di una giovane, che poteva avere la mia età, seduta a destra del banco vuoto in cui vi era il mio posto, nella terza fila dei banchi, che con profondi occhi color ametista mi osservava per tutto il tragitto. Aveva lunghi capelli rosa pastello, che le cascavano lisci sulle spalle, e degli occhioni vispi e dolci, che si muovevano continuamente dal mio volto alla finestra e al cielo, tinteggiato da semplici nuvole capitate lì per caso. Quando presi posto, posando la cartella la sua flebile voce mi giunse all’orecchio. 
-Ciao. - proferii, vistosamente rossa sulle guance. 
Io mi sedetti in un tonfo, e guardai nella sua direzione, scontrando per un attimo quei pozzi scuri e magnetici, che lei riabbassò. 
-Ciao. - non avevo mai visto una ragazza, cioè una ragazza con quei capelli e quegli occhi, in qualche modo mi ricordavano una persona a me molto famigliare. -Sei nuova? - le chiesi. 
Lei rialzò il capo. - S-sì.. lo sono. - 
-Ah, bene! - esultai, lei parve sorridermi, ma poi tornò seria. Non doveva essere una tipa logorroica dal modo in cui reagiva; sembrava nascondersi anche pur non avendo un nascondiglio dove piazzare la testa, e nonostante abbia negli occhi una determinazione che la spingeva a classificarsi tutt’altra persona, ai miei occhi era parsa timida, una candela che brillava fra tutte, una timida stella che aspetta di avere la sua parte, pur vagando fra tutte, che sono ancor più grandi. 
-Come ti chiami? - si fece coraggio, specchiandosi nei miei occhi chiari. -Io mi chiamo Yumiko. - 
Yumiko, bel nome. Un bel nome che poteva significare qualcosa, ma che al momento non sapevo cosa. 
-Piacere. Mi chiamo Daisuke. - 
-Daisuke? - 
-Sì, Daisuke Tsukiyomi. - precisai, dando una certa enfasi a quel mio cognome che poteva suggerire un qualcosa di regale. 
-Io invece Hinamori. - 
-Hinamori? - ripetei, venendo per un momento colto da un improvviso presentimento di aver già sentito pronunciare quel cognome, ma nemmeno questo ora come ora mi tornava alla mente come la marea che si trascina sulla sabbia. 
-Sì. - 
-Mi piace! - esclamai, convinto che presto avrei anche io avuto un’amica. - E dimmi da dove vieni? - 
Lei sussultò, sentendosi nuovamente a disagio; si lasciò cadere alcun ciocche sul viso in modo da nasconderlo, incassando la testa negli incavi delle scapole. -Oh... mi sono trasferita con mia madre da Scotland. - mi rispose, un tantino imbarazzata. 
-Scotland? Deve essere un bel posto. - 
-Sì, a parte il mare, la gente è piacevole. - 
-Bene... e resterai qui ancora per molto tempo? - 
-Dipende da mia madre, se otterrà il lavoro oppure no. Non sono mai stata ferma ad un posto io. - 
Io annuì. 
-E... - ma prima che finissi la frase, il professore alzò gli occhi dalle righe del libro, e ci incenerì con lo sguardo. -Hinamori! Tsukiyomi, se avete da parlare fatelo nell’orario di ricreazione. - e piantò il libro sul tavolo in modo severo. - Se volete, chiacchierare uscite fuori, altrimenti state in silenzio e ascoltate, che non voglio sgolarmi. - ci rimproverò, e noi abbassammo lo sguardo combattuti. -Ci scusi. - dicemmo nello stesso momento, all’unisono. 
-Sarà meglio. - disse il professore, riprendendo in mano il libro. - Continuiamo. Hinamori ti va di continuare la lettura? - 
Vidi la diretta interessata irrigidirsi, e ciò mi fece comparire sul volto un veloce sorrisetto. 
Il giorno si sarebbe prospettato divertente, nonost
ante quel ritardo.








**Angolo della Love!** 

Salve amici, contenti che io abbia continuato questa storia?
Di certo, si è subito capito che Daisuke è il figlio di... voi sapete chi no? E che ha molto da spartire con Yumiko, no? 
Bene, adesso che abbiamo scoperto che i due ragazzi sono capitati nella stessa classe, cosa accadrà? 
Yumiko e Daisuke scopriranno qualcosa del passato dei loro genitori e di ciò che nascondono? 
Se volete scoprirlo, leggete la prossima settimana l’aggiornamento. Io vi lascio
Baci, e mi ritiro ~Kissenlove
   
 
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