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Autore: Anita_Anita    26/09/2015    1 recensioni
Dopo la morte della nonna materna, la vita di Clare non è più la stessa.
Adolescente inquieta e introversa, si blinda in un guscio di lacrime e silenzi, sbalzi d'umore repentini e una negatività distruttiva che minaccia di trascinarla lentamente e disperatamente nell'oblio.
Ma Clare non sa di non essere sola. C'è qualcuno, una presenza invisibile ma sempre vicina, che non ha smesso di vegliare su di lei e che desidera restituirle la felicità perduta.
Proprio sua nonna infatti, affiancata dalla complicità dell'arcangelo Gabriele, tenterà in tutti i modi di sfidare le leggi del Paradiso per intervenire nella fragile esistenza della nipote e rimettere le cose a posto. E quando comprenderà che l'unico miracolo che potrebbe salvarla è l'Amore, si farà in quattro per trovarle il Principe Azzurro dei suoi sogni più romantici.
Ma sarà poi così giusto manovrare le redini del destino della ragazza?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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02. Vibrazioni





Mio padre e mia madre litigano. Non è la prima volta, ma per me è come se lo fosse. Non mi ci abituerò mai.

Con il brusio della televisione, i cani che abbaiano come se avessero il diavolo in corpo e le loro voci che sbraitano peggio dei cani, mi sento impazzire.

Striscio la sedia contro il pavimento e mi alzo da tavola. Il piatto con l’insalata e il purè di patate è praticamente intonso.

— Dove vai, Clare? — La mamma smette per un momento di inveire contro papà e mi fissa truce.

Ma io non rispondo alla sua domanda. Dico: — Siete patetici — e mi dileguo.

Non ho ancora capito il motivo per cui bisticciano. Quello vero, almeno, perché di ingiustificati ne potrei elencare migliaia. È uno strambo modo di amarsi, il loro. O forse non lo è e io mi sono sbagliata sull’immagine della famiglia perfetta che ho sempre creduto di avere. Non so più niente ormai.

Mi butto sul letto e sono pronta a spararmi un altro CD di musica deprimente nei timpani, quando il cellulare squilla. Non ricordavo nemmeno di averne uno.

— Pronto?

— Ehm… Ciao Clare, sono io, Sarah. Ti ricordi?

Vorrei riattaccare all’istante, invece mi sento rispondere: — Sarah, ciao.

Malumore a parte, non sono una ragazza scortese.

— Scusa l’orario sconveniente, ma mi stavo domandando se ti andasse di venire un po’ da me.

Tutto mi aspettavo, tranne che un invito. La gente ha smesso di porgermene da un pezzo. — Adesso?

Dall’altra parte proviene un colpetto di tosse. — Sì, be’, mi piacerebbe molto. È da tempo che non chiacchieriamo come una volta. — Pausa. — Mi manchi.

Stringo il telefono. Non so se crederle o meno. Quando mi serviva il suo supporto non c’era, perché adesso dovrebbe importargliene?

Siamo state migliori amiche un tempo, non posso negarlo, ma dopo la morte di mia nonna e la mia progressiva depressione il rapporto è cambiato. Peggiorato, direi.

— Io… — Non so bene cosa dire.

— Ti prego, non sentirti obbligata. Possiamo fare un altro giorno, se sei impegnata, è solo che mi piacerebbe tornare a vederci come quando era tutto okay, prima che…

Mi mordo il labbro. Lo faccio sempre quando sono agitata o devo prendere una decisione troppo velocemente. E poi sta per pronunciare le parole sbagliate, quelle che spedirebbero il suo debole tentativo di ristabilire un legame a farsi benedire.

Prego che si fermi e la mia richiesta viene accolta. La cornetta produce un sibilo prolungato e un po’ gracchiante.

Le parole della mamma riaffiorano alla mente. Devi uscire, Clare, farti una vita. Soffocherai. Forse dovrei darle retta. Si tratta solo di un paio d’ore, in fondo. Uno di quei pomeriggi spesi a spettegolare, pitturarsi le unghie a vicenda, guardare film strappalacrime con attori dal fascino irraggiungibile con cui sognare favolose notti di passione. Niente di complicato.

Ma se poi si rivelasse un disastro? Se non fossi ancora pronta? 

— Clare, ci sei?

Scendo dalle nuvole. — Sì, ecco…

— Allora? Vieni?

Mi prendo altri dieci secondi per riflettere. I dieci secondi più lunghi di tutta la mia vita. O quasi.

— Ti ringrazio molto, Sarah — dico finalmente. — Magari un’altra volta.

 

Mi sento inquieta. Inizia a mancarmi l’aria.

Esco sul terrazzo di casa, quello che affaccia sulla strada, e mi metto a osservare il dirimpettaio che lava la sua auto, la vicina che carica sul suo SUV cassette di frutta appena colta, un gruppo di ragazzini in bicicletta che fanno ripetutamente il giro dell’isolato strillando come piccole canaglie.

La vita nei suoi innumerevoli show, sforzandomi di ricordare l’ultima volta che ho provato la stessa sensazione di felicità che prova questa gente. Perché glielo si legge in faccia che sono felici.

Appoggio i gomiti sul parapetto e sospiro, il vento soffia in mezzo ai capelli e alcune ciocche cadono sugli occhi. Per un attimo vedo tutto attraverso una coltre di liane color cioccolato, come dentro una giungla.

Cosa devo fare per liberare la visuale, per tornare a vederci chiaro? Sposto la ciocca e il cielo appare di nuovo limpido e sconfinato sopra di me.

Un sorriso mi accarezza le labbra. Una questione di pochi istanti, sufficienti, però, a farmi capire. Dipende da me. Posso riappropriarmi di tutto ciò che è mio, se lo desidero.

Mi precipito di corsa in camera e ricompongo il numero di Sarah, che risponde dopo neanche due squilli.

— Ehi, sono… sono sempre io.

— Clare! È successo qualcosa? — dice lei, la voce si vena di preoccupazione.

— No, sto bene — la rassicuro. — Volevo solo... Ecco, io ho cambiato idea. È ancora valido il tuo invito?

All’altro capo del telefono, un urlo di gioia. — Oddio, non ci credo! Certo che è ancora valido. Sono contentissima. Tra quanto vieni?

Getto un’occhiata alla mia t-shirt slabbrata e agli shorts di jeans scoloriti. — Dieci minuti, può andare?

— Non vedo l’ora — strepita lei, e riattacca.

 

Davanti al portoncino in legno lucidato della casa dei Lee mi viene una sorta di paralisi e non riesco ad alzare il braccio per schiacciare il bottoncino placcato in oro sulla destra.

Mamma è scoppiata a piangere quando le ho detto che uscivo. Si è tamponata le lacrime con un fazzoletto di stoffa e ha singhiozzato che non si sentiva così felice da troppo tempo. Ma io mi ero già pentita della decisione presa.

Inspiro a fondo cercando di non pensare al formicolio delle mani e di concentrami sulle fioriere di ranuncoli dalle tinte vivaci, o sulla sedia a dondolo posta sotto la finestra della veranda. Ma è parecchio difficile e la calura estiva non aiuta.

Poi, però, mi giunge un abbaio persistente misto a guaiti e sbuffi. Dietro la porta, qualcosa gratta con foga. Arretro, per poco non inciampo nella lanterna dal vetro scheggiato rovesciata a terra, pochi passi dietro di me.

— Iron, smettila! — urla una voce dall’interno. Altro grattare, sempre più energico. — Iron, no, fermo! — urla ancora la voce, ma ormai è troppo tardi.

La porta si spalanca, l’acchiappasogni appeso in alto viene giù con uno scampanio acuto e l’ombra di un bestione bavoso mi scaraventa al suolo.  

   
 
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