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Autore: Mephi    27/09/2015    5 recensioni
Ciò che rendeva quella pizzeria tanto interessante era la presenza di Animatronics. Robot dall'aspetto di animali che di solito intrattenevano grandi e piccini con concerti o piccoli spettacoli, anche solo vederli andare a spasso per il locale divertiva i clienti.
Quegli stessi animatronics che Vincent, in quel momento, avrebbe voluto distruggere pezzo per pezzo, smontandoli bullone per bullone.
Si, i suoi pensieri potevano anche confondere, e far credere a tutti che Vincent odiasse quei Robot, ma non era così. Non li odiava.... Di solito. Al contrario, aveva un buon rapporto con loro, un rapporto che andava avanti da vent'anni, di pura fiducia e... Amicizia? Si. Amicizia.
Un rapporto così importante da metterlo in difficoltà.
Genere: Comico, Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeremy Fitzgerald, Phone Guy, Purple Guy, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Storia Di Una Guardia Notturna


Sono Foxy


Aveva così tanto sonno che sentiva quasi gli occhi chiudersi da soli, ma non poteva dormire, doveva finire matematica! Jeremy si passò una mano sul volto mentre i denti si serravano attorno alla punta della matita mordicchiata.
Ma proprio quel giorno doveva litigare con Mike? A chi poteva chiedere aiuto, adesso, nella materia? Nessuno. Si era condannato con le sue stesse mani.
Bhe, una soluzione c'era: chiedere scusa. Ci pensò per un'attimo solo e sbuffò, deridendosi per i suoi stessi pensieri. Scusarsi? E per cosa? No. Aveva un orgoglio troppo grande ed era certo di essere dalla parte della ragione. Accese il suo telefono per controllare l'orario e per poco un lamento frustato non gli risaliva per la gola: mezzanotte e mezza.
Aveva ripreso tra le mani la matita, sottraendola alla tortura dei propi denti e stava per ricominciare a leggere qualche regola per capirci qualcosa, quando un leggero bussare alla porta lo distrasse. Si voltò verso di essa e inarcò un sopracciglio. Gli unici in casa in quel momento erano lui e Kentin, quindi era chiaro fosse il minore a bussare a quell'ora di notte. Strano. Pensava fosse a dormire da un pezzo, ormai.
«Cosa vuoi?» chiese, allora, continuando a fissare la porta, certo che il fratello non avrebbe avuto il coraggio di aprirla, anzi, forse già si stava pentendo di essere arrivato lì. Nessuna risposta. O il piccoletto faceva nuovamente il muto o cominciava ad avere allucinazioni dal troppo sonno.
Attese qualche secondo ma non ricevette mai una risposta. Perchè quel piccoletto doveva farlo arrabbiare anche a quell'ora, he? Si alzò e andò ad aprire la porta, pronto a dare al minore una bella lezione. Ma non trovò nessuno. Si sporse verso il corridoio, controllando se si fosse solo allontanato, ma pareva ci fosse solo l'inquietante Plushtrap, comodamente seduto sull'ormai sua sedia bianca. Okay, la matematica lo stava facendo divenire letteralmente pazzo. Presto avrebbe cominciato anche a sentire le voci che gli ripetevano le equazioni. Rise appena al suo stesso pensiero.
Richiuse la porta e decise di andarsene a dormire, doveva recuperare la sua sanità. Quando la porta si richiuse, nell'ombra si intravidero due occhi cerulei, limpidi e spaventati.
Grazie al cielo Jeremy non l'aveva visto.


«Phono atteso alla cassa quattro, ripeto: Phono atteso alla cassa quattro.» quanto si stava divertendo Vincent? No, non poteva essere descritto il suo sconfinato divertimento. Da quella sera si divertiva a osservare Phone dalle telecamere, aspettare che si addormentasse, per poi usare l'interfono e svegliarlo con messaggi assurdi. Quello era solo l'ultimo di una lunga serie.
E poi il Phone Guy si svegliava, sbatteva la testa sulla sua scrivania, maledicendosi per aver anche dato ascolto a quello psicopatico del suo amico e promettendo torture atroci a Vincent, mancava solo Foxy e avrebbe avuto un esaurimento nervoso. Però quella era la decima volta che lo svegliava! Si tolse frettolosamente una scarpa e la lanciò contro la telecamera che consentiva a Vincent di osservarlo, centrandola ma non rompendola. Masticando imprecazioni affondò nuovamente la testa nelle sue braccia e attese il sonno. Un'altro annuncio stupido creato solo per svegliarlo e sarebbe andato personalmente a fargli mangiare tutte le telecamere di quel posto. Intanto Vincent se la rideva, tenendosi addirittura la pancia, si bhe, era sadico, sicuramente.
Il problema era che avevano terminato tutte le preparazioni del compleanno: dalle canzoni, agli show, la prenotazione, la torta e gli invitati. Avevano tutto! Il problema era che adesso le serate sarebbero tornate nella noia e... Bhe, infastidire Phone, che riusciva perfettamente a tenergli compagnia quella notte, era un buon modo per far passare velocemente il tempo senza fissare un orologio per ore e ore aspettando che giungano le sei.
Gli Animatronics invece passavano le loro ore come al solito: a controllare le canzoni - ancora non ne capiva l'utilità - parlare tra loro e, quando si ricordavano, andavano anche a trovarelo nel suo "ufficio". Probabilmente solo per essere certi che Phone non si facesse prendere da un raptus omicida verso il sadico amico.
Oh, ecco! Si era addormentato di nuovo!
«E Mr. Phono come fa? Non c'è nessuno che lo sa!» quando vide il castano alzarsi di scatto dalla sua scrivania con un leggero tic all'occhio destro capì che forse aveva un po' esagerato.
«Vincent prepara il testamento!» era la voce di Phone, quella? No, perchè sembrava provenire direttamente dall'Inferno.
Rise appena quando lo vide cominciare a camminare con passo veloce verso il suo ufficio.
«Chiudiamo la porta...» si disse il Purple Guy chiudendosi dentro l'ufficio. Bene. Era al sicuro.
Tornò al suo posto e riprese a guardare le telecamere. Cosa? Si avvicinò alle telecamere cercando la figura del Phone Guy, non trovandola. Dov'era sparito...?
«Hello, Hello...?» raggelò nel sentire quelle parole. Si voltò e vide il castano appoggiato al muro, la camicia rosa e il papilon rosso della divisa avrebbero dovuto dargli colore e allegria, ma adesso sembrava solo inquietante. I pantaloni neri quasi si confondevano con la semi oscurità della stanza. Solo un sorriso bianco risaltava nelle tenebre, un sorriso che prometteva atroci torture. Si staccò dal muro avvicinandosi piano alla guardia che lo guardava ora confuso. Come diavolo era- ah. I condotti. Ci avrebbe scommesso.
«Ehy, mi sembri stanco! Perchè non vai a dormire?» no, non era quello il momento di utilizzare il sarcasmo, Vincent.
«Ti farò stare zitto... per sempre!» e con quelle parole successe qualcosa che nessuno si sarebbe mai immaginato. Se solo Vincent avesse notato il coltello nella mano del giovane... Se solo avesse intuito la sua serietà... Se solo fosse stato più agile nei movimenti... non lo fu.
Il coltello calò, colpì, trafisse: una, due, tre, quattro, cinque volte, ripetutamente, pareva inarrestabile.
«Hihihihi... Buona notte, Vincent.»
«... Hai preso a coltellate l'interfono. Ti fa male non dormire, sai?»
«Ora non parlerai più.» il giorno dopo un certo capo avrebbe pianto disperato nel sapere che avrebbe dovuto spendere soldi per riparare un interfono assassinato, ma adesso, adesso, si poteva dormire in pace.


Alzarsi dal letto quella mattina era stata un'impresa, ma alla fine ce l'aveva fatta: era sulla strada che l'avrebbe portato a scuola. Guardò brevemente suo fratello minore camminargli affianco, in silenzio come al solito.
«Ieri hai bussato alla mia porta.» non era una domanda, no. Perchè doveva ancora giungere il tempo in cui Jeremy avrebbe dato di matto, quindi era certo che il giorno prima qualcuno avesse bussato alla sua porta. Kenny si morse il labbro, trovando improvvisamente interessante il marciapiede, osservandolo con insistenza.
«Non riesco a dormire bene senza Feadbear.» sussurrò appena, ricordando con tristezza la fine che aveva fatto. Jeremy sbuffò, dovevano di nuovo affrontare quel discorso?
«E cosa volevi da me?» chiese seccato, infilandosi le mani in tasca quando cominciò a intravedere la scuola di Kentin.
«I suoi resti.» lo disse quasi come se fosse il pensiero più malvagio del mondo, sussurrandolo in un modo così flebile che a malapena lui stesso si sentì, infatti Jeremy l'ascoltò come un borbottio incomprensibile.
Lo ignorò. Come sempre.
«Non hai il diritto di chiedermi nulla. Per colpa tua ho litigato con Mike.» nonostante la frase contenesse la più totale indifferenza, sotto quello strato di menefreghismo si celavano rabbia e rancore, come odio e vendetta. Era un muto avvertimento. Gliel'avrebbe fatta pagare. Avrebbe pagato per qualcosa di cui non aveva colpa. I suoi occhi si fecero lucidi e smise di camminare, mentre il fratello proseguì, si fermò solo quando si accorse che il minore aveva bloccato il suo avanzare, e si voltò verso di lui a metà tra l'indifferente e l'infastidito.
«Ma non é stata colpa mia...» per una volta non parlò sottovoce, anzi quasi lo urlò, un urlo che chiedeva pietà, un urlo che chiedeva all'Incubo di avere pietà.
«Certo che è colpa tua. É sempre colpa tua.» e con quelle parole, ignorando il fratello in lacrime in mezzo al marciapiede riprese a camminare, tanto la strada la conosceva. Lo sopportava ancora meno del solito quando cominciava a piangere. Qualcosa in lui scattava e desiderava ferirlo ancora di più vedendo quelle lacrime. Quale arma migliore se non gli scherzi e le parole?
Poco dopo già era sparito dalla vista annebbiata dalle lacrime del minore che proseguì da solo verso la sua scuola, asciugandosi in fretta le lacrime.


Quando Jeremy giunse nel cortile della scuola forse per abitudine più che altro si diresse verso la scala antincendio: quello era sempre stato il ritrovo suo e di Mike per essere certi di incontrarsi la mattina. Quando però giunse alla scala rossa non vi trovò nessuno e ricordò. Probabilmente non ci avrebbe più trovato l'amico lì. Si sedette su uno scalino e prese ad aspettare che la campanella suonasse per poter entrare. Mal sopportava quel vento gelido mattutino.
«Sei tu Jeremy?» la sua attenzione venne richiamata da tre ragazzi davanti a lui, zaini in spalla e... A prima vista parevano avere la sua stessa età. Si, bhe, non era il tipo di persona che conosceva ogni singolo soggetto della sua scuola, quindi inarcò un sopracciglio davanti a quei tre.
«Sono io.» rispose semplicemente prendendo ad analizzare il trio.
Davanti a tutti si trovava un ragazzo dai capelli neri e gli occhi del medesimo colore che quando sentì la sua risposta accennò a un ghigno divertito. Gli altri due lo imitarono: uno aveva dei capelli castani e due occhi verdi, piuttosto bassino, i suoi occhi cercarono subito la figura del terzo ragazzo: quello dai capelli corti color biondo cenere e gli occhi neri, attraversati dal puro divertimento. Tutti e tre avevano un fisico asciutto e più o meno avevano la sua stessa muscolatura, ma cosa volevano da lui?
Non ebbe tempo di chiedergli nulla che la campanella suonò, riempiendo le loro orecchie con il suo trillare.
Gli studenti presero a riversarsi nell'edificio, già pronti alle cinque ore che li attendevano, mentre quei tre gli rimanevano lì davanti, ghignando, immobili. Lo stavano osservando. Studiando. Stavano aspettando una sua mossa.
Sbuffò, convincendosi che quei tre fossero degli imbecilli, dunque si alzò, si sistemò con un gesto veloce lo zaino sulla schiena e fece per incamminarsi verso l'entrata, degnando solo di una veloce occhiata il biondo del gruppo... Era certo di non conoscerlo, ma quei lineamenti... No, magari si sbagliava.
Diede le spalle a quei tre e subito il suo cervello gli urlò di stare attento. Che qualcosa non andava.
Non lo ascoltò. Sbagliò a non farlo. In un attimo sentì una presa di ferro serrarsi attorno i suoi capelli, costringendogli a sbattere la testa sul corrimano della scala antincendio. Dopo il colpo subito sentì la mano lasciare la presa e cadde a terra in ginocchio, come se quella presa fosse stato il suo unico appiglio. Era successo tutto così in fretta che si accorse realmente dell'accaduto solo in quel momento. Sentì una fitta di dolore concentrarsi in un punto tra la tempia e la fronte, poco sopra l'occhio.
Quando si portò la mano al punto dolente e la ritirò sporca di sangue realizzò davvero quello che era successo.
Si voltò furibondo verso il trio, tornando in piedi con uno scatto e forse non fu una buona idea dato che sentì la testa girargli appena fu in piedi.
Proprio dietro di lui trovò il biondo, colui che lo aveva colpito, che non sembrava affatto intimorito dal suo sguardo iroso, anzi, pareva divertito.
Solo allora si accorse che qualcuno si era aggiunto al trio, un ragazzino di prima. Quel ragazzino di prima. Lo stesso che aveva insultato suo padre. Collegò tutto.
Il piccoletto del giorno prima aveva deciso di vendicarsi per la furia ricevuta da Jeremy, ma siccome era un mocciosetto debole e stupido aveva chiamato il fratello ancora più stupido di lui che aveva deciso di divenire Fratello Dell'Anno aiutandolo a vendicarsi. Ma siccome, appunto, era stupido, il maggiore aveva chiamato anche i suoi amichetti, così avrebbe fatto bella figura davanto al minore.
Una risata leggera sfuggì dalle labbra di Jeremy: quanto erano patetici? Il ragazzo davanti a lui assottigliò gli occhi sentendo quella risata di scherno, ma non ebbe tempo di reagire che con uno scatto troppo veloce Jeremy gli sferrò un pugno, facendolo barcollare all'indietro e facendogli tenere con una mano lo zigomo colpito.
«Ho ricambiato il favore!» esclamò sarcasticamente.
«Bastardo...»
«Ohi, stai bene?» chiese il moro che nonostante tutto pareva il capetto di quel gruppo di idioti.
«Starò bene quando questo bastardo imparerà a stare al suo posto.»
«Ehy, Eroe Dei Poveri, insegna a tuo fratello a stare al suo posto e a tenere a freno la lingua.» rispose Jeremy, riportandosi una mano al taglio sulla fronte, accidenti se faceva male... Il ragazzino di prima assottigliò gli occhi, offeso.
«Da quello che so hai cominciato tu a istigare.» spiegò il biondo mentre prendeva a osservare il minore.
«Sai male.» rispose Jeremy pensando che sicuramente l'avrebbero fatto entrare alla seconda ora, ormai.
Il biondo guardò il fratello con sguardo infastidito.
«Mi hai mentito!»
«Ma lui-»
«A casa ne riparliamo!» e con quella frase si concluse il breve diverbio tra i due, poi il giovane si avvicinò a Jeremy controllandogli la ferita.
«Forse ho esagerato.» disse prendendo il polso di Jeremy e costringendolo a scostare la mano dalla ferita per osservarla, notando che una scia di sangue nasceva dalla ferita e attraversava l'occhio del ragazzo, per poi finire sul mento.
Jeremy sbuffò, liberandosi con uno strattone dalla sua presa, arretrando.
«Stò bene.» no, non stava bene ma aveva un orgoglio troppo grande per affermare il contrario.
«C'è stato un grosso malinteso.» parlò per la prima volta il ragazzino castano, portandosi una mano dietro il collo, strofinandola contro di esso. Sembrava in imbarazzo.
«Sì, portiamolo in infermeria.» decise per tutti il moro, prendendo sottobraccio Jeremy e prendendo a trascinarlo seguito dal resto del gruppo. Adesso erano... Diversi. Sembravano realmente preoccupati per lui quando poco prima quasi si poteva leggere nei loro occhi la voglia di mettergli le mani al collo. Bhe, comunque sarebbe dovuto andare in infermeria con o senza di loro, quindi non oppose resistenza alla loro decisione.
Quando giunsero in infermeria la donna che aveva il compito di prendersi cura degli studenti che non si sentivano bene, sbiancò alla vista del sangue, cominciando a ordiare a Jeremy di sedersi su un lettino, nemmemo quelli fossero stati i suoi ultimi minuti di vita.
«É solo un taglio.» precisò Jeremy sedendosi sul lettino, con il sangue che ormai si era asciugato. Che schifo. Si voleva togliere quella roba dalla faccia.
«Com'è successo?» chiese l'infermiera cominciando a pulire il liquido vermiglio dal volto del giovane con estrema attenzione, chiedendolo ai ragazzi, come se Jeremy in quel momento fosse troppo traumatizzato per rispondere. Sbagliava. Forse era il più tranquillo di tutti lì in mezzo, non era la prima volta che alzava le mani con qualcuno, anzi, aveva affrontato risse ben peggiori e più violente.
«È caduto dalle scale Antincendio e ha sbattuto la testa.» spiegò - mentendo - il moro, osservando la scena divertito quanto i suoi amici nel vedere il leggero imbarazzo di Jeremy.
«Oh, piccolo... Devi stare attento.» gli disse la donna accarezzandogli appena la guancia mentre quelli che più o meno erano suoi amici provavano a soffocare le risate, fallendo miseramente. Dannati. Lui, invece, cominciava a sentirsi in imbarazzo.
«Non sono piccol- cos'è quello?» chiese Jeremy con il volto ormai pulito e notando che l'infermiera stava preparando un batuffolo di cotone con sopra dell'alcol.
«Dobbiamo disinfettare.» okay, non bene. Jeremy ricordava perfettamente la sua caduta all'età di sette anni dalla bici, dove si era sbucciato entrambi le ginocchia e Vincent, vedendolo tornare a casa in quel modo, si era improvvisato crocerossina e, dopo averlo fatto stendere sul divano gli aveva versato -letteralmente, senza nemmeno del cotone - la sostanza chimica sulle ferite. Bruciò come l'inferno e ricordava di aver urlato come un dannato, facendo nascere in lui qualcosa che poteva essere definito trauma, quel giorno, mentre Vincent cadeva nel panico più totale. Poi arrivò Lei. Che innanzitutto mise in chiaro che, no, il viola non aveva un futuro da dottore, e poi prese a coccolare un giovane Jeremy, dicendogli che andava tutto bene e adesso ci pensava lei a curarlo. Sua madre.
Venne riportato alla realtà da quel batuffolo di cotone che gli disinfettava dolorosamente la ferita. Non si scostò, non si lamentò, rimase fermo a subire. Era cresciuto, adesso.
Tutti i ragazzi notarono come lo sguardo del ferito mutò dal leggermente imbarazzato al serio, lo sguardo di chi si impone di non avere paura.
«Chiamerò il preside! Dobbiamo tenerlo aggiornato. E anche tuo padre.»
«... E magari anche i servizi segreti. Non c'è n'è bisogno, stò bene, é solo un taglio.» garantì Jeremy mentre la donna prendeva a coprire la zona ferita.
Dovette dibattere a lungo per impossessarsi del silenzio dell'infermiera ma con l'aiuto dei suoi compagni questa cedette e accettò di non dire nulla, facendo promettere a tutti e quattro di stare lontani dalla scala Antincendio.
«Tra poco comincia la seconda ora!» trillò allegro il moro, trovandosi adesso tra i corridoi della scuola, cingendo il collo di Jeremy con un braccio.
«Che materia hai, amico?»
«Siamo amici?» chiese il giovane, inarcando un sopracciglio, ricevendo un segno affermativo da tutti.
«Bene, allora ditemi i vostri nomi.» ordinò, ma notò chiaramente la breve occhiata che i tre si scambiarono.
«E che... Se poi vai dal preside ci metti nei guai, capisci?» domandò il più basso di tutti, piccolo ma intelligente. Jeremy alzò gli occhi, come se mai avesse fatto una cosa simile!
«E come dovrei chiamarvi allora?» tutti parvero pensarci su, quando poi il biondo parve avere un'illuminazione e disse:
«Freddy, Chica e Bonnie!» ... Un'attimo dopo scoppiò a ridere, chiaramente scherzava, gli erano venuti in mente quei nomi perchè suo fratello minore - che era sparito improvvisamente, decidendo di stare il più lontano possibile dai quattro per non essere di troppo - gli aveva precedentemente raccontato che lavoro facesse il padre di Jeremy. Quest'ultimo inarcò un sopracciglio a quella risata improvvisa.
«Ma certo! Come gli animatronics!» esclamò il moro, battendo un pugno sulla propria mano, trovando quell'idea, che era nata come uno scherzo, qualcosa di geniale.
«Io sono Freddy!» proseguì il ragazzo porgendo la mano a Jeremy che cominciava a trovare divertenti quei tre.
Con un leggero sorriso a incurvargli le labbra afferrò la mano di Freddy, stringendola.
«Ma mi avete preso sul serio? Ehehe... Allora io sono Bonnie! Piacere.» disse il biondo ora ripresosi dalle risate, facendo un leggero inchino, imitando quello che doveva essere il Bonnie originale.
«No, he! Io non mi faccio chiamare Chica!» ribattè il più basso, incrociando le braccia, pronto a opporsi a quel nome con ogni fibra del suo essere.
«Dai che non è così male!» lo rassicurò Freddy, ridacchiando poco dopo.
«Se non ti va bene Chica ti chiamiamo Nano.» intervenne "Bonnie", seguendo l'amico nelle sue risate, alludendo alla statura del castano.
«... Vi odio. Chica andrà bene.» si arrese il giovane, lasciando ricadere le sue braccia lungo il corpo, arreso.
«Allora piacere Freddy, Chica e Bonnie...» cominciò Jeremy mentre il suo ghigno si ampliava.
«Sono Foxy.»
   
 
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