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Autore: MrsShepherd    27/09/2015    1 recensioni
Ho pensato creare una storia che procedesse per file parallele e contemporaneamente esplorasse la vita famigliare di Bones e Booth, le gioie e le preoccupazioni di un genitore. La storia si basa sul film "Genitori in trappola". Bones e Booth vivono in due stati separati ognuno con una rispettiva figlia, ma non sanno che le gemelle stanno tramando qualcosa che sconvolgerà le loro vite! Enjoy!!!
P.S: E' la mia prima storia, spero vi piaccia!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Rivelazioni sotto l'albero

 

25 Dicembre

Mi chiamo Talia, ho 27 anni e faccio la commessa. Non sono particolarmente bella, ho gli occhiali, gli occhi neri e una fastidiosissima zeppola; il mio è un lavoro temporaneo, perchè vorrei diventare una pasticcera, purtroppo però aprire una pasticceria in mezzo a Washington costa, parecchio, così metto da parte quello che posso e tiro avanti. Il mio nome esteso sarebbe Natalia che in italiano significa Natale, oggi infatti avrei compiuto 28 anni. Mia madre era italiana; è approdata in America in cerca di lavoro ed invece ha trovato Stuart Hemmert, mio padre: dalla loro relazione siamo nate mia sorella Susanna e tre anni dopo io. Probabilmente vi sarete già annoiati dopo due righe, sapete, è risaputo che della vittima non importa mai niente a nessuno; la sua unica utilità è di dimenarsi implorando pietà al suo carnefice, troppo sordo per ascoltare un po' di umanità. Viene smembrata, sezionata, dimenticata. Sta di fatto che però io abbia visto in faccia l'assassino, l'antagonista della storia, quindi vi conviene starmi a sentire.

Aveva bisogno di una cuccia per cani di taglia grande, ne avevo un modello nel retro così come di consueto gli dissi di pagare e di presentarsi dietro con la macchina per caricarla. Invece ha caricato me. Mi ha stordita con qualche droga, Roipnol, Chetamina, non so che merda ha usato, faccio la commessa, non la chimica. La cosa più assurda è che ha anche pagato per la cuccia, cinuanta bigliettoni! È questo il prezzo per la mia vita, un pugno di dollari sul bancone.

Di lui ricordo poco; la morte agisce come un'istantanea all'inverso: tutto comincia a sfuocarsi, svanire, finche ti ritrovi...non lo so ancora, vi riferirò. Aveva spalle strette, non troppo alto, fisico esile, ma abbastanza forte per sottomettermi, sulla cinquantina. Mi ha preso, mi ha imprigionato e si è allontanato. Poi è successo: prima il lato destro, dopo l'opposto, lasciandomi agonizzante e nuda, ma il colpo di grazia è stato la testa: un colpo secco, vorrei poter dire indolore. Era in estasi, godeva e pronunciava sottovoce << Bones bones...>> sì, mi aveva privato proprio di quelle.

Ogni parte del mio corpo è stata lavata ed adagiata all'interno di una scatola, su ognuna allegò una lettera di auguri per ANGELA & HODGINS, DR.SAROYAN ed infine Bones, il petto.

- Questo è per noi mamma. - Non saprò mai a chi si riferì. Ogni parte giunse a destinazione, la mia testa fu aperta sotto l'albero di Natale suscitando reazioni troppo ovvie per poter essere riportate. Insomma, un Natale da urlo.

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Hazel trotterellava per la cucina, braccia incrociate, senza una meta. I suoi occhi celesti si soffermavano incessantemente sul telefono...ma quando cavolo pensava di richiamare Jasmine? Quattro giorni prima le aveva promesso che le avrebbe fatto sapere e avrebbe aspettato tranquillamente se l'argomento in questione fosse stato un film, un nuovo gioco, persino il vicino di casa, ma Parker no. Era suo fratello, era stata la sua ancora.

Una volta le maestre le chiesero cosa sarebbe voluta diventare da grande, semplice, Parker. Perchè? Perchè era il più buono del mondo; avrebbe potuto pensarci per ore ed ore, ma non avrebbe mai cavato un difetto dal suo cavaliere senza macchia e senza paura. Parker era Parker, aveva risposto. La sua morte era arrivata come un fulmine a ciel sereno: - Parker se n'è andato, mi dispiace tesoro. - aveva sussurrato al suo orecchio il padre quel fatidico giorno. Andato dove? Parker è ancora tra noi. È uscito con l'auto, come sempre, tornerà. Hazel sapeva che non sarebbe mai tornato, ma non aveva realizzato a pieno la situazione: quando qualcuno muore non capisci che non ci sarà più finchè non lo vedi, non lo tocchi, non lo respiri. Hazel l'aveva visto prima del funerale: livido, inerme, assopito, freddo. Aveva capito. Il suo cavaliere non era semplicemente partito per una missione impellente, era morto e non sarebbe più tornato.

La casa divenne tutta d'un tratto silenziosa, sinistramente vuota. La camera del fratello venne chiusa e tutte le sue cose sparirono dalla circolazione. Il cavaliere divenne leggenda e le sue eroiche imprese solo uno sfuggevole ricordo. Nessuno ne parlò mai più.

- Ciao sono ancora io che ti auguro buon Natale, di nuovo. Mamma quest'anno è in stile eritreo, quindi il pranzo natalizio sara superpiccantissimo. Christine mi ha raccontato di quel natale che si è presentata mezza nuda in cucina dicendo che la nudità era un fatto puramente culturale, avrei voluto vederla con le chiappe al vento e...senti, ma ci sono novità? Se ce ne sono, qualsiasi, fammi sapere. Ora vado perche non so quanto tempo dura questo coso, il messaggio, quindi ciao...buon Natale di nuovo-nuovo. Ciao.-

Terminò la chiamata appena in tempo, sentì dei passi in corridoio.

Dalla cucina fece capolino Bones, portava un vestito africano, pieno di colori sgargianti, una specie di pareo le cingeva i fianchi. Aveva un'aria visibilmente preoccupata: le sue nocche gialle sporgevano da mani contratte che stringevano il cellulare ancora acceso e Christine verso di sé, anche lei scossa come la madre.

Era sangue quella macchia rossa sulla manica di Christine?

La sorella scuoteva la testa come un malato di Parkinson, cercando di farsi piccola si aggrappava alla madre poco più alta di lei.

-Posa quel telefono tesoro- sussultò Bones: - Cambio di programma - .

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3 Gennaio

Jasmine aprì la porta, spalancò le finestre, la stanza si illumino, le pareti gialle riflettevano i raggi di un sole invernale che faceva timidamente capolino tra le nuvole.

La bambina i diresse verso l'armadio del fratello. Scartò dal Cellophane una grossa felpa sportiva e se la mise addosso, poi prese dalla libreria l'album di foto e si mise a sfogliarlo.

Quando 15 giorni prima aveva aperto per la prima volta quella porta aveva provato paura: l'unica cosa che le si mostrò davanti fu il buio ed un odore di chiuso che le penetrò nelle narici. All'inizio si era mossa in punta di piedi, armata di pila aveva sondato gli armadi, gli scaffali la scrivania, per paura di disturbare troppo forse; poi con il trascorrere dei giorni i passi si fecero meno incerti finche si decise ad aprire le imposte e far finalmente luce su questo mistero che tanto tormentava lei e Hazel.

Ed eccola qui, dopo due settimane ad indossare i caldi vestiti del fratello sfogliando pagine di un album fotografico che neanche le apparteneva. Le foto ritraevano una famiglia felice, serena; chiuse gli occhi immortalando ogni momento: Parker e il suo primo giorno di scuola, Parker e Hazel sull'altalena, Parker in cucina con la nonna, la sua prima auto, Parker dimenticato. In realtà si scoprì di provare invidia per loro. Ogni scatto le ricordava una quotidianità mancata e mai avuta.

“Quando tornerò a casa scatterò un sacco di foto, perchè non voglio perdermi più neanche un attimo” pensò Jasmine. Se sarebbe tornata; in fondo, le piaceva restare lì. Avrebbe potuto chiedere alla sorella di prolungare la permanenza o di scambiarsi l'anno seguente, per poi riscambiarsi di nuovo. Si sarebbero scambiate per tutta la vita senza destare il minimo sospetto, o quasi.

Si diresse verso lo stereo e scelse un disco “American Rejects”, poi con l'album in mano si accoccolò sul tappeto.

- Vedo che ti calza a pennello. Jasmine.-

Jasmine si svegliò in fretta; quella voce...era appena saltata la sua copertura. Mannaggia a lei.

- Da...da quanto tempo sei qui?- balbettò lei senza voltarsi, fissando un punto fuori dalla finestra. Il suo piano elaborato poco fa si dissolse in quel cielo blu come la notte. Mannaggia a lei.

-Abbastanza- soggiunse: - Da quanto tempo lo so? Abbastanza.-

- Sei arrabbiato?- chiese Jasmine voltandosi lentamente per paura di incontrare quei profondi occhi color caffè.

- Un po', ma non per ciò che avete fatto; perchè non me l'hai detto subito? Avremmo trovato una soluzione, avrei chiamato tua madre e insieme avremmo trovato un modo per...-

- Ecco appunto. Lo diceva Hazel, tu vuoi sempre sistemare le cose, è per questo che hai creato questa stanza, questo museo...tutto in ordine e messo a posto e...hai sistemato le cose, ma hai lasciato un pezzo fuori posto: Hazel. Lei non la sa la verità, ma ha il diritto di sapere e gliela dirò!-

Forse era stata una reazione un po' esagerata, ma era stata presa totalmente alla sprovvista. Quelle parole le uscirono di getto, quasi come se non fossero sue. Le prese il panico, si tolse la felpa e si diresse verso l'uscita.

Seeley Booth la prese per un braccio: - Che le hai detto?-

Jasmine si divincolò spazientita: - Le ho solo scritto di questo posto, niente,...perchè non so niente! Papà io devo sapere,...-

- E' complicato – disse l'uomo evasivamente con gli occhi bassi verso il pavimento.

- Sì certo.- concluse lei delusa. Porse la felpa e la chiave della stanza al padre e si avviò verso le scale.

- Aspetta- sussurrò lui. E finalmente raccontò.

   
 
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