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Autore: Princess Of Marshmallows    27/09/2015    4 recensioni
{ • TASSATIVAMENTE VIETATA AGLI STOMACI DEBOLI | psycho!Ticci-Toby | abusi sessuali | torture fisiche e psicologiche | prigionia | bipolarismo | C.I.P.A. | allucinazioni }
“Doveva essersi assopita, perché non si era resa conto dei passi che si avvicinavano sempre di più alla sua stanza, ma quando sentì la porta aprirsi di scatto si svegliò immediatamente, e la luce l’abbagliò per qualche secondo.
Sapeva che sarebbe venuto. La figura si avvicinò a lei lentamente, mentre la ragazza voltò lo sguardo dalla parte opposta mentre si sentiva mancare il fiato dalla paura. Nella sua mente ritornarono nuovamente a galla le immagini di quella mattina. Cominciò a tremare e a battere i denti per il terrore quando sentì i suoi guanti di pelle neri poggiarsi sulla sua gamba.
«Hai paura? È così brutto stare con me?», domandò all’improvviso, facendola sussultare.”

Per il mondo Anastasia Hamilton è morta il sei ottobre duemilatredici nel genocidio di Denver.
Nessuno sa che è ancora viva e si è ritrovata costretta a subire giornalmente torture di ogni tipo.
• Storia precedentemente intitolata "Hopeless Children of the Lonely Night".
Genere: Angst, Dark, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeff the Killer, Lyra Rogers, Nuovo personaggio, Slenderman, Ticci Toby
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Correva

 

 

 

 

Part I

Chapter IV

L’invito

 

 

Ti piaccia allora darmi retta se dico che so creare stranezze.”

The Knick

 

 

Correva.

Correva nel bosco rischiarato dalla luna, tra rami che le strappavano i vestiti mentre inciampava in mezzo alle felci, le braccia frustate dai rovi.

Il respiro le feriva la gola, le faceva male. Era tutta dolorante.

Però continuava a correre. Sì, questo poteva farlo.

Quando correva in palestra aveva sempre le auricolari nelle orecchie, una playlist movimentata già pronta che le arrivava fino al cervello, distogliendo i suoi pensieri dalle preoccupazioni giornaliere. Erano le canzoni a decidere il ritmo che doveva prendere nella corsa, o le frustrazioni da calpestare sotto ogni passo contro il tapis roulant.

Ma stavolta c’era un’unica parola, un unico pensiero che le batteva dentro.

Macchina. Macchina. Macchina.

Doveva arrivare là. Doveva arrivare all’autostrada prima che…

E poi eccola lì, una nera serpe di asfalto al chiarore della luna, mentre le giungeva il rombo di un motore che si avvicinava e le righe bianche risplendevano, talmente vivide da ferirle gli occhi, i tronchi degli alberi neri come squarci contro la luce.

Che fosse troppo tardi?

Si sforzò di andare avanti per gli ultimi trenta metri, incespicando nei tronchi caduti, con il cuore che le batteva forte come un tamburo.

Macchina.

Sì, era troppo tardi, la macchina era troppo vicina, non sarebbe riuscita fermarla.

Si buttò a terra, le braccia tese.

«No!».

 

Le doleva dappertutto, tutto la sconvolgeva: la luce negli occhi, la corsa sfrenata. Odore di sangue nelle narici, mani appiccicose di sangue.

«Signorina Hamilton?».

La voce fece strada, flebile, in mezzo a una nebbia di dolore. Cercò di scuotere la testa ma le sue labbra non volevano saperne di formulare parole.

«Signorina Hamilton, è al sicuro, si trova in ospedale. Ora La sottoporremo ad una TAC».

Era una donna, e parlava con calma e chiarezza. La sua voce le stava stridendo le orecchie.

«C’è qualcuno che vorrebbe avvisare?».

Provò nuovamente a fare segno di no.

«Non si muova così», pronunciò queste parole con un tono discretamente severo. «Lei è ferita alla testa».

«Ana», sussurrò la ragazza.

«Vuole che telefoniamo ad Ana? Chi è Ana?».

«Sono io…È così che mi chiamo. Anastasia, Ana.».

«D’accordo, Ana», fece una breve pausa; la ragazza sentì un suono di fogli, come se la donna stesse sfogliando qualcosa. «Lei possiede sedici anni ed è la figlia del petroliere Philippe Hamilton e dell’attrice Hannah Whiting, conferma?».

Annuì debolmente. Sentire i nomi dei suoi genitori la rassicurò e l’agitò al tempo stesso. Non voleva che la vedessero in questo stato. Non voleva vedere nessuno.

«Perfetto. Ora cerchi di rilassarsi. Non sentirà male».

E invece sentiva male eccome. Tutto le faceva male.

Cos’era successo?

Che cosa aveva combinato?

 

~

 

Appena alzata si rese conto che era una giornata perfetta per una corsa nel parco invece che della solita palestra. Il sole filtrava attraverso l’enorme finestra, illuminando d’oro le lenzuola. Sentiva il profumo della pioggia di fine agosto che era caduta durante la notte e intanto osservava le foglie dei platani sulla strada che avevano assunto un bel color rame. Chiuse gli occhi e fece un po’ di stretching, prestando orecchio al ronzio dell’aria condizionata e ai rumori del traffico intanto che i suoi muscoli si preparavano alla giornata.

Il rituale della mattina era ormai sempre lo stesso da almeno un paio di settimane: forse aveva a che fare con il fatto di vivere in una famiglia molto ricca: faceva esattamente quel che aveva programmato, senza interruzioni esterne, senza che il suo fratellino di sette anni venisse a disturbarla in camera perché voleva giocare con il computer, dato che nella sua ne possedeva già tre, senza che il suo gatto tossisse una palla di pelo sul pavimento, perché c’era sempre qualche cameriera o maggiordomo pronto a pulire al suo posto. Sapeva perfettamente che ciò che lasciava sulla scrivania la sera prima lo ritrovava al proprio posto – nella credenza – il mattino dopo. Aveva il controllo dei suoi oggetti.

O forse aveva a che fare con il fatto che suo padre lavorasse fuori città e qualche volta oltreoceano. Spesso, data la mancanza del padre, le giornate estive finivano facilmente per scivolare informi, indistinte, mentre lei – Anastasia Hamilton – si ritrovava alle cinque del pomeriggio a fare colazione, scambiando due parole con suo fratello o la sua matrigna, oppure andava a dormire alle sette di mattina, dopo un’intera notte trascorsa fuori casa. Non c’era nessuno che la sgridasse o che le dicesse che era sbagliato comportarsi in tal modo, per questo motivo aveva scelto di crearsi una routine, uno stile di vita abbastanza sano. Se suo padre non poteva badare a lei, allora l’avrebbe fatto da sola.

Da un paio di settimane le sue giornate incominciavano così: alle sette e mezzo il maggiordomo accendeva tutta l’aria condizionata presente in casa, e quel rumore la svegliava. Dava un’occhiata al telefono, giusto per capire se durante la notte non ci fosse stata la fine del mondo e poi restava a letto ancora un po’, sentiva il rumore delle unghie di Muffin – il suo gatto – che raschiavano contro la sua porta, desideroso di entrare in camera.

Alle otto accendeva la radio, sempre sul telegiornale. Emergeva dal suo caldo letto, per poi stiracchiarsi il più possibile e dirigersi con sguardo assonnato in cucina, con la radio tra le mani, borbottando alla prima cameriera che passava di prepararle un caffè con due cucchiaini di zucchero, come sempre.

Di solito, quando avevano appena finito di dare le notizie principali, il caffè era pronto nella caraffa; a quel punto lo versava in una tazza, riempiendola fino all’orlo, accompagnato da un goccio di latte. Aggiungeva insieme una fetta biscottata spalmata di confettura di lamponi, senza burro perché non voleva assolutamente ingrassare. Quello che accadeva dopo dipendeva dal suo umore: se si sentiva energica, si faceva una doccia fredda e andava in palestra a correre oppure usciva con qualcuno, altrimenti rimaneva a casa, passando la mattinata tra selfie e social network.

Ma quella giornata era bellissima e Anastasia non vedeva l’ora di uscire, di sentire il fruscio delle foglie sotto le sue corverse e quel fresco venticello di fine estate sul viso. Alla doccia ci avrebbe pensato dopo.

Si infilò una maglietta, dei leggins neri, delle calze e le scarpe che aveva lasciato vicino alla porta della sua stanza. Poi scese a piedi i tre piani della propria villa e percorse il giardino, il quale la separava dalla strada, tuffandosi così nel mondo.

Al ritorno era accaldata, sudata e piacevolmente stanca. Appena entrata non salutò nessuno e si infilò sotto la doccia e ci rimase per più di un quarto d’ora, rimuginando sulle cose che aveva da fare: in primis la spesa online, perché voleva assolutamente comprare un vestito Chanel che aveva visto addosso ad una cantante che seguiva su Instagram, magari mentre si fumava una sigaretta. Subito dopo doveva aprire la sua posta elettronica per controllare se le avessero chiesto di partecipare a qualche servizio fotografico o a qualche sfilata importante… ed infine doveva rispondere ai messaggi che le erano arrivati su Whatsapp. Ogni volta che doveva aprire quell’applicazione sentiva sempre una strana ansia addosso. Non avrebbe saputo spiegarsi nemmeno lei il motivo, ma dall’anno scorso ogni volta che doveva aprirla, aveva uno smisurato timore di ricevere una notizia altrettanto brutta e dolorosa come quella.

La malinconia che provava si trasformò presto in qualcosa di peggio: un ricordo, un flashback. Perché doveva essere così difficile dimenticarsi di quel messaggio?

 

“Probabilmente non ce la faceva più a restare in questo mondo, ma almeno il paradiso adesso ha un nuovo angelo.

Mi dispiace, Anastasia.

Ma grazie di tutto”.

 

No, no, no!

Ormai era passato poco più di un anno: doveva farsene una ragione, non aveva senso pensarci ancora e mettersi a piangere, altrimenti sarebbe stata male per tutto il giorno.

Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e contò fino a dieci, quindici, venti. Quando li riaprì quel giorno era solo un ricordo lontano.

Si concentrò nuovamente su Whatsapp, per poi cliccare sull’icona con una determinazione un po’ troppo eccessiva.

Tra tutti i messaggi, ci fu solo uno che attirò la sua attenzione. Anastasia assunse un’espressione stranita: era stata aggiunta in un nuovo gruppo.

 

“Compleanno di Malcolm!!!!

 

Malcolm? Non conosceva nessun Malcolm. Tranne quell’idiota che piaceva a Diane.

Ma non poteva essere lui, non avevano mai alcun tipo di rapporto, avranno avuto una conversazione pacifica sì e no due o tre volte in tutta la loro vita. Perché mai avrebbe dovuto essere stata invitata al suo compleanno?

Per un attimo il suo dito sfiorò “abbandona il gruppo”.

Ma alla fine la curiosità ebbe la meglio e aprì il messaggio.

 

SALVE A TUTTI!!!

Per chi non mi conoscesse mi chiamo Ashley, e sono la migliore amica di Malcolm dai tempi delle scuole medie. Ma sono anche – udite udite – colei che è stata incaricata di organizzare il suo 22esimo compleanno e di conseguenza sarò io a vedere come fargli passare un compleanno DAVVERO FANTASTICO!!! Ho fatto due chiacchiere con Malcolm e lui non desidera fare una festa come gli altri anni, fatta in qualche pub a bere birra con più di cinquanta persone, perciò ci concederemo qualcosa di più “raffinato” e tranquillo: un fine settimana via da casa, dalle parti dei suoi vecchi luoghi preferiti, alias quelli della sua ex scuola superiore… Anche se credo che qualche fuori programma fatto di alcol e di fumo ci sarà di sicuro!!

Il fine settimana deciso da Malcolm è quello del 27-29 settembre. (Il suo compleanno è il 28!!)

So che si tratta di un preavviso MOLTO  breve, il fatto è che non avevamo molta scelta, tra impegni di lavoro, le festività e via dicendo. Per favore, rispondete il prima possibile e datemi conferma.

Baci e abbracci, non vedo l’ora di rivedere i vecchi amici e conoscerne di nuovi!!!!!

Ash xoxo”.

 

Anastasia restò lì, a fissare lo schermo a disagio, mentre si rosicchiava un’unghia laccata di viola nel  tentativo di capirci qualcosa.

Osservò la lista dei partecipanti: i numeri erano tutti sconosciuti ad eccezione di Diane Courtney Hannon, la sua migliore amica.

E questo tagliava la testa al toro: doveva trattarsi per forza di Malcolm Wilford. E lei sapeva – o almeno le pareva di ricordare – che Diane le avesse raccontato che Malcolm, durante il suo periodo alle superiori, amasse passare le giornate tra i boschi e tra la natura.

Ma perché? Perché Malcolm Wilford l’aveva invitata al suo compleanno?

Poteva trattarsi di un errore? Che questa Ashley avesse preso dei numeri di cellulare a caso dalla rubrica di lui e avesse creato un gruppo con quest’ultimi?

Solo diciassette persone, però… ciò significava che l’invito non avrebbe mai potuto essere uno sbaglio.

Anastasia rimase a fissare lo schermo per un altro po’, come se i pixel potessero fornire una risposta alle domande che le si agitavano inquiete nelle viscere. Era quasi pentita di non aver abbandonato il gruppo senza leggere quello stupido messaggio.

Improvvisamente sentì l’impulso di alzarsi: scaraventò il cellulare sul letto, si diresse alla porta e poi tornò indietro e rimase a fissare lo schermo.

Malcolm Wilford. Perché proprio io? Perché mi inviti ad un compleanno tra amici stretti e non mi hai mai invitata agli altri compleanni, dove se non veniva metà Denver non eri contento?

Ebbe l’impulso di domandarlo a questa Ashley, ma il suo cervello respinse subito l’idea.

C’era solo una persona che poteva sapere.

Si sedette. Dopodiché, prima di cambiare idea, digitò in tutta fretta un messaggio.

 

Ehi Diane. Non so se tu abbia letto, ma devo ammettere che mi ha stupito un po’ vedere il mio nome sull’elenco degli invitati al ventiduesimo compleanno di Malcolm. L’idea di andarci non mi entusiasma granché, non conosco nessuno. Tu ci vai?

 

Quindi si mise in attesa di una risposta.

Nelle ore successive cercò di non pensarci. Uscì dalla sua villa, intenta a viziarsi comprandosi qualcosa da Prada al fine di distrarsi, ma il messaggio di Ashley continuava a ronzarle in testa, fastidioso come un’afta sulla punta della lingua che ogni tanto procura una fitta dolorosa, come un’unghia rotta che non si riesce a smettere di tormentare. Il messaggio era ormai scomparso dalla schermata di Whatsapp, spinto sempre più in basso dai nuovi arrivi, ma Anastasia intuiva ancora la sua presenza. Questo sì che era un intoppo al regolare svolgimento della routine quotidiana.

Rispondi! implorava Diane nella sua testa mentre si provava gli abiti firmati nei camerini, chiedeva consigli alle commesse o semplicemente si osservava allo specchio. Ma non sapeva cosa avrebbe voluto che Diane rispondesse.

E infine, dopo quattro lunghissime ore, mentre cenava sorbendosi i commenti del suo fratellino riguardo qualche nuovo videogame, stava scorrendo sovrappensiero i Tweet del suo cellulare quando vide lampeggiare l’icona di un nuovo messaggio su Whatsapp.

Era di Diane.

Finalmente si era connessa.

Ingollò una sorsata di succo alla mela e respirò profondamente.

 

Ehilà Ana! Scusami se non ti ho risposto prima, ma stavo ascoltando mia madre suonare il pianoforte, lo sai quanto è brava.

Cazzo, a dirla tutta è l’ultima cosa che mi andrebbe di fare. Mal mi aveva già parlato del suo compleanno qualche tempo fa ma speravo di scampare questa volta. Con lui non va molto bene in questo periodo, è strano, pensa sempre a qualcosa. Boh.

Non so perché ti abbia invitata sinceramente, non l’ha mai fatto! Per lui non sei proprio Miss Simpatia. (Anche se mi ha confessato più volte che una botta te la darebbe volentieri ahahahahah) Magari glielo chiedo in uno di questi giorni.

E tu che fai, ci vai? Facciamo un patto? Se io vado, vieni anche tu. Non mi va di stare sola con Mal in questi tempi”.

 

Anastasia continuò a bere il suo succo, gli occhi fissi sullo schermo del cellulare e il pollice destro sospeso sulla tastiera dell’iPhone senza però decidersi a cliccarci sopra. Sperava che Diane avrebbe dato risposta ad almeno alcune delle domande che le ronzavano sempre più numerose in testa da qualche giorno. Dove avrebbero passato questo fatidico weekend? Perché invitarla per la prima volta ad un suo compleanno? Che stava succedendo tra Diane e Malcom? In che senso “strano”?

Ma perché tu e Malcolm… cominciò, per poi cancellare la frase. No, non poteva chiederglielo così a bruciapelo: equivaleva ad ammettere che non aveva la più pallida idea di cosa stesse succedendo.

Era sempre stata troppo orgogliosa per confessare la sua ignoranza, in qualsiasi avvenimento o materia. Detestava sentirsi in svantaggio.

Cercò di relegare delle domande in fondo alla mente, mentre si faceva la doccia e si vestiva. Ma quando riaprì la schermata dell’iPhone c’era un nuovo messaggio nel gruppo di Ashley.

Era un dispiaciuto “no, grazie” da parte di uno degli amici di Malcolm, per via di un certo matrimonio.

Ma c’era un secondo messaggio. Era di Ashley. Ma questo non era presente sul gruppo, le aveva inviato un messaggio privato.

 

Ciao Anastasia, scusa l’insistenza, ma mi stavo giusto domandando se avessi visto il mio messaggio sul gruppo, qualche ora fa. So che tu e Malcolm non siete in ottimi rapporti, però lui spera TANTO che tu possa esserci. Mi parla spesso di te, e so che vorrebbe instaurare un rapporto di amicizia. Non so cosa sia successo, ma credimi: sarebbe felicissimo se tu partecipassi… Parla spesso di te. Allora perché non dici di sì?! Renderesti completa la sua festa.

Ash xoxo”.

 

Avrebbe dovuto sentirsi in qualche maniera lusingata per il fatto che Malcolm desiderasse tanto la sua presenza e che Ashley si fosse data tanto da fare per rintracciarla. Ma non era così. Provava invece un rigurgito di fastidio, e si sentì invasa nella sua privacy. Si sentiva controllata, spiata. Oltre che completamente confusa e spaesata. E da quando Malcolm voleva “instaurare un rapporto di amicizia”? Perché parlava di lei alla sua migliore amica? E poi, chi la conosceva questa Ashley? Non ne aveva sentito mai parlare.

Spense il cellulare. Sentiva uno sterminato bisogno di fumare. Frugò in una delle borse e si accese una sigaretta. Ma, benché cercasse di concentrarsi su essa, scacciando con decisione dalla mente ogni pensiero relativo a quella festa, l’ultima frase di Ashley continuava ad aleggiare nell’aria, come un’eco irritante. Non so cosa sia successo. Sembrava la voce di una poppante lagnosa. Il volto della sedicenne assunse un’espressione piena di amarezza.

No, non lo sai. E quindi non cercare di ficcare il naso nel mio passato.

Le cose che Malcolm aveva detto a lei, a tutta la scuola, a tutta Denver, erano imperdonabili. Non potevano essere perdonate.

Per colpa sua aveva litigato molto con Diane, era costantemente arrabbiata con lei perché nonostante tutto ci stava ancora insieme.

Avrebbe potuto chiudere con lei, ma non ci riuscì mai, perché Diane era una vera amica, anzi, la sua migliore amica.

Lei era stata l’unica persona a rimanerle accanto per davvero durante quel periodo.

Le ritornò in mente quella volta in cui dormì nella camera da letto di Diane, una settimana esatta dopo quel giorno, ed Anastasia non poté fare a meno di rivedersi là, distesa a piangere nel letto, circondata dal corpo caldo della sua amica, che le sussurrava di dormire, mentre le accarezzava i capelli rossi. «Da oggi in poi ti proteggerà per sempre», le diceva, baciandole la fronte. Poi arrivò la notte, e durante uno dei tanti incubi aveva bagnato il letto. Appena se ne accorse scoppiò in lacrime dalla vergogna, non riusciva a capacitarsi che a quindici anni avesse fatto la pipì a letto, uno che non era il suo, poi. Pensava che Diane l’avrebbe presa in giro, ma invece ricordava che l’aveva stretta in un abbraccio e le aveva dato un suo vecchio peluche da coccolare, mentre si intrufolava furtiva nell’asciugatrice a prendere delle lenzuola pulite, per poi nascondere le altre nel cesto della biancheria sporca.

Udirono la voce assonnata di sua madre che dal corridoio chiedeva cosa fosse successo, e la rapida risposta di Diane: «Niente ma’, ho rovesciato il tè e adesso il letto di Ana è tutto bagnato. Torna a dormire, ci penso io».

Per un istante la rossa fece un salto nel tempo, ritrovandosi di nuovo nei panni di quella quindicenne spaventata. Poteva sentire nelle narici l’odore della sua stanza: l’aria viziata dal loro respiro notturno, la fragranza delle perle da bagno in un barattolo di vetro sul davanzale, il profumo delle lenzuola fresche di bucato.

«Non dirlo a nessuno», sussurrò Anastasia nascondendo il pigiama bagnato nella valigia mentre Diane rifaceva il letto con le lenzuola pulite. Lei scosse la testa.

«Certo che no, stupida».

E non lo fece mai.

Anastasia era ancora immersa nei ricordi quando un “ding” sommesso proveniente dal cellulare le annunciò la comparsa di un nuovo messaggio. Era di Diane.

Avrebbe voluto inviarle un messaggio vocale dove urlava che le voleva un bene dell’anima, che la ringraziava di essere un’amica così straordinaria, ma si trattenne. Probabilmente le avrebbe risposto con un “ma sei scema per caso?” e avrebbero riso insieme.

Scosse appena il capo, leggendo il messaggio.

 

Allora, che programmi hai? Ash mi sta addosso. Accetti il patto?”.

 

Si precipitò alla porta della sua camera, avvertendo l’idiozia di quel che stava per fare, poi tornò indietro e, prima di cambiare idea, digitò: “Ok, affare fatto”.

La risposta di Diane arrivò qualche minuto dopo.


Wow! Non prenderla per il verso sbagliato, ma devo dire che sono sorpresa che tu abbia accettato. In senso buono, eh! Allora d’accordo, andiamoci, e non azzardarti a tirarmi un bidone: ricorda che sono una fan accanita di CSI e Grey’s Anatomy, e conosco almeno tre modi per ucciderti senza lasciare traccia ahahah”.

 

Con un altro lungo respiro, aprì la chat del gruppo e scrisse:

 

Sarò davvero felice di partecipare alla festa. Ringrazia Malcolm da parte mia per aver pensato a me. Non vedo l’ora di conoscervi e di passare un po’ di tempo con gente nuova”.

 

Da quel momento i messaggi sul gruppo si susseguirono frequenti e veloci. Ci fu una raffica di desolati “no”, ognuno dei quali menzionava il preavviso troppo breve.

Vacanze all’estero…”.

Mi dispiace tanto, ma devo lavorare…”.

Funzione commemorativa di famiglia…”. A questo messaggio Anastasia non poté fare a meno di scrivere a Diane in chat privata: “Il funerale glielo do io, al prossimo che scrive nel gruppo, mi stanno riempiendo di notifiche”.

Purtroppo andrò a fare snorkeling in Cornovaglia!”, questa volta fu Diane a commentare: “Snorkeling? A fine settembre? Non poteva trovare una scusa migliore?”.

Anastasia stette un po’ su Facebook, e nel frattempo arrivarono altri rifiuti a causa di impegni presi in precedenza. Ma nel mezzo di tutto questo, qualcuno accettò.

Alla fine arrivò l’elenco dei partecipanti:

Malcolm Wilford

Ashley Dickinson

Felix Albert Burgress

Tyler McKibben

Diane Courtney Hannon

Anastasia Hamilton

Emily Crownover

Quest’ultimo nome sorprese sia Anastasia ché Diane: era una cheerleader del loro liceo, come faceva Malcolm a conoscerla? Diane si precipitò ad inviare un messaggio privato all’amica con scritto: “???”.

Anastasia rispose con un semplice “Boh”, per poi tornare a guardare la lista dei partecipanti. Solo sette persone. Non sembravano poi tante, per una persona gettonata come Malcolm. Però bisognava considerare che Ashley aveva scritto che quest’anno voleva una festa tranquilla e che il preavviso era davvero breve.

Era per questo che l’aveva invitata? Per fare numero in una festa di compleanno stile “gratta il fondo del barile”? Ma no, non era da Malcom, non era da Diane, non era dalla maggior parte di persone che conosceva, non era da lei. In questo si accomunavano, perché quelli come loro avrebbero invitato esattamente chi volevano alla loro festa suuuper esclusiva e aperta solo ad una manciata di fortunati.

Nei giorni successivi la ragazza scacciò i ricordi dalla mente ributtandosi nelle solite cose da fare. Ma puntualmente ritornavano quando meno se l’aspettava, durante lo shopping, in discoteca, a scuola, quando fumava, oppure nel bel mezzo della notte.

E allora perché? Malcolm, perché proprio io?

 

 

 

Note dell’autrice: Ehm. Sì, lo so. Pubblico questo capitolo con un ritardo spaventoso, ma meglio tardi che mai, no? Mi scuso con tutte le meravigliose (e pazienti) persone che seguono questa storia, cercherò di essere molto più costante nei prossimi aggiornamenti. Infatti ho già iniziato a scrivere il quinto capitolo.

Parlando della storia, questo capitolo si svolge completamente nel passato, lentamente ci stiamo avvicinando al rapimento di Anastasia.

In questo capitolo (che tra l’altro è uscito un po’ più lungo, ma meglio così!) il mio intento era quello di attirare la vostra attenzione ed incuriosirvi, sperando davvero di esserci riuscita! Ho dato solo un paio di letture superficiali, quindi se notate qualche errore, mi farebbe piacere saperlo, al fine di correggere.

Come sempre lasciate una recensione, riceverle è sempre un grande piacere e alimenta la mia voglia di scrivere!

Al prossimo capitolo,

Coffee Pie.

 

   
 
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