Part I
Chapter IV
L’invito
“Ti piaccia allora darmi retta se
dico che so creare stranezze.”
The Knick
Correva.
Correva nel bosco
rischiarato dalla luna, tra rami che le strappavano i vestiti mentre inciampava
in mezzo alle felci, le braccia frustate dai rovi.
Il respiro le feriva la
gola, le faceva male. Era tutta dolorante.
Però continuava a correre. Sì, questo poteva
farlo.
Quando correva in palestra aveva sempre le auricolari nelle orecchie, una
playlist movimentata già pronta che le arrivava fino al cervello,
distogliendo i suoi pensieri dalle preoccupazioni giornaliere. Erano le canzoni
a decidere il ritmo che doveva prendere nella corsa, o le frustrazioni da
calpestare sotto ogni passo contro il tapis roulant.
Ma stavolta c’era un’unica parola, un
unico pensiero che le batteva dentro.
Macchina. Macchina. Macchina.
Doveva arrivare là.
Doveva arrivare all’autostrada prima che…
E poi eccola lì,
una nera serpe di asfalto al chiarore della luna, mentre le giungeva il rombo
di un motore che si avvicinava e le righe bianche risplendevano, talmente
vivide da ferirle gli occhi, i tronchi degli alberi neri come squarci contro la
luce.
Che fosse troppo tardi?
Si sforzò di andare
avanti per gli ultimi trenta metri, incespicando nei tronchi caduti, con il
cuore che le batteva forte come un tamburo.
Macchina.
Sì, era troppo
tardi, la macchina era troppo vicina, non sarebbe riuscita fermarla.
Si buttò a terra, le braccia tese.
«No!».
Le doleva dappertutto,
tutto la sconvolgeva: la luce negli occhi, la corsa sfrenata. Odore di sangue
nelle narici, mani appiccicose di sangue.
«Signorina
Hamilton?».
La voce fece
strada, flebile, in mezzo a una nebbia di dolore. Cercò di scuotere la
testa ma le sue labbra non volevano saperne di formulare parole.
«Signorina Hamilton, è al sicuro, si trova in
ospedale. Ora La sottoporremo ad una TAC».
Era una donna, e parlava
con calma e chiarezza. La sua voce le stava stridendo le orecchie.
«C’è
qualcuno che vorrebbe avvisare?».
Provò nuovamente a
fare segno di no.
«Non si muova
così», pronunciò queste parole con un tono discretamente
severo. «Lei è ferita alla testa».
«Ana», sussurrò la ragazza.
«Vuole che telefoniamo ad Ana? Chi è Ana?».
«Sono io…È così che mi chiamo.
Anastasia, Ana.».
«D’accordo,
Ana», fece una breve pausa; la ragazza sentì un suono di fogli,
come se la donna stesse sfogliando qualcosa. «Lei possiede sedici anni ed
è la figlia del petroliere Philippe Hamilton e dell’attrice Hannah
Whiting, conferma?».
Annuì debolmente.
Sentire i nomi dei suoi genitori la rassicurò e l’agitò
al tempo stesso. Non voleva che la vedessero in questo stato. Non voleva vedere
nessuno.
«Perfetto. Ora cerchi di rilassarsi. Non
sentirà male».
E invece sentiva male
eccome. Tutto le faceva male.
Cos’era successo?
Che cosa aveva combinato?
~
Appena alzata si rese
conto che era una giornata perfetta per una corsa nel parco invece che della
solita palestra. Il sole filtrava attraverso l’enorme finestra,
illuminando d’oro le lenzuola. Sentiva il profumo della pioggia di fine agosto
che era caduta durante la notte e intanto osservava le foglie dei platani sulla
strada che avevano assunto un bel color rame. Chiuse gli occhi e fece un
po’ di stretching, prestando orecchio al ronzio dell’aria
condizionata e ai rumori del traffico intanto che i suoi muscoli si preparavano
alla giornata.
Il rituale della mattina
era ormai sempre lo stesso da almeno un paio di settimane: forse aveva a che
fare con il fatto di vivere in una famiglia molto ricca: faceva esattamente
quel che aveva programmato, senza interruzioni esterne, senza che il suo
fratellino di sette anni venisse a disturbarla in camera perché voleva
giocare con il computer, dato che nella sua ne
possedeva già tre, senza che il suo gatto tossisse una palla di pelo sul
pavimento, perché c’era sempre qualche cameriera o maggiordomo
pronto a pulire al suo posto. Sapeva perfettamente che ciò che lasciava
sulla scrivania la sera prima lo ritrovava al proprio posto – nella
credenza – il mattino dopo. Aveva il controllo dei suoi oggetti.
O forse aveva a che fare
con il fatto che suo padre lavorasse fuori città e qualche volta
oltreoceano. Spesso, data la mancanza del padre, le giornate estive finivano
facilmente per scivolare informi, indistinte, mentre lei – Anastasia
Hamilton – si ritrovava alle cinque del pomeriggio a fare colazione,
scambiando due parole con suo fratello o la sua matrigna, oppure andava a
dormire alle sette di mattina, dopo un’intera notte trascorsa fuori casa. Non c’era nessuno che la sgridasse o che le
dicesse che era sbagliato comportarsi in tal modo, per questo motivo aveva
scelto di crearsi una routine, uno stile di vita abbastanza sano. Se suo padre
non poteva badare a lei, allora l’avrebbe fatto da sola.
Da un paio di settimane le
sue giornate incominciavano così: alle sette e
mezzo il maggiordomo accendeva tutta l’aria condizionata presente in
casa, e quel rumore la svegliava. Dava un’occhiata al
telefono, giusto per capire se durante la notte non ci fosse stata la fine del
mondo e poi restava a letto ancora un po’, sentiva il rumore delle unghie di
Muffin – il suo gatto – che raschiavano contro la sua porta,
desideroso di entrare in camera.
Alle otto accendeva la
radio, sempre sul telegiornale. Emergeva dal suo caldo letto, per poi
stiracchiarsi il più possibile e dirigersi con sguardo assonnato in
cucina, con la radio tra le mani, borbottando alla prima cameriera che passava
di prepararle un caffè con due cucchiaini di zucchero, come sempre.
Di solito, quando avevano
appena finito di dare le notizie principali, il
caffè era pronto nella caraffa; a quel punto lo versava in una tazza,
riempiendola fino all’orlo, accompagnato da un goccio di latte.
Aggiungeva insieme una fetta biscottata spalmata di confettura di lamponi,
senza burro perché non voleva assolutamente ingrassare. Quello che
accadeva dopo dipendeva dal suo umore: se si sentiva energica, si faceva una
doccia fredda e andava in palestra a correre oppure usciva con qualcuno,
altrimenti rimaneva a casa, passando la mattinata tra selfie e social network.
Ma quella giornata era bellissima e Anastasia non
vedeva l’ora di uscire, di sentire il fruscio delle foglie sotto le sue
corverse e quel fresco venticello di fine estate sul viso. Alla doccia ci avrebbe
pensato dopo.
Si infilò una maglietta, dei leggins neri,
delle calze e le scarpe che aveva lasciato vicino alla porta della sua stanza. Poi
scese a piedi i tre piani della propria villa e percorse il giardino, il quale la
separava dalla strada, tuffandosi così nel mondo.
Al ritorno era accaldata,
sudata e piacevolmente stanca. Appena entrata non salutò nessuno e si infilò sotto la doccia e ci rimase per più
di un quarto d’ora, rimuginando sulle cose che aveva da fare: in primis
la spesa online, perché voleva assolutamente comprare un vestito Chanel
che aveva visto addosso ad una cantante che seguiva su Instagram, magari mentre
si fumava una sigaretta. Subito dopo doveva aprire la sua posta elettronica per
controllare se le avessero chiesto di partecipare a qualche servizio
fotografico o a qualche sfilata importante… ed
infine doveva rispondere ai messaggi che le erano arrivati su Whatsapp. Ogni
volta che doveva aprire quell’applicazione sentiva
sempre una strana ansia addosso. Non avrebbe saputo spiegarsi nemmeno lei il
motivo, ma dall’anno scorso ogni volta che doveva aprirla, aveva uno
smisurato timore di ricevere una notizia altrettanto brutta e dolorosa come
quella.
La malinconia che provava
si trasformò presto in qualcosa di peggio: un ricordo, un flashback.
Perché doveva essere così difficile dimenticarsi di quel
messaggio?
“Probabilmente non ce la faceva più a restare
in questo mondo, ma almeno il paradiso adesso ha un nuovo angelo.
Mi dispiace, Anastasia.
Ma grazie di tutto”.
No, no, no!
Ormai era passato poco
più di un anno: doveva farsene una ragione, non aveva senso pensarci
ancora e mettersi a piangere, altrimenti sarebbe stata male per tutto il
giorno.
Chiuse gli occhi, fece un
respiro profondo e contò fino a dieci, quindici, venti. Quando li
riaprì quel giorno era solo un ricordo lontano.
Si concentrò
nuovamente su Whatsapp, per poi cliccare sull’icona con una
determinazione un po’ troppo eccessiva.
Tra tutti i messaggi, ci
fu solo uno che attirò la sua attenzione. Anastasia assunse
un’espressione stranita: era stata aggiunta in un nuovo gruppo.
“Compleanno di Malcolm!!!!”
Malcolm? Non conosceva
nessun Malcolm. Tranne quell’idiota che piaceva a Diane.
Ma non poteva essere lui, non avevano mai alcun tipo
di rapporto, avranno avuto una conversazione pacifica sì e no due o tre
volte in tutta la loro vita. Perché mai avrebbe dovuto
essere stata invitata al suo compleanno?
Per un attimo il suo dito
sfiorò “abbandona il gruppo”.
Ma alla fine la
curiosità ebbe la meglio e aprì il
messaggio.
“SALVE A TUTTI!!!
Per chi non mi conoscesse
mi chiamo Ashley, e sono la migliore amica di Malcolm dai tempi delle scuole
medie. Ma sono anche – udite udite – colei
che è stata incaricata di organizzare il suo 22esimo compleanno e di
conseguenza sarò io a vedere come fargli passare un compleanno DAVVERO
FANTASTICO!!! Ho fatto due chiacchiere con Malcolm e lui non desidera fare una
festa come gli altri anni, fatta in qualche pub a bere birra con più di cinquanta
persone, perciò ci concederemo qualcosa di più
“raffinato” e tranquillo: un fine settimana via da casa, dalle
parti dei suoi vecchi luoghi preferiti, alias quelli della sua ex scuola
superiore… Anche se credo che qualche fuori programma fatto di alcol e di
fumo ci sarà di sicuro!!
Il fine settimana deciso da Malcolm è quello
del 27-29 settembre. (Il suo compleanno è il 28!!)
So che si tratta di un preavviso MOLTO breve, il fatto
è che non avevamo molta scelta, tra impegni di lavoro, le
festività e via dicendo. Per favore, rispondete il prima possibile e
datemi conferma.
Baci e abbracci, non vedo l’ora di rivedere i
vecchi amici e conoscerne di nuovi!!!!!
Ash xoxo”.
Anastasia restò
lì, a fissare lo schermo a disagio, mentre si rosicchiava un’unghia
laccata di viola nel
tentativo di capirci qualcosa.
Osservò la lista
dei partecipanti: i numeri erano tutti sconosciuti ad eccezione di Diane
Courtney Hannon, la sua migliore amica.
E questo tagliava la testa al toro: doveva trattarsi per forza di
Malcolm Wilford. E lei sapeva – o almeno le pareva di ricordare –
che Diane le avesse raccontato che Malcolm, durante il suo periodo alle
superiori, amasse passare le giornate tra i boschi e tra la natura.
Ma perché? Perché Malcolm Wilford
l’aveva invitata al suo compleanno?
Poteva trattarsi di un
errore? Che questa Ashley avesse preso dei numeri di
cellulare a caso dalla rubrica di lui e avesse creato un gruppo con
quest’ultimi?
Solo diciassette persone,
però… ciò significava che l’invito non avrebbe mai
potuto essere uno sbaglio.
Anastasia rimase a fissare
lo schermo per un altro po’, come se i pixel potessero fornire una
risposta alle domande che le si agitavano inquiete
nelle viscere. Era quasi pentita di non aver abbandonato il gruppo senza
leggere quello stupido messaggio.
Improvvisamente
sentì l’impulso di alzarsi: scaraventò il cellulare sul
letto, si diresse alla porta e poi tornò indietro e rimase a fissare lo
schermo.
Malcolm Wilford. Perché proprio io?
Perché mi inviti ad un compleanno tra amici
stretti e non mi hai mai invitata agli altri compleanni, dove se non veniva
metà Denver non eri contento?
Ebbe l’impulso di
domandarlo a questa Ashley, ma il suo cervello
respinse subito l’idea.
C’era solo una
persona che poteva sapere.
Si sedette.
Dopodiché, prima di cambiare idea, digitò in tutta fretta un
messaggio.
“Ehi Diane. Non so se tu abbia letto, ma devo
ammettere che mi ha stupito un po’ vedere il mio nome sull’elenco
degli invitati al ventiduesimo compleanno di Malcolm. L’idea di andarci
non mi entusiasma granché, non conosco nessuno. Tu ci vai?”
Quindi si mise in attesa di una risposta.
Nelle ore successive
cercò di non pensarci. Uscì dalla sua villa, intenta a viziarsi
comprandosi qualcosa da Prada al fine di distrarsi, ma il messaggio di Ashley continuava
a ronzarle in testa, fastidioso come un’afta sulla punta della lingua che
ogni tanto procura una fitta dolorosa, come un’unghia rotta che non si
riesce a smettere di tormentare. Il messaggio era ormai scomparso dalla
schermata di Whatsapp, spinto sempre più in basso dai nuovi arrivi, ma Anastasia intuiva ancora la sua presenza. Questo
sì che era un intoppo al regolare svolgimento della routine quotidiana.
Rispondi!
implorava Diane nella sua testa mentre si provava gli
abiti firmati nei camerini, chiedeva consigli alle commesse o semplicemente si
osservava allo specchio. Ma non sapeva cosa avrebbe
voluto che Diane rispondesse.
E infine, dopo quattro
lunghissime ore, mentre cenava sorbendosi i commenti del suo fratellino
riguardo qualche nuovo videogame, stava scorrendo
sovrappensiero i Tweet del suo cellulare quando vide lampeggiare l’icona
di un nuovo messaggio su Whatsapp.
Era di Diane.
Finalmente si era
connessa.
Ingollò una sorsata
di succo alla mela e respirò profondamente.
“Ehilà Ana! Scusami
se non ti ho risposto prima, ma stavo ascoltando mia madre suonare il
pianoforte, lo sai quanto è brava.
Cazzo, a dirla tutta è l’ultima cosa
che mi andrebbe di fare. Mal mi aveva già parlato del suo compleanno
qualche tempo fa ma speravo di scampare questa volta. Con lui non va molto bene
in questo periodo, è strano, pensa sempre a qualcosa. Boh.
Non so perché ti abbia invitata
sinceramente, non l’ha mai fatto! Per lui non sei proprio Miss Simpatia. (Anche se mi ha confessato più volte che una botta te
la darebbe volentieri ahahahahah) Magari glielo chiedo in uno di questi giorni.
E tu che fai, ci vai? Facciamo un patto? Se io
vado, vieni anche tu. Non mi va di stare sola con Mal in
questi tempi”.
Anastasia continuò
a bere il suo succo, gli occhi fissi sullo schermo del cellulare e il pollice
destro sospeso sulla tastiera dell’iPhone senza
però decidersi a cliccarci sopra. Sperava che Diane avrebbe
dato risposta ad almeno alcune delle domande che le ronzavano sempre
più numerose in testa da qualche giorno. Dove avrebbero passato questo
fatidico weekend? Perché invitarla per la prima volta ad
un suo compleanno? Che stava succedendo tra Diane e Malcom? In che senso “strano”?
Ma perché tu e Malcolm… cominciò, per poi cancellare la frase. No,
non poteva chiederglielo così a bruciapelo: equivaleva ad ammettere che
non aveva la più pallida idea di cosa stesse succedendo.
Era sempre stata troppo
orgogliosa per confessare la sua ignoranza, in
qualsiasi avvenimento o materia. Detestava sentirsi in svantaggio.
Cercò di relegare
delle domande in fondo alla mente, mentre si faceva la doccia e si vestiva. Ma
quando riaprì la schermata dell’iPhone
c’era un nuovo messaggio nel gruppo di Ashley.
Era un dispiaciuto
“no, grazie” da parte di uno degli amici di
Malcolm, per via di un certo matrimonio.
Ma c’era un secondo messaggio. Era di Ashley. Ma questo non era presente sul gruppo, le aveva inviato un
messaggio privato.
“Ciao Anastasia, scusa l’insistenza, ma
mi stavo giusto domandando se avessi visto il mio messaggio sul gruppo, qualche ora fa. So che tu e Malcolm non siete in ottimi rapporti,
però lui spera TANTO che tu possa esserci. Mi parla spesso di te, e so
che vorrebbe instaurare un rapporto di amicizia. Non so cosa sia successo, ma
credimi: sarebbe felicissimo se tu partecipassi… Parla spesso di te.
Allora perché non dici di sì?!
Renderesti completa la sua festa.
Ash xoxo”.
Avrebbe dovuto sentirsi in
qualche maniera lusingata per il fatto che Malcolm
desiderasse tanto la sua presenza e che Ashley si fosse data tanto da fare per
rintracciarla. Ma non era così. Provava invece
un rigurgito di fastidio, e si sentì invasa nella sua privacy. Si
sentiva controllata, spiata. Oltre che completamente confusa e spaesata. E da
quando Malcolm voleva “instaurare un rapporto di amicizia”?
Perché parlava di lei alla sua migliore amica? E poi, chi la conosceva questa Ashley? Non ne aveva sentito mai parlare.
Spense il cellulare.
Sentiva uno sterminato bisogno di fumare. Frugò in una delle borse e si
accese una sigaretta. Ma, benché cercasse di concentrarsi su essa,
scacciando con decisione dalla mente ogni pensiero relativo a
quella festa, l’ultima frase di Ashley continuava ad aleggiare
nell’aria, come un’eco irritante. Non so cosa sia successo. Sembrava la voce di una poppante lagnosa.
Il volto della sedicenne assunse un’espressione piena di amarezza.
No, non lo sai. E quindi non cercare di ficcare il
naso nel mio passato.
Le cose che Malcolm aveva
detto a lei, a tutta la scuola, a tutta Denver, erano imperdonabili. Non potevano
essere perdonate.
Per colpa sua aveva
litigato molto con Diane, era costantemente arrabbiata con lei perché
nonostante tutto ci stava ancora insieme.
Avrebbe potuto chiudere
con lei, ma non ci riuscì mai, perché Diane era una vera amica,
anzi, la sua migliore amica.
Lei era stata
l’unica persona a rimanerle accanto per davvero durante quel periodo.
Le ritornò in mente
quella volta in cui dormì nella camera da letto di
Diane, una settimana esatta dopo quel
giorno, ed Anastasia non poté fare a meno di rivedersi là,
distesa a piangere nel letto, circondata dal corpo caldo della sua amica, che
le sussurrava di dormire, mentre le accarezzava i capelli rossi. «Da oggi
in poi ti proteggerà per sempre», le diceva, baciandole la fronte.
Poi arrivò la notte, e durante uno dei tanti incubi aveva bagnato il
letto. Appena se ne accorse scoppiò in lacrime dalla vergogna, non
riusciva a capacitarsi che a quindici anni avesse fatto la pipì a letto,
uno che non era il suo, poi. Pensava che Diane l’avrebbe presa in giro, ma invece ricordava che l’aveva stretta in un
abbraccio e le aveva dato un suo vecchio peluche da coccolare, mentre si
intrufolava furtiva nell’asciugatrice a prendere delle lenzuola pulite,
per poi nascondere le altre nel cesto della biancheria sporca.
Udirono la voce assonnata
di sua madre che dal corridoio chiedeva cosa fosse successo, e la rapida
risposta di Diane: «Niente ma’, ho
rovesciato il tè e adesso il letto di Ana è tutto bagnato. Torna
a dormire, ci penso io».
Per un istante la rossa
fece un salto nel tempo, ritrovandosi di nuovo nei panni di quella quindicenne
spaventata. Poteva sentire nelle narici l’odore della sua stanza:
l’aria viziata dal loro respiro notturno, la fragranza delle perle da
bagno in un barattolo di vetro sul davanzale, il profumo delle lenzuola fresche
di bucato.
«Non dirlo a
nessuno», sussurrò Anastasia nascondendo il pigiama bagnato nella
valigia mentre Diane rifaceva il letto con le lenzuola pulite. Lei scosse la
testa.
«Certo che no,
stupida».
E non lo fece mai.
Anastasia era ancora
immersa nei ricordi quando un “ding” sommesso proveniente dal
cellulare le annunciò la comparsa di un nuovo messaggio. Era di Diane.
Avrebbe voluto inviarle un
messaggio vocale dove urlava che le voleva un bene
dell’anima, che la ringraziava di essere un’amica così
straordinaria, ma si trattenne. Probabilmente le avrebbe risposto con un
“ma sei scema per caso?” e avrebbero riso insieme.
Scosse appena il capo,
leggendo il messaggio.
“Allora, che programmi hai? Ash mi sta
addosso. Accetti il patto?”.
Si precipitò alla
porta della sua camera, avvertendo l’idiozia di quel che stava per fare,
poi tornò indietro e, prima di cambiare idea, digitò: “Ok, affare fatto”.
La risposta di Diane
arrivò qualche minuto dopo.
“Wow! Non prenderla per il verso
sbagliato, ma devo dire che sono sorpresa che tu abbia accettato. In senso
buono, eh! Allora d’accordo, andiamoci, e non azzardarti a tirarmi un bidone: ricorda che sono una fan accanita di CSI
e Grey’s Anatomy, e conosco almeno tre modi per ucciderti senza lasciare
traccia ahahah”.
Con un altro lungo
respiro, aprì la chat del gruppo e scrisse:
“Sarò davvero felice di partecipare
alla festa. Ringrazia Malcolm da parte mia per aver pensato a me. Non vedo
l’ora di conoscervi e di passare un po’ di tempo con gente nuova”.
Da quel momento i messaggi
sul gruppo si susseguirono frequenti e veloci. Ci fu una raffica di desolati
“no”, ognuno dei quali menzionava il preavviso troppo breve.
“Vacanze all’estero…”.
“Mi dispiace tanto, ma devo lavorare…”.
“Funzione commemorativa di famiglia…”.
A questo messaggio Anastasia non poté fare a meno di scrivere a Diane in
chat privata: “Il funerale glielo
do io, al prossimo che scrive nel gruppo, mi stanno riempiendo di notifiche”.
“Purtroppo andrò a fare snorkeling in
Cornovaglia!”, questa volta fu Diane a commentare: “Snorkeling? A fine settembre? Non poteva trovare una scusa migliore?”.
Anastasia stette un
po’ su Facebook, e nel frattempo arrivarono altri rifiuti a causa di impegni presi in precedenza. Ma
nel mezzo di tutto questo, qualcuno accettò.
Alla fine arrivò
l’elenco dei partecipanti:
Malcolm Wilford
Ashley Dickinson
Felix Albert Burgress
Tyler McKibben
Diane Courtney Hannon
Anastasia Hamilton
Emily Crownover
Quest’ultimo nome
sorprese sia Anastasia ché Diane: era una cheerleader
del loro liceo, come faceva Malcolm a conoscerla? Diane si precipitò
ad inviare un messaggio privato all’amica con scritto: “???”.
Anastasia rispose con un
semplice “Boh”, per poi
tornare a guardare la lista dei partecipanti. Solo sette persone. Non
sembravano poi tante, per una persona gettonata come Malcolm. Però
bisognava considerare che Ashley aveva scritto che
quest’anno voleva una festa tranquilla e che il preavviso era davvero breve.
Era per
questo che l’aveva
invitata? Per fare numero in una festa di compleanno stile “gratta il fondo del barile”? Ma
no, non era da Malcom, non era da Diane, non era dalla maggior parte di persone
che conosceva, non era da lei. In questo si accomunavano, perché quelli
come loro avrebbero invitato esattamente
chi volevano alla loro festa suuuper
esclusiva e aperta solo ad una manciata di fortunati.
Nei giorni successivi la
ragazza scacciò i ricordi dalla mente ributtandosi nelle solite cose da
fare. Ma puntualmente ritornavano quando meno se l’aspettava,
durante lo shopping, in discoteca, a scuola, quando fumava, oppure nel bel
mezzo della notte.
E allora perché? Malcolm, perché
proprio io?
Note dell’autrice: Ehm. Sì, lo so.
Pubblico questo capitolo con un ritardo spaventoso, ma meglio tardi che mai,
no? Mi scuso con tutte le meravigliose (e pazienti)
persone che seguono questa storia, cercherò di essere molto più
costante nei prossimi aggiornamenti. Infatti ho
già iniziato a scrivere il quinto capitolo.
Parlando della storia,
questo capitolo si svolge completamente
nel passato, lentamente ci stiamo avvicinando al rapimento di Anastasia.
In questo capitolo (che
tra l’altro è uscito un po’ più lungo, ma meglio
così!) il mio intento era quello di attirare la
vostra attenzione ed incuriosirvi, sperando davvero di esserci riuscita! Ho
dato solo un paio di letture superficiali, quindi se notate qualche errore, mi
farebbe piacere saperlo, al fine di correggere.
Come sempre lasciate una
recensione, riceverle è sempre un grande piacere e alimenta la mia
voglia di scrivere!
Al prossimo capitolo,
Coffee Pie.