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Autore: Castiga Akirashi    27/09/2015    1 recensioni
- ATTENZIONE: questa storia è il seguito di Black Hole. Se non avete l'avete letta, la comprensione potrebbe risultare difficile. -
Due anime gemelle sono due metà che si compongono.
Una non può vivere senza l'altra.
Raphael ha perso la sua e, ora, la sua unica gioia è Lily.
Ma capirà presto che non è mai troppo tardi per essere felici...
Questa storia è un po' diversa dalle altre sui Pokémon... diciamo che ci sono lotte, ci sono Pokémon ma c'è anche altro. Ho cercato di inserire il più possibile inerente all'argomento.
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Giovanni entrò nel campo di battaglia dell'ultimo Élite, Drake. Era un enorme stanza, piena di rocce, sassi e montagne. Davanti a lui, un marinaio tutto muscoli: la giacca aperta ne mostrava i possenti addominali; nonostante i capelli e i baffi bianchi, sembrava un avversario temibile. L'uomo sorrise ed esclamò: «Il tuo viaggio finisce qui ragazzino. Ho molta fretta e poco tempo. Vai Salamence, megaevolvi.»
Il Pokémon Drago uscì dalla sua sfera già megaevoluto. Giovanni mandò tutti ma niente pareva riuscire ad arrestare la sua furia. Perfino MegaJukain aveva problemi. Le tentava tutte, con il Dragartigli, ma Salamence, di tipo drago-volante, si teneva al sicuro e attaccava con una rapidità disarmante.
«Ottima lotta. Ma ci vuole qualcosa di meglio per arrivare da Rocco. Allenati e ne riparleremo.» sorrise beffardo, per poi chiamare qualcuno che lo accompagnasse fuori. Triste, Giovanni tornò a casa, sulle ali del suo Pelipper. Quando giunse, vide Lily presa con gli studi e il suo nuovo Pokémon.
«Ehi, Sapientina.» salutò, avvicinandosi cercando di nascondere il suo disappunto vista la sconfitta.
«Mostriciattolo.» ricambiò lei, non troppo lieta di vederlo: «Già qui?»
«Affari miei. Tu invece, chi sei?» chiese alla Torchic, ignorando la sorellastra.
Lei sorrise e rispose: *«Mi chiamo Flamey! E tu?» *
«Giovanni. Il suo fratellastro.» rispose, indicando la ragazzina. Rivolgendosi a lei, chiede: «Papà?»
«Dentro credo.»
Senza più una parola, Giovanni si diresse verso la casa. Vedendo il padre posato al davanzale, lo salutò da lontano. Lui ricambiò con un gesto della mano e uscì per salutarlo. Lo strinse e chiese: «Se sei già qui, non sei arrivato in fondo.»
Lui si fece imbarazzato e mormorò: «Tre su quattro. Il primato di aver sconfitto un Campione resta a te.»
«Avevo Reshiram con me. Temo non sia troppo valido. In lotta non ufficiale, tua madre ha sconfitto Lance.»
«Allora si riconferma la migliore.» sorrise lui: «Come state? C'è qualche novità?»
N lo fissò per un momento, ricordando la promessa che gli aveva fatto. Ma non era sicuro. Non ancora. Così, sorrise e rispose: «Niente di che. Stasera cena grande. Finalmente sei tornato.»
E così effettivamente fu. N diede prova di tutto il suo estro culinario per festeggiare il figlio tornato. Lily, imbronciata per tutta la sera, ebbe il suo momento quando N, alla fine della serata, sedette accanto a lei e mormorò: «Ora tocca a te. Ma non accettiamo sconfitte.»
Lei gli sorrise, imbarazzata ma convinta, e rispose: «Non fallirò.»
E finalmente, arrivò il grande giorno; Lily entrò nella scuola con il cuore in gola. La Pokéball di Flamey nella tasca le dava un minimo di tranquillità, ma l'ansia era comunque opprimente. Venne affiancata dall'amico Felix e, dopo l'appello, sedette al suo banco. Quando uscì, sentiva di aver fatto il peggior disastro della sua vita. Ma per fortuna si sbagliava e, un paio di settimane dopo, i risultati smentirono tutte le sue paure. L'ansia, però, tornò a perseguitarla presto, quando fu ora di cominciare alle superiori. In preda al panico, camminava davanti alla cella della madre, come se non riuscisse a stare ferma. Athena bloccò la camminata ansiosa e le prese le mani dolcemente, mormorando: «Vedrai che ce la farai. Devi solo andare a scuola come fai sempre.»
Il loro rapporto era migliorato man mano che il tempo passava, rinsaldandosi, nonostante lei fosse la Bestia del Continente e la distanza forzata. Sapeva solo che le voleva stranamente bene, una cosa più unica che rara, e le faceva molto piacere la sua compagnia ormai divenuta quotidiana. Non si erano viste per quattordici anni, entrambe avevano avuto paura di non riuscire a costruire un rapporto sano, ma era andato tutto bene. E questo le rendeva molto felici. La ragazzina ricambiò, quindi, la stretta, desiderando ardentemente di essere tra le sue braccia, ma facendosi bastare quello, e rispose, agitata e preoccupata: «No! Sono le superiori! E … ci sono tutti i grandi! Io… non solo all’altezza!»
«Sì che lo sei.» disse la donna, tentando di calmarla con il tono di voce: «Gli esami sono andati bene, non sei stupida. Stai calma, vedrai che poi farai amicizia e ti divertirai.»
Lily la fissò, cercando di scacciare l’ansia, e mormorò: «Dici?»
«Dico, dico.» sorrise lei, anche se realmente nemmeno sapeva cosa si provasse ad andare a scuola, dato che non ci era mai stata: «Fatti accompagnare da Pidg, se vuoi. Andrà tutto bene Lily. Tu sii te stessa e non permettere a nessuno di metterti i piedi in testa. Rispetto per rispetto.»
«Rispetto per rispetto.» annuì la ragazzina: «Grazie, mamma…»
«E di cosa?» sorrise lei, allungando una mano fuori dalle sbarre e scompigliandole i capelli con un gesto affettuoso. Lei sorrise e chiuse gli occhi, felice di sentire quel tocco dolce.
Lily andò via qualche minuto dopo, prima del rientro di O’Bull. Arrivata a casa non mangiò nulla. Non si sentiva pronta, anzi completamente inadatta, e aveva una fifa folle. Raphael cercò di calmarla in tutti i modi ma, coma la madre, non ottenne il minimo risultato.
Il giorno dopo, Lily si alzò e schizzò ovunque per la casa in preda ad un attacco d’ansia. Dormivano ancora tutti, visto che erano le cinque di mattina, e dovette intervenire N per calmarla. La placcò mentre correva con la felpa messa a metà, e stringendola, mormorò: «Allora, ci calmiamo o cosa?»
Lei avvampò, non aspettandosi un suo intervento così diretto, e balbettò qualcosa di non ben identificato. Lui sorrise, la lasciò andare – anche se lei pareva avere tutt’altre idee – e chiese: «Vuoi qualcosa per colazione?»
Lily borbottò qualcosa in merito al fatto che lui si era allontanato subito e ponderò l’idea di ricominciare a dare di matto per obbligarlo ad abbracciarla di nuovo. Togliendosi le idee folli dalla testa, rispose: «Non credo di riuscire a mangiare.»
N ridacchiò e lei si perse ad ascoltare quella risata quasi adorante. Poi lo seguì in cucina, mentre lui si faceva un caffè doppio. Alzarsi alle cinque di mattina non era di certo una cosa che faceva spesso, ma aveva deciso di starle vicino, e quindi dormire non era tra le sue priorità. Lei sedette accanto a lui. Voleva saltargli in braccio, ma sapeva di non potere. Così restò pacifica al suo fianco, assaporando la sua presenza, solo loro due soli, facendo due chiacchere, ridendo e scherzando insieme. Alle sette però si svegliarono tutti e la pace fu interrotta bruscamente, anche perché Lily doveva andare. Le lezioni sarebbero cominciate alle otto e ci voleva almeno un’ora di volo per arrivare nel continente. Così, montata su Pidg dopo aver salutato tutti, la ragazzina partì e alle otto meno cinque entrò nella scuola superiore di Zafferanopoli con agitazione. Era il suo primo giorno del primo anno e non conosceva nessuno. Scoprì ben presto che nella sua classe ci sarebbe stato anche Felix, il suo miglior amico d'infanzia, e già quello ebbe il potere di calmarla. Il primo giorno andò tranquillo. Conobbe il resto della classe e visitò la scuola. L’ansia si trasformò in eccitazione e quel posto che prima le faceva tanta paura, divenne il luogo più bello del mondo.
Altri, però, avevano idee ben diverse su di lei.
«L’hai vista quella primina?» chiese una voce maschile, fissandola correre giù per le scale al cambio dell’ora.
«Vista, vista… carina non c’è dubbio.» rispose un’altra, vicino alla prima.
«La fai una scommessa, tigre?»
«Sentiamo…»
Finite le lezioni, Lily corse come un siluro al carcere, facendo un cenno a Pidg di non planare. Tanto la scuola e la prigione erano nella stessa città, solo che una era in pieno centro, l’altra in periferia. Voleva raccontare della giornata alla madre e poi sarebbe tornata a casa. Entrò dalla sua solita porta, e, vedendo che non c’erano secondini in giro, corse alla cella.
«È andato tutto benone!!» esclamò, euforica, piazzandosi davanti alla cella con uno scivolone.
«Sssssht!» le risposero secche due voci.
Lily ci mise un attimo a capire, bloccandosi sul posto. Ma poi si rese contro che non era il momento dell’ora d’aria, la madre stava giocando a scacchi, ma soprattutto c’era il compagno di cella. Mise a fuoco e, abituata la vista al buio, vide due sagome chine su un tavolino. Arretrando impaurita, cercò un’idea per … non sapeva nemmeno cosa, ma sperò che la madre la proteggesse. Dopo un momento di silenzio, Athena ghignò ed esclamò: «Scacco matto in tre mosse. Arrenditi e ti risparmio l’umiliazione.»
«Maledetta tu sia per l’eternità.» sbottò O’Bull, fissando la scacchiera e non vedendo né possibilità di fuga, né lo scacco matto che l’amica andava blaterando: «Mi ritiro.»
«Bravo, Thomas! Ottima scelta!» ridacchiò lei, mettendo via i suoi amati neri che l’avevano portata alla vittoria spesso e volentieri: «E la branda di sopra è mia un altro mese!»
«Non ti rispondo nemmeno.» borbottò lui, spostando i suoi bianchi nel cassettino, imbronciato.
Lei gli fece il verso, deridendolo e ribatté: «Permaloso! Sei scarso, cosa ci devo fare io?»
«Ma taci!»
La donna ridacchiò e si prese un cuscino in faccia. Lily li osservava bisticciare. Se non fosse stato per le catene che limitavano i momenti della donna, sembravano solo due amici che litigavano bonariamente.
«Allora? Com’è andata?» chiese la madre, finendola di giocare come una bambina e sedendosi vicino a lei.
«Bene!!» rispose Lily tutta eccitata, scordandosi che c’era O’Bull e tutta la paura avuta prima: «La scuola è enorme! Sono sicura che mi perderò! Però i professori sembrano bravi e ho in classe un mio caro amico!»
Athena sorrise e commentò: «Bene. Vorrà dire che non sarai proprio così sola come avevi previsto.»
«Già! Ora devo scappare perché papà starà morendo d’ansia. Ci vediamo domani!»
«Salutamelo. E se riesci anche il mio piccolino. E al matematico hippy. A tutti, insomma!»
Lei fece una faccia storta al nome di Giovanni, ma poi disse: «Va bene, va bene... ciao ma'!»
La ragazzina le strinse un momento la mano, poi corse fuori e Thomas commentò: «Certo che è vivace.»
Athena si arrampicò sulla sua branda, vinta ancora una volta, e rispose: «Mi ricorda me alla sua età. Voglia di imparare, di mettersi alla prova… solo che in contesti differenti.»
«Lei a scuola…»
«… e io in una sala delle torture.» concluse tetra la donna, sdraiandosi a pancia in su e mettendo le mani dietro la testa: «Però almeno non mi assomiglia in quell'ambito.»
«Giovanni sì?»
«Eccome. Meglio che Raphael non lo sappia, ma ho avuto la fortuna di trovare in mezzo alla strada un mezzo sociopatico in erba. Giovanni ha tutte le caratteristiche della patologia, ma ha imparato a trattenersi. Poi magari mi sbaglio ed ha solo il carattere un po' violento. Non lo so... ha dimostrato di saper provare affetto, quindi non credo che sia grave. Il problema è che se alza le mani su Lily, Raphael lo ammazza. E vivo con la paura che possa accadere.»
«Parlane con Johnson. Non è uno di quelli che studiano la testa?» chiese l’amico, sporgendosi dalla branda con la testa e guardando in su.
Lei si batté un pugno sulla mano, illuminata, ed esclamò: «Tu sei un maledetto genio!»
Chiamò il secondino di turno e chiese un colloqui con Jason, che però le venne rifiutato “cortesemente”. Dopo aver ricevuto qualche insulto misto a minaccia, la guardia se ne andò, ma lei borbottò: «Sia mai che mi arrendo perché un pinguino non mi aiuta.»
Da tutt’altra parte invece, Lily raccontò tutto ciò che era successo al padre e a N, mentre Giovanni ascoltava di nascosto, non volendo mostrare che era un pochino interessato.
Il giorno dopo, la ragazzina era pronta ad affrontare il nuovo anno: libri, quaderni, astuccio… tutto pronto nello zaino. Arrivata a scuola, sedette al banco che aveva scelto il giorno prima, in parte a Felix, e fecero le prime tre ore di scuola. Alla ricreazione, la ragazzina sbirciò fuori dall’aula. Doveva fare un giro per orientarsi, però si vergognava. Con un’alzata di spalle, si fece coraggio e uscì in corridoio. Stava vagando quando si trovò davanti un ragazzo alto, molto più grande di lei. Era biondo, spettinato e con un vistoso ciuffo, ma ciò che saltava all’occhio erano i suoi profondi occhi di un colore strano. Una tonalità del blu molto particolare. Blu acciaio.
«Ciao, bellezza.» le disse lui, sbarrandole la strada e facendole l’occhiolino: «Lo fai un giro in moto dopo la scuola?»
Lei lo guardò, perplessa e un po’ sconvolta da tanta faccia tosta. Rimase un momento in silenzio, ponderando se rispondergli o meno, ma poi si decise a non essere maleducata, così rispose: «Sarebbe carino sapere con chi ho l’onore di parlare prima.»
Lui sorrise, vedendo che faceva già resistenza, ma prontamente si presentò, tendendo la mano verso di lei: «Joshua Blade. Quarto anno.»
Lei guardò la mano e la strinse, presentandosi a sua volta, ma poi commentò: «Ora posso cortesemente rifiutare. Grazie dell’offerta, comunque.» disse lei infine con un sorrisone, per poi fargli il giro, superarlo e continuare la visita della scuola.
Il ragazzo restò un momento immobile. Non gli era mai successo che una ragazza rifiutasse un suo invito e se ne andasse da lui come nulla fosse. Guardando con la coda dell’occhio vide il ghigno del suo amico, pronto a deriderlo per tutta la vita. Era anche un’onta nel suo orgoglio. Mai e poi mai era stato scaricato.
Voltatosi, Joshua rincorse Lily e, affiancatala, le disse, con voce provocante e quasi suadente: «Dai, dolcezza. Non fare la difficile. È solo un giro in moto.»
Lei sbuffò lievemente rivedendolo, ma rispose secca: «Dolcezza lo dici a tua sorella.»
«Andiamo, che fastidio può mai dare un invito.» insistette lui.
Lei alzò gli occhi al cielo, rispondendo per pura educazione ma con una voglia immensa di ignorarlo e sperare che desistesse: «Pari al fastidio che da una zanzara nelle mutande.»
«Ehi, ma come siamo scontrose! Ma che t’ho fatto?»
«Scocciato. Ti basta?»
Con un’occhiataccia, la ragazzina accelerò il passo per tentare di seminarlo. Lui ovviamente la rincorse ma suonò la campanella. Lily si voltò, gli fece un saluto quasi arrogante con la mano e tornò in classe.
«Salvata dal gong.» borbottò seccato, guardandola andare verso il secondo piano.
Venne raggiunto un secondo dopo dal suo amico, Kevin, che, sogghignando, si preparò a prenderlo in giro a vita per essere stato scaricato così in tre secondi netti.
«Mi devi una pizza, tigre!» gli disse, ridendosela come un cretino e assaporando la vittoria.
«Ho ancora tempo. Non cantare vittoria troppo presto.» gli rispose lui, seccato e irritato da quella figuraccia che mai avrebbe pensato di fare in vita sua. Era visto da sempre come il rubacuori dell’istituto, come il playboy, come colui al quale cadevano tutte ai piedi. Non sarebbe di certo stata una ragazzina appena arrivata a fargli fare la figura dell'allocco. Quanto a Lily invece, quel tipo non interessava minimamente. Era il classico sbruffone che si era aspettata di incontrare. Quello che seduce tutte per poi scaricarle e aumentare il numero di conquiste. E lei sicuramente non ci sarebbe cascata. Aveva ben altre mire, dopotutto... Alla fine delle lezioni, quando andò a trovare la madre, non pensò opportuno dirle di quel tipo, e le raccontò il resto. Prima di salutarsi, la donna le diede un foglietto che aveva rubato nell'ora d'aria e chiese: «Lo daresti a Raphael, per favore?»
«Certo! Ci vediamo domani!»
«Fa la brava!»
«Anche tu!»
Lily tornò a casa, accompagnata ovviamente da Pidg, e diede il messaggio al padre con i saluti della madre. Lui lo prese, piuttosto controvoglia dato che non voleva che Lily andasse in carcere, e lo lesse: Athena chiedeva un colloquio urgente con Jason. Dato che nessuno l'ascoltava, chiedeva se lui poteva andare dall'agente e diglielo. Ovviamente lui eseguì. Si fidava di lei e se non fosse stato urgente, non glielo avrebbe chiesto. Il giorno dopo, un secondino terrorizzato andò a prendere la donna e la portò nella stanza degli interrogatori. Jason la stava aspettando, parecchio perplesso dal venire convocato dal Demone: altre confessioni di omicidi in vista? Ma lei, entrata, gli indicò con un cenno la telecamera. Annuendo e fidandosi, dato che sapeva come prenderla e eventualmente fermarla in un attacco psicotico, l'agente congedò tutti, spense audio e video, e chiese: «Si può sapere come mai tutta questa segretezza?»
«Evitami la faccia da funerale.» sbottò lei, inarcando un sopracciglio: «Non ho ucciso nessuno, se è di questo che hai paura.»
Lui alzò gli occhi al cielo e rispose: «Mi aspetterei di tutto. E allora cosa vuoi?»
«Mi serve aiuto.» borbottò lei, un po’ seccata di doverlo ammettere: «L'aiuto che solo un profiler può darmi. Tu sei l’unico che conosco; e so che sai fare il tuo lavoro.»
Jason la fissò sempre più perplesso e fece l’ovvia domanda: «Vuoi che ti faccia il profilo?»
«Ma non a me, idiota!» ribatté lei, spazientita: «Lo so meglio di te che sono pazza. Dovresti farlo a mio figlio... vedi, l'ho trovato abbandonato a Hoenn, però è un tipo un po' violento. Non capisco se sia sociopatico oppure se sia così perché lo hanno sempre maltrattato quando era piccolo. Vivo nel terrore che alzi le mani su Lily. Se lo fa, Raphael lo ammazza e vorrei evitare tutto questo.»
Jason soppesò le sue parole, poi sorrise e disse: «Che protettiva. È proprio vero che i figli fanno miracoli.»
Lei arrossì leggermente e sbottò, tentando di riprendere il cipiglio perduto: «Sta' zitto e rispondi.»
Lui scoppiò a ridere e rispose: «Tranquilla. Gli do' un'occhiata, poi ti dico.»
«Grazie... Jason.» borbottò lei, guardando da un’altra parte: «Sai che è andato alla Lega di Hoenn?»
«Abile con i Pokémon come te?»
«Quasi...»
Lui le fece l'occhiolino. Athena però voleva parlargli ancora; quell’agente era troppo simpatico e questo la seccava. Soprattutto per il fatto che una volta avrebbe dovuto ucciderlo. Ma chissà come mai, lui le era sempre andato molto a genio, non si era mai sentita in pericolo; si era sempre sentita al sicuro, anche dalla sua testa; lui non l’aveva mai fissata come una bestia da comandare e da tenere a bada, ma come una persona capace di pensare nei limiti del possibile. Anche se, come tutti, aveva sempre avuto paura. Tranne ora. Sembrava perfettamente a suo agio, tranquillo. Ormai potevano quasi considerarsi amici di vecchia data ma, a differenza di anni prima, ora lui non aveva quel sentore di timore, quella guardia un poco alzata. Gli espresse i suoi dubbi, sperando che magari lui avesse qualche risposta a questo suo strano comportamento.
«È semplice, in realtà.» le sorrise lui: «Come ho già detto a Raphael, ti ho fatto il profilo psicologico. Ed è più accurato di quanto pensi. Quando mi sono infiltrato, certo, sono rimasto traumatizzato dal mattatoio, ma sapevo come prenderti. C’è un motivo per il quale non ti sono mai sembrato ostile. Era tutto calcolato.»
Lei lo fissò, riflettendo sulle sue parole e su quanto lui dovesse sapere su di lei, probabilmente molto più di lei stessa. Così borbottò: «E in cosa consisteva?»
«Non farti sentire con un riflettore puntato addosso.» rispose lui, fissandola per carpire le reazioni alle sue parole: «Secondo il mio profilo, e ora potrò chiederti conferma, oltre alle punizioni di Giovanni che non ho mai capito in cosa consistessero, quello che ti faceva perdere la testa era sentirti osservata. La paranoia ti portava a intendere ogni sguardo come uno sguardo ostile, quasi minaccioso, e quindi, ti portava ad attaccare per difenderti. Non so se ci hai fatto caso, ma non ti ho mai fissata per più di un secondo. E questo non ha scatenato il tuo istinto difensivo, portandoti a non vedermi come una minaccia.»
Davvero colpita, dato che lui le aveva letto la mente, Athena borbottò: «Accidenti.»
Jason sorrise vista la faccia sconvolta e stupita che aveva davanti e aggiunse: «Anche quando sono entrato qui la prima volta, inizialmente guardavo il vetro dietro di te. Ma con la coda dell’occhio ti ho studiato e ho visto che qualcosa non andava. Così ho aggiunto qualcosina al mio profilo, giusto per fare il precisino.»
«Beh, tanti, complimenti.» disse lei, dopo un momento di pausa: «Come immaginavo conosci la mia testa meglio di me.»
Lui ridacchiò, ma aggiunse: «Insegnandoti a giocare a scacchi poi, ho sfruttato la tua indole competitiva. Quando mi chiedesti delle gare su a Fiordoropoli, vidi con quanto impegno ti stavi allenando. Ammetto che la cosa mi sconvolse... allevata da un Giovanni che pur di vincere farebbe carte false con chiunque, uno spirito agonistico così pulito non me lo sarei mai aspettato. E nemmeno l'accettazione senza riserve del secondo posto.»
Athena lo fissò e sbottò: «Piano. Fammi capire... mi hai spiata tutto il tempo?!»
«Spiata è un parolone.» sorrise lui, a mo' di scusa: «Che ne dici di: “osservata per motivi scientifici?”»
Lei non rispose. La cavia non era il ruolo che preferiva. Jason però non demorse e aggiunse: «Dai, non ti offendere. Volevo solo essere pronto a un eventuale cambio di gioco. E poi ha funzionato, non ho mai rischiato niente vincendo e questo lo sapevo per la mia piccola osservazione preliminare. Sai, sono contento... mi dicono che per passare il tempo giochi a scacchi. Il mio lavoro è servito a qualcosa.»
Lei rispose con un grugnito offeso. Come aveva fatto a non accorgersi di quegli occhi puntati addosso? Quell'uomo era più bravo di quanto pensasse. Molto più bravo, accidenti a lui. Jason si alzò e, per concludere, disse: «Se me lo permetti, vorrei conoscere entrambi i tuoi figli. Soprattutto la biologica. L’ho vista di sfuggita e mi sono sconvolto, lo ammetto. Il mio primo assurdo pensiero è stato che fossi venuta nel futuro con la tinta, ma mi sembrava seriamente improbabile. Poi ho conosciuto Raphael e ho avuto qualche risposta in più. Ma vorrei solo controllare che lei non abbia qualche problema di testa nascosto.»
«Non credo.» rispose la donna, con un’alzata di spalle: «Comunque se controlli è meglio. Sei dannatamente bravo.»
Lui alzò il cappello lusingato e rispose: «Mi fai onore con questo complimento, grazie.»
Athena alzò gli occhi al cielo e tornò scontrosa come sempre, ma lui ormai sapeva che era solo una maschera. Lui aveva conosciuto ciò che si nasconde nell'angolo più remoto del suo animo. Ma quella era la sua maniera per sottolineare il fatto che lei era, è, e sarà il Demone Rosso. Per sempre.
  
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