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Autore: Lady_Whytwornian    28/09/2015    0 recensioni
La guerra tra il Bene e il Male in una trilogia - passato, presente e futuro.
Protagonisti demoni e uomini in uno scontro che è iniziato nella notte dei tempi.
Una guerra contro le Ombre che prendono corpo e forza dalla paura e dai sentimenti negativi. Nessuno è troppo bianco o troppo nero per appartenere al Paradiso o all'Inferno
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo specchio di acqua si agitò nuovamente per manifestare il proprio disappunto: - Tu sei troppo impaziente, umana… anche se percepisco qualcosa di diverso in te…e che non è umano…Non puoi pensare di scendere qui nel nostro regno e non sottostare alle nostre leggi…Valgono anche per quelli come te…
- Quali vostre leggi? Chi sono quelli come me? – chiese d’istinto.
Di nuovo era provocata affinché si distraesse dal suo intento.
- Non sei venuta qui per sapere questo – le strattonò il braccio Damian – ti ho detto di chiedere solo quello che ti serve. Non cadere nei loro subdoli tranelli.
Il suo tono di voce era duro come non lo era mai stato. Il demone sa che l’animo umano è fragile e che può vacillare in qualsiasi momento. Se ora avesse ceduto entrambi ne avrebbero pagate le conseguenze. Era obbligato a servirla, ma questo non significava che doveva anche seguirla nella rovina; sentiva che era ad un passo dal cedimento: forse aveva preteso troppo ignorando i rischi cui sarebbe stata esposta.
Elbereth di nuovo si riprese ed annuì. Sentiva la presa ferma e forte delle mani del demone stringere ancora di più: - Devo aprire il cancello dell’Abazia. Devo entrare.
La superficie dell’acqua si increspò come se fosse stata sfiorata da un alito di vento improvviso. Poi di nuovo tutto si acquietò e una voce si diffuse intorno a loro:
I Tre Mondi infine si scontreranno;
voi visitate Mondi proibiti
aperti solo dalle chiavi dei sogni
e loro visiteranno il vostro.
Credete di liberare l’Uomo
Ma correte incontro alla rovina
Cercherete il passaggio
Ma dovrete mutare i vostri corpi materiali
Elbereth iniziò a pensare velocemente. Sapeva che non aveva ancora molto tempo a disposizione per comprendere quanto quell’enigmatico specchio di acqua le stava dicendo.
Parlava sottovoce con se stessa: - Tre Mondi…Tre Mondi… vediamo cosa potrebbe significare… i vivi, i morti, le ombre? Potrebbe anche essere. Va bene, diciamo che i vivi siamo noi, lo ombre lo sappiamo, ma i morti? E Damian? Lui a cosa appartiene?
Visitiamo Mondi proibiti. Le chiavi sono nei sogni. E’ questo un sogno? Le premesse non sono di certo le più amichevoli… Loro visiteranno il vostro. Ecco, questo è più preoccupante…ne abbiamo avute a sufficienza di visite.
Crediamo di liberare l’Uomo…magari questo fa riferimento al figlio di Lord Hamilton…ma perché lo crediamo e basta?
Correte incontro alla rovina. Oh beh, di certo non sarà una passeggiata…
Cercherete il passaggio. Sono qui per questo.
Mutare i nostri corpi…mutare i nostri corpi…il passaggio…spero proprio che questo non significhi che per entrare a Shadow debba mutare stato…da viva…a morta…
Era ancora impegnata in queste riflessioni che l’oracolo aggiunse: - Non tutto ciò che vive è vivo e non tutto ciò che muore è morto. Si può ingannare la vita e si può ingannare la morte.
Elbereth trovò questa frase alquanto criptica. Vita e morte prendevano significati diversi da quelli a lei noti.
Sentiva sempre la stretta di Damian che le permetteva di restare collegata alla realtà. Non era venuta fin qui per disquisire ma per ottenere risposte.
- Come faccio ad aprire il cancello?
- Sei davvero venuta fino a qui per avere questa risposta? O in realtà avevi altri scopi più personali? Ci sono molte cose che ti rodono dentro…Sacerdote… di cui cerchi di negare di voler sapere la verità. Ma è questo il tuo vero scopo, il motivo per cui sei discesa fino a qui, nell’Antro dell’Oracolo…
La testa iniziò a girarle. Era come se quella voce entrasse nella sua mente e cercasse di esplorare ogni angolo fino al più recondito dei suoi ricordi e dei suoi sogni. Avrebbe trovato anche le cose mai dette, le cose mai chieste. Le sue debolezze. E le avrebbe usate contro di lei.
Cercò di chiudere la sua mente. Doveva fare ricorso a tutto quello che le avevano insegnato per occludere a qualsiasi intrusione i suoi pensieri, per evitare contatti non voluti. Non era semplice. Si stava scontrando con qualcuno più forte di lei.
Di nuovo la voce di Damian la richiamò alla realtà: - Esci dal mondo dei sogni. Quello è il loro regno: è un terreno su cui non li puoi battere. Mantieni il contatto con il tuo di mondi. Sarà più facile. I luoghi in cui ti porterebbero sono facili da aprirsi; al loro interno vivono gli adoratori degli Antichi che sono sempre pronti a trarre in inganno coloro che volessero intraprendere il viaggio per attraversarli. Concentrati Elbereth…concentrati sulle tue domande. Visualizza l’Abazia e i suoi cancelli. Ricorda che non sono solo cancelli fisici per tenere fuori…o dentro gli esseri viventi e non, ma sono in grado anche di rinchiudere le anime e le menti deboli.
La sua mente uscì dal quel luogo e iniziò a valicare montagne e guadare fiumi e laghi fino ad arrivare nella piana ai piedi del monte Shadow dove sorgeva la città dei suoi servi, il primo dei luoghi che si sarebbe rivelato al mondo quando il Priore avrebbe scatenato le sue armate.
Procedendo e attraversando questo luogo mefitico i suoi occhi potevano vedere la montagna sulle cui cime era il castello che dominava l’intera vallata e l’Abazia i cui abitanti perseguitavano nei sogni gli esseri umani generando in loro follia ed orrore.
L’acqua della pozza ora sentiva tutta la potenza che veniva generata dalla visione di Elbereth ed iniziò a tremare come se percepisse la presenza degli Antichi padroni. L’intero specchio di acqua era scosso fin nelle sue intime profondità da una forza che andava ben oltre ogni immaginazione.
Ma Elbereth continuava ad avanzare. Iniziò a salire lungo le irte pendici fatte di roccia lavica e dura nera ossidiana. Erano taglienti come rasoi. Poteva sentirne i duri spigoli che le laceravano i pantaloni in pelle e le ferivano le carni procurandole profonde e sanguinanti ferite.
Ma nonostante tutto continuava a salire nel tentativo di raggiungerne la sommità fino ai suoi cancelli.
Iniziarono ad addensarsi nuvole nere e pesanti; come coltri minacciose a cercare di celare Shadows e i suoi segreti a questi occhi mortali che ardivano posarsi su questo luogo maledetto; una pesante cortina plumbea inghiottì il castello e tutto ciò che lo circondava.
Gli occhi dei padroni della fortezza ora erano puntati su di lei, su questo umano che si permetteva di giungere al loro cospetto impunito. Cercavano di sondare la sua mente per capire chi mai fosse. Elbereth doveva fare uno sforzo enorme per impedirne l’accesso. Il corpo materiale di Elbereth, strinse ancora più fortemente le mani a Damian. Le serviva il suo supporto ma in quel luogo di disperazione era sola. Le forze occulte che lo governavano ora erano concentrate su quel profanatore incauto e sprovveduto o, invece, e questo era peggio, perfettamente conscio di quello che stava facendo.
- Chi sei? Chi ha così tanto ardore tra gli umani di avvicinarsi a questa montagna?
Elbereth cercò di chiudere ancora maggiormente la sua mente. Non doveva permettere che venisse riconosciuta: avrebbero così capito le sue intenzioni. Doveva trovare la chiave per entrare prima che riuscissero a superare le barriere della sua mente.
- Mi resisti. Sei forte… Fa attenzione umano. Nessuno riesce a lungo a celarsi alla mia volontà. La follia è il prezzo da pagare per tutti coloro che vogliano sfidarmi.
Lei continuava imperterrita la sua salita che diventava sempre più estenuante: doveva vincere le avversità climatiche e mantenere il controllo dei suoi sensi.
Le nubi oscure si accalcavano sempre di più fino a ricoprire le torri e più in giù fino alle mura come pesanti drappi di velluto nero; ogni luce era stata fatta tacere; il giorno e la notte erano tutt’uno. Il tempo non aveva più ragione di essere.
Alzò gli occhi sotto le maestose mura. Si sentiva solo un piccolo essere in confronto alla loro sovrastante imponenza. Non se ne vedeva la fine. Parevano che giungessero fino al cielo ed salissero oltre.
L’acqua nella pozza si agitò ancora di più: ora che era giunta davanti al cancello, i suoi guardiani non potevano più ignorare la sua presenza.
- Vuoi dunque persistere nella tua intenzione di aprire questo cancello? Non sai che cosa troverai dall’altra parte. Devi essere cauto, umano, nell’Oltremondo non valgono le tue leggi, non vale ciò che credi. Altri fattori lo dominano. Tutto ciò che era umano ha perso la sua forma per diventare pura espressione di orrore e terrore. Pietà e compassione non gli appartengono. Prega di non averne bisogno perché non ne troverai.
Si poteva percepire la crescente irritazione. La mente di quell’essere sacrilego non era stata ancora penetrata e svelata. Era forte. Incredibilmente forte per appartenere solo ad un umano.
- Non mi hai ancora detto il tuo nome…chi sei? Come osi stare davanti a questo cancello? Percepisco un’altra presenza…più antica…un tempo potente…Ah…sì…ora è chiaro…Sei aiutato. Siete arrivati fino a qui. Ma non andrete oltre. Vi sono simboli ormai dimenticati che custodiscono questa entrata. Gli uomini hanno scordato le antiche conoscenze, esse sono andate perdute come perduti sono coloro che hanno costruito questo luogo. La dannazione è il solo premio a cui potrà ambire colui che vorrà entrare nei miei confini. A nulla vi sarà valso interrogare l’Oracolo. Ammiro il vostro coraggio. Ma sarà stato tutto inutile.
Elbereth aveva ascoltato in silenzio. Sapeva che tutto quello che le stavano dicendo aveva l’unico scopo di distrarla dal suo compito e di farla cedere.
E infine era di fronte al cancello. Lo toccò: le trasmetteva la stessa sensazione ricevuta mentre lo guardava. Era possente, pesante, impenetrabile. Vi appoggiò la fronte come se questo bastasse a dirle come penetrare i suoi segreti ed aprirlo.
Il cancello era chiuso.
Pesanti assi nere come scudi di una falange disciplinatamente allineati e serrati chiudevano fuori chiunque osasse avvicinarsi. Nemmeno una fessura a lasciare passare la luce. Pareva che nemmeno l’aria fosse in grado di attraversarlo.
Natura abhorret a vacuo: nulla avrebbe potuto descriverlo meglio se non questo.
Il cancello era chiuso.
I chiodi che ricoprivano la superficie parevano pesanti squame metalliche che proteggevano come un’armatura la struttura.
Esso chiudeva fuori chiunque non doveva entrare e dentro chiunque non doveva più uscire.
Si voltò piena di sconforto e passò gli occhi tutto intorno a sé. Poteva vedere solo la nuda ed arida terra e verso la valle la distesa di paludi ed acquitrini. Qui la vita assumeva un altro significato: non morte.
Si sentiva persa. Pareva non ci fosse alcuna possibilità di oltrepassare il cancello: era stato concepito e costruito per essere aperto solo dai suoi custodi. E dai loro eredi.
Spostò gli occhi verso il cielo livido e carico di nubi dense e pesanti. Le guglie acuminate si spingevano fin dentro di esse diventando un tutt’uno e confondendosi tra le pieghe che si incupivano e penetrando la volta come lame affilate.
Se mai qualcuno avesse pensato di scalare le mura per tentare di espugnare il palazzo aveva in questo modo chiaro che era una cosa sola priva di inizio e di fine.
Il cancello era chiuso. Il cancello era il limite.
Guardò in basso lungo il pendio: era cosparso di informi fagotti, corpi di un tempo esseri viventi avvolti in quanto restava dei loro scoloriti e consunti mantelli, ossa di coloro che erano giunti prima di lei e che avevano concluso il loro viaggio di fronte al cancello senza poter andare oltre, resti senza sepoltura che attendevano. Poi mosse lo sguardo oltre proseguendo lungo il crinale e scorse un ammasso di sassi su cui era piantata una spada. Appesa all’elsa una catenina che resisteva alle ingiurie del luogo. Si avvicinò e la prese in mano. Vi era inciso il suo nome. Le mani le tremavano e lasciarono cadere a terra quella reliquia che apparteneva ad un tempo ignoto, che era già, che doveva ancora essere o che non sarebbe mai stato. Cercò di ignorare la paura che si accresceva dentro di lei.
Raccolse la piastrina e la rimise al suo posto. Tornò al cancello.
Impugnò entrambi i grossi battenti in metallo; al tatto erano duri e freddi. Apparivano come due lunghe lingue nere che uscivano da bocche spalancate impresse su dei volti umani distorti da smorfie di orrore. Si avvicinò. Appoggiò la fronte chiudendo gli occhi: - Come si apre? Ti prego…dimmi come si apre…
Lentamente si accasciò a terra stringendo ancora di più quelle mostruosità antropomorfiche come se in questo modo potesse costringerle a rispondere: - Come ti apri?
Era sfinita.
Era giunta fino a lì, dopo aver attraversato con la mente luoghi sconosciuti. Aveva percorso un viaggio surreale fatto di visioni e di incubi, un viaggio fatto dalla sua mente ma che trasmetteva tutte le sensazioni provate al suo corpo mortale. Il sangue era reale. Le ferite bruciavano. Non poteva arrendersi proprio adesso.
Si voltò verso quell’ammasso di pietre: - Io non morirò qui!
E l’Oracolo di nuovo parlò:
Simboli ormai dimenticati
mi adornano e sorreggono.
Ed essi custodiscono il mio segreto.
La chiave è manifesta
a chi saprà vedere.
Aprì nuovamente gli occhi. Si trovava ancora davanti all’enorme ingresso chiuso e sprangato.
- La chiave è manifesta a chi saprà vedere – sussurrò.
Iniziò lentamente ad osservarlo e studiarlo. E poi si avvicinò quasi a diventare tutt’uno con il cancello. Simboli. C’erano simboli sugli enormi chiodi che tenevano unite le assi. Li passò uno ad uno sfiorandoli con le dita. Ne poteva sentire i rilievi. E uno alla volta li decifrò.
Ora sapeva come entrare.
Poi sentì come se venisse risucchiata in un vortice: riattraversò montagne, fiumi e valli e la sua mente tornò nell’antro.
Anche il suo corpo in superficie fu scosso da un tremito.
Aprì gli occhi ed annuì.
- Possiamo tornare. Ho le risposte che cercavo.
L’acqua della pozza tremò nuovamente ed iniziò ad agitarsi come mare in preda ad una tempesta.
- Avete violato le mura di Shadow. Questo sacrilegio non resterà a lungo impunito!
Damian si voltò: - Dobbiamo uscire. Adesso.
Elbereth annuì. Era molto provata dall’esperienza.
Si incamminarono verso l’apertura della grotta da cui erano entrati. Non avrebbero potuto ripercorrere la strada già fatta: uscire da quel luogo sarebbe diventato più difficile che l’entrarne.
Damian stava valutando un’alternativa: un ponte che collegava i due mondi. Non era mai stato percorso, non da esseri viventi, e sperava che Elbereth fosse abbastanza capace e forte per affrontare questa via. Sapeva che erano solo all’inizio: l’oracolo non si sarebbe fatto scappare così facilmente un umano che fosse penetrato nel suo regno.
- Non vuoi sapere nient’altro? Non ti sarà concesso tornare un’altra volta. Sicuramente non in un corpo mortale…
Elbereth si fermò. La tentazione era molto forte. Cercava di ripetere a se stessa quello che Damian le aveva detto prima di entrare: nessuna domanda al di fuori di quello per cui erano venuti. Scosse la testa come volesse fare uscire dalla sua mente quella voce che insisteva.
- Ho ottenuto quello che volevo. Ora devo tornare nel mio mondo. Questo mondo non mi appartiene e io non appartengo a lui.
- Ma sicuramente avrai molte domande dentro di te. Perché non approfittare di questa unica occasione che ti è stata concessa…
La voce diventava sempre più insistente: - Magari…vuoi sapere di tua madre…
Elbereth si fermò e si voltò di scatto. Sul suo viso prese forma un’espressione incredula. Rimase attonita incapace di proferire alcuna parola tanto in profondità aveva iniziato a scavare quel piccolo accenno alla sua infanzia, di cui ricordava quasi nulla.
- Non mi serve sapere niente su di lei. Mi amava. E questo mi basta.
- Io mi riferivo alla tua vera madre…
Ora lo sguardo di Elbereth era cambiato. I suoi occhi erano colmi di sbigottita sorpresa. Non riusciva a capire di cosa stesse parlando.
Damian percepì il gioco pericoloso e perverso che stava per iniziare. Le strinse il braccio così forte da farla gemere dal dolore.
- Lascia stare Elbereth. O resteremo qui per sempre…
I loro occhi si incontrarono. Lo sguardo di Elbereth tremava. Pensava di essere preparata a tutto, ma non a questo. Il dubbio si era insinuato nella sua mente ed ora stava crescendo; come un cancro la rodeva dentro.
Damian la guardò supplicandola: - Ti prego. Elbereth. Lascia stare. Ci sarà il tempo delle risposte. E non è questo.
Le strinse entrambe le mani.
Il viso di Elbereth era carico di dolore e una lacrima le sfuggì dagli occhi rigandole una guancia.
Ripercorsero a ritroso la via fino all’ingresso della caverna e poi fuori dove l’improbabile spiaggia era ancora intonsa. Una distesa infinita di sabbia rossastra. Di nuovo Elbereth guardava stupita il cielo che li sovrastava: un cielo che non doveva esistere che si trovava sopra ad un mare altrettanto irreale.
Dovevano tornare in superficie. I loro corpi all’interno del cerchio cominciavano a patire lo sdoppiamento e non era rimasto molto tempo prima che la scissione diventasse irreversibile.
- Elbereth – le disse il demone - la strada percorsa all’andata è andata distrutta durante lo scontro con le anime. Dobbiamo procedere per un’altra via, non meno difficile e pericolosa.
Le prese la mano e la condusse verso l’acqua. Elbereth lo guardò incredula. Cosa pensava di fare? Attraversare a nuoto quell’immensa distesa senza fine?
- Devi avere fiducia… - E continuò ad entrare nell’acqua.
Lei si ritrasse. Fiducia in cosa? Non sapeva per quanto avrebbero dovuto nuotare. E di certo non lo avrebbero attraversato camminando sul fondo.
- No. Non devi nuotare. Tutto questo non è reale e lo sai benissimo. Lo devi anche credere però. Quando ne sarai consapevole allora ti renderai anche conto che non sarà un problema entrare in queste acque. Il nostro corpo vivente non è qui. Devi accettare questo fatto. E quindi se non siamo qui nulla di tutto questo accade. Devi vincere le tue paure. Devi andare oltre la percezione delle cose ed avere l’intero controllo della tua mente e dei tuoi sensi. Non devi permettere che essi offuschino la tua capacità di discernere ciò che è reale da ciò che non lo è. Credi che questo sia difficile? Non è niente in confronto con quello che ti aspetta. Come pensi allora di affrontare Shadow e i suoi padroni? Non è niente confronto a quello che dovrai fare per superare il cancello. Se pensi di non essere capace di fare questo allora è meglio che torniate indietro tutti e che vi limitiate ad aspettare la fine quando essa giungerà e busserà alle vostre porte.
Iniziò a muovere i suoi passi verso la distesa di acqua. Si ripeteva che tutto questo non era reale. Il suo corpo fisico per il momento era al sicuro sulla superficie, nel mondo esterno. Ma sapeva anche che se avesse fallito in quel luogo, ne avrebbe pagato le conseguenze.
Mentre si immergeva lentamente, le pareva di diventare tutt’uno con quel liquido che le attraversava il corpo. Era come se si stesse dissolvendo dentro di esso. La paura si stava impadronendo di lei, ma non poteva più tornare indietro. Prese un respiro profondo e poi tutto divenne informe, senza tempo e senza luogo, in un’altra dimensione.
 
  
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