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Autore: ReaRyuugu    28/09/2015    3 recensioni
Shougo Haizaki non ci ha messo molto ad imparare che il contesto in cui vive lo vede principalmente come un fastidioso parassita. Quando una certa notizia scuote la sua monotona quotidianità, però, pur di andare contro ai soliti giudizi, persino smentire l'immagine che ha sempre dato di sé diventa una sfida a cui un po' infantilmente non riesce a sottrarsi.
~
{Post-serie principale, focalizzata quasi interamente su Haizaki ma avviso subito che ci saranno poi elementi HaiKise. Il rating potrebbe cambiare.}
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Ryouta Kise, Shogo Haizaki
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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» 4. Can it get any worse than this?

 

 

Alla fine, era stato solo qualche giorno dopo quella tacita e segreta decisione che Shougo aveva trovato il coraggio di chiedere espressamente a sua madre se, la prossima volta, sarebbe potuto venire a vedere quella radiografia o ecografia o qualsiasi nome avesse quella cosa che serviva per ottenere quelle fotografie incomprensibili in bianco e nero, dirigendosi addosso una serie di battutine divertite da parte della donna e di sguardi incuriositi da parte di un fratello che, una volta tanto, aveva ben pensato di starsene in silenzio, tenendosi per sé qualsiasi eventuale, stupido commento potesse essere sbucato in quella testa di legno.

Non che sarebbe così strano, se si fosse stupito di tutto quell’interesse: lui per primo si capacitava a fatica di quella curiosità così stupidamente infantile, di quel bisogno di conoscere il funzionamento di certe cose. Non era riuscito a prendersela a male come era successo con Shinya, che dopo la sfuriata di quella sera si era limitato a commentare solo raramente il fattaccio, come lo chiamava a volte, con fredda impersonalità; ma d’altra parte neanche vedeva perché impuntarsi così tanto e reagire in modo così negativo: ormai il danno era fatto, perché continuare ad arrovellarsi su qualcosa che comunque non aveva rimedio? O meglio, uno ce n’era — l’argomento aleggiava continuamente senza mai essere affrontato, ma in un paese come il Giappone, dove quella soluzione era proibita se non per motivi urgenti, per una famiglia instabile come la loro era troppo rischioso cercare di perseguire una strada del genere. E poi, figurarsi se quella avrebbe acconsentito! Sapevano tutti che una proposta così rischiosa sarebbe sfociata nell’ennesima, violenta lite che tutto le avrebbe fatto meno che bene, soprattutto contando che forse, in fondo, si sarebbe opposto anche lui.

Sapeva ormai che il suo giudizio in quella casa valeva come un pezzo di carta igienica usata, soprattutto agli occhi dell’autodichiarato capofamiglia, ma Shougo non voleva sinceramente che succedesse qualcosa di male a quel coso strano che vedeva su quel rettangolino di carta ogni volta che ci posava l’occhio. E questo succedeva ben più spesso del previsto, visto che quella foto risiedeva ora al sicuro nel suo portafoglio: era da tanto che non si attaccava così tanto a qualcosa, a livello materiale o spirituale, che non riguardasse una vendetta o qualche discutibile bisogno di far male a qualcuno per il puro gusto di sentirsi superiore. Era come sorta in lui una specie di infantile curiosità che non sentiva da tanto, un bisogno insistente ma non morboso di capire. Che fosse anche, in parte, perché in effetti era una delle poche esperienze in assoluto che non avrebbe mai potuto (e voluto, onestamente) copiare? Che persino quella rinnovata bramosia di sapere fosse semplicemente un desiderio egoistico, che si sarebbe estinto non appena si sarebbe stancato di continuare a star dietro a quella ridicola storia? Forse era quello di Shinya l’atteggiamento giusto, forse avrebbe davvero indignarsene più che conservare quello stupido, celato entusiasmo, ma ogni volta si rendeva conto di quanto per lui fosse pressoché impossibile riuscirci seriamente. Una volta tanto che non era indisponente nei confronti di una certa cosa, diamine, perché doveva necessariamente perdere d’interesse? Stavolta il bloc-notes mentale servì solo per tirarsi una serie di metaforici sganassoni sulla fronte, mentre si chiudeva alle spalle il portellone del furgoncino per immettersi ufficialmente in un’altra giornata del suo lavoro part-time.

Fortunatamente, in quella manciata di giorni non si era più trovato davanti nessun incontro sgradevole quando era tornato lì per lavoro: il signor Ishihara, una volta tanto, era uscito dalla sua personale bolla per fare qualche domanda qua e là, informandosi sui giorni in cui era più probabile che Ryouta sarebbe sbucato dal nulla, magari ancora convinto di essere il centro unico di chissà quale complotto nei suoi confronti. Purtroppo, quel pomeriggio non era tra i più fortunati — ma se non altro Shougo aveva presto imparato a seguire l’esempio del proprio capo nel farsi i fatti propri, limitandosi a scaricare quel che doveva scaricare e caricare di nuovo sul furgone quello che aveva da caricare, cosicché, se anche Kise fosse stato diviso da lui da una singola porta scricchiolante, in nessun modo i due avrebbero avuto occasione di rendersi conto della presenza l’uno dell’altro. Per colpa di quel confronto di cui avrebbe fatto più che volentieri a meno la sua volontà già precaria stava iniziando a vacillare, ma se le cose fossero rimaste stabili così come con ottimistica testardaggine cercava di convincersi, allora non avrebbe avuto più nulla di cui lamentarsi.

Seguì il proprio superiore senza dire una parola, come fermissimamente deciso a perpetrare in quel voto di assoluto silenzio (e menefreghismo), un grosso scatolone in mano e la visiera del cappellino immancabilmente calata sul viso per rendersi il più anonimo possibile mentre attraversava quei corridoi che ormai conosceva a memoria. Stava finalmente iniziando a prendere familiarità un po’ con tutti i luoghi che frequentava per via di quell’impiego, e naturalmente lo studio di fotografia non ne era esente: per quanto ne avesse vista per bene solo una sezione, ormai poteva comunque dire di conoscerla non come casa sua ma quasi, riconoscendo a colpo d’occhio tutte quelle facce che ormai sapeva essere le presenze immancabili. C’era la bella tipa timida che ogni tanto lo salutava con gli occhi da sopra le lenti degli occhiali, l’addetto alle luci che aveva la stessa vitalità di un’anguilla morta, un paio di truccatori e di addetti ai costumi e

- Haisaki? -

Raggelò, stringendo così forte le dita sullo scatolone che fu piuttosto sicuro che le proprie impronte digitali rimasero chiaramente visibili sul cartone ondulato. Purtroppo, ormai anche quella voce fastidiosa gli era orribilmente familiare: aveva scoperto solo di recente che quella tipa, nonostante i soli due neuroni che si inseguivano disperatamente nella sua testa, da quelle parti era un po’ un pezzo grosso, anche se ignorava quale fosse la sua posizione. Non truccava, non vestiva, non assisteva e non fotografava; era lì per ciarlare e basta?

Alzò gli occhi a lei, Shougo, incontrando un viso stranamente severo e corrucciato. Era la prima volta che la vedeva in quello stato, che era successo? E soprattutto, Haisaki? Ancora? Quante volte l’aveva corretta?!

- Haizaki. - perseverò, mugugnando - … serve qualcosa? -

- Voglio parlare col tuo superiore, adesso. -

Scandì, probabilmente credendosi minacciosa, piantandosi le mani chiuse a pugno sui fianchi. L’altro inarcò un sopracciglio, cercando di farsi meno domande possibili.

Indicò con un cenno del capo l’uomo davanti a lui — chiaramente più anziano, chiaramente vestito come lui e chiaramente occupato nella stessa mansione, e probabilmente facentesi vedere da quelle parti da anni. Era un ometto anonimo e un po’ invisibile, ok, ma pure lei ce ne stava mettendo del suo a risultare sempre più stupida.

La seguì con lo sguardo nel suo sussultare, come effettivamente notando l’uomo solo in quel momento, vedendola zompettare su quei tacchi vertiginosi fino ad avanzare davanti al signor Ishihara.

- Mi spiace dover arrivare a questo - esclamò, come colpita dalla peggior offesa e portandosi, drammaticamente, una mano sul petto - … ma il suo impiegato qui non è il benvenuto. -

E in quel momento, a Shougo avrebbero potuto fare di tutto.

Avrebbero potuto prenderlo a bastonate, pestargli i piedi, tirargli un calcio in mezzo alle gambe — niente l’avrebbe risvegliato da quell’improvviso e immediato stato semicatatonico in cui quelle parole l’avevano buttato, come trattandosi di un’antica e segreta formula misteriosa per annullare completamente la voglia di vivere di chiunque ci si trovasse davanti.

“Non è il benvenuto” — non era la prima volta che glielo dicevano; nel corso della sua breve vita era stato coinvolto più di solo qualche volta in incidenti del tutto indipendenti dalla sua volontà che l’avevano costretto ad allontanarsi da luoghi che frequentava abitualmente, ma quella volta furono parole che arrivarono come un fulmine a ciel sereno. Ripercorse con la mente tutti i momenti in cui aveva messo piede tra quelle mura, cercando di ricordare se avesse combinato qualcosa che avrebbe potuto meritarsi un qualsiasi tipo di marchio a fuoco sulla coscienza, ma niente gli riaffiorò alla memoria. Che cosa aveva fatto?

- Anzi, vorrei che svuotasse le tasche qui, davanti a tutti. E che ci faccia vedere il contenuto del suo portafoglio. -

Ancora sotto l’incantesimo di quella strega stridula posò lo scatolone a terra, avvicinandosi meccanicamente a lei e rovesciando il contenuto delle proprie tasche sul pavimento: l’unica cosa che ne scivolò fu un pacchetto di sigarette mezzo consumato e qualche scontrino, e neppure l’esame del portafoglio fu troppo soddisfacente. Quattro banconote di bassa taglia tutte spiegazzate e una manciata di monetine non potevano incriminarlo di niente, no?

- … posso sapere cosa ho fatto? - biascicò, sempre più immerso in quella dimensione così surreale. Aveva praticamente sempre avuto la coscienza sporca, non lo negava, quindi si trovava perfettamente incapace di replicare ad un’accusa infondata per l’unica volta che non aveva davvero fatto nulla. Anche se, ora che ci pensava, una singola macchia c’era effettivamente stata da quando frequentava anche quelle zone. Ma non poteva essere stato davvero quello il motivo di un simile attacco, no? Non poteva essere stata la litigata con quell’imbecille, giusto?

Strizzò gli occhi quando sentì quella vocetta tartassargli i timpani, e un dito minacciosamente unghiato punzecchiarlo odiosamente nel mezzo del petto.

- Non ti azzardare a rispondermi così e a fare finta di nulla, sai? Non ti azzardare neppure, non farai che peggiorare la tua situazione, ladro! -

LADRO?!

- Mi scusi. - la mano del signor Ishihara lo scostò da una parte, impedendogli di ribattere prima di compiere l’irreparabile - Ma è scomparso qualcosa? Posso capire che i sospetti ricadano sul nuovo arrivato, ma… -

Occhieggiò la tizia esitare, incrociando le braccia e raddrizzandosi sulla schiena. Bene, ora voleva proprio sapere che cosa doveva aver rubato in un fottuto studio di fotografia che, quando arrivava lì, era privo di qualsiasi attrezzatura. Nemmeno una lampadina sarebbe stato in grado di nascondersi nella salopette!

- … niente. -

- Mi scusi? -

- Non è stato rubato niente. - continuò quella, e Shougo poté sentire chiaramente cascargli le braccia e non solo. Riprese la parola, scavalcando l’altro uomo e tornando faccia a faccia con la patetica donna.

- Si può sapere allora su che diavolo di base mi state accusando di aver rubato qualcosa?! - ringhiò, sentendosi lentamente risvegliare dall’ipnosi profonda che l’aveva asfissiantemente avvolto fino a quel momento, palesando completamente l’indole aggressiva che si era ripromesso di tenere quanto più possibile nascosta almeno davanti a coloro che avevano tutto il potere di cacciarlo da lì da un momento all’altro - Se non c’è il furto come fa ad esserci il ladro?! -

- Haizaki, per favore, ci penso io a chiarire. - il signor Ishihara tentò di intervenire, ma fu subito coperto dalla risposta dell’isterica lì davanti.

- Per quel che ne sappiamo potrebbe essere stato rubato qualcosa e non ce ne siamo ancora accorti! -  gracchiò, sempre più fuori di sé dalla rabbia, le rughe d’espressione che scavalcavano gli otto strati di make-up e iniziavano a far venire dubbi su quale fosse la sua reale età anagrafica - E poi, abbiamo fonti certe che ci hanno assicurato che il tuo curriculum non è esattamente pulito. -

Fonti certe”.

Shougo non aveva mai provato una sensazione simile. Per lui, la rabbia era sempre stato un processo lento, un crescendo progressivo che prima o poi sfociava nei suoi soliti atti irragionevolmente violenti; dovendo fare un paragone stupido era un po’ come un marshmallow lasciato troppo fuoco, lì per lì reso solo un po’ amaro dalle bruciature, poi diventando ingestibile e fastidioso quando iniziava a colare e appiccicarsi dappertutto.

In quel momento, però, l’astio che provava era tutto diverso. Si sentiva più simile ad un vulcano, che dal niente si era svegliato e aveva deciso che tutto quello che lo circondava gli aveva rotto così tanto il cazzo che non vedeva l’ora di affogarlo sotto la propria ira.

C’era solo una persona che avrebbe potuto rappresentare una fonte certa, un unico stronzo che avrebbe potuto lasciar trapelare queste cose; e se i propri pugni dolorosamente stretti erano come lava, si promise che ce lo avrebbe sommerso dai piedi fino alla punta di quei capelli fintissimi. Non c’era più ragione nelle sue azioni, neppure la certezza che qualsiasi incidente sarebbe stato pressoché fatale bastava a dissuaderlo: sentì vagamente il signor Ishihara richiamarlo, alle sue spalle, ma senza fare nulla per fermarlo; e senza aggiungere altro fece dietrofront da quel dannato covo di matti.

Il suo obiettivo non era rimanersene fuori e aspettare che sbollisse — chi se ne fregava, ormai, di farla sbollire? Quella pazza avrebbe fatto il lavaggio il cervello al suo capo, che per evitare casini l’avrebbe licenziato anche se quello studio non rappresentava la loro unica clientela. Tanto valeva avvantaggiarsi, e dimenticare ogni timore di sporcarsi le mani.

Dal vicolo in cui erano soliti appostarsi non ci mise molto, scuro in viso, a raggiungere la facciata principale dell’edificio. Li aveva sentiti spesso vantarsi di quanto fossero professionisti e di come pochi altri riuscissero ad eguagliare la qualità dei loro scatti, come se il loro lavoro fosse una specie di dono del Signore caduto per rischiarare la sorte dell’umana stirpe, ma come tutte le altre volte che aveva vagamente occhieggiato il marciapiede davanti allo studio neanche stavolta ci trovò una calca di persone ansiose di farsi inquadrare dai loro preziosissimi obiettivi.

A dire la verità, l’intera zona era sempre un po’ deserta. Proprio come lui non aveva mai sentito il desiderio di lasciarsi immortalare in un book fotografico e quelle menate là, evidentemente anche il resto della gente era della medesima opinione, relegando automaticamente quel genere di sfizi come qualcosa per occasioni estremamente speciali o, tuttalpiù, uno sfizio dispendioso dedicato solo alla fetta più facoltosa e annoiata della popolazione. Ma non era ciò che in quel momento lo stuzzicava, mentre una smorfia crudele gli increspava brevemente le labbra: l’importante era la conseguenza basilare di tutto questo; ovvero che di testimoni, lì intorno, praticamente non ce n’erano. D’altronde sarebbe stato un problema se qualcuno avesse provato ad accorrere, no? Rimase in disparte, attento a non dare nell’occhio ma pronto a svelarsi non appena sarebbe arrivato il momento, le dita che nelle tasche fremevano per fare quello che, a regola, riuscivano a fare meglio. E quando a poca distanza adocchiò quel deficiente tutto solo, col cellulare in una mano e un sorrisino stupido stampato sulla faccia, la sua mente si svuotò di ogni altro pensiero se non quello di avventarsi su di lui, trascinarlo in un vicolo e preferibilmente gonfiarlo di botte.

Lo colse di sorpresa afferrandolo per la maglietta mentre era distratto, strattonandolo con una veemenza tale che fu piuttosto sicuro di sentire la stoffa tendersi fin quasi al punto di strapparsi. Godette del verso lamentoso che uscì dalle sue labbra mentre come un sacco di patate lo sbatteva con la schiena contro al muro, irremovibile davanti a quegli occhi dapprima confusi, e poi infinitamente, quasi spaventosamente risentiti.

- Lasciami immediatamente, o chiamo la polizia. - gli sibilò Ryouta, ancorando le proprie mani al suo polso. Shougo lasciò a malapena che quelle parole turbassero le sue orecchie, mentre alzava minacciosamente il pugno.

In quel momento non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello che, di fatto, tutto quello che stava facendo giocava solo a favore dell’idea di lui che stava iniziando a diffondersi anche da quelle parti. Se tanto lo faceva incazzare, se odiava essere considerato solo un teppista buono solo a scatenare risse senza motivo, perché in quel momento se la stava prendendo in quel modo con la presunta causa di quelle voci? Erano tutte domande che si sarebbe dovuto porre prima di abbattere le nocche chiuse contro di lui, prima di sentire quel dolore lancinante partirgli dalla mano e ripercuotersi lungo tutto il braccio.

- Cazzo—!! - agonizzò, dal profondo della sua gola. Quello stronzo era riuscito a spostare sufficientemente il viso all’ultimo momento, e l’obiettivo della rabbia di Haizaki era diventato il muro di mattoni alle sue spalle. Non che bastasse questo a scoraggiarlo: raccogliendosi in un attimo di dolore tornò presto a puntare, furioso, gli occhi contro i suoi, stizziti sì ma quasi… indifferenti.

- Certo che hai proprio un bel coraggio, tu. - gli ringhiò addosso, stringendo così forte la presa sulla sua maglietta da farsi sbiancare le nocche, che esauste iniziarono a tremare. Lo vide tendersi un pochino, spaziare con lo sguardo verso il pugno ancora premuto contro il muro, ma gli bastò uno scossone per riportare la sua stupida attenzione verso di sé.

- È questo il gioco a cui vuoi giocare? Quello del perfetto pezzo di merda? - lo incalzò ancora, leggendo nei suoi occhi solo uno sguardo quasi interrogativo - Ti senti tanto meglio di me, ora che m’hai messo in cattiva luce? Ti diverte così tanto l’idea di farmi perdere il lavoro, eh? -

Lo vide sgranare stupidamente le palpebre, come colpito da quelle parole.

- Io non sto cercando di fare proprio niente, e ora lasciami. -

- Ah sì? E chi l’ha messa in giro la voce che non sono affidabile, Cristo? - replicò, immediatamente. L’altro si strinse nelle spalle, ma stavolta sembrò quasi, quasi, colpevole.

- Non ho messo in giro voci. - mugugnò, guardando basso, ma subito dopo tornando a fissarlo negli occhi - Mi hanno chiesto perché evitassi continuamente, che dovevo fare, inventarmi una stronzata? Dire che non ti avevo notato? Io ho solo detto la verità, se qualcuno ha frainteso la responsabilità non è mia! -

Ma si ascoltava mentre parlava?

Gliene avrebbe volute vomitare addosso di tutti i colori; avrebbe voluto dirgli a chiare lettere quanto trovasse stupido quel ragionamento e quanto le responsabilità (stava sinceramente iniziando ad odiare quella parola) gliele avrebbe infilate in anfratti remoti e oscuri, ma era ormai palese che non era mai stato bravo a tessere discorsi.

Tirò di nuovo su il pugno dolorante, stavolta quanto mai intenzionato a colpirlo sul serio — ma non appena tentò di pendere slancio, una mano si pose con fermezza sul suo avambraccio.

- Basta, Haizaki. Ora lascialo. -

Sussultò appena quando la voce del signor Ishihara raggiunse le sue orecchie, voltandosi quasi spaventato verso di lui. Di tutti i testimoni che aveva evitato, naturalmente l’unico che sotto sotto preferiva non vedesse nulla era stato anche il solo a vedere quello spettacolo consumarsi sotto il suo sguardo.

Kise approfittò di quell’attimo di stupore per liberarsi finalmente dalla sua presa, spingendo via Shougo e allontanandosi di qualche passo. Non disse niente, ma bastava la sua espressione a comunicare tutto il risentimento e la rabbia per un’aggressione, a suo parere, del tutto immotivata.

… e in fondo, in effetti, lo era. Shougo sapeva che Ryouta non era la causa diretta di quell’impilarsi di problemi, per quanto la sua influenza fosse comunque innegabile; solo allora si rese conto di quanto le sue azioni avessero peggiorato le cose, e di come si fosse praticamente scavato la fossa da solo.

- Capo, io… - non seppe nemmeno come proseguire, mentre l’uomo gli lasciava il braccio e a malapena lo degnava d’attenzione. Si diresse verso Kise, serio, levandosi il cappello e abbozzando un inchino col capo.

- Sono affranto che un mio dipendente le abbia causato qualsiasi tipo di disagio, in quanto suo responsabile le chiedo infinitamente perdono. - fece, prima di rimettersi dritto con la schiena e sospirare, risistemandosi in testa il berretto dell’uniforme e scrollando le spalle. Sembrò dimenticare ogni formalità mentre tornava a guardarlo negli occhi, se possibile ancora più serio di prima.

- … anche se, ragazzo, sai quanto stravedono per te là dentro, e quanto tengono in considerazione tutto quello che dici. Magari non è stata colpa tua e non volevi succedesse, ma ‘sta testa calda qua dietro vuole solo lavorare in pace. Adesso avresti tutto il diritto di dire quello che vuoi, per carità…. ma penso che non sia stato carino metterlo così in cattiva luce in primo luogo. Proviamo a chiudere un occhio, hm? D’ora in poi ci faccio più attenzione pure io. -

Con gli occhi completamente sgranati, Shougo non sapeva per cosa essere più sorpreso. Per il fatto che Ishihara fosse in grado di parlare per più di dieci secondi di fila, forse, o per la sua sorprendente e del tutto inaspettata capacità di argomentare così bene una posizione sfavorevole per farla diventare a proprio favore?

… o forse anche solo per il fatto che stava prendendo le sue difese?

L’altro gli si avvicinò con al solita, rinnovata flemma, appoggiandogli pesantemente una mano sulla spalla. Tacque, lungamente, abbassando la mano e sfilandogli di tasca l’altro pacchetto di sigarette, quello appena acquistato e nemmeno ancora sbustato che nascondeva per emergenza.

- Ma ehi… -

- È il minimo. Dopo quei due, non voglio più parlare con nessuno per una settimana. - borbottò, accendendosi una sigaretta. I suoi movimenti erano sempre lenti, mortalmente lenti, ma c’era una nota sottile d’irritazione che a Shougo era tutta nuova.

- Non so chi è più cretino; lei che ascolta solo se stessa, lui che non guarda più in là del proprio naso, o tu che te ne esci a pugni serrati a fare a botte mentre cerco di pararti le chiappe. - continuò, in quello che sembrava una specie di nervoso, mugugnante monologo, minaccioso abbastanza da rassomigliare il borbottio dei tuoni di un temporale in lontananza, ma comunque sufficientemente remoto per non rappresentare davvero un rischio immediato - Ho sistemato le cose, là dentro, abbiamo ribaltato persino il magazzino per assicurarci che non mancasse nulla, e se tutto va bene il biondino non ci metterà più bocca. Ma fatti beccare un’altra volta a fare a cazzotti e ti licenzio, eh. -

Non pensava che un tono di voce così torpido potesse anche incutergli così tanto timore, ma il ragazzo non riuscì a trattenere il brivido sfacciato che corse lungo la schiena. Niente più sgarri, l’aveva capito — e anche se continuava a credere che non fosse colpa sua, persino lui comprendeva che non era il caso di insistere ancora.

Sospirò, passandosi una mano dietro la testa. Il vulcano si era finalmente placato e alla furia dell’eruzione si stava, lentamente, sostituendo la calma che ne conseguiva; ma a che prezzo? Nonostante le cose si fossero concluse in suo favore aveva comunque ricevuto il suo primo ammonimento, e anche se il signor Ishihara aveva parlato con chi di dovere per sistemare la situazione, era ovvio che là dentro avrebbero comunque continuato a guardarlo a lungo con una punta di sospetto. Che palle.

- … mi dispiace. - borbottò, concludendo che forse quella era l’unica cosa intelligente da poter dire. Non guardò nemmeno il proprio capo negli occhi, anche se ne sentì lo sguardo addosso.

- Te l’ho detto, l’importante è che non succeda di nuovo. - lo sentì replicare, e nella sua voce era fortunatamente tornata la solita, piatta indifferenza. Annuì, quasi distrattamente, affondando la mano nelle tasche e recuperando il portafoglio.

Era a malapena passata l’ora di pranzo, e già quella era riuscita ad avere tutti i presupposti per una giornata di merda. Non che non fosse abituato a menare le mani, a mettersi nei casini e quant’altro — ma più ingiustamente gli succedeva, meno aveva voglia di perseverare nel suo dovere. Ma mollare proprio adesso sarebbe stata una doppia sconfitta, no? Sarebbe stato come provare a tutti che allora, davvero, l’unica cosa che era bravo a fare era essere un incompetente buono a nulla, e l’implicita scommessa che aveva fatto con se stesso e con chiunque dubitasse del contrario si sarebbe disintegrata dopo troppo poco tempo per essere anche solo lontanamente valida.

… anche se, in tutta sincerità, non era sicuro che fosse unicamente quell’immaturo e ostinato orgoglio a farlo perseverare. Scorse tra le dita tra i comparti del portafoglio pieni di cartacce risalenti al paleolitico, fiducioso, ma quando l’unica cosa che sarebbe dovuta trovarsi lì non gli saltò all’occhio per poco non gli cascò tutto di mano.

Ishihara notò quasi subito la sua espressione sconvolta e demotivata, accostandoglisi con una preoccupazione sottile furbamente celata sotto la solita maschera.

- … oi, tutto bene? - gli fece, ma quasi Shougo non lo sentì. Quanto diavolo poteva essere deficiente?! Di sicuro non era niente di grave, ma in quel momento provava solo il desiderio di scavare una fossa e nasconderci dentro la testa per tutta l’eternità.

 

- … ho perso l’ecografia. -

 

 

 

 

Buonasera!

Per me “l’incubo del quarto capitolo” è qualcosa che si ripresenta ogni volta che cerco di scrivere una long, e ammetto che averlo superato mi fa tirare un sospiro di sollievo. La storia sta per scivolare verso uno dei primi punti di svolta, e mi sento un tripudio di fiducia e di buoni propositi.

Questo doveva essere un capitolo transitorio, ma alla fine ho scritto più di quanto credessi. Sarà che da quando ho smesso di usare word se non per i ritocchi finali, scrivendo piuttosto su un programma che non mi conta le parole, la mia vita è notevolmente migliorata… (?)

Spero davvero tantissimo di riuscire a mantenere un buon ritmo, anche se causa Romics già questa settimana dovrò rallentare <\3 ma in ogni caso, ancora mille grazie a chiunque stia seguendo questa mia storiella ~

Alla prossima!

   
 
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