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Autore: sailormoon81    13/02/2009    15 recensioni
E' una domenica mattina quando qualcuno bussa alla porta di casa Chiba con una lettera e una bambina: la figlia di Usagi...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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PROLOGO

 

 

L’auto scura procedeva veloce lungo le strade deserte della città.

Dopo pochi minuti, si accostò al cancello di una casa, ancora silenziosa per via dell’ora.

Dall’auto, scese, sicura di sé, una giovane donna dai lunghi capelli biondi. Lentamente, si tolse gli occhiali scuri, rivelando uno sguardo troppo serio, in contrasto con la serenità di quella domenica mattina.

Sforzandosi di sorridere, aiutò qualcuno a scendere dalla vettura: era una bambina di appena cinque anni, con indosso un abitino rosa e tra le braccia uno zainetto a forma di gatta. Si aggrappò alla mano della donna come a non volersene separare.

“Stai tranquilla, piccola. Vedrai che presto starai bene.”

Senza separarsi dalla bambina, la donna si avviò al campanello d’ingresso.

Attese qualche minuto, senza ottenere risposta.

Guardò l’ora: erano da poco passate le nove.

Allungò la mano per suonare nuovamente, quando il rumore di una serratura le fece capire che la sua attesa era terminata.

Ad aprire la porta, fu una giovane donna di appena trent’anni. I lunghi capelli scuri le arrivavano ben oltre la schiena, ed erano tenuto raccolti per metà in uno chignon.

“Posso esserle d’aiuto?” domandò, osservando la donna in abito arancione e la bambina che era con lei.

“Buongiorno. Presumo sia la signora Chiba. Ho urgente bisogno di parlare con suo marito” comunicò la donna, dando l’impressione di non accettare repliche.

“Sono solo le nove del mattino!” provò a protestare l’altra. “Domenica mattina, per la precisione. Non può aspettare, fino al pomeriggio? Sono certa che sarà lieto di ascoltarla…”

La bionda scosse con veemenza il capo. “Forse non mi sono spiegata. Siamo in viaggio da ieri, e non siamo giunte fin qua per farci chiudere la porta in faccia. Se non è in casa, la prego di dirmi dove mi sarà possibile rintracciarlo.”

“Cara? Chi è?”

Una voce maschile interruppe l’ennesimo tentativo di replica della donna mora. Dopo pochi secondi, un uomo, anch’egli sulla trentina, fece la sua comparsa dietro la porta.

La bionda non poté fare a meno di osservarlo con una punta di invidia per la moglie: i capelli scuri, ancora in disordine, gli scendevano leggermente a coprire gli occhi; nonostante sembrasse sveglio da poco, aveva l’espressione attenta, quasi preoccupata per quella visita inattesa. Indossava un paio di pantaloncini neri e una maglia in tinta, e la donna non ebbe difficoltà a immaginare il corpo statutario dell’uomo.

“Lei dev’essere Chiba Mamoru. Dico bene?” Si fece quasi una violenza e gli staccò gli occhi da dosso. Lo fissò dritto negli occhi azzurri, come a fargli intendere che quella non sarebbe stata una visita di cortesia.

“Con chi ho il piacere di parlare?”

“Signor Chiba, mi chiamo Aino Minako. Sono un’assistente sociale” si presentò. Poi, spinse in avanti la bambina. “Lei è Chibiusa. Se non le spiace, devo parlarle in privato.”

L’uomo osservò la piccola qualche secondo in più del dovuto. Aveva una strana pettinatura, a lui familiare: i capelli erano raccolti un due buffi codini, somiglianti alle orecchie di un coniglio. Era un modo di legare i capelli a lui fin troppo conosciuto. Bastò questo particolare a decidere di accogliere quelle due estranee in casa sua, alle nove di domenica mattina.

Rivolse un sorriso alla moglie, come a volerle fare intendere di non avere scelta, e aprì maggiormente la porta, permettendo alle due di accomodarsi in casa.

“Minako, posso finire il disegno?” domandò Chibiusa, una volta dentro.

L’interpellata sorrise alla piccola. Poi rivolse un cenno alla signora Chiba, come a chiederle un posto per accontentare la bambina.

“Vieni con me, piccolina. Andiamo a quel tavolo laggiù, così finisci i tuoi disegni. Mio marito e la tua mamma devono parlare…”

La bambina scosse la testa. “Lei non è la mia mamma” sottolineò. Osservò per un istante la donna che aveva dinanzi, poi decise di potersi fidare di lei: prese la mano che le offriva e si lasciò guidare al tavolo, al centro della stanza da pranzo. Sotto gli occhi dei presenti, prese, con attenzione quasi maniacale, i disegni colorati a metà da dentro lo zaino e si mise all’opera.

“Signor Chiba, quello che sto per dirle…”

“Mi chiami pure Mamoru” invitò l’uomo, prendendo posto nella poltrona in pelle. Non gli era mai piaciuta, quella poltrona. Dopo essersi sistemato, si chiese mentalmente perché avesse scelto quel posto. Alzò lo sguardo, rendendosi conto che, da lì, riusciva a vedere perfettamente la bambina, intenta a colorare i suoi disegni. “Lei è mia moglie, Setsuna” presentò, riscuotendosi.

“Posso offrirvi qualcosa?” chiese questa. “Un po’ di latte per la bambina, magari…”

Minako accettò l’offerta per la piccola, ringraziando la padrona di casa.

“Mi fai compagnia?” chiese la bambina, quando Setsuna le portò il latte con alcuni biscotti.

La donna vacillò qualche secondo. Alternò lo sguardo dalla bambina al marito. Notò un velo di tristezza negli occhi della piccola, e questo bastò per decidere di stare con lei. Anche perché, ammise, sembrava che Mamoru volesse parlare in privato con quella donna.

 

Una volta rimasta sola con l’uomo, Minako prese la parola. “Mamoru, vorrei arrivare subito al punto, se lei è d’accordo.”

Mamoru si dispose ad ascoltare ogni parola che quella donna avesse da dire. Tuttavia, si rese conto che la sua attenzione era calamitata alla bimba di fronte a lui.

Minako notò quanto l’uomo fosse distratto. Decise che, prima do ogni altra cosa, sarebbe stato meglio consegnargli la lettera che custodiva gelosamente nella borsa.

L’uomo osservò confuso le mosse della donna, chiedendo spiegazioni con gli occhi.

“Legga questa. Poi, se vorrà, potrà farmi tutte le domande che desidera.”

Non se lo fece ripetere due volte. Con mani tremanti, aprì la busta. Cominciò a leggere, e dalla calligrafia riconobbe chi fosse il mittente.

 

 

Mio caro Mamoru,

se stai leggendo questa lettera, vuol dire che mi è accaduto qualcosa di irreparabile.

So di non avere il diritto di intromettermi nella tua vita e sconvolgerla, ma non c’è persona al mondo di cui mi fidi, più di te.

La bambina che, adesso, è con te si chiama Chibiusa. Lei è mia… nostra figlia.

Immagino la tua espressione, in questo momento; ti starai chiedendo perché non ti abbia mai parlato di lei.

Ecco, dopo la nostra separazione, ho creduto che sarebbe stato più facile per entrambi seguire strade separate.

Quando scoprii di aspettare Chibiusa, ha prevalso l’egoismo. Quell’egoismo che mi è sempre mancato, da ragazza: Chibiusa era l’unica parte di te che poteva definirsi completamente mia.

Ho provato a crescerla da sola; non è stato facile, ma credo di aver fatto un ottimo lavoro: è molto matura, per la sua età…

Scusami per questo brutto scherzo.

Non conosco tua moglie, ma conosco te e so, che se lei è al tuo fianco, è la donna speciale che meriti.

Prenditi cura di nostra figlia. Offrile l’amore che io, ormai, non le posso più dare.

E dille che sua madre resterà sempre con lei.

E con te.

Porterò con me il ricordo di noi e della nostra bambina.

Tua per sempre,

Usagi

 

Terminò la lettura, rendendosi conto di avere gli occhi lucidi.

Dunque, aveva visto giusto: quella bambina era la figlia di Usagi. La sua Usagi.

Era la loro bambina.

Alzò lo sguardo verso Chibiusa, notando ancora di più la somiglianza con la madre.

“Sta bene, Mamoru?” domandò l’assistente sociale, preoccupata del suo mutismo.

L’uomo fece cenno di sì con la testa, passandosi una mano tra i capelli scuri. “Mi dica, Minako: questo è uno scherzo, non è vero?”

La donna abbassò lo sguardo, quasi cercando una risposta nelle sue decolletè color arancio. “No, Mamoru. Mi spiace, ma è tutto vero.”

Mamoru fece un respiro profondo: sapeva che stava per cedere alle emozioni del momento, ed era altrettanto consapevole di non poterselo permettere. Non in quel momento, almeno.

“Come… cosa è accaduto a Usagi?”

“Un incidente d’auto” rispose semplicemente Minako. “Un camion non ha rispettato il semaforo, scontrandosi con l’auto di Usagi. I paramedici hanno fatto tutto il possibile, ma è deceduta durante il trasporto in ospedale.”

L’uomo ascoltò le parole di Minako fissando il vuoto davanti a sé. Sapeva di dover dire qualcosa, ma la sua mente non voleva collaborare.

“Mamoru, so che è un momento difficile per lei. Ma ora deve farsi forza. C’è una bambina di là che ha bisogno di…”

“No.”

Minako credette di non aver sentito bene. “Prego?”

“Non posso tenerla con me. Deve trovare un’altra soluzione.”

“Mamoru, lei è suo padre. Chibiusa non ha nessun altro, e Usagi ha espressamente chiesto che la piccola fosse affidata a lei.” Minako si rendeva conto di chiedere troppo all’uomo, ma non aveva altra scelta: Chibiusa doveva stare con suo padre. Era tutta la sua famiglia, adesso. “So che non è una scelta facile, ma…”

“No. Usagi non era in sé, quando ha stabilito una cosa del genere” la interruppe. “Non sapeva quello che faceva…”

“Mi creda, Mamoru” provò a convincerlo Minako, “Usagi sapeva quel che faceva, affidandole la bambina” commentò, rendendosi conto dello smarrimento nel volto dell’uomo. “Non l’ho conosciuta personalmente, ma so che era una donna forte, molto coraggiosa e determinata. E responsabile.”

Responsabile. Di certo quell’aggettivo stonava con i ricordi che aveva della sua Usako… Ma era pur sempre la sua Usako.

Mamoru osservò in silenzio la bambina che disegnava: sembrava minuscola, in contrasto con l’enorme tavolo. Accanto a lei, Setsuna pareva molto interessata alle parole e ai movimenti della piccola.

“Io non so se posso farcela…”

Minako sorrise, certa del prossimo cedimento dell’uomo. “Ce la farà. Ne sono sicura. Usagi non avrebbe potuto affidare la propria figlia nelle mani di un irresponsabile…”

Rimasero in silenzio qualche minuto.

Nella stanza solo il ticchettio dell’orologio e il lieve rumore di pastelli sul foglio.

“Resterà con me” mormorò infine Mamoru, forse più a se stesso che a Minako.

La donna sorrise, riconoscendo nell’uomo che aveva dinanzi la persona fantastica che tutti dicevano essere.

Prima di recarsi da lui, aveva preferito fare ricerche su Chiba Mamoru e sua moglie, temendo potesse essere il classico uomo d’affari tutto lavoro, pieno di sé, che non ha a cuore nient’altro che il proprio portafogli.

Era stata contenta di sapere che, dopo un breve periodo di gloria nel Tokyo Magazine, aveva deciso di contribuire concretamente a migliorare la società, stando a contatto con la gente, non solo per dovere: aveva lasciato il suo lavoro per scrivere per il giornale locale, dove era stimato e rispettato da tutti, e più di una volta, negli ultimi anni, si era scontrato con le alte sfere dell’amministrazione locale, pur di ottenere  qualche vantaggio per i suoi concittadini.

Sulla moglie non aveva saputo molto, tranne che insegnasse presso la facoltà di Fisica della città e che aspirasse a una brillante carriera nel mondo della ricerca.

Aveva avuto paura che questo desiderio potesse costituire un ostacolo, per la riuscita della sua missione di assistente sociale; ma scrutando la donna aveva capito che il problema non sarebbe sorto.

“Sono certa che funzionerà. E poi, sua moglie sembra essersene già affezionata” commentò, osservando Setsuna giocare con la piccola. “So che non ce ne sarà bisogno, ma per qualunque difficoltà le lascio il mio recapito” disse, allungandogli un biglietto con il proprio numero telefonico. Poi, si alzò e si diresse verso il tavolo.

Appena la vide, Chibiusa nascose i disegni. Minako sorrise: da quando l’aveva conosciuta, Chibiusa non le aveva mai mostrato ciò che disegnava. Provò un po’ di gelosia, nel rendersi conto che, al contrario, Setsuna era stata ben accetta nel suo piccolo mondo.

“Addio, Chibiusa. Starai bene, qua. Te lo prometto.”

“Minako, non mi lasciare sola. Portami con te” supplicò lei, riponendo in fretta i disegni nello zainetto.

La donna strinse Chibiusa a sé, cullandola per l’ultima volta. Prese lo zainetto della bambina e lo ripose sulla sedia, a indicarle che quella, da quel giorno in avanti, sarebbe stata la sua nuova casa. “Andrà tutto bene, piccola mia. Andrà tutto bene.”

“Che succede, Mamoru?” domandò, spaesata, Setsuna.

“Arrivederci, Minako” salutò lui, ignorando la moglie.

“No” lo corresse lei. “Addio.”

L’uomo accompagnò Minako alla porta, prese le valige di Chibiusa e salutò la donna con una stretta di mano.

Attese per qualche minuto sulla porta dopo la partenza di Minako, e rientrò solo quando fu certo che non l’avrebbe più vista.

“Setsuna, io non voglio stare qua… voglio tornare da Minako.”

Sestuna si voltò a osservare la bambina. “Piccola, ora… ora Mamoru sistemerà tutto. Vedrai che presto tornerai dalla tua mamma.”

La donna osservò Chibiusa stringersi nelle spalle e afferrare lo zainetto blu, portandoselo al petto. “La mia mamma non c’è più.”

Setsuna si voltò verso il marito, come a chiedere conferma.

L’uomo le fece un cenno, invitandola a raggiungerlo.

Senza curarsi della bambina, Setsuna accolse l’invito dell’uomo. Le doveva delle spiegazioni.

Mamoru le diede la lettera, invitandola a leggerla.

“Vado da Chibiusa, e poi ti dirò tutto.”

Mamoru si avvicinò alla bambina. Parlò per qualche minuto, cercando di tranquillizzarla. Solo quando la vide posare lo zaino e tirarne fuori nuovamente i disegni e i pastelli, poté dirsi sicuro nel lasciarla sola. Provò a vedere i lavori della figlia, ma questa sembrava aver deciso che era ancora troppo presto per concedergli la sua fiducia. “No. Tu non puoi vedere.”

Sorridendo, Mamoru accolse la richiesta di riservatezza e si allontanò.

Prima di tornare dalla moglie, portò le valige al piano di sopra.

“Non possiamo tenerla con noi, Mamoru” provò a replicare la donna quando lo vide comparire. “Che ne sarà della nostra vita?”

“Faremo in modo che ci sia posto anche per lei” disse deciso.

Setsuna non riconosceva più il marito. Quando si erano sposati, tre anni prima, avevano deciso che ci sarebbe stato tempo per i figli. Avevano convenuto che la priorità l’avrebbe avuta la carriera, almeno per i primi anni. “Che ne sarà dei nostri sogni? Non vuoi tornare a essere quello che eri una volta? Un uomo stimato da tutti, con un lavoro da sogno? Non voglio dover rinunciare a tutto, solo per accudire la figlia di un’altra!”

“Nessuno ti sta chiedendo questo, Setsuna. La tua carriera universitaria non ne risentirà. Quanto a me, è questo ciò che voglio: non più ricchezza e fama, se deve andare a discapito dei rapporti umani” cercò di calmarla. “Ma cerca di capirmi: è mia figlia. Non posso lasciarla a uno sconosciuto.”

“Chi te lo dice?” domandò Setsuna, con tono di sfida. “Per quel che ne sai, quella donna avrebbe potuto spassarsela con chiunque, dopo che la vostra storia è finita. Ora, dopo sei anni, se ne torna, da morta, con una figlia. E tu sei così idiota da farti abbindolare ancora da lei!”

“Setsuna! Non ti permetto di parlare in questo modo di Usagi. E cerca di abbassare la voce: non voglio che Chibiusa ci senta litigare.”

Setsuna osservò l’uomo che aveva di fronte. “Che sia ancora innamorato di lei?” si trovò a pensare. Poi si voltò verso la bambina: continuava a disegnare, incurante di loro due che litigavano, a pochi metri da lei.

“Vado a preparare qualcosa per il pranzo” disse infine. Poi si voltò e sparì in cucina, lasciando il marito solo, nel grande salone.

 

Chibiusa continuò il proprio lavoro artistico, incurante dello sguardo dell’uomo posato su di lei.

La mamma le aveva spesso parlato di lui, ma le aveva anche detto che, molto probabilmente, non l’avrebbe mai conosciuto, e ne parlava sempre con una strana espressione negli occhi. Una volta, una sua compagna le aveva detto che forse la sua mamma voleva ancora bene al suo papà, ma che non potevano stare più insieme come facevano i veri genitori.

Chibiusa non aveva mai mostrato interesse ad avere una famiglia normale, con tutti e due i genitori, e quasi non le dispiaceva stare sola con la mamma.

Ora, quel cambiamento inatteso la metteva in difficoltà: nei suoi sogni di bambina aveva immaginato il suo papà come un principe dall’armatura splendente. Mamoru, invece, sembrava un semplice papà, come quello delle sue compagne d’asilo. Non sapeva perché, ma non era certa di voler avere lui, come papà: Mamoru era più adatto come amico, che come padre. Ed era quello il motivo per cui non voleva fargli vedere i suoi disegni: solo la sua mamma e il suo papà avrebbero dovuti vederli. Ora, però, la sua mamma non c’era più. Ma aveva avuto Minako, per un po’ di tempo. Solo che anche lei era più un’amica, che una mamma.

E ora aveva conosciuto Setsuna: le era simpatica, e non le sarebbe dispiaciuto che diventasse la sua vice-mamma…

 

Setsuna continuò a lavorare ininterrottamente in cucina, sforzandosi di non pensare a quanto accaduto in mattinata.

Non si sarebbe mai aspettata che Mamoru prendesse una simile decisione senza nemmeno consultarla.

Sapeva che quella bambina non aveva colpa, e doveva ammettere che ci si era affezionata da subito. Solo, non le piaceva che le venissero imposti cambiamenti radicali nella propria vita.

E poi, continuava ad aleggiare il sospetto che suo marito fosse ancora innamorato di quella donna, di Usagi…

 

Mamoru per la prima volta non sapeva cosa fare.

Amava Setsuna, non c’erano dubbi.

Ma amava anche Usagi, sebbene in maniera diversa.

Tutto era successo troppo rapidamente, e doveva ancora assorbire tutte le notizie ricevute quel giorno.

Più di una volta, nel corso della mattinata, aveva creduto si trattasse di un sogno, e che al risveglio avrebbe trovato la moglie accoccolata accanto a lui, in attesa del suono della sveglia.

Ma gli era bastata un’occhiata alla figurina in rosa nell’altra stanza per capacitarsi che tutto fosse reale, che la sua Usako non era più con loro, e che ora toccava a lui prendersi cura di una figlia di cui aveva ignorato l’esistenza per cinque lunghi anni.

Distrattamente, guardò l’ora: il quadrante segnava le dodici e quaranta.

Si fece forza e si diresse in cucina.

“Hai bisogno di aiuto?” domandò alla moglie, più per cortesia, che per altro: tutto sembrava pronto per il pranzo.

“No. Prendi solo la bambina.”

Mamoru sospirò. Evidentemente, è ancora arrabbiata, pensò. Le voltò le spalle, consapevole dei suoi occhi puntati alla propria schiena.

In pochi minuti, aiutò la bambina a prepararsi per il pranzo ed insieme fecero il loro ingresso in cucina.

 

Pranzarono in silenzio, scambiandosi solo brevi frasi di circostanza.

Chibiusa osservò quei due estranei, alternando lo sguardo da Mamoru a Setsuna più di una volta. Non sembrava molto interessata al cibo, ma piuttosto voleva capire se fosse per colpa sua che quei due avessero litigato. Non sapeva cosa accadeva tra una mamma e un papà, ma era quasi certa che non era normale che a stento si rivolgessero la parola…

“Scusatemi” mormorò, interrompendo il silenzio della stanza.

“Cosa c’è, piccola?” domandò la donna, sforzandosi di sorridere alla bambina.

“Niente. Solo: scusatemi, perché voi non vi volete più bene per colpa mia.”

I due adulti si osservarono qualche secondo, poi si voltarono entrambi verso Chibiusa.

“Noi ci vogliamo ancora bene” la tranquillizzò Mamoru. “Ma è stata una mattinata piena di novità, e siamo un po’ stanchi.”

“Già, tutto qui” fece eco Setsuna.

“Allora, non vi scoccia avermi con voi?”

“Certo che no!” rispose la donna, serenamente. “E ora mangia, prima che si freddi tutto.”

Sollevata, Chibiusa tornò al suo arrosto con patatine, riuscendo anche a goderselo.

Mamoru non nascose lo stupore nel sentire parlare in quel modo la figlia. Usagi aveva ragione: sembrava già molto matura, per i suoi cinque anni…

Per un attimo, pensò che, dall’esterno, chiunque avrebbe potuto dire che fossero una normale famiglia giapponese, durante un normale pranzo domenicale. “Se le cose fossero andate diversamente” rifletté, “a quest’ora ci sarebbe Usagi…” Scacciò violentemente quel pensiero, sentendosi in colpa anche solo per aver desiderato Usagi, al posto di Setsuna.

Terminato il pranzo, Mamoru accompagno Chibiusa in quella che sarebbe stata la sua stanza.

“Ancora ci sarà molto da lavorare” si scusò, nel varcare la soglia della camera degli ospiti, “ma sono sicuro che presto sarà la cameretta più invidiata della tua scuola.”

“Anche nell’altra casa avevo una cameretta tutta mia!” esultò Chibiusa, non trattenendo l’euforia e correndo per tutta la stanza.

Mamoru sorrise: non credeva che quattro semplici pareti potessero avere un simile effetto in una bambina. Guardò la figlia correre intorno al tavolo, al centro della stanza, per poi quasi saltare sul letto, forse troppo grande per lei.

“Piano, Chibiusa. O ti farai male.”

La bambina scosse il capo, regalandogli un sorriso. “Non mi importa di farmi male: questa stanza è bellissima, e so che non potrà accadermi niente se sono qua! La mamma me l’ha promesso.”

Mamoru ebbe un sussulto nel vedere quel sorriso talmente simile a quello della madre. Poi la aiutò a sistemarsi per un breve riposino pomeridiano. “Devi essere molto stanca, tra il viaggio e tutto il resto. Io vado di sotto ma, se hai bisogno, sarò qui in un baleno.”

Chibiusa annuì, poi lo prese per mano lo attirò a sé, per dargli un piccolo bacio sulla guancia.

Mamoru ricambiò quell’attenzione con una breve carezza. Poi uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Giunto al piano inferiore, trovò la moglie in piedi, vicino le scale.

“Dimmi la verità, Mamoru: tu l’ami ancora, non è vero?”

L’interpellato la osservò come se la vedesse per la prima volta: gli ci volle qualche secondo prima di capire a cosa si stesse riferendo. “Che vai dicendo, Setsuna?” domandò infine.

“Non hai potuto avere la madre, e così adesso vuoi la figlia…” continuò lei, non staccando gli occhi dal muro di fronte.

“Setsuna, lo sai che ti amo.” La voce di Mamoru si addolcì, capendo, improvvisamente, quali fossero stati i pensieri della moglie, per tutto quel tempo. L’abbracciò, notando come fosse tesa. Rimase in silenzio qualche secondo, non staccandosi dalla donna. “Usagi è stata una parte importante della mia vita” continuò. “Ora ha bisogno di me. Mia figlia ha bisogno di me. Non te lo chiederei se non fossi certo che è così.”

La donna parve riflettere. Poi si voltò, ricambiando l’abbraccio del marito, e nascose il volto contro il petto dell’uomo. “Parlami di lei. Così, forse, potrò amare questa bambina, come se fosse mia.”

 

 

 

 

Va bene, lo so che starete pensando: Non riesce a portare a termine una storia già conclusa, e si cimenta in qualcosa di nuovo!

La verità è che in questo periodo l’ispirazione latita alla grande: non ho un vero e proprio stimolo per continuare a scrivere, e sto male (ma proprio male male) per questo.

Allora ho pensato che, avendo l’esigenza di soddisfare i lettori e dire loro come va avanti, forse potrei riuscire a ritornare in me e scrivere come prima.

Diciamo che questa fic è un po’ molto particolare: si tratta, infatti, del romanzo a cui sto lavorando da un annetto a questa parte, solo che senza alcuna ragione apparente è rimasto ad ammuffire nel pc in attesa di essere completato.

Ovviamente, i personaggi sono un po’ forzati nelle loro parti, ma mi rendo conto che, mentre li delineavo, avevo bene in mente i caratteri basilari di Usagi&co.

Dunque, non mi è dispiaciuto inserire la storia in questa categoria: con un po’ di sforzo, dovrei riuscire a modificare i capitoli già pronti come ho fatto con questo, in modo che possa adattarsi al meglio ai personaggi di Sailor Moon.

È suddiviso in un prologo (questo) e due parti, di non so bene quanti capitoli ciascuna.

Infine, ne approfitto per ringraziare Luisina: sembra strano, ma dopo la nostra chiacchierata di ieri sera mi è venuta voglia di riprendere a scribacchiare qualcosa ^^

E con questo, passo e chiudo fino al prossimo aggiornamento… che non so quando sarà XD

 

Bax, Kla

   
 
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