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Autore: YuGiesse    29/09/2015    2 recensioni
"Era un ragazzo mai visto, aveva un'aria da menefreghista, sedeva su un'antica sedia di legno con le gambe incrociate sul tavolo, i suoi occhi profondi riuscivano a mettere in soggezione anche con un solo sguardo, quel tipo di ragazzi che lui odia."
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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"Mmh" 
 
Oddio, che mal di testa terribile.
 

Sentì qualcosa muoversi accanto a lui, così aprì gli occhi.
Ciò che vide lo lasciò un attimo senza fiato: accanto a lui, in una stanza e su un letto sconosciuto dormiva Caesar.
 
Improvvisamente, come un flash, gli tornarono in mente gli avvenimenti della sera precedente.
Halloween, la festa, Anthony, Sophie, Bethany, Caesar, l'alcool e basta.
Non ricordava tutto e questo lo spaventava.
Scosse la testa. 
 
Mio padre mi ucciderà sul serio questa volta.
 
Posò gli occhi sul ragazzo, che, al suo fianco, dormiva beatamente. Probabilmente se si fosse alzato, lo avrebbe svegliato, non voleva.
Restò a fissarlo per qualche secondo.
Non lo aveva mai guardato così da vicino. Quando non parlava dimostrava molti meno anni di quelli che aveva e, sì, sembrava dolce.
Stava a pancia sotto, con il viso rivolto verso di lui illuminato dai pochi raggi di sole che penetravano dalla finestra socchiusa. Aveva lo sguardo sereno, nonostante si muovesse continuamente.
 
 
"Mmh.." Mugolò. 
Probabilmente si stava finalmente svegliando.
"Cos-"
Contro ogni previsione invece si ritrovò il ragazzo sdraiato sulla parte destra del suo petto.
Arrossì.
 
Oh cazzo. 
 

Doveva spostarlo, non poteva rimanere così.
Se si fosse svegliato e avesse visto la posizione in cui si trovava, sarebbe successo il finimondo. Nonostante non fosse, ovviamente, colpa sua.
Continuò a guardarlo.
Non poteva muoverlo, era così tranquillo, sarebbe stato come rubare una caramella ad un bambino.
Sospirò.
 
Appena si sveglierà gli spiegherò tutto e scapperò a casa, ovviamente.
 

Poggiò la testa sul cuscino chiudendo gli occhi, in attesa del risveglio del dolce Caesar.
In quella posizione poteva sentire benissimo il suo calore ed il suo respiro. 
Si irrigidì.
Senza riuscire a controllare i suoi gesti allungò la mano sinistra, posandola sui capelli del moro, erano morbidissimi. 
Gli accarezzò la testa, arrivando fino alle orecchie delle quali sfiorò delicatamente i lobi.
Erano calde.
Gli piaceva quel calore, sarebbe rimasto volentieri altre ore in quella posizione, si sarebbe anche potuto riaddormentare da un momento all'altro. 
Non sapeva cosa provava esattamente, non riusciva proprio a capirlo, sapeva solo che c'era qualcosa che lo spingeva a fare questo. 
 
Che sia ancora ubriaco? 
 
No, era lucidissimo.
Improvvisamente provò una strana sensazione al petto e, finalmente, realizzò in che situazione era finito. 
Il suo riflettere fu interrotto da un brusco movimento del ragazzo che fino a qualche secondo fa dormiva sopra di lui.
 
"Come cazzo sono finito sopra di te..?"
 
Gli si bloccò il cuore. 
Adesso era morto sul serio.
Se non lo avesse ucciso suo padre lo avrebbe fatto sicuramente lui.
Si alzò bruscamente, mettendo le mani in avanti come per giustificarsi.
 
"Non c'entro niente! Lo giuro! Posso spiegarti."
Si tappò la bocca quando si rese conto che balbettava come uno stupido.
 
"E come spieghi la tua mano sopra la mia testa?!"
Disse Caesar, con uno sguardo che era un miscuglio di imbarazzo e confusione.
 
"Io.."
Non sapeva cosa rispondere. Qualsiasi cosa avesse detto lo avrebbe messo al muro, gira la come al solito. Non c'era via di fuga.
"Mi ci vorranno anni di terapia adesso." Affermò l'altro, passandosi una mano tra i capelli e stirandosi la schiena.
"Comunque, adesso rivestiti. Ti presterò qualcosa di mio."
Disse alzandosi dal letto. 
 
"Emh, grazie." Disse timidamente John.
Solo allora notò come fosse ridotto: indossava la maglia nera che stava sotto il costume da scheletro e un paio di pantaloni per dormire.
 
Io non ricordo di aver mai tolto i pantaloni!
 
Caesar parve intuire i suoi pensieri perché parlò. 
"Sì, ti ho dovuto cambiare perché non potevi dormire con quei vestiti scomodi. Mi ci vorranno anni di terapia anche per questo." Ridacchiò. 
Il riccio arrossì fino alla punta dei capelli.
Non si era mai trovato in una situazione così, voleva solo scomparire.
"Su, non fare quella faccia. Non credevo ti dispiacesse. In fondo tu provi una sensazione, un fastidio che non sai spiegare nel vedere me e Bethany insieme, no?" Ammiccò il moro.
Jonathan ormai era di un colorito cadaverico, non sapeva cosa ribattere.
La sera precedente si era rovinato.
"Ero ubriaco."
"Mh, si ho notato." 
 
Prese i vestiti che l'altro gli offriva e andò a cambiarsi in bagno.
Era in uno stato pietoso, i capelli erano un groviglio indefinito e aveva delle occhiaie spaventose.
Quando si vestì, notò la differenza di misura tra lui e l'americano.
Gli abiti gli stavano molto larghi e dovette svoltare più volte le maniche.
Fuori dal bagno c'era lui che lo aspettava, appena lo vide gli fece l'occhiolino.
"Come sei carino! Su scendiamo che a breve arrivano le ragazze."
"Cosa?! Perché?" Chiese diventando improvvisamente nervoso.
"Vogliono essere sicure che non ti abbia fatto niente mentre dormivi."
Rispose l'altro gesticolando, mentre si avviava verso delle scale.
Non parlò.
Era, decisamente, il giorno più imbarazzante della sua vita.
Scese le scale seguendo il ragazzo, quella casa era graziosa, molto più accogliente rispetto alla sua.
Finite le scale, il moro gli fece cenno di fermarsi ed entrò dentro una stanza.
Cominciò a guardarsi un po' in giro.
 
Devo cominciare a preparare un discorso per mio padre..
 
Era curioso di sapere come sua sorella lo avesse coperto, doveva delle spiegazioni anche a lei. 
Fece spallucce.
Ormai non poteva farci niente.
 
"Pss, stai ancora dormendo?"
Scosse la testa 
"Senti, di la c'è mia zia, ieri notte le ho raccontato tutto."
Sbarrò gli occhi.
"CHE COSA?!" Disse, alzando il tono della voce.
"Oh, non urlare di prima mattina ti prego. Mi farai scoppiare la testa." Borbottò il moro, grattandosi dietro la nuca.
"Fottiti. Io non ci entro li dentro."
L'idea di incontrare gli zii di Caesar lo innervosiva terribilmente, non era mai stato preparato a questo genere di situazione. Non era mai successo!
"Che sei problematico! Comportati naturalmente e andrà tutto bene."
 
Mi sta mettendo coraggio?
 
"E per l'amor del cielo, non urlare più."
 
Come non detto.
 
A malincuore avanzò verso la stanza, probabilmente la cucina.
 
"Buongiorno ragazzi! Accomodatevi!" A parlare fu una donna quasi identica a Caesar, probabilmente era su zia.
Deglutì.
 
Sii te stesso, Jonathan!
 
"Buongiorno signora, grazie per l'ospitalità." Disse senza muovere un muscolo. 
La donna, percependo il disagio del ragazzo, gli sorrise:
"Quindi, qual'é il tuo nome?" Chiese, tenendo sempre il sorriso sulle labbra.
Quando sorrideva era ancora più identica a Caesar, anche se, a dirla tutta, lo aveva visto sorridere pochissime volte.
"Jonathan." Rispose semplicemente.
"Non vedo lo zio, è già andato via?" Li interruppe Caesar, che, nel frattempo, si stava accomodando a tavola.
"Si, oggi aveva da fare. Caffè?" Chiese la donna mentre versava la bevanda al moro, che stava per saltare dalla gioia.
"Fortuna che oggi non avete scuola, potete fare tutto con calma." Continuò.
Il nipote annuì, e disse "Fortuna che c'è il tuo caffè zia dopo una nottata come questa."
Lei sorrise "Non sarò così indulgente la prossima volta, ricorda."
Caesar le rispose: "Sei la zia migliore del mondo." E le diede un tenero bacio sulla fronte.
 
Jonathan rimase un attimo interdetto.
Non sembrava nemmeno lui in quel contesto, era molto più umano.
Naturalmente, perdere i genitori così presto doveva averlo cambiato, in peggio.
La dolcezza con la quale si rivolgeva a sua zia gli fece capire quanto in realtà quel ragazzo fosse bisogno d'affetto. Forse anche per questo stava con Bethany, magari voleva solo consolarsi tra le braccia di qualcuno. Doveva essere per forza così, voleva che fosse così.
 
"Tra poco arrivano le ragazze, così conoscerai Bethany." Disse il moro.
Ecco. Di nuovo la Turner.
"Oh, finalmente" Rispose la donna, sempre con il sorriso sulle labbra.
Poi si rivolse a Jonh "Tu abiti vicino? Appena le ragazze andranno via vuoi un passaggio?" 
"No, grazie signora. Abito proprio all'angolo." 
"Sì zia, lo accompagno io, tranquilla."
"All'angolo?"
"Si, mio padre è William Brown."
Lei sembrò un attimo sbigottita, poi si riprese e disse: "Ah sei il figlio di William e Donna."
Annuì.
"Come fa a conoscerli?"
La donna diventò improvvisamente scura in volto.
"Nulla, vecchie conoscenze."
Il suono del campanello interruppe quella strana conversazione.
Caesar si alzò.
"Saranno le ragazze, vado ad aprire io!"
Sospirò. Non avrebbe sopportato un altro siparietto sdolcinato tra lui e la Turner.
"Buongiorno a tutti!" La prima a parlare fu Julia.
"Ciao Jooohn, come stai?" Aggiunse Sophie, correndo incontro al riccio abbracciandolo.
"Bene, grazie." Rispose semplicemente.
 
Dove sono loro?

 
"Buongiorno ragazze, accomodatevi pure, sono la zia di Caesar."
 
"Salve." Dissero le ragazze in coro
 
Dopo qualche istante entrò la coppia nella stanza.
"Zia, lei è Bethany."
La donna le sorrise.
"Ciao cara, è un piacere conoscerti, Caesar mi ha parlato tanto di te."
 
 Smettetela, vi prego.
 
"Piacere mio." Rispose la bionda stringendole la mano.
Il moro era al suo fianco e le teneva la mano.
Sophie si girò verso John intuendo quasi il suo malessere. Gli posò una mano sulla spalla, sorridendo.
Ricambiò quello sguardo, volgendolo a sua volta verso Bethany.
Cosa ci provava di bello in quella ragazza? Certo, era carina, ma non aveva niente di particolare.
"Andate già via? Ragazze non volete fare colazione?" Domandò la zia del moro.
Risposero tutte negativamente, evidentemente avevano già mangiato.
"Dobbiamo proprio andare oppure non finiremo mai entro oggi. Caesar tu poi ci raggiungi?" Chiese Bethany.
"Sì certo. A dopo." Rispose lui, dandole un bacio.
"Dai John, andiamo." Disse al riccio che, di malavoglia si alzò dalla sedia.
"Grazie ancora, signora."
"Di nulla caro, mi raccomando salutami tuo padre."
Annuì e uscì dalla stanza seguito dalle ragazze, che salutarono educatamente la donna.
 
Chissà come si sono conosciuti.
 
Iniziò a camminare con Caesar verso casa sua, in silenzio. 
"Lo sapevi che tua zia e i miei si conoscevano?" 
"Proprio no, infatti sono rimasto sorpreso come te."
"Proverò a chiedergli qualcosa."
"Ah, quindi è possibile parlare con lui?"
"Non è come pensi, quando l'hai incontrato era solo un po' nervoso"
"Tale padre, tale figlio."
Si limitò a sorridere senza rispondere.
Percorrere quella strada quel giorno gli metteva un'ansi terribile. Avrebbe  preferito rimanere a casa di Caesar per sempre, ma doveva riuscire ad affrontare suo padre.
"Su, non preoccuparti. Non sarà mica la prima sgridata che ti prendi, no?"
Disse Il moro spezzando la tensione.
"No, ma mai per questi motivi."
"Beh, puoi dire che era un pigiama party."
Aggiunse facendo spallucce.
In quel momento voleva avere almeno un goccio della calma di quel ragazzo.
Continuarono a camminare senza dire più di due frasi prive di ragione fino ad arrivare davanti la villa di Jonathan.
Suonarono al campanello e, fortunatamente, aprì Elizabeth.
"John! Finalmente! Non sai quanto ci ho messo a convincere papà che tu stessi bene!"
Solo allora si accorse che con lui c'era anche Caesar e lo squadrò.
"Tu devi essere Caesar, piacere di conoscerti. Veloce entrate così vi spiego cosa ho detto a papà." Disse velocemente e aprendogli la porta.
 
Il moro rimase un attimo interdetto dalla grandezza della casa. Effettivamente era grandissima.
Entrarono in cucina e si sedettero su un divano a penisola.
La ragazza parlò: "Allora, gli ho detto che siccome lui è qui da poco, tu e Anthony siete rimasti a dormire da lui, anche considerando la sua situazione familiare." Spiegò lei velocemente.
"Grazie Lizzie, sei la migliore." 
La abbracciò di slancio, poi sentirono dei passi provenienti dalle scale: era suo padre.
Volse il proprio sguardo verso Caesar, che roteò gli occhi.
"Finalmente ti sei deciso a tornare."
Disse il padre, entrando nella stanza.
"Ciao papà."
"Tu devi essere il ragazzo, ti ho già visto da qualche parte."
"Effettivamente ci siamo già incontrati."
"Mhmh"
L'atmosfera era tremendamente tesa, tutti si scambiavano sguardi senza far uscire una parola dalla bocca, eccetto l'uomo.
"Anthony dov'è?"
Dopo qualche istante di silenzio John parlò:
"Se n'è andato subito a casa, aveva da fare."
Senza aspettare altre risposte posò gli occhi su Caesar, il quale si alzò dicendo: 
"Detto questo, credo che potrei pure andare."
L'uomo lo squadrò da capo e piedi per qualche secondo e finalmente si decise a parlare.
"Dove abiti?" Chiese.
"Qui dietro. Piuttosto, mia zia le porta i suoi saluti, per quanto mi possa importare." Disse con tono di sufficienza 
"Qual è il suo nome?" Chiese ancora.
"Margaret Smith." Rispose semplicemente.
L'uomo spalancò gli occhi.
"Sei nipote di Margaret?" 
"Secondo lei?"
John guardò il padre, che sbiancò.
Che rapporto c'era tra le loro famiglie?
"Allora, suppongo che tu sia figlio di Rose." Gli si spezzò la voce. 
Il riccio notò subito lo sguardo di Caesar riempirsi di malinconia.
"Si, esatto. Posso andare adesso?"
Dicendo ciò fece per andare verso la porta ma l'uomo lo bloccò afferrandolo per il polso.
"Aspetta! Com'è successo? Ti prego, ho bisogno di saperlo."
L'americano spalancò gli occhi, improvvisamente preso dall'ira.
"Ha BISOGNO di saperlo?! Ma innanzitutto lei chi cazzo è? Come fa a conoscere mia madre?!" 
L'uomo si pietrificò, come se non sapesse cosa dire. Come se fosse troppo doloroso parlare.
 
John si riscosse in quel momento, non capiva cosa stava accadendo.
 
Non ho mai visto mio padre in questo stato.
 
"Papà, lascialo stare. È da poco più di un mese che ha perso i genitori. Come puoi essere così insensibile?"
Strillò Elizabeth, forse non si era resa conto dello stato in cui si trovava il padre.
 
"Lizzie non capisci? Era mia amica.  E lui, è la sua copia." Concluse indicando Caesar con mano tremante.
 
Il ragazzo schioccò la lingua e si liberò facilmente dalla presa dell'uomo.
"Mi lasci in pace per una buona volta."
Detto questo apri la porta e uscì fuori sbattendola.
 
Calò il silenzio. John non riuscì a mantenere la calma ed esplose:
"Sei un bastardo."
Urlò quelle parole precipitandosi fuori dalla casa.
"Fermati, ti prego."
Si sentiva tremendamente in colpa per averlo messo in quel casino, aveva già fatto troppi danni, doveva risolverli.
"Mi dispiace."
Il moro si voltò verso lui. Il suo sguardo lo lascio di stucco. I suoi occhi lucidi erano sul punto di piangere. Il labbro stava sanguinando, talmente era stressato dai suoi denti e tutto, nell'insieme, era magnifico.
"Lasciami in pace, per favore."
Non rispose, lo lasciò andar via senza commentare ulteriormente.
Avvicinò la mano al petto rendendosi conto che il suo cuore batteva più del normale.
Sospirò. 
 
Che giornata..



Angolo Autrice-

Rieccomi! Sì, ho fatto un ritardo allucinante. Perdonatemi! Ma la scuola non mi ha dato proprio tregua ç-ç Comunque sia, eccomi qui con il capitolo! E' un altro di passaggio quindi non è un granchè ma spero che lo apprezziate lo stesso! Grazie a tutti come sempre per le recensioni e per il vostro sostegno.
Alla prossima!
YuGiesse-

 
   
 
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