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Autore: scrittrice in canna    29/09/2015    3 recensioni
Due agenti di polizia che lavorano per il bene della comunità e per cercare di colmare gli spazi vuoti nelle loro vite, mettendole a rischio ogni giorno senza il desiderio di sopravvivere, si scontrano e scoprono che i loro pezzi rotti combaciano più di quanto potessero immaginare.
IN PAUSA
Genere: Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ci sono due cose nella vita che non puoi sceglierti, Ben. La prima sono i tuoi nemici. La seconda, la tua famiglia.
A volte la differenza tra gli uni e l'altra è difficile da cogliere, ma il tempo insegna che, in fin dei conti,
le tue carte avrebbero sempre potuto essere peggiori.
Il Palazzo della Mezzanotte, Carlos Ruiz Zafòn



Non avrebbe mai più preso una bottiglia di Rum in mano. Mai. Non riusciva a pensare ad altro mentre si rigirava tra le coperte cercando d’ignorare la luce del sole che penetrava dalle finestre, troppo stanco per riuscire anche solo ad alzarsi e tirare le tende. Aveva festeggiato il suo compleanno allo scoccare della mezzanotte versandosi un bicchiere, che poi erano diventati due quando i pensieri di un viso simile al suo si fece spazio nella sua mente e il rumore di una macchina che andava a sbattere contro il guardrail, distruggendolo e cadendo nel vuoto, gli riempì le orecchie.
Emma era ad un appostamento con David, le uniche due persone che avrebbe potuto chiamare in una situazione del genere erano impegnate così si affidò al resto della bottiglia per togliersi ogni pensiero dalla testa, sperando di sostituirli con immagini di ricci biondi.
Sorrise tra i cuscini al pensiero di Emma e della sua scenata quando scoprì di non poter festeggiare insieme a lui la notte prima. Si erano ripromessi di incontrarsi per pranzo per rimediare ed era praticamente sicuro che lei gli avrebbe comprato una torta per cena. Se c'era un motivo per cui voleva riuscire ad alzarsi era per rivederla.
Prese il telefono intenzionato a chiamarla, sperando che la sua voce potesse curare i postumi della sbornia come una medicina, ma i messaggi di auguri che si aspettava di trovare erano ricoperti da diverse chiamate perse, dalla stessa persona. Gli venne un nodo alla gola quando vide che stava ricevendo l’ennesima chiamata in quell’esatto momento e capì perché non aveva sentito quelle precedenti: aveva tolto la suoneria e si era dimenticato di rimetterla. Un classico.
Strofinò il dito sullo schermo per accettare e si preparò all’impatto.
“Jones, dove diavolo sei? Sto provando a contattarti da stamattina!” abbaiò Jefferson dall’altra parte del telefono.
Killian si strofinò gli occhi e cercò di far calmare il mal di testa con cui si era svegliato. Le urla del suo avvocato non lo stavano aiutando.
“Da stamattina?”
“È l’una del pomeriggio, Bella Addormentata.” Dopo qualche secondo Killian realizzò di essere in ritardo per l’appuntamento con Emma. La giornata stava prendendo una piega un po’ diversa da quello che aveva immaginato.
“Merda.”
“Ah, vedo che stai connettendo.” Si sentiva il rumore di fogli che venivano spostati, dopodiché Jefferson divenne serio: “Ho provato a chiamarti perché c’è un problema col caso.” Killian si mise seduto e corrugò la fronte, cercando di capire cosa potesse essere andato storto quando erano a un passo dal vincere la causa. “Hanno cambiato il giudice” disse Jefferson, la voce sconfitta.
“Non ti seguo. Abbiamo praticamente vinto, Gold non ha un avvocato e noi abbiamo due testimoni oculari.”
“Quello nuovo è un perfezionista, non era d’accordo con un paio di cose che aveva deciso la Mills quindi ha raso tutto al suolo e vuole ricominciare da capo.” Killian divenne pallido, ripensò alla settimana passata a scegliere i giurati, alla cauzione che erano riusciti a far negare e a come tutto stesse andando così bene per loro, tenevano il pugnale dalla parte del manico, almeno fino a qualche giorno prima, adesso sarebbe potuto succedere di tutto. Deglutì e chiese: “E adesso?”
“Adesso aspettiamo che ci dia una data per presentarci in tribunale... e incrociamo le dita.” A nessuno dei due piaceva la piega che stava prendendo la situazione.
“Conosci il nuovo giudice?” Era la prima domanda logica, ma in quel momento Killian non riusciva a penare logicamente tra il casino che gli si stava presentando davanti.
“Spencer? Purtroppo no, ma so che è un tipo severo. Forse le cazzate di Gold non faranno effetto su di lui.” L’altro annuì, ancora soprappensiero.
“Devo andare, Jones, ti chiamo quando so qualcosa.” Jefferson staccò la chiamata senza dargli tempo di rispondere. La prima cosa che fece dopo essersene reso conto fu guardare le altre notifiche: tre chiamate e svariati messaggi, tutti di Emma:

Auguri, Capitano! 
00.00 a.m.
 
Buogniorno :)
08.44 a.m.
 
Sveglio?
9.58 a.m.
 
Ancora d'accordo per la colazione?
12.31 a.m.
 
Si sentiva uno schifo per averla ignorata tutto quel tempo, chissà quanto aveva aspettato da sola al tavolo, chissà se lo stava ancora facendo. Dopo tutte le persone che l’avevano abbandonata durante la sua vita, sperava di essere quello che le avrebbe fatto capire che poteva fidarsi, la persona che non l’avrebbe mai delusa, eppure era proprio quello che stava facendo. 
Dopo qualche minuto trovò il coraggio di telefonare, non ebbe neanche il tempo di preparare una frase d’apertura perché lei rispose immediatamente: “Killian? Dove sei? Va tutto bene?” Era preoccupata, non arrabbiata. Ancora peggio. Se si fosse adirata l’avrebbe potuta capire, si sarebbe fatto urlare contro e poi avrebbe trovato un modo per farsi perdonare, ma sentire la sua voce tremare e immaginarsi che potesse persino piangere per lui lo uccideva.
“Va tutto bene, ho solo dormito troppo. Sarò lì tra dieci minuti. Mi dispiace” spiegò in fretta alzandosi per prendere un’aspirina.
“Stavi dormendo?” chiese incredula, a metà tra il divertito e l’esasperato – se con lui o con se stessa, non era chiaro.
“Lo so che è tardi, forse non avrei dovuto-”
“Cos’hai fatto ieri sera?” lo interruppe, le sue insicurezze stavano prendendo il controllo del suo giudizio, ma per una persona altrettanto insicura come Killian quel comportamento sembrava tutt’altro: “Non ti fidi di me, Emma?”ribatté, fermo in mezzo alla sua cucina, con il telefono stretto in mano.
Non sentì nulla se non i rumori in sottofondo per un paio di secondi, poi lei prese coraggio e rivelò: “Certo che sì.”
Killian prese un respiro profondo, lasciò che l’aria gli riempisse i polmoni sperando che potesse incutergli un po’ di forza, in vano: “Possiamo parlarne dopo, per favore?”

***

Emma annuì e strinse più forte lo sterzo del maggiolino, gli rispose con un breve: “Sì, ti aspetto da Granny” prima di chiudere e lanciare il telefono sul sedile del passeggero. Posò la testa sul volante e se fino a poco fa sperava che la fila di macchine si muovesse perché voleva solo festeggiare il compleanno del suo ragazzo, adesso pregava che rallentassero il più possibile per ritardare la conversazione che l’aspettava. L’aveva chiamato per informarlo che avrebbe ritardato, che uno stupido incidente aveva bloccato la strada, quando le sue chiamate non ricevettero una risposta aveva cominciato a pensare al peggio. Non riusciva a trovare dei motivi per cui lui non volesse parlarle e si era auto-convinta che non stava pensando che Killian si fosse stancato di lei, che tutte le sue paure non stavano tornando a galla più forti di prima, ma Emma Swan non era mai stata brava a mentire a se stessa e quindi il suo cervello le aveva detto la verità molto prima che lei stessa riuscisse a farlo.

***

Granny non era affollato durante la settimana, il che avrebbe – idealmente – lasciato ad Emma più tempo e spazio per festeggiare, ma dopo la loro discussione non era sicura che uno dei due sarebbe stato in vena, soprattutto se lui avesse fatto quello che si aspettava: se le avesse rifilato qualche scusa stupida per poi andarsene e lasciarla sola ancora una volta. Ma sarebbe stata solo colpa sua, si disse tra sé e sé, non sarebbe mai dovuta restare così tanto a Boston, avrebbe dovuto impacchettare le sue cose subito dopo essere uscita dall’ospedale, non-
“Buongiorno, Swan.” Era così immersa nei suoi pensieri che non si era accorta della sua presenza, era riuscito a sedersi davanti a lei e prenderla ugualmente di sorpresa. La sua posizione al tavolo non era accidentale, voleva lasciare un po’ di spazio per capire quanto la sua mancanza l’avesse infastidita, Killian aveva tutta l’intenzione di metterle il coltello dalla parte del manico, di farle decidere la prossima mossa. Ma lei questo non lo sapeva.
“Auguri.” Sembrava più detto per cortesia che per altro, così come il suo “Grazie.”
“Quindi... vuoi dirmi perché stavi dormendo a quest’ora?” chiese senza scomporsi, le braccia poggiate sul tavolo e le mani unite l’una con l’altra.
“Potrei aver- bevuto un po’ troppo ieri sera, negli ultimi anni questa è sempre stata una data tutto fuorché felice.” Emma aggrottò la fronte e cominciò a capire. Il suo primo istinto fu di sentirsi in colpa, egoista, per aver pensato di poter essere l’unico motivo per il suo comportamento inusuale; poi sentì quella stretta al cuore che la prendeva ogni volta che parlavano del loro passato, non pietà ma più che altro comprensione per una situazione simile alla sua. Si alzò e si sedette sulla panca imbottita dove stava sedendo lui per prendergli una mano, tutta l’irritazione e le paure abbandonate definitivamente quando vide le lacrime che stavano per scendergli sulle guance. Posò la testa sulla sua spalla, cercando di esserle il più vicina possibile, e gli domandò in un sussurrò: “Vuoi parlarne?”
“Liam, mio fratello, stava tornando a casa quando ha avuto l’incidente. Aveva la torta che gli avevano fatto comprare nel sedile posteriore.”
“Che gli avevano fatto comprare?”
“La sua fidanzata. Dovevano sposarsi ma, ovviamente...” S’interruppe per fare un gesto con la mano. “Non ha mai finito i preparativi.”
Emma annuì per fargli sapere che aveva capito e strinse le labbra mentre si concentrava, cercando di pensare a qualcos’altro da chiedergli, ma Killian fu più svelto e le diede un bacio sui capelli per chiudere il discorso: “Comunque, non siamo qui per rivangare il passato. Mi devi una torta, Swan.”
“Hai ragione, ma prima ho bisogno di un caffè.”
Dopo aver passato la mattinata rimediando al tempo che avevano sprecato la sera prima passeggiando insieme e prolungando il più possibile la loro colazione, Killian le raccontò della telefonata di Jefferson, di come stessero aspettando per capire cosa sarebbe successo dopo. Lei gli promise di restargli vicino e strinse la mano di Killian nella sua, lui sorrise contento di avere qualcuno su cui contare e continuò a guardare la strada davanti a sé.
“Sarebbe la giornata perfetta per andare in spiaggia” constatò, l’aria calda di Giugno cominciava a farsi sentire.
“Potremmo incappare in qualche bambino rumoroso” protestò Emma sulla difensiva.
Lui aspettò un po’ prima di dire quello a cui stava pensando: “Hai deciso cosa fare con Henry?”
Sentì un sospiro rassegnato: “No.”
“Va tutto bene, Emma. Andremo solo quando sarai pronta.”
***
 
La sera trovò Killian con una rosa bianca in mano, immobile davanti ad una tomba che portava a chiare lettere: “Liam Jones 1979-2006 ‘fratello e capitano adorato’.”
Poggiò il fiore sulla parte piana del marmo e ne sfiorò i petali, poi si sedette sul terreno in modo da essere faccia a faccia con suo fratello, prese un respiro profondo e cominciò a parlare: “Ciao, Liam. È da un po’ che non vengo a trovarti.” Fece un sorriso malinconico e prese un sorso di rum dalla fiaschetta che aveva nascosto nella tasca della giacca. “Non so se riesci a vedermi da... ovunque tu sia, ma questi ultimi anni sono stati difficili per me. Da quando te ne sei andato...” Respirò profondamente, alzò gli occhi al cielo e vide che le nuvole si stavano facendo più scure. “Senza di te mi sembra di aver perso il Nord. Fortunatamente ho incontrato una persona che mi sta rimettendo insieme, ti sarebbe piaciuta, fratello.” Finì con un brindisi e un secondo goccio di coraggio liquido. Non aveva il coraggio di alzarsi e rimase ancora seduto lì a fissare le sfumature del marmo. La pioggia cominciò a bagnarlo prima lentamente poi tutto d’un colpo, le gocce d’acqua lo colpivano come proiettili sulla pelle nuda del viso e delle mani, chiuse gli occhi finché non sentì il rumore della pioggia dissolversi e diventare meno chiaro, alzò lo sguardo per incontrare quello di Emma che lo guardava con un sorriso comprensivo sul viso tenendo il suo ombrello in modo che coprisse entrambi. Restarono immobili in quel modo per un po’: lui seduto, lei a proteggerlo dall’acqua, senza dire niente. Quando finalmente la pioggia si fece più debole, Emma gli allungò un braccio e sussurrò che era ora di andare. Lui la prese e insieme si allontanarono verso la macchina. 

***
 
Nei giorni successivi non ci furono più notizie di Jefferson, avrebbero dovuto sapere qualcosa sulla selezione della giuria per poi passare all’arringa e cominciare il processo e Killian era più che nervoso. Allo stesso tempo Emma osservava ogni giorno l’indirizzo di casa di Henry mangiandosi le unghie e cercando una ragione plausibile per non andare a vederlo – non ancora, almeno – perché si era illusa di poter avere la famiglia perfetta e tra l’instabilità del processo e la consapevolezza che suo figlio aveva una casa i suoi sogni si stavano riducendo lentamente in poltiglia. Nessun genitore ragionevole avrebbe mai lasciato che la madre biologica del bambino che aveva adottato lo portasse via da un giorno all’altro, era sicura che avrebbe dovuto lottare con le unghie e con i denti anche solo per riuscire ad ottenere il diritto di visita o un accordo che ci si avvicinasse. Portarlo a casa con lei era impossibile.
Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo prima di buttarsi a testa indietro sul divano espirando ed inspirando profondamente. Si portò le mani alla faccia per nascondere le lacrime da Killian anche se non sarebbe stata la prima volta in cui lui la vedeva così fragile, lei continuava a pensare che ogni segno di debolezza l’avrebbe portato un passo più vicino dall’abbandonarla. Le diceva sempre che adorava la donna forte che era diventata nonostante il suo passato, cosa succederebbe se dovesse rendersi conto che non era altro che una farsa?
“Emma, tutto ok?” lo sentì arrivare dalla cucina e invece di calmarsi cominciò a piangere più forte ma sempre silenziosamente. Il divano si abbassò sotto il suo peso quando Killian le prese le mani umide nelle sue e cercò di decifrare la sua espressione anche se Emma stava tenendo gli occhi chiusi.
“Sì, sto solo... pensando ad Henry, sai?” spiegò soffiando in sù col naso e sbattendo le ciglia per cercare di vedere meglio senza bisogno di usare le mani, cercava tutto il conforto che poteva ottenere, anche se ormai permetteva solo a poche persone di consolarla e portarla fuori dalla sua tristezza.
“Cosa, di preciso?” le chiese, genuinamente interessato. Si spostò più vicino a lei e la cinse con un braccio lasciandole appoggiare la testa sulla sua spalla mentre si calmava.
“Ha una famiglia. Tutto quello che avevo sempre desiderato per lui, forse dovrei farmi da parte” ammise mordendosi il labbro una volta finito.
Lo sbuffo di Killian le spostò i capelli e le riscaldò la guancia, era così vicino che non poteva non percepire la sua presenza, non poteva sentirsi sola. 
“C'è un solo modo per scoprirlo” disse dandole il cellulare che aveva appoggiato sul tavolino di fronte a loro. Emma lo prese, attenta a non farlo cadere dalle sue mani insicure, e digitò l’indirizzo su google maps, aggiunse le indicazioni stradali dalla loro posizione e vide che era un viaggio di un paio d’ore per arrivare nel Maine, ma sarebbero riusciti ad affrontarlo senza problemi, partendo in quell’esatto momento sarebbero arrivati nel primo pomeriggio. Cosa aveva da perdere?
“Ok, facciamolo” rispose più a se stessa che a Killian, si fece forza e si alzò dal divano per prendere la giacca di pelle rossa – la sua armatura – e le chiavi di casa.
“Guido io!” sentì da dietro, seguito dal rumore di un mazzo di chiavi. Sorrise tra sé e sé e scosse la testa, felice di avere qualcuno su cui contare quando durante tutta la sua vita era stata sola contro il mondo.

Il viaggio in macchina fu silenzioso, più del dovuto. Nessuno dei due osava dire nulla per paura di innervosire l’altro, l’unico rumore che si sentì erano le indicazioni del navigatore. 
Erano le tre quando videro per la prima volta il cartello: “Benvenuti a Storybrooke” elegantemente posizionato su un muretto di pietra, la cittadina era silenziosa, tranquilla, nulla a che vedere con Boston e il suo traffico frenetico. Il posto perfetto per una famiglia.
La casa in cui viveva Henry era la più grande, bianca e imponente con un bel giardino curato ad accogliere gli ospiti compreso di uno scivolo e svariate palle sparse in giro, il primo segno della presenza di un bambino.
Emma si concentrò sulle finestre, sperando di riuscire a ricevere una spiraglio di suo figlio, qualunque cosa. Dopo qualche minuto e nessuno risultato si rese conto che il suo maggiolino giallo dava troppo nell’occhio semplicemente parcheggiato lì, con due persone all’interno che fissavano la casa. Avrebbero chiamato la polizia se non si fossero dati una mossa – sempre se ci fosse stato un Dipartimento di Polizia a Storybrooke.
La ragazza chiuse gli occhi, s’inumidì le labbra e saltò fuori dalla macchina, Killian rimase un po’ stupito dal suo gesto avventato ma non ci mise troppo a recuperare il terreno perduto e raggiungerla per prenderle la mano. Insieme si avvicinarono alla porta ed Emma bussò il più cordialmente possibile. Pochi secondi dopo un uomo sulla quarantina aprì la porta con un bambino piccolo in braccio che gli somigliava in maniera quasi spaventosa.
“Posso aiutarvi?”chiese, il suo accento leggermente diverso da quello di Killian ma molto simile.
“Ehm...” Emma cercava le parole giuste per spiegare la sua situazione, si schiarì la voce e guardò l’uomo negli occhi cercando di dare l’impressione di essere sicura di se stessa. “Nove anni fa avete adottato un bambino?”
“Chi vuole saperlo?”
“La madre.”





 
Scrittrice in Canna's corner
Eccomi qua! (con due settimane di ritardo, ma eccomi qua!)
La scuola mi sta facendo esaurire, menomale che è tornato OUAT, altrimenti credo che mi sarei buttatta dalla finestra (parliamo di quanto siano carini i CS, sì?) 
Ma in ogni caso the show must go on, quindi spero di riuscire ad aggiornare almeno una volta a settimana anche perché ho parte del prossimo capitolo gà pronto e stiamo entrando nel bello, aspettatevi di tutto e di più.
Liam l'ho introdotto perché in questa storia i nostri personaggi dovranno chiudere col passato che gli corre dietro e quale modo migliore se non affrontarlo? Vi posso assicurare che ho delle esperienze con queste cose.
Ci vediamo, possibilmente, la settimana prossima.
Vostra,
Scrittrice in Canna.
P.S.: Sareste interessati a leggere una canon divergence (unastoria che segue il canon fino ad un certo punto e poi cambia gli avvenimenti) ambientata nella Foresta Incantata, nelle 6 settimane mancanti, dopo questa?
   
 
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