Questo
OS è nata per caso, ed è un bel po’ ridicola secondo
me.
Ho
provato a riempire un altro vuoto, mettiamola così.
Buona
lettura!
“Vuoi
dirmi dove stiamo andando?”. Glielo chiedo per l’ennesima volta nel giro di 10
minuti, e per l’ennesima volta non mi risponde. Corre veloce fra gli alberi e
finge di non sentire la mia voce.
Potrei
facilmente estorcergli la risposta facendo ricorso ad un po’ di forza: potrei
puntare i piedi nel terreno oppure aggrapparmi ad un ramo, durante questa folle
corsa. Sono ancora molto più forte di lui, potrei tranquillamente imporre il
mio vantaggio e costringerlo a darmi la risposta che voglio.
Tuttavia
decido di tacere e di godermi il momento. E’ passato un bel po’ di tempo
dall’ultima volta che Edward mi ha portata in spalla; adesso so correre anch’io
come un razzo, proprio come fa lui, però oggi mi ha chiesto di fare
un’eccezione. Così eccomi qui, aggrappata a lui ad occhi chiusi.
Riesco
a sentire ogni tipo di rumore, i miei sensi sono sviluppati e vigili come non
mai: avverto il rumore delle foglie che Edward sfiora con le scarpe, quello dei
rami che si muovono impercettibilmente, al nostro passaggio. Siamo passati
vicino ad un piccolo ruscello, e ho sentito chiaramente il rumore dei piccoli
passi di uno scoiattolo. Anche ad occhi chiusi posso ben immaginare i colori
che ci circondano, quelle mille gradazioni di verde che ricoprono i tronchi, il
terreno, l’aria. Le mie narici captano il profumo del muschio più umido,
assieme all’odore fresco e leggero della neve che ci circonda.
La
corsa di Edward tende a rallentare dopo altri cinque minuti, e mi rendo conto
che gli alberi si stanno pian piano diradando. “Posso aprire gli occhi?” Mi
aspetto l’ennesimo silenzio, ma invece devo ricredermi.
“Solo
per qualche secondo” dice, arrestandosi del tutto e chinandosi sulle ginocchia
per farmi scendere.
Con
un breve salto tocco terra e mi stupisco per l’ennesima volta di quanto il mio
nuovo corpo sia più agile, recettivo e capace di equilibrio. Le cadute e i
graffi della mia precedente vita mi sembrano un ricordo lontanissimo. Apro gli
occhi e mi guardo immediatamente attorno. La luce è quella grigia che le nubi
cariche di nuova neve riescono a far filtrare, ma riesco a vedere bene: i miei
nuovi occhi possono questo ed altro.
Come
avevo immaginato, siamo alla fine del bosco, in una zona che non ho mai visto
prima d’ora: pensavo che durante la caccia fossimo arrivati fin qui, ma invece
mi sbagliavo. Il bosco finisce lì dove si apre un’immensa distesa, bianca
perché ricoperta di neve. L’aria è pungente, e anche se non ho alcun problema
dovuto alla temperatura, riesco comunque ad avvertire il freddo e i pochi gradi
che sono attorno a noi.
Mi
giro verso la distesa e noto un’immensa struttura in legno chiaro, un capannone
con una grande porta di metallo e il tetto a punta. Ai lati della struttura, vi
sono delle vetrate lunghe e alte. Mi dà tutta l’idea di essere un deposito, un
magazzino.
“Cos’è
questo posto?” chiedo ad Edward, che mi guarda con un guizzo ironico sul volto.
“Sorpresa”.
Mi prende le mani e le bacia con estrema delicatezza, fissandomi con i suoi
occhi d’oro. E’ un semplice gesto, eppure risveglia in me desideri più spinti e
meno candidi della neve che stiamo calpestando.
“Dai…
almeno dammi un indizio!” lo supplico, ben sapendo che servirà a ben poco. Senza
attendere la sua risposta, mi avvio verso il capannone, ma vengo trattenuta per
i polsi.
“No no, signora
Cullen. Non abbiamo nessuna fretta” dice, e mi costringe a guardarlo negli
occhi, sollevandomi il mento. Si avvicina e posa le labbra sulle mie,
donandomi uno dei suoi baci più casti. Rispondo con meno tranquillità e per
qualche minuto dimentico perfino il posto in cui ci troviamo.
Respirare
è superfluo per entrambi, eppure non è solo il mio fiato ad essere corto quando
ci stacchiamo. I suoi occhi sono di fuoco, come i miei.
“Andiamo…”
sussurra. Tenendomi per mano, mi precede di mezzo passo, diretto verso la
distesa, verso il capannone.
“Non
mi dirai cosa c’è lì dentro, vero?”
“No”.
“Allora
dovrò scoprirlo durante questi
Edward
mi rivolge un altro sguardo divertito. “Cosa senti?”. E’ ciò che mi chiede
spesso, per mettere alla prova i miei sensi. Lo fa soprattutto quando cacciamo,
per aiutarmi a trovare le mie prede e per affinare le mie capacità.
Chiudo
gli occhi e lascio che l’olfatto mi guidi. “Sento il profumo del legno, sento
il profumo di vernice… sembra il profumo della vernice che hai usato per
l’altalena di Renesmee… è… è antipioggia.”
“Brava,
continua”.
“Sento…
è un odore forte, sembra plastica. Sì, è proprio plastica. Sento anche l’odore
della ruggine, del ferro arrugginito”
“Cos’altro?”. Ormai siamo quasi alla porta di metallo, posso
sentire anche quell’odore.
“Poi… non so, mi sembra di non sentire altro. Ho indovinato? Dai,
Edward, dimmelo!”. Fremo come una bambina, anche se razionalmente so che fra
poco scoprirò qual è la sorpresa che mio marito mi ha preparato.
“Ma
quanto sei curiosa?!”. Mi è vicino con la bocca, e mi
lascia un leggero bacio sulla guancia, prima di mettersi con le spalle alla
porta, proprio di fronte a me. “Ora chiudi gli occhi, e
tienili chiusi finché non ti dirò di aprirli. Ok?”
“Oh,
Edward… andiamo…”
“No, è un ordine. Tieni gli occhi chiusi e
non sbirciare”. Lo dice con fare solenne, ma è chiaro che è divertito
nel vedermi così impaziente.
Chiudo
gli occhi e mi impongo di non riaprirli fino a quando non sarà lui a dirmelo.
Sento
i suoi passi allontanarsi sulla neve e raggiungere la porta di metallo. Si
ferma e sento il fruscio del tessuto dei jeans a contatto con la sua pelle: ha
infilato una mano in tasca.
Il
breve stridere del metallo mi riporta alla mente l’immagina di una chiave che
entra in una serratura, e infatti è così: dopo un
secondo sento la porta di metallo aprirsi, e i passi di Edward farsi più in
avanti, verso l’interno del capannone.
Torna
verso di me e mi prende per mano. “Non aprirli” mi ricorda, e mi guida verso
l’interno. Ci fermiamo dopo una decina di passi, e l’odore della plastica è
adesso più forte.
“Resta
qui” dice, e si dirige verso il centro del capannone; lo capisco dall’eco dei
suoi passi, più ovattati e asciutti, segno che siamo entrambi al coperto.
Un
rumore disordinato e frammentato mi colpisce non solo alle orecchie: sento la
plastica muoversi e immagino che si tratti di un telo. Un telo che magari sta
coprendo qualcosa.
Intreccio
le dita e quasi batto i piedi, in preda alla più sfrenata curiosità. Il rumore
cessa dopo un paio di secondi, ed Edward torna verso di me. Si posiziona alle
mie spalle, e mi cinge con entrambe le braccia. “Adesso puoi aprire gli occhi”
mi sussurra all’orecchio sinistro.
A
dispetto di tutta la frenesia avuto fino a quel momento, me la prendo comoda.
Sollevo le palpebre con calma, con tutta la calma di questo mondo.
Una
volta aperti totalmente, i miei occhi restano sgranati per lo stupore. Le
labbra mi si schiudono in automatico, a far compagnia al resto del mio viso,
stupefatto.
“Buon
San Valentino” mi dice, cullandomi sul suo petto e dandomi un altro bacio sulla
guancia.
Riesco
a formulare pochi pensieri, la gola mi si è stretta in un nodo irreale, dolce e
tenero allo stesso momento.
Il
mio pick up. Il mio vecchi pick up. Custodito qui, in
questo capannone di legno, sotto un telo di plastica verde.
“Oh,
Edward…” è tutto ciò che riesco a dire. Il mio vecchio pick up.
Nel
giro di due secondi, mille ricordi mi affiorano alla mente: la prima volta che
Charlie me ne ha parlato, l’odore di vecchio che mi ha accompagnato durante il
tragitto casa-scuola durante le giornate più piovose, l’incidente, la prima
volta alla radura. Vorrei piangere, commuovermi.
“Come
puoi vedere, è ancora vivo” mi dice, felice in volto.
“Oh, Edward… grazie! Grazie” mi volto verso
di lui e gli getto le braccia al collo, riempiendogli il viso di baci.
“E’
un regalo bellissimo… è meraviglioso” aggiungo, radiosa come non mai.
Pensavo
che fosse sparito, che non esistesse più.
Che
fosse stato demolito e ridotto ad un cubetto di metallo rosso. Invece è sempre
rimasto qui, per tutto questo tempo.
Ho
imparato ad apprezzare la velocità e la sicurezza della mia auto, ma il pick
up, questo pick up mi è sempre rimasto nel cuore… e sapere che Edward non se
n’è mai sbarazzato è una cosa fantastica… fantastica.
Riuscirò
mai a rassegnarmi al fatto che Edward è la cosa più grande che potesse mai
capitarmi? Non smette mai di sorprendermi, giorno dopo giorno, momento dopo
momento.
I
suoi gesti, dal più piccolo al più magnificente, mostrano in tutto e per tutto
il suo amore, e mi chiedo: esiste una donna più fortunata di me a questo mondo?
Una donna così amata, così riverita, così felice come me?
Credo
di no.