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Autore: ValeryJackson    29/09/2015    3 recensioni
[Seguito de La Pietra dei Sogni]
Dicono che non ci è dato scegliere la cornice del nostro destino, ma che siamo noi a decidere cosa mettervici dentro.
Skyler, però, non è affatto d'accordo. A diciassette anni si è ritrovata al centro di una profezia millenaria dettata dalle Parche, e non sa come venirne a capo.
Gli dèi hanno nominato lei, Michael, John ed Emma come i prescelti; custodi di doni che potrebbero salvare o peggiorare le sorti del Campo. E loro non possono tirarsi indietro.
Perché Prometeo è in agguato, deciso a tornare. Ma la figlia di Efesto non è sicura di essere pronta a fronteggiarlo.
Lui le ha rubato il fuoco, strappandole con la forza qualcosa di cui ora sente inspiegabilmente la mancanza, e lei avverte il peso di tutte le responsabilità che incombono su di lei.
Attraverso amori, dolori, amicizie, litigi, lacrime, promesse, delusioni e alleanze del tutto impensate, la ragazza dovrà ritrovare nel profondo della propria anima le fiamme che ha in sé, e prepararsi per la battaglia.
Perché Prometeo le ha già portato via tutto ciò per cui vale la pena vivere.
Ed ora è pronto a toglierle anche ciò per cui vale la pena morire.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Rose aveva accolto di buon grado l’idea di fungere da guida per i nuovi ragazzi del Campo, con la speranza che così facendo potesse a sua volta ritrovare il beneficio delle vecchie abitudini.
Quella mattina erano giunti quattro nuovi semidei: un figlio di Afrodite, una figlia di Morfeo e due figli di Ecate.
Quest’ultimi erano gemelli.
Si chiamavano Kara e Locke, e al di là del sesso erano perfettamente identici. Avevano all’incirca quindici anni, con gli occhi verdi striati di mogano e i volti letteralmente tempestati di lentiggini. Nonostante lui fosse di pochi centimetri più alto, la loro costituzione fisica era pressoché la stessa, e con le loro labbra carnose e i loro sorrisi sfrontati avevano ben presto guadagnato la simpatia della figlia di Poseidone, che era stata lieta di scortarli.
«Alla vostra destra vedete la Mensa, dove ci riuniamo per tutti i pasti, non appena sentiamo il richiamo del corno. Solitamente, poi, quel suono accompagna anche il coprifuoco; e alcune volte viene usato anche per segnalare le emergenze. Ma questo, fortunatamente, capita di rado.»
«E noi saremo costretti a sederci al tavolo delle matricole?» domandò sarcastico il ragazzo, spostandosi dalla fronte un’ambrata ciocca ribelle mentre faceva vagare lo sguardo attento sulle alte colonne di marmo.
«Oh, no» ridacchiò Rose. «Ogni tavolo appartiene ad una Cabina, per cui voi siederete con i vostri fratelli, dato che vostro padre è…»
«Madre» la corresse distrattamente l’altra.
«Miss Ecate» borbottò quindi lui, al ché la mora annuì, per poi rivolgere loro un’occhiata interessata.
«Da dove venite?» chiese, subito dopo avergli mostrato l’armeria.
«Texas» rispose Locke.
«E anche Las Vegas, San Francisco, Los Angel, New York, Olrando…» Kara sbuffò dal naso, con aria ironica. «Solo perché siamo nati in un posto, non significa che vi apparteniamo.»
«Aspettate» li interruppe la figlia di Poseidone, in un’espressione corrucciata. «Credo di non capire…»
«Nostro padre lavorava in un circo» le spiegò dunque il ragazzo, gli angoli della bocca incurvati in un piccolo ghigno. «Per cui abbiamo cambiato spesso città.»
«Studiavamo con la cartomante…» aggiunse lei.
«... pranzavamo perlopiù con lo zucchero filato…»
«… e guadagnavamo qualche spicciolo in più durante lo spettacolo dei clown.»
«Nel senso che li rubavate?» indagò Rose.
«Diciamo che il nostro era più uno… scambio equo» ribatté il biondo.
«Noi rendevamo felici loro…»
«… e loro rendevano felici noi.»
La mora li squadrò, non sapendo se essere indignata dal loro comportamento o divertita dalla loro sfacciataggine.
«E vostro padre quando vi ha rivelato la vostra vera identità?»
I due gemelli, quasi in contemporanea, arricciarono il naso. Lui si grattò un orecchio, con fare pensoso.
«Non c’è stato un momento in particolare, in realtà» confessò.
«Lo sapevamo e basta» convenne Kara.
«Sin da bambini.»
«Poi quando siamo stati finalmente riconosciuti…»
«… lui ci ha spiegato come arrivare qui.»
«E ci ha fatto promettere di badare l’uno all’altra.»
«Cosa che avremmo fatto comunque, a dir la verità» fece spallucce Locke.
«Parla per te!» lo canzonò la sorella, guadagnandosi in replica una smorfia indispettita.
Rose si lasciò sfuggire un timido sorriso. «Lo fate spesso?» cambiò discorso.
I due parvero confusi.
«Fare cosa?» domandò la bionda.
«Finire l’uno le frasi dell’altra.»
I figli di Ecate si scambiarono una complice occhiata, per poi sospirare nello stesso istante.
«Solamente…» cominciò lui.
«… qualche volta» terminò lei, e i tre semidei risero insieme, salutando con un cenno spensierato i figli di Ermes che si trovavano nelle scuderie. Quando arrivarono dinanzi il campo di fragole, la figlia di Poseidone si strinse impacciata nelle spalle.
«Beh, chiedetemi quello che volete» li invitò, con gentilezza.
«Possiamo?» si assicurò Kara, titubante.
«Certo che sì. Vedrò di rispondere a tutte le vostre domande, lo giuro.»
«Okay… che impegni hai per stasera?» si fece avanti Locke, senza vergogna.
«Non a quel genere di domande, però» lo riprese lei, incapace ad ogni modo di trattenersi dal sogghignare, contagiando anche lui.
«Sai invece dirci cos’è quello?» si intromise la bionda, tenendo le iridi fisse su un punto indefinito di fronte a sé. Rose seguì la direzione sul suo sguardo, e capì a cosa fosse dovuta la sua espressione esterrefatta solamente nel momento in cui si ritrovò senza parole.
Stando a ciò che le aveva raccontato Michael, la struttura che svettava dinanzi a loro era in costruzione dall’inizio dell’inverno appena passato. Costretta a chinare il capo indietro per potervi scorgere la vetta, la ragazza non poteva negarne la maestosità.
Era interamente costruita in pietra bianca, e aveva le sembianze di una vera e propria fortezza. Si ergeva su circa quattro piani, tutti caratterizzati da delle alte vetrate colorate raffiguranti scene di guerra di cui lei non sapeva l’esistenza.
C'erano due spesse colonne di marmo a segnalarne l’ingresso, all’apice delle quali vi erano delle punte di un azzurro spento, le stesse che scamozzavano anche in cima. A collegare i due pilastri, poi, c’era una spessa arcata, sulla quale era inciso uno strano simbolo – tre corni intrecciati tra loro a formare un insolito triangolo-.
Per quanto lo volesse, la mora non sapeva proprio come rispondere a quel quesito; e facendo vagare le proprie iridi ora verde oceano sulla piccola folla – che radunatasi a pochi metri di distanza da quel palazzo, osservava alcuni tra ninfe, mezzosangue e satiri lavorare – intuì di non essere l’unica.
Tra quei venti ragazzi dall’aria interdetta riconobbe nell’immediato un volto familiare, e senza preoccuparsi se gli altri due la seguissero o meno gli andò incontro, raggiungendolo.
Microft sembrava decisamente assorto nello studiare ogni processo della fabbricazione, tanto che non si accorse dell’arrivo dell’amica, finché questa non attirò la sua attenzione.
«Ehi, Micky» lo chiamò infatti, e a lui ci volle qualche secondo per poter mettere a fuoco i suoi lineamenti e sorriderle.
«Ehi, ciao» la salutò di rimando, per poi notare i visi sconosciuti al suo seguito. «Ehm… piacere» si presentò, porgendo ad entrambi la mano. «Io sono Microft, figlio di Efesto.»
Dopo che anche i due ebbero contraccambiato, tornò a volgere il proprio sguardo sulla costruzione davanti a sé, dove gli occhi della figlia di Poseidone erano già puntati.
«Che cos’è?» chiese lei in un sussurro, al ché lui sbuffò, contraendo i muscoli della mascella.
«Non ne ho la più pallida idea» ammise, scoraggiato. «Sin da quando è stata progettata, molti si sono fatti la stessa domanda. Ma Chirone è tutt’ora muto come un pesce, e nessuno di quelli che ci lavora sembra disposto a parlare.»
«Un secondo» lo interruppe la ragazza, aggrottando leggermente al fronte. «Vuoi dire che nessuno dei tuoi fratelli ha partecipato ai lavori?»
«È proprio questo il punto, Sirenetta» si rabbuiò il moro, rivolgendole un’occhiata perplessa. «Nessuno di quei ragazzi è un mezzosangue. O meglio, non di questo Campo. Hanno segnalato con quelle colonne un limite che nessuno ha il permesso di superare, e loro stessi sono i primi a non varcarlo mai. Non so cosa abbiano intenzione di fare, né per quale motivo ci tengano nascosto il perché… ma di una cosa sono sicuro.»
«Quale?» lo incalzò Rose, e dovette attendere alcuni attimi, prima che l’amico si decidesse a rivelare: «Questa non è una struttura greca.»
A quelle parole, lei era sembrata sconcertata, oltre che confusa. «Che vuoi dire?»
«Muri per la maggior parte di pietra, invece che di puro marmo; vette appuntite; colori sgargianti. E hai visto quel marchio? Ho chiesto in giro, e neanche i figli di Atena sanno cos’è. Insomma, fanno delle supposizioni, sì… ma mai nulla di certo.»
«E cosa credi che significhi, questo?»
Prima di ribattere, il figlio di Efesto sospirò. «Penso che sia il modo di Chirone di metterci in guardia che le cose stanno per cambiare.»
Ci sarebbero state delle novità? Beh, quello non era un problema.
La figlia di Poseidone non aveva paura di qualche piccolo cambiamento, soprattutto se questo poteva rivelarsi una miglioria.
L’unica nota dolente era: perché tacere tutta la faccenda ai semidei? E ancora: quanto tempo gli restava prima che le loro vite venissero completamente sconvolte?
Cosa rappresentava quell’imponente edificio per loro? E in che modo li avrebbe condizionati?
Dovevano rendere la loro curiosità fonte di scoperta ed orgoglio?
O forse era meglio temere l’inevitabile, qualsiasi cosa esso comportasse?
 
Ω Ω Ω
 
Emma gli aveva detto di lasciarla in pace, e lui non aveva fatto altro che obbedire.
«Stammi lontano» erano state le sue esatte parole, pronunciate solamente l’estate precedente. E per quanto difficile, Leo era riuscito a rispettare le distanze tra loro.
Non le aveva più rivolto la parola, da quel giorno, né aveva tentato nuovamente di scusarsi con lei per tutto ciò che era successo. Dopo aver chiarito la situazione con Charlotte, aveva sperato di poter avere la possibilità di farsi perdonare, e invece questa gli era stata deliberatamente negata.
Ogni volta che per caso scorgeva la chioma bionda della figlia di Ermes in giro per il Campo non poteva fare a meno di avvertire un pugno di ferro stringergli la bocca dello stomaco, mentre il fiato gli si spezzava in gola, quasi fosse incapace di ingerire nuova aria nei polmoni.
Lei non sapeva. Lei non avrebbe mai saputo.
E forse era questa la cosa che faceva più male.
Il rendersi conto di non essere riuscito a spiegarsi; la consapevolezza che se non avesse aspettato tanto, prima di accorgersi di quanto la ragazza fosse importante per lui, magari quella storia avrebbe avuto un finale diverso.
Il figlio di Efesto non poteva negare di essere stato più che bravo, nel seguire il volere di lei. Ma sarebbe stato un ipocrita se avesse affermato che nel farlo non aveva accumulato in sé un dolore tanto fastidioso quanto bruciante, che lo irritava dall’interno, costringendolo a reprimere continuamente un raschiante urlo in fondo al cuore.
Anche il solo vederla riaffiorava alla sua mente ogni memoria, e ogni volta non poteva fare a meno di chiedersi quando fossero diventati così bravi ad ignorarsi.
Proprio come quella mattina, in cui si passarono accanto senza neanche scambiarsi un cenno del capo, lui diretto verso la propria Cabina dopo una serie di allenamenti, lei all’Arena.
Aveva finto di non averla notata? Certo, come sempre.
Era stato difficile vincere contro l’impulso di correrle dietro, attirarla a sé e baciarla? Di nuovo, come sempre.
A volte se si concentrava riusciva ancora ricordare il sapore delle sue labbra, e come gli erano sembrate dolci, solo un anno prima; morbide, e calde, e perfette. Aggrapparsi a quella nostalgia era diventata per lui un’ossessione; che però, sapeva, non l’avrebbe aiutato in alcun modo.
Doveva dimenticarsi di lei, e togliersela dalla testa.
Anzi, forse ci era già riuscito.
Magari il suo era solo un rimuginare sui tempi andati, con la certezza di essere maturato abbastanza da non ricadere più negli stessi errori.
Può darsi che quelle reminiscenze non erano altro che la prova tangibile di quanto la vita fosse imprevedibile.
Un attimo prima era convinto di aver trovato la propria anima gemella, e quello dopo scopriva che in realtà era solo un’avventura. Un segno in più sulla pelle che magari faceva più male degli altri, e che avrebbe continuato a bruciare per un po’; ma che alla fine si sarebbe comunque rimarginato.
Una proposizione in un testo di un centinaio di righe.
Solo che Leo era tutt’ora in attesa che si arrivasse ad uno stramaledettissimo punto.
Perché diamine, le virgole sembravano non bastare.
Ed ogni volta che la rivedeva lui ancora non riusciva a ricordare come respirare.
 
Ω Ω Ω
 
Melanie soffocò una sommessa risata non appena John le posò un tenero bacio sul collo.
Da quando stava con la figlia di Demetra, il biondo contava impaziente sulle dita di una mano i secondi di ogni giorno, nell’attesa che arrivasse il momento giusto per potersi ritagliare un po’ di tempo da poter trascorrere solo ed unicamente con lei.
Sdraiati sul suo letto nella Cabina Sette, i ragazzo era consapevole di correre un rischio, ma non gli importava.
Subito dopo essere tornato alla propria, normale routine ed aver consolidato una volta per tutte la propria relazione con la bionda, i rapporti tra lui e suo fratello Will si erano ufficialmente incrinati.
Non si rivolgevano più la parola, se non per scambiarsi qualche informazione strettamente necessaria e per rammentarsi a vicenda i vari turni per il bagno.
Il maggiore non aveva mai approvato la ragazza, e lui non riusciva a capirne il motivo.
Per quanto potessero dirne i maldicenti, lei era dolce, divertente, simpatica, altruista, e soprattutto lo rendeva felice. Dei, se lo rendeva felice.
In un anno era stata capace di amarlo molto più di quanto avessero fatto le altre ragazze che aveva incontrato nell’arco della propria esistenza.
Quando poi era diventato ormai evidente che quel sentimento era più che ricambiato, il figlio di Apollo era stato posto davanti ad una scelta, e non ci aveva pensato due volte a troncare ogni legame con coloro che infangavano quel rapporto senza essere neanche a conoscenza delle solide basi sulle quali era fondato.
Solace era sempre stato uno dei fratellastri ai quali lui era più legato, insieme a Theresa. Uno dei suoi punti di riferimento in quella casa, a dirla tutta; per questo faceva ancora un po’ di fatica a convivere con l’idea di non poter più condividere con lui i propri malumori, o le proprie gioie.
Ma nonostante tutto il bene che poteva volergli, mai gli avrebbe permesso di allontanarlo da Melanie.
Non poteva avere entrambi nella propria vita?
Bene, allora lui decideva di passarla interamente con lei.
La figlia di Demetra sapeva di questo dissidio tra i due ragazzi, ed era ben consapevole di esserne la principale – se non unica – causa. Più volte aveva spronato John a perdonare Will, e ad ascoltare le sue ragioni, nel tentativo di tornare quelli di prima. Eppure era stato tutto inutile.
«Non mi interessa quello che dice la gente» le aveva fatto notare lui, guardandola intensamente negli occhi. «Tutto ciò che conta ce l’ho proprio qui, davanti a me.»
E dopo questo, lei non aveva potuto fare a meno di adorarlo ancora di più.
Con le sue dita che le accarezzavano dolcemente la pelle nuda dei fianchi, la ragazza si convinse di non avere nient’altro da desiderare. Per una volta la fortuna pareva girare costantemente a suo favore, regalandole la serenità e la felicità alle quali aveva sembra ambito.
«Che c’è?» chiese in un sussurro al biondo, non appena notò che le sue iridi smeraldine le stavano studiando il viso con attenzione.
Lui in tutta risposta allungò una mano per spostare con delicatezza una ciocca color grano che le ricadeva sulla fronte. «Sei bellissima» bisbigliò, come se fosse la cosa più semplice e scontata del mondo.
Lei sorrise, facendo scontrare giocosamente i loro nasi. «E tu sei un bugiardo» lo accusò, prima di posargli il palmo dietro la nuca ed attirarlo a sé, facendo incontrare le loro labbra.
Approfondirono presto quel bacio, che si godettero a lungo e con calma, mentre le loro lingue giocavano maliziose e i loro cuori battevano ad un ritmo accelerato. Solo nell’istante in cui il giovane si allontanò da lei quel tanto che bastava per poterla stringere a sé e posare la fronte contro la sua, la bionda si concesse qualche attimo per far vagare i pensieri.
I due condividevano praticamente tutto, ormai; anche i più inutili dettagli. Ma c’erano cose che spesso e volentieri lei aveva omesso di dirgli, un po’ per paura, un po’ perché era la prima a non sapere come gestire quelle situazioni.
C’era una domanda, in particolare, che le invadeva la mente da circa due settimane a quella parte; e che la tormentava, ponendola dinanzi ad un bivio che non riusciva proprio ad aggirare.
Forse parlarne con lui l’avrebbe aiutata a far chiarezza con le proprie emozioni contrastanti.
Anzi, sicuramente sarebbe stato così.
«John, devo dirti una cosa» annunciò, improvvisamente seria in volto, tanto che lui inarcò un sopracciglio.
«Sono tutt’orecchi» le assicurò, con tono pacato.
«In realtà non è così semplice da spiegare.»
A quelle parole, il ragazzo sembrò preoccupato, perché la squadrò con apprensione, in un misto di confusione e curiosità.
Melanie impiegò qualche secondo per decidersi a parlare, e anche quando lo fece, si maledisse per il tremitio della propria voce.
«Ho parlato con Leo, questa mattina» spiegò, e il figlio di Apollo apparve interdetto.
«Okay» mormorò piano, aspettando pazientemente che lei continuasse. «Riguardo a cosa?» la incalzò poi.
«Ehm…» La figlia di Demetra esitò, tirandosi su a sedere e passandosi nervosamente le dita tra i capelli. Pareva a disagio, e il biondo lo notò. Imitandola nella posizione cercò il suo sguardo, ma le sue iridi color nocciola erano basse, sfuggenti.
«Ehi» la chiamò teneramente, accarezzandole la schiena. «C’è qualcosa che non va?»
«No. Cioè, sì. Forse. Non lo so.» La ragazza sospirò, imponendosi di arrivare al dunque. «Un po’ di tempo fa, ho discusso con Leo riguardo ad un progetto che aveva in mente, e lui mi ha spiegato che potrebbe essere in grado di costruirne uno.»
«Di costruire che?»
«Una cosa per me.»
«Ovvero?»
«Un braccio bionico.» La bionda si voltò repentina per osservare la sua reazione, e si ritrovò di fronte un John spiazzato, forse addirittura incredulo.
«Io… non ho davvero idea di cosa dirgli» ammise dunque lei, sentendo la gola bruciare. «Lui mi ha detto che ovviamente ha bisogno del mio consenso, e che quindi devo fargli sapere se ho intenzione di accettare. Ma la verità è che sono indecisa. Tu sai quanto io abbia desiderato di poter tornare indietro a quella sera per impedire a quel mostro di rovinarmi irrimediabilmente la vita. Ora ho la possibilità di riavere ciò che ho perso, ma in fondo al mio cuore so che non sarà la stessa cosa. Non credo di essere pronta a guardarmi allo specchio, e ad osservare una parte del mio corpo fatta interamente di metallo. Però d’altro canto questa è l’occasione che aspetto da più di un anno. Aiutami, John» lo implorò poi, con calde lacrime che le brillavano negli occhi. «Secondo te cosa dovrei fare?»
La replica del ragazzo fu tutt’altro che istantanea. Quella rivelazione l’aveva sorpreso, non perché non sapeva della possibilità di costruire a Melanie un altro braccio, ma perché non vi aveva mai neanche pensato.
Era così abituato a vederla così, bella come il primo giorno in cui l’aveva conosciuta, che a lui semplicemente il fatto che non avesse un arto, o un orecchio, o un piede non importava.
Non l’aveva proprio sfiorato l’idea di cambiarla, perché a suo parere – per quanto assurdo potesse sembrare – lei era già perfetta così.
E per darle dimostrazione di ciò le prese con accortezza il viso fra le mani, baciandole delicato prima la fronte, e poi gli zigomi, la punta del naso, gli angoli della bocca.
«Secondo me dovresti fare ciò che ritieni giusto» le disse dopo un po’, accarezzandole un guancia. «E che sai che ti renderebbe felice. Qualsiasi scelta avrai intenzione di prendere, io ti appoggerò» le promise. «Sempre, okay? Non dubitarne mai. Perché io amo quello che c’è qui» continuò, battendole mite l’indice all’altezza del cuore. «E questo niente e nessuno potrà mai cambiarlo.»
La figlia di Demetra sorrise, commossa, per poi avvolgergli il braccio attorno al collo e nascondere il volto nell’incavo della sua spalla, come soleva fare ogni volta che voleva inebriarsi del suo profumo di menta.
«Ti amo» gli ricordò lei; ed abbracciandole la vita, lui ebbe la certezza che quella non era una bugia.
Come avrebbe potuto esserlo, d’altronde?
Le loro anime era state plasmate unicamente per stare insieme.
 
Ω Ω Ω
 
Da quando aveva avuto l’occasione di poterlo osservare da vicino, Skyler non aveva fatto altro che chiedersi cosa rappresentasse quella fortezza che si stava ergendo tra la Casa Grande e il campo di fragole, e soprattutto quale fosse il suo scopo.
Non era sfuggito alla sua attenzione l’intricato simbolo inciso sul quell’arcata, e il non avere le informazioni necessarie per poter formulare delle ipotesi la logorava, aumentando ogni istante di più la sua curiosità.
Tra i semidei aveva iniziato a girare alcune delle supposizioni più strane, ma a detta della figlia di Efesto nessuna di quelle si avvicinava lontanamente alla verità.
C’era qualcosa che Chirone taceva loro, e l’assenza di ben due mesi del Signor D non faceva che insospettirla ancora di più.
Che fine aveva fatto il dio? Perché non era con loro?
Okay che occuparsi di quei ‘marmocchi’ – come li chiamava lui -  non era mai stata una delle sue massime aspirazioni, ma non doveva forse scontare la punizione impostagli da Zeus per il resto della propria immortale vita?
Il centauro si sgranchì rumorosamente la voce, facendo tintinnare una posata contro il bicchiere per poter attirare l’attenzione generale.
Si erano riuniti tutti alla mensa per il pranzo, ed i mormorii generali cessarono immediatamente non appena il direttore del Campo cominciò a parlare.
«Volevo solo annunciarvi» esordì, sollevandosi nella sua possente forma equina. «Che subito dopo i pasti tutti i Capocabina sono convocati alla Casa Grande per una riunione della massima urgenza. Nulla di preoccupante, state tranquilli. Ma è richiesta la vostra assoluta presenza, e naturalmente la puntualità. E ora tornate pure ai vostri discorsi.»
Ma era ovvio che qualsiasi argomento dominasse in precedenza fu bellamente spazzato via da quell’inaspettata notizia.
Che cosa andava comunicato ai Capocabina, che gli altri non potevano sapere?
Perché tanta segretezza? Perché non dirlo pubblicamente a tutti quanti?
Qualcosa non quadrava, in quella situazione; e Skyler se n’era resa conto forse anche prima dei suoi compagni.
Lanciò un’occhiata in direzione di Emma, seduta al proprio tavolo, e la figlia di Ermes le rivolse una scrollata del capo, stringendosi nelle spalle mentre le palesava tutta la propria interdizione.
La mora incontrò lo sguardo perplesso di John, e gli occhi stretti a due fessure di Michael, che incatenando le proprie iridi ora verde acqua alle sue le chiese silenziosamente se avesse idea di cosa stesse succedendo, al ché lei scosse la testa.
No, non riusciva a capire perché aleggiasse nell’aria così tanto mistero.
Ma di una cosa era certa: non esistevano quesiti che destinati a restare troppo a lungo irrisolti.
 
Ω Ω Ω
 
«Ripetimi ancora una volta perché lo stiamo facendo.»
L’amica le aveva già fatto quella richiesta ben sette volte, tanto che a quel punto Skyler fece roteare gli occhi, guardandosi intorno per assicurarsi che non fossero vittime di sguardi indiscreti.
«C’è qualcosa che non mi torna, in tutta questa storia» spiegò di nuovo, sfilandosi l’elastico dal polso per stringersi i capelli in una coda di cavallo. «Chirone sta mantenendo un segreto, e chissà perché ho la sensazione che riguardi quello strano palazzo che è stato costruito.»
Degli altri tre, nessuno ebbe il coraggio di obbiettare. Era chiaro a chiunque che non era stata rivelata tutta la verità, ai semidei; ma nessuno sapeva spiegarsi il motivo.
Quando tutti i Capocabina si erano riuniti – com’era stato loro ordinato – nella Casa Grande, la figlia di Efesto, Emma, John e Michael avevano seguito l’istinto della mora di pedinarli, aggirandosi così di soppiatto attorno al punto d’incontro nella vana speranza di scoprire qualche dettaglio in più.
«E se ci beccano?» chiese ad un tratto il figlio di Apollo, del tutto contrario a quel folle piano.
«Non lo faranno» lo tranquillizzò la mora.
«Chirone ci uccide» confermò invece il figlio di Poseidone, guadagnandosi uno sguardo di rimprovero da parte della propria ragazza.
«Dobbiamo scoprire che cosa sta succedendo» reiterò quindi lei, con tono perentorio.
«Sì, ma perché proprio noi?» replicò il biondo.
In soccorso dell’altra, la figlia di Ermes sbuffò dal naso, in un’espressione ormai rassegnata. «Perché no?»
Le iridi scure di Skyler luccicarono di gratitudine, e dopo essersi piegata sulle ginocchia per poter passare sotto la finestra senza essere vista, sgattaiolò accanto alla porta.
«Stanno parlando» annunciò Emma appena l’ebbe raggiunta, dato che nell’imitarla era riuscita a sbirciare un po’ all’interno. «Sono tutti intorno al tavolo, ma non sono riuscita a vedere che facce avessero.»
La figlia di Efesto si portò un dito alle labbra, ordinando agli amici di fare silenzio. Poi accostò lentamente l’orecchio al legno freddo dell’ingresso, sforzandosi di carpire qualunque tipo di suono.
Ben presto, anche gli altri tre fecero lo stesso, con Michael chino nella sua stessa posizione e i due biondi in piedi sopra di loro, in ascolto.
Ogni rumore, però, sembrava incapace di attraversare lo spessore di quell’adito in cedro. Quasi qualsiasi parola fosse detta lì dentro fosse a malapena sussurrata. Oppure come se tutti si fossero improvvisamente ammutoliti.
«Non sento niente» bisbigliò la figlia di Ermes, in un mormorio tanto lieve che fece fatica a sentirsi lei stessa.
Non riuscì ad aggiungere altro, però, che la porta si spalancò di scatto; e i quattro, che vi avevano ingenuamente posato contro tutto il loro peso, ricaddero con un tonfo nella stanza, addossandosi l’uno all’altro sul pavimento.
La più scomoda era forse proprio la mora, che avendo il contatto diretto con il parquet fu la prima a sollevare lo sguardo, ritrovandosi di fronte gli zoccoli argentati di un centauro alquanto furioso.
Sotto gli occhi increduli dei presenti, abbozzò un sorrisino innocente, che per quanto volesse evitarlo palesò tutto il suo imbarazzo.
«Possiamo spiegare» giurò, ma Chirone si limitò ad emettere un nitrito sarcastico, con aria vagamente ironica.
«Non ce n’è bisogno» li liquidò, per poi rivolgersi ai ragazzi ancora seduti intorno al tavolo da ping-pong. «Potete andare, la riunione è conclusa. Grazie per essere venuti, figlioli.»
E detto questo si allontanò, risalendo le scale che portavano al primo piano – dove (si presumeva) c’era la sua camera da letto.
Alla vista dei Capocabina che si alzavano e tornavano alle rispettive mansioni, Skyler balzò in piedi, inseguendoli con l’illusione che qualcuno di loro sputasse fuori il rospo.
«Aspettate!» li pregò, ma questi finsero di ignorarla. «Di che cosa avete parlato, lì dentro? Per favore, che sta succedendo?»
«Percy!» chiamò Michael, bloccando il fratello per un braccio e rivolgendogli un cenno interrogativo. «Che cosa vi ha detto?»
«Mi dispiace, ragazzi, ma non posso parlarvene» si scusò il maggiore, rammaricato.
«Che significa? Perchè non puoi dircelo?» sbottò Emma, interdetta.
«Chirone ci ha fatto giurare sullo Stige. Potete chiedere a chi volete, ma neanche dei ruffiani come gli Stoll si lasceranno estorcere delle informazioni.»
«Ma dicci almeno qual è il problema!» lo incalzò John, al ché il figlio di Poseidone si morse il labbro.
«Sono in arrivo delle novità» sciorinò solamente.
«Che genere di novità?» gli domandò il minore.
«Novità molto grosse.»
«Ha a che fare con quel palazzo, vero?» chiese quindi la figlia di Efesto, e anche se quello poteva sembrare un quesito, in realtà lei conosceva già la risposta.
«A quanto pare sì» ammise il giovane Jackson, assumendo subito un’espressione rabbuiata in volto, quasi ciò che stesse per dire non fosse di suo gradimento. «Chirone è stato molto esplicito, in proposito» confessò. «Ma a dirla tutta, non ho ancora ben capito se i cambiamenti che stanno per avvenire miglioreranno o peggioreranno tutta questa situazione. Una cosa però è certa.» Ed esitò, prima di rivelare: «Stravolgerà completamente gli equilibri di questo Campo.»

Angolo Scrittrice. 
Bounjour! 
Salve a tutti, semidei! 
Eccomi qui, ovviamente di martedì, pronta con nuovo capito appena sfornato per voi. 
Bien, bien... che dire? Succedono un po' di cose importanti, ma partiamo dall'arrivo di due nuovi semidei al Campo:
Kara e Locke. Figli di Ecate. Gemelli. Alquanto singolari, a dirla tutta. 
Che ne pensate di loro? Che impressione vi hanno fatto? 
Per quanto riguarda il loro aspetto fisico, mi sono ispirata a due persone realmente esistenti, quindi se vi interessa vederle per farvi un'idea, fatemelo sapere. Se invece preferite immaginarli come più vi pare, fate pure! Ma non dimenticate che i loro volti sono lentigginosi, gnaw **
Anyway, ho voluto aprire una piccola parentesi riguardo
Emma e Leo, dato che in molti mi avete chiesto che fine avessero fatto. Beh, come vedete ci ritroviamo nel punto esatto in cui ci siamo lasciati: i rapporti si sono decisamente freddati; anzi, sono ormai del tutto inesistenti. Il figlio di Efesto ha rispettato il volere di lei di essere lasciata in pace, e sembra essere in guerra con sé stesso, dato che da un lato è convinto di averla dimenticata, mentre dall'altro sente ancora una forte attrazione che lo spinge verso di lei. 
Secondo voi che cos'è? Ma soprattutto, credete che le cose cambieranno, o pensate che lui abbia ragione, e che la loro storia sia stata sono una banale frase in un testo di un centinaio di righe?
Fatemi sapere cosa ne pensate, sono davvero curiosa!
Per quanto riguarda
Melanie e John, non credo ci sia bisogno di molte spiegazioni. Loro si amano, e il figlio di Apollo sarebbe disposto a tutto, pur di stare con lei (tant'è che si è messo contro il suo stesso fratello, pur di difenderla a spada tratta). 
Parlando con Leo, la figlia di Demetra è venuta a conoscenza della possibilità di avere a disposizione un braccio bionico. Cosa pensate che dovrebbe fare? Accettare l'offerta? Oppure evitare di correre il rischio?
Per lei sarebbe un bene o un male? E perchè? 
Una cosa è certa: John ci sarà per lei, qualunque strada prenderà. 
Confonde sempre di più la presenza di questa nuova struttura, I know. Se le supposizioni di
Skyler sono esatte, e sta per avvenire un cambiamento imminente, cosa credete che comporterà? 
Qualche idea? Si accettano scommesse di ogni tipo, anche le più inverosimili!
Ma ora veniamo al duqnue, e cioè alla domanda cruciale: Vi è piaciuto questo capitolo? Vi ha delusi? Ho fatto cilecca? Fatemi sapere cosa ne pensate, che si tratti di complimenti o critiche. Sono aperta a tutto, lo sapete. Ma ho bisogno di sapere che questa storia abbia del potenziale, e che non corra il rischio di finire solo come un ammasso di appunti su un foglio a quadretti. 
Mi scuso, poi, con i miei bellissimi angeli, ai quali non sono riuscita a rispondere per mancanza di tempo. Ma ormai mi conoscete, e sapete che risponderò a tutte le vostre recensioni non appena ne avrò l'occasione. Ringrazio quindi infinitamente:
TamaraStoll, Sarah Lorence, anna4eveermakeup, Iladn e Kamala_Jackson per aver commentato il capitolo precedente. 
Siete la mia forza, davvero. 
E con questo è arrivato il momento di lasciarvi. Non prima, però, di avervi mostrato una cosa. 
Dato che non sono sicura di averlo descritto alla perfezione, vi posto qui una piccola foto di come immagino il simbolo impresso sull'arcata del nuovo edificio del Campo. 

 
Qualcuno di voi l'ha già visto prima? Qualche supposizione? 
Okay, ora vi lascio davvero ahaha
Grazie ancora a tutti voi che state leggendo questa parte in grassetto, e che ancora - dopo tanto tempo- credete in me. 
A martedì prossimo, fanciulloschi!
Sempre vostra, 

ValeryJackson
  
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