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Autore: Rei_    30/09/2015    7 recensioni
(!) Attenzione! Questa storia parla di bullismo, saranno presenti alcune scene di violenza! (!)
Michele, 27 anni, è appena entrato in un mondo a lui ancora sconosciuto: palazzo Montecitorio.
Lui, giovane insicuro, nasconde un lato fragile causato da un passato buio che vuole dimenticare. A differenza di Nicolò, che invece non ha mai perso nella sua vita e anche nel mondo politico a breve acquisterà una crescente leadership causata dal suo forte carisma naturale.
Due persone di partiti diversi, che inevitabilmente finiranno per scontrarsi, ma se è vero che l'odio è una forma d'amore allora il loro rapporto è destinato presto a cambiare...

Spalancò le braccia nella neve e allargò le gambe. Sarebbe dovuta uscire disegnata la figura di un angelo, ma mentre Michele chiudeva lentamente gli occhi, vinto da quell'insolita stanchezza, pensò che era impossibile che uno come lui potesse essere capace anche lontanamente di assomigliarci.
Perchè gli angeli non finiscono nudi nella neve.
Non vengono chiusi negli sgabuzzini.
Gli angeli sono luminosi, e lui invece era fatto di buio.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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«Amò, che dici di questa collana?»
Il freddo dell'inverno milanese si faceva sentire anche a quell'ora di pomeriggio, nonostante la giacca di piumino e il maglione di lana.
«Non lo so, Marti, fai tu…»
Erano in giro dalla mattina presto per cercare un regalo per una loro amica. A Nicolò non poteva importare di meno, in mezzo a tutto quel gelo. Fosse stato per lui sarebbe stato a casa a riposare, nell'unico giorno in cui non doveva lavorare. Era stato da poco nominato nel Cda di una compagnia di assicurazioni, non proprio ciò che si poteva definire “un lavoretto rilassante”.
«Uff! Non so proprio! Magari questo colore non sta bene con la pelle chiara…»
Nicolò sospirò impaziente, guardandosi intorno per distrarsi un po', ma non fece in tempo a voltare la testa che si trovò davanti al naso un volantino di color arancione acceso.
Ebbe quasi un sussulto di spavento, non capendo da dove era saltato fuori.
«Salve! Siamo del Fronte per l'Indipendenza, stiamo raccogliendo le firme per un referendum sull'abolizione degli inceneritori nel nostro territor-»
«No, grazie» rispose in automatico Nicolò, senza neanche ascoltare ciò che l'altro gli stava dicendo.
«Lei sa che danno può portare un inceneritore? Sa le malattie che può causare, a chi ha la sfortuna di viverci vicino?»
Nico sbuffò, profondamente irritato. Ma che voleva questo?
«Sì, come vuoi, ma non sarà la mia firma a far cambiare le cose» borbottò distrattamente.
«No, se ci saranno sempre persone troppo pigre per decidere di cambiarle» replicò l'altro.
L'uomo con cui stava discutendo doveva avere più di cinquant’anni: capelli parzialmente scoloriti, postura un po' storta, barba incolta di un colore chiaro e orecchie a sventola.
Gli lanciò un'occhiata fulminante. Odiava quelli che sapevano come farlo sentire in colpa.
«Va bene, se è solo una firma che vuoi te la metto».
“Ci mancavano anche questi” pensò sospirando, mentre si avvicinava al gazebo lì accanto. Notò subito le quattro bandiere identiche appese agli angoli, con un simbolo strano su sfondo rosso, e subito gli tornarono in mente le occupazioni delle scuole fatte in gioventù dove le bandiere rosse sventolavano ovunque, con gli studenti a cui importava però solo di perdere giorni di lezione per fare del sano casino.
«Serve solo un documento» disse l’uomo.
Nicolò tirò fuori la carta d'identità dal portafoglio. Mentre l'altro riportava i suoi dati, si guardò intorno. Sotto al gazebo, oltre a loro due, c’era un ragazzo sui diciott'anni e una donna sui quaranta. “Ma dove vogliono andare questi?” pensò tra sé e sé mentre, svogliatamente, lasciava il suo autografo sul modulo.
«Bene! Con il tuo piccolo gesto forse riusciremo a salvare un po' questo ambiente già ampiamente inquinato» sorrise l'uomo.
«Sì… da quanto esistete? Trent'anni, di più? Non mi sembra che abbiate mai salvato alcunché» gli sfuggì.
La donna e il ragazzo si voltarono per guardarlo storto, ma l'uomo gli sorrise paziente.
«Immagino che tu abbia ragione. Sai, è sempre dura cambiare il mondo quando si è in pochi. Per tua informazione, comunque, il partito ne ha ventisei di anni, appena compiuti» disse, compiaciuto.
«Ci sarà un motivo se siete in pochi. Il mondo non si cambia con le belle paroline» ribatté Nicolò, un po' irritato dal sorriso bonario dell'altro.
«Sono d'accordo con te…» lesse il nome sul modulo «…Nicolò. Il mondo si cambia quando si è in tanti a volerlo fare attivamente, che sia una raccolta di firme o una battaglia sindacale…»
«…ma purtroppo il mondo è fatto di persone troppo pigre per lottare, che si inventano mille scuse, anche per spendere quei due minuti utili a mettere una firma» concluse il ragazzo a fianco, con un sorriso soddisfatto.
 
«Via, Teo! Non è il caso di essere scortesi, sono sicuro che il signore sta già facendo la sua parte per rendere migliore il nostro mondo» lo rimbeccò l’altro.
«A che serve lottare? Avete mai ottenuto qualcosa?» gridò Nicolò, irritato del fatto che parlassero di lui in quel modo, senza nemmeno sapere chi fosse. Lavorava sei giorni su sette e a volte la domenica trovava il tempo di fare volontariato, era una persona onesta, pagava le tasse, cos'altro avrebbe dovuto fare nella sua vita secondo questi buoni a nulla?
«Mmm…» l'uomo si grattò la testa. «In effetti sì. Qualche anno fa, in consiglio comunale abbiamo bloccato l'ordinanza di sgombero dei centri sociali della città».
Nico sgranò gli occhi. Lui, da giovane, li aveva frequentati i centri sociali. Sapeva bene cosa significasse venire sgomberati diverse volte in un mese, probabilmente aveva ancora da qualche parte i segni dei manganelli.
«Beh, non l'avrei mai detto» ammise.
L'uomo sorrise di nuovo. Il ragazzo, invece, gli rivolse un altro sguardo fulminante prima di tornare ad occuparsi dei moduli.
Nico restò incantato a osservarlo. Come mai un ragazzo così giovane si dava tanto da fare? Era quasi impossibile che sarebbero riusciti a tirare su tutte le firme necessarie per quel referendum. Erano veramente in pochi dentro quel partito. Erano sempre stati pochi, evidentemente. E a che serve impegnarsi in qualcosa, se tanto sai già che perderai?
«Beh, devo andare… la mia ragazza mi starà aspettando».
L'uomo gli lasciò immediatamente in mano un pieghevole tra quelli sul tavolo.
«Lì c'è il nostro indirizzo. Quando avrai tempo vieni a farti una chiacchierata. Chissà, potresti imparare qualcosa, o noi potremmo imparare qualcosa da te!»
Poi sorrise, per l'ennesima volta.
«D’accordo» annuì Nicolò.
Non pensava veramente di farlo. Anche volendo, non ne avrebbe avuto il tempo. E poi, lui e i partiti non erano mai andati d'accordo.
 
Non avrebbe mai accettato di farne parte. Lui era un uomo libero, e avrebbe continuato ad esserlo.
«A presto allora. Ah, non mi sono presentato!» L'uomo si alzò in piedi di scatto, tendendogli la mano.
«Sono Giorgio Iannello».
 
 
*
 
 
Nella sala riunioni erano presenti tutti. Non mancava nessuno, nemmeno i deputati più assenteisti. Pasqui e Marchesi si parlavano all'orecchio in un angolo della sala da mezz'ora. La tensione nell'aria saliva di minuto in minuto e tutti la percepivano chiaramente.
«Ci fa un culo stratosferico, ve lo dico io» mormorò Thomas, tenendosi la testa tra le mani, disperato come non mai.
«Piantala di essere drammatico! Non può prendere alcun provvedimento o la stampa capirebbe che il rimando della legge è stato fatto perché c’è una spaccatura interna» sbottò Gianmaria Scano, il deputato più lucido della loro corrente.
Michele capiva benissimo che quell'assemblea non era come le altre. Si era consumata la prima vera rottura dall’inizio della legislatura, con un pezzo di partito che aveva festeggiato per il ritiro di una legge sostenuta dal suo stesso partito.
«Compagne e compagni, prego di prendere posto» esordì Pasqui con tono seccato. Già dal suo sguardo si vedeva bene come quel giorno il suo umore era anche peggiore del solito.
Tutti fecero subito silenzio.
«Bene. Penso che siamo tutti al corrente del perché oggi siamo riuniti, ma nel caso a qualcuno fosse sfuggito ho qui pronto un breve riassunto» il capogruppo sogghignò in modo inquietante, «un gruppo di persone di questo partito, contrariamente alle indicazioni dello stesso, ha votato alcuni emendamenti che hanno cercato di bloccare la legge. Tutti sappiamo quanto era importante l'approvazione di quella legge per la stabilità del governo e del rapporto con i nostri alleati…»
La sala trattenne il fiato mentre Pasqui si interrompeva per bere un sorso d'acqua. Thomas e Arturo si guardarono di sfuggita. Marchesi fissava il capogruppo, con un’espressione completamente rilassata.
«…e tutti sappiamo quanto è importante l'unità del nostro partito, tanto importante da essere uno dei punti cardine del nostro statuto. Proprio per questo motivo siamo stati costretti a salvare la faccia con la stampa, anche se due giornali hanno ventilato dubbi sull’opportunità della nostra scelta di rimandare la legge».
Iniziò a leggere gli articoli dei giornali. Michele prese qualche appunto sulla sua agenda, evitando di guardare Pasqui per paura di incrociare lo sguardo. Il capogruppo finì in fretta la lettura e buttò i fogli sul banco alla rinfusa, interrompendo quel flusso di parole per fare una risata inquietante.
«Come potremmo definirla, se non una grandiosa figura di merda?» Subito l'intera platea si allarmò. Non si era mai visto Pasqui parlare con quel tono. Tirò fuori un foglio tra quelli che aveva sul tavolo.
«Qui c'è l'elenco delle persone che dobbiamo ringraziare per questa bella figura. Li prego cortesemente, se hanno abbastanza coraggio, di alzarsi tutti in piedi».
Nessuno si mosse di un millimetro mentre Pasqui scorreva velocemente i cognomi in ordine alfabetico. Comparì quello di Arturo, quello di Thomas e quello di Gianmaria. Il cognome di Michele non figurava tra i presenti, perché effettivamente era stato assente nel momento del voto, ma per il giovane non fece molta differenza. Si sentiva pienamente dalla loro parte.
Passò gli occhi su ciascuno dei nominati, leggendo la preoccupazione e la diffidenza sui volti. Si sarebbero davvero alzati in piedi? Era un'umiliazione atroce, anche senza le telecamere.
Riuscì, con la coda dell'occhio, a notare Thomas che guardava fisso verso il basso, con una mano tremante dalla rabbia.
«Avanti, alzatevi. Fatevi un po' vedere» sfidò Pasqui.
A fianco, Marchesi sorrideva divertito e Goffredo guardava fisso tra la folla, mentre gli altri si cercavano discretamente con gli occhi.
Thomas fu il primo a fare un movimento, e Michele intuì in fretta cosa stava per fare. Gli afferrò il braccio d’istinto, impedendogli di alzarsi.
«No» disse solo, con un tono normale, ma abbastanza forte da farsi sentire in mezzo al silenzio assoluto.
Tutti quanti si voltarono verso di lui. Il giovane sentì numerose paia di occhi su di sé e il suo cuore accelerò. Non aveva previsto di
trovarsi così all’improvviso al centro dell’attenzione.
«Vuole dire qualcosa, onorevole Martino?» disse Pasqui con un tono più simile allo scherno che alla domanda.
«Sì» rispose Michele.
Il cuore gli stava praticamente esplodendo mentre si alzò in piedi, tenendo le mani sul banco come se fosse bastato quello come appiglio per dargli la forza di fare ciò che non aveva mai né fatto, né pensato di fare in tutta la sua vita.
«Volevo solo dire che questa gogna pubblica è fuori luogo, e soprattutto contraria allo spirito del nostro statuto».
La sua voce riecheggiò per le pareti mentre si risedeva piano, rosso in viso e tremante per la rabbia e l’imbarazzo. Non avrebbe accettato una tale umiliazione sui suoi compagni, soprattutto da parte di uno come Pasqui. Alcuni della corrente di Marchesi mormorarono delle cattiverie. Ad un certo punto uscì fuori a chiara voce anche un “sta zitto”, ma Michele non riuscì ad individuarne la provenienza tra quegli sguardi sprezzanti e sfuggenti.
Il capogruppo lo fissò con odio, ma non fece in tempo a rispondere perché qualcuno intervenne prima.
«Posso dire due parole?»
Marchesi non aspettò risposta e si alzò, allungando l'asticella del microfono. Tutti quanti si guardarono negli occhi, chiedendosi cosa volesse dire il segretario, che di solito non interveniva mai nelle riunioni di gruppo.
«Compagni e compagne. Sono circa venti anni che faccio militanza politica. In tutti questi anni, come voi, ho vissuto il fascismo, lo squadrismo, la violenza, l'intimidazione, il gioco sporco. E finalmente, oggi, in questa nuova legislatura, riesco finalmente ad avere la speranza di vedere approvare le nostre leggi scritte nella Carta Antifascista, che tutti quanti abbiamo sottoscritto insieme e che sono le fondamenta per ripristinare l'ordine e la giustizia nel nostro Paese».
Partì un applauso, sostenuto da tutta l’ala maggioritaria.
«Ci mancava un po' di retorica sull'antifascismo» borbottò Thomas a bassa voce.
«Come tutti noi sappiamo, siamo dovuti giungere a molti compromessi per portare avanti questo grande progetto. Non siamo disponibili, perciò, a tollerare altri attacchi come quello che drammaticamente abbiamo vissuto con quel voto in aula».
Marchesi non stava parlando con la solita finta serietà da cerimonia. Questa volta nella sua voce c'era una forza e una convinzione tale da far mancare il fiato a tutta la platea.
«Chi non era d'accordo con questo progetto avrebbe potuto andarsene a tempo debito quando insieme, al congresso, abbiamo deciso questa linea. Ora non accetteremo freni a ciò per cui duramente abbiamo combattuto. La prossima volta verrà applicata la procedura di sospensione per chi trasgredisce alle decisioni del partito, come prevede il nostro statuto. Ma so bene che non ce ne sarà bisogno, perché tutti noi abbiamo lo stesso grande obiettivo che ci unisce nella lotta».
La sala si ammutolì di colpo dopo quel breve discorso. Poi tutti applaudirono, tranne gli oppositori e pochi altri.
La riunione finì, e la maggioranza dei deputati uscì con addosso il ghigno beffardo di chi stava dalla parte del più forte.
 
 
*
 
 
«Non hai un po' esagerato?»
Pasqui si sistemò come al solito sopra la scrivania, mettendo in ordine i fogli e le penne che Riccardo teneva sempre sparsi in giro.
«Il primo a esagerare sei stato tu. Non c'era affatto bisogno di scatenare un processo pubblico contro chi ci ha fatto fare... »
«...una figura di merda?» concluse il capogruppo «e invece sinceramente sì, ne avevo proprio bisogno. Dopo quello che mi è toccato inventarmi con i giornalisti!»
«Come se ti fosse difficile inventare le cose!» scherzò Marchesi. Il capogruppo lo fulminò con lo sguardo.
«Se permetti la regola della sospensione da te proposta è peggio di ciò che stavo facendo io».
«Ah, sì?» rise Marchesi, «e dire che persino il ragazzino ti ha fatto notare che i tuoi metodi erano troppo da...» si bloccò, meditando un attimo, «troppo forti».
«Da fascisti?» lo incoraggiò Pasqui, non senza una punta di stizza nella voce, «stavi per dire da fascisti?»
«Sai cosa intendo» rispose Marchesi.
Il capogruppo sbatté una mano aperta contro il piano del tavolo.
«Non ti do il permesso di pensare una cosa del genere!»
Pasqui stava tremando per la rabbia, con uno sguardo infuocato. Nessuno poteva dargli del fascista, non dopo quello che avevano passato. Soprattutto Marchesi, colui che ne sapeva più di tutti gli altri.
«Pensi che Francesco lo penserebbe o no, se fosse qui? Avanti, rispondi!» lo sfidò il segretario con il suo sguardo lampeggiante, mettendosi come poteva all'altezza dei suoi occhi.
«Non nominare Francesco» mormorò Pasqui.
«E perché, Marcè? Io non avrei il diritto di nominarlo?» Marchesi si avvicinò, minaccioso. Avrebbe volentieri alzato le mani in quel momento, anche se davanti aveva il suo più caro amico.
Si guardarono intensamente, ma non riuscirono a reggere per troppo tempo il contatto visivo. Ciascuno sapeva perfettamente cosa l’altro pensasse.
«Non è il momento. Abbiamo da lavorare» il segretario si ricompose, tornando alla scrivania, i pensieri risucchiati dagli occhi scuri, inespressivi.
«Vado a parlare con la stampa».
Il capogruppo uscì, senza rivolgere neanche uno sguardo all’amico.
   
 
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