Serie TV > Supernatural
Segui la storia  |       
Autore: vali_    30/09/2015    5 recensioni
Dean non si sente a suo agio negli ultimi tempi: beve senza trarne i benefici sperati, dorme poco e sta sempre da solo e questo non è un bene per uno come lui, che mal sopporta la solitudine, convinto che riesca solo a portare a galla i lati peggiori del suo carattere.
Il caso vuole che un vecchio amico di suo padre, tale James Davis, chieda aiuto al suo vecchio per una “questione delicata”, portando un po’ di scompiglio nelle loro abituali vite da cacciatori. E forse Dean potrà dire di aver trovato un po’ di compagnia, da quel giorno in poi.
(…) gli occhi gli cadono sui due letti rifatti con cura, entrambi vuoti. Solo due.
Sam è ormai lontano, non ha bisogno di un letto per sé. Dean non lo vede da un po’ ma soprattutto non gli parla da un po’ e il suono della sua voce, che era solito coprire tanti buchi nella sua misera esistenza, di tanto in tanto riecheggia lontano nella sua mente. A volte pensa di non ricordarsela neanche più, la sua voce. Chissà se è cambiata in questi mesi (…)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note: Dopo aver risposto alle vostre recensioni con il mio solito ritardo cronico, eccomi qui con un nuovo capitolo :)
Che dire, se l’altra volta siete stati così magnanimi da non odiarmi, dubito che oggi riuscirò a farla franca… ma le storie non possono essere sempre rose e fiori, altrimenti uno si annoia. Io di sicuro XD
Come vi ho detto la scorsa settimana, se il mostro e come l’ho gestito vi fa schifo non fatevi scrupolo a dirmelo, visto che è tutto frutto della mia mente malata e a maggior ragione ho bisogno di riscontri sinceri. Non sarete linciati, ve lo assicuro XD
Detto questo, ringrazio come sempre tutti voi che avete così tanta pazienza da starmi dietro con così tanto affetto e rinnovo il mio invito ai lettori silenziosi (vecchi e non) di farsi avanti e dire la propria, che a me leggere le vostre opinioni piace da matti. :D
Fuggo che sono abbastanza di corsa… alla settimana prossima! Un abbraccio immenso! :D

 
Capitolo 20: Say something
 
Anywhere I would have followed you
Say something I’m giving up on you
 
And I am feeling so small
It was over my head
I know nothing at all

And I will stumble and fall
I’m still learning to love
Just starting to crawl

 
(Say something – A great big world feat. Christina Aguilera)
 
 
Quando si hanno brutti pensieri per la testa, una delle poche cose che riesce a distrarre davvero è il lavoro, si sa. Dean non conosce molte altre medicine valide contro il malumore – a parte l’alcol –, ma stavolta non sta proprio ottenendo il risultato sperato.
 
Sospira forte, seduto su quella sedia sgangherata di fronte al tavolo della sua stanza, appoggiando la testa sul pugno chiuso.
 
Sta chiuso lì dentro da un giorno intero. Stamattina si è alzato all’alba dopo aver dormito sì e no quattro ore – giusto perché era davvero stanco, perché altrimenti avrebbe passato buona parte della notte a rimuginare – ed è andato a svaligiare la biblioteca cittadina. Si è portato dietro tutti i volumi di folklore e culture popolari che pensava potessero interessargli e gli si sono squagliati gli occhi a forza di leggere leggende su leggende, una dietro l’altra.
 
Neanche per un momento gli è balenato in testa di andare da Ellie. Cioè, sì, ma ha preferito concentrarsi e lavorare piuttosto che tornare da lei e ritrovare il suo muso lungo per qualcosa che Dean proprio non capisce.
 
Sa perfettamente che per lui è l’orgoglio a parlare, ma non gli è andata giù la risposta che gli ha dato, il suo tono e soprattutto il fatto che abbia palesemente finto di essersi scordata una cosa di cui – è sicuro – proprio non poteva dimenticarsi.
 
Ellie è incredibilmente attenta per ogni cosa che riguarda sua madre, soprattutto gli oggetti che le appartenevano, le cose tangibili che le sono rimaste di lei. Le custodisce come dei tesori preziosi perciò è impossibile che si sia dimenticata della loro conversazione – l’unica che hanno avuto dopo la notte che hanno passato insieme, per di più – quindi ha chiaramente fatto finta di non ricordare e questo Dean proprio non riesce a digerirlo.
 
Può raccontare balle a chi vuole, ma lui riesce sempre a capire quando lo fa. Glielo aveva anche detto, una volta, perciò dovrebbe sapere che anche se è diventata brava a farlo con chi non conosce, di certo non riesce ad incantare lui.
 
Si riscuote da quei pensieri e ributta lo sguardo verso il basso, picchiettando la penna sul libro ancora aperto sulla pagina che parla di queste bestie strane – di cui non aveva mai sentito parlare prima –, il tappino in bocca che ormai è consumato per quante volte lo ha morso per il nervosismo che sente addosso e lo butta sul tavolo, appoggiandosi con la schiena alla sedia e passandosi poi le dita sugli occhi.
 
Non gli piace questa situazione, avere Ellie lontana quando è a solo qualche isolato di distanza e non gli piace come si sta comportando con lui. Vorrebbe avere una spiegazione, perlomeno, visto che lei ha sempre parlato chiaro quando c’era qualcosa che non andava, senza mai farsi problemi se dall’altra parte Dean si sarebbe potuto offendere oppure no e adesso fa così, lo ignora, come se non esistesse, come se non sapesse che è a pochi passi da lei e non aspettava altro che rivederla e parlarle.
 
Quando si decide ad andare a dormire si rigira a lungo tra le lenzuola pensando al da farsi e, il mattino seguente, ha fin troppo chiaro come deve comportarsi: manderà affanculo l’orgoglio che tanto non lo sta portando da nessuna parte e andrà da lei. Non sopporta tutta questa situazione e preferisce starle intorno e rischiare di infastidirla piuttosto che rimanere nella sua stanza a perdere tempo o ad iniziare altre ricerche che non lo stanno portando a niente, perché non ha scoperto nulla di diverso rispetto a quello che Ellie gli aveva detto e che quindi già sapeva.
 
Gli dispiace solo di essere riuscito a resistere solo un giorno. Avrebbe voluto farla penare un po’ di più o almeno aspettare per vedere se lei avrebbe fatto un passo o no verso di lui, ma pazienza. L’istinto gli dice che è meglio agire e, per una volta, sente di far bene a seguirlo.
 
Bussa alla porta di Ellie con la colazione in mano – anche per lei – e la trova con i capelli spettinati e addosso una delle sue maglie enormi addosso. Dean rimane un attimo fermo a fissarla e, cavolo, quando gli è balenato in testa che la voglia per lei gli sarebbe passata non ci aveva capito proprio niente, perché è tutto il contrario.
 
Ellie si stropiccia gli occhi con una mano «Ciao Dean» non sembra molto contenta di vederlo e neanche… riposata. Non ha una bella cera. «Che fai qui?»
«Ti porto da mangiare. Come sempre ultimamente» entra schivandola e senza chiederle il permesso, perché non ha la minima intenzione di rimanere ancora fuori con quel sacchetto in mano come un imbecille. «Visto che non ti fai viva, sono venuto a trovarti» di nuovo. Non gli interessa di risultare acido o se finiranno a litigare, non ha importanza. Vuole solo sapere che cazzo succede e soprattutto perché Ellie si sta comportando così.
 
Lei chiude la porta e gli si avvicina «Sei andato via come una furia l’altra sera. Pensavo non volessi—»
«Ero stanco, te l’ho detto» la interrompe prima di farla finire di parlare, non vuole ascoltare altre bugie. Non sa se questo sta diventando una specie di gioco a chi dice la balla più grossa, ma una domanda gli sorge spontanea: era così che si sentiva lei quando lui cercava tutti i modi possibili di starle alla larga per non fare cazzate? Perché si sta rendendo conto che non è una bella sensazione. «Hai scoperto qualcosa di nuovo?»
 
Ellie stringe le spalle «Non proprio. Solo come ucciderlo: una pallottola d’argento in testa e non darà più fastidio a nessuno» si avvicina alla scrivania per poi sedersi sulla sedia, incrociando le gambe. Prende il sacchetto che le ha portato Dean e ne estrae la brioche per poi addentarla piano. «Grazie per la colazione».
 
Dean annuisce, ma non le risponde. Non è di convenevoli o stupidi ringraziamenti che vuole parlare. «Anch’io ho scoperto come si uccide, ma nient’altro».
Ellie lo guarda storto. «Ti ho detto che volevo fare da sola, perché non—»
«Perché sono qui anch’io e non ho intenzione di stare a guardare mentre tu rischi la pelle».
Lei sbuffa sonoramente e si alza lasciando a metà la sua brioche. A Dean dà l’impressione che si sia parecchio innervosita dopo questa sua uscita, ma non gli interessa. Non ha intenzione di lasciare questa storia a metà o di abbandonarla nelle grinfie di quel succhiatore di colli.
«Ci fosse una volta che mi dai retta, che mi lasci fare quello che voglio» ok sì, è arrabbiata, ma non fa niente.
Anche Dean si alza in piedi adesso «Tuo padre è uno stronzo e probabilmente ti ha detto di venire qui da sola e magari anche di farti ammazzare pur di portare a termine questa cosa, perché lo conosco a sufficienza da credere che possa comportarsi così. Se non avessi saputo niente ok, ma sono qui anch’io e non ho intenzione di farmi chiamare se stai per morire dissanguata come quella volta a Rochester».
Ellie neanche lo guarda mentre afferra un paio di pantaloni stropicciati dall’armadio e si incammina verso il bagno «Pensa al tuo, di padre, prima di giudicare il mio» la sua voce è poco più alta di un sussurro, ma alle orecchie di Dean arriva forte e chiara e non riesce a far finta di niente.
«Come hai detto?»
Ellie continua a non voltarsi «Niente. Mi cambio così poi possiamo lavorare insieme» chiude la porta dietro di sé ed è uno sbuffo nervoso quello che esce dalla bocca di Dean che si risiede e finisce di mangiare, più per rabbia che per una fame vera e propria.
 
Non è mai stata così scontrosa con lui. Mai, in nessun momento da che la conosce si ricorda che gli abbia risposto in questo modo secco e arrabbiato, e questo lo convince sempre di più del fatto che ce l’ha con lui. Magari lavorando accanto a lei riuscirà a capire cosa le passa per la testa.
 
*
 
L’autunno è ormai nel pieno del suo splendore. Le foglie gialle e marroni cadono a terra, lasciando un manto colorato sull’asfalto e gli alberi sempre più spogli. Non fa ancora tanto freddo, ma è decisamente alle porte e Dean si stringe un po’ di più nella giacca grigia scura del suo completo da federale per poi tirare su il finestrino della sua adorata Impala.
 
E’ a Linden ormai da qualche giorno e, nonostante l’intenzione di Ellie di voler fare per conto suo, alla fine si è adeguata ed ora seguono tutto insieme. Più o meno.
 
Non è una vera e propria convivenza piacevole… non come le altre volte, insomma. Il primo giorno, Ellie gli ha tenuto il muso per la maggior parte del tempo, rimanendo in silenzio per ore se non interpellata. Poi si è sciolta un po’, ma non abbastanza, non così tanto da far pensare che le cose siano davvero a posto tra di loro.
 
Dean può dire che si è trasferito nella sua stanza, a parte per dormire – ancora non capisce perché debbano farlo separatamente, in due motel diversi ma continua a far finta che la cosa gli sta bene – e con le indagini sono arrivati ad un punto morto. Il problema è trovare questo Kendra, perché è una maledetta creatura con sembianze umane e, per di più, gli sfugge il collegamento tra le vittime, quindi non sanno neanche come cercarlo.
 
Sono anche tornati a far visita alla madre della prima vittima e la moglie della seconda e non c’era nessuna relazione di nessun tipo, non si conoscevano né erano legati da un qualche lavoro o cose del genere e loro non riescono proprio a capire come faccia questo coso a scegliere le sue prede.
 
Dean, comunque, negli ultimi due giorni ha cercato di evitare le scuse più assurde per andare da Ellie – quella che devono unire le forze e lavorare insieme gli è sembrata più che sufficiente –, ma non le ha mai ridato il braccialetto. Deve essere lei a chiederglielo dopo quello che gli ha detto, dopo aver fatto palesemente finta di essersi dimenticata se lo avesse lui o Bobby ed è qualcosa che continua a dargli profondamente fastidio.
 
Poteva andargli bene non parlare di quel bacio che si sono scambiati ormai un paio di mesi fa, ma questa è una cosa diversa perché è più grossa e lui ci ha buttato dentro l’anima, anche se forse Ellie non se n’è accorta. Per questo non riesce ad accettare che lei continui a far finta di nulla.
 
Ellie, comunque, è ancora strana e sembra sempre trovare un po’ di troppo la presenza di Dean quando le sta intorno, ma lui crede di poter sopportare un altro po’. Non sa quanto – qualcosa, in effetti, gli suggerisce che sbotterà presto –, ma per il momento è ancora tranquillo, più o meno. Vorrebbe solo sapere cos’è che la turba, più che altro perché se non ce l’avesse con lui – cosa sempre più improbabile – e avesse un altro problema, Dean vorrebbe saperne qualcosa, così da poter capire se è in grado oppure no di aiutarla.
 
Lei, comunque, non è quella di sempre. Non scherza, ride poco e Dean proprio non capisce come una persona possa prometterti il mondo solo guardandoti negli occhi – perché è questo che ha fatto in quel letto, nuda sotto di lui – e poi trattarti come sta facendo adesso. Forse ha sbagliato qualcosa senza accorgersene, perché ormai è praticamente convinto del fatto che ce l’abbia con lui. Il motivo gli è oscuro, ma non trova altre spiegazioni al suo comportamento.
 
Sospira appena per poi decidersi a scendere dalla sua auto e cammina fino all’ingresso dell’obitorio cittadino. 
 
Sono passati solo tre giorni dalla scomparsa di Jonathan Miller ed ora un’altra persona è stata uccisa da quel mostro con quello strano nome, prima che Ellie o Dean siano riusciti a scovarlo. Il fatto che quel dannato coso abbia fattezze umane non è proprio d’aiuto alla ricerca.
 
Entra nella stanza dove è stata momentaneamente riposta la vittima e trova Ellie lì dentro, i capelli sciolti e il volto concentrato su quel poveraccio senza vita sdraiato su quel tavolo freddo.
 
Quando si accorge della presenza di Dean, alza gli occhi e lo guarda, andandogli incontro. Sembra dispiaciuta e preoccupata «Non c’è pace neanche per chi lavora fino a tardi, a quanto pare».
Dean fa una piccola smorfia «Allora di questo passo dovremmo preoccuparci anche noi» sorride appena nella direzione di Ellie, ma lei non ricambia, ancora concentrata sul cadavere. «Hai parlato con il medico legale?»
«Sì, era qui fino a un minuto fa. Quest’uomo, comunque, si chiamava Arthur Nicol. Aveva quasi cinquant’anni e lavorava all’ospedale locale, era un pediatra. Viveva da solo e non aveva nessuno a parte una sorella. Stanotte l’hanno trovato dei passanti sul ciglio della strada».
Dean riflette un attimo tra sé. «Un pediatra, eh?» Ellie annuisce e lo osserva e Dean continua a pensare a questo particolare. E’ come se per tutto il tempo avesse avuto qualcosa che gli stesse sfuggendo e non sa se… «Bambini».
Ellie lo guarda perplessa «Come?»
«Bambini. E’ questo il pezzo mancante» lei sembra meditare sulle sue parole, senza capire fino in fondo cosa le sta dicendo. Dean la guarda e le si avvicina per parlare più piano possibile, in modo che solo lei riesca a sentire – nonostante siano soli in quella stanza, morto a parte, la precauzione non è mai troppa – «Tutti e tre, la maestrina, Freud e il dottor Spock [1] lavoravano con dei bambini. E’ questo il collegamento che ci mancava».
«Quindi tu pensi che il Kendra si nutra di tutti coloro che hanno a che fare, in qualche modo, con i problemi dell’infanzia?»
«Non vedo altre soluzioni. Insomma—»
Ellie storce la bocca, pensierosa «Sì, ha senso. Eravamo troppo presi a cercare qualcosa di più evidente per pensarci prima».
«Già. Andiamo a parlare con la sorella di questo tizio, forse ci spiegherà qualcosa in più sul suo conto e ci aiuterà a completare meglio il quadro della situazione».
 
Ellie annuisce e mette la mano davanti alla bocca per poi fare un grosso sbadiglio. Dean l’ha osservata parecchio negli ultimi giorni ed è sempre stanca e visibilmente assonnata; le si avvicina ancora e non riflette quando le alza il mento con le dita, costringendola a guardarlo.
«Ma dormi almeno un po’?»
Ellie abbassa lo sguardo e muove il capo, sfuggendo alla sua presa. «Poco. Ci penserò quando questa storia sarà finita».
Ma questa, per Dean, non è proprio una risposta soddisfacente. «Sì, ma se non sei riposata a sufficienza poi sarai tu a cacciarti nei guai».
«Sono già morte troppe persone ed altre potrebbero fare la stessa fine se non ci sbrighiamo a trovare quel verme. Il mio riposo viene dopo».
 
Dean la osserva scuotendo appena la testa mentre lei si incammina verso la porta. Una cosa è certa: prima riusciranno ad ammazzare questo simpatico – si fa per dire – figlio di puttana che si diverte a prosciugare la gente, prima troverà il modo di chiarire questa storia e il vero motivo di tutti gli isterismi di Ellie.
 
*
 
Nel momento preciso in cui si chiude alle spalle la porta della casa della sorella di Arthur Nicol, Ellie sa esattamente cosa deve fare.

Ci pensava da quando Dean ha capito il nesso tra le vittime, da quando ha compreso che il collegamento erano i bambini. Aveva letto accuratamente tutte le notizie possibili sulla vita di quelle persone: di Cecilia Ford e della sua infanzia distrutta dalla separazione dei genitori quando aveva solo otto anni e dall’allontanamento del padre; Jonathan Miller e la sua vita trascorsa passando da una famiglia all’altra, un’adozione e un successivo rifiuto fino alla maggiore età ed ora Arthur Nicol, i cui genitori erano morti in un incidente d’auto e che aveva trascorso tutta la vita con una sorella maggiore che si era occupata di lui per buona parte del tempo.
 
Era questo il vero collegamento tra le vittime: un’infanzia disagiata, triste. E nessuno più di Ellie può capire come potevano sentirsi quelle persone, come potevano aver vissuto i loro problemi cominciati fin da quando avevano una tenera età.

Era stato facile completare il puzzle ascoltando con attenzione la signora Cynthia, la sorella dell’ultima vittima, che raccontava tra le lacrime a lei e a Dean tutto quello che era successo nella vita sua e del fratello.

Tutte queste persone si occupavano di bambini per cercare di colmare il vuoto che sentivano dentro al pensiero della loro infanzia distrutta, per cercare di darne una decente ai piccoli esserini che gli comparivano davanti. Per questo avevano scelto quei tipi di impiego.
 
Ellie, quindi, capisce tutto questo meglio di chiunque. E’ vero che grazie alla mamma la sua non è stata un’infanzia poi così terribile, ma era pur sempre una bambina sola, che spesso si affacciava alla finestra la sera e cercava la stella più luminosa del cielo per chiederle di portargli il suo papà, che lo domandava anche a Babbo Natale nella letterina che spediva prima delle feste, al posto dei giocattoli. Lo voleva così tanto da immaginarlo per anni entrare in casa da un momento all’altro e stabilirsi per sempre con lei e la mamma.
 
Ecco perché Ellie sa cosa deve fare. L’ha capito non appena la signora ha detto che l’ultima volta che ha sentito suo fratello stava andando a comprare un giocattolo per suo figlio, un bambino di appena sei anni, nel nuovo negozio che è spuntato da poco accanto al supermercato cittadino.

Ellie lo sa perché questa storia deve finire e non c’è modo migliore di catturare il lupo se non andare nella sua tana. Sa che sarebbe una vittima perfetta perché è proprio dei suoi ricordi di bambina che il mostro ha bisogno per nutrirsi e lei saprà cavarsela se la attaccherà, riuscirà a difendersi meglio di coloro che, invece, non sono riusciti a scamparla.

L’unica cosa che la frena un po’ è che non sa come dirlo a Dean che cammina a passo sicuro davanti a lei e che ormai si è messo in mezzo in questa storia; è conscia del fatto che sarà difficile riuscire a distrarlo, trovare un modo per fare quello che vuole senza essere seguita o sgridata perché è sicura che la sua idea per Dean è pura follia. Forse ha anche ragione, ma Ellie non conosce altri metodi per portare il Kendra allo scoperto se non fare da preda.
 
Si ferma solo quando sono di fianco all’Impala. Dean ci si appoggia con la schiena e la guarda, le mani nelle tasche della giacca «Sembra che abbiamo una pista, finalmente». Ellie annuisce. «Ha senso. Un giocattolaio è il travestimento migliore per attirare persone a cui piacciono i bambini».

Ellie sbadiglia continuando ad annuire. E’ veramente stanca – non ha dormito poi così tanto le ultime notti, e non solo per il caso – ma… forse può usare questa cosa a suo favore.
«Io propongo di andare a cercare di scoprire che faccia ha e magari assicurarci che sia lui veramente. Non vorrei ammazzare un tipo che non c’entra nulla».
«Si, ma… » Ellie sbadiglia di nuovo, stavolta in modo più forzato «Mi sa che hai ragione. Forse ho bisogno di un po’ di riposo prima».
Dean la guarda strano «Hai cambiato idea? Non venivano prima gli altri che non dovevano morire e poi il tuo sonno?»
 
Ellie non vorrebbe mentirgli. Non le è mai piaciuto farlo e non ha mai odiato tanto come in questi giorni il fatto che le stia sempre intorno e la distragga perché, anche se in modo involontario, è questo che fa e lei vuole andare fino in fondo a questa storia, ma da sola per una volta.
 
«Sì, ma… pensandoci bene, ho davvero bisogno di dormire. Tu avvantaggiati con le ricerche, io mi riposo un paio d’ore e poi decidiamo il da farsi. Che ne pensi?»
Dean sembra ragionarci su. «Va bene. Anche se odio leggere tutte quelle cose da solo, dovresti saperlo. Ti accontento solo perché hai una faccia davvero stanca». Ellie abbozza un sorriso. Non sa se ha abboccato, ma non ha una grande importanza perché è decisa e sicura di quello che sta per fare «Ti do un passaggio».

Ellie annuisce ed apre lo sportello dell’Impala; il viaggio è piuttosto silenzioso fino al motel, finché Dean non accosta l’auto e la guarda. «Allora… »
«Ci vediamo più tardi» scende dalla macchina prima che lui abbia il tempo di risponderle e rientra a passo svelto nella sua stanza.

Si appoggia con le mani sulla porta, fissandosi le punte delle scarpe. Non le piace quello che sta facendo – le bugie, nascondergli le cose e tutto il resto –, ma non capisce neanche quello che pensa lui. Sembra normale, come si è sempre comportato ed Ellie non comprende se sta fingendo che sia tutto come prima o non si è reso conto di niente. Tra le due opzioni, non sa quale sarebbe peggio.

Controlla dalla finestra e attende che l’Impala sparisca dal parcheggio prima di agire. Si munisce di pistola, un paio di coltellini di dimensioni diverse che nasconde negli stivaletti neri bassi che indossa e si avvia fuori.

Il negozio di giocattoli non è poi così lontano da dove si trova ed Ellie decide di prendere in prestito un mezzo di trasporto – già il secondo di pochi giorni, dell’altro se n’era sbarazzata subito per non dare troppo nell’occhio – e dirigersi immediatamente in quel luogo.
 
Quando entra nel piccolo androne del negozio – stretto e quasi angusto, diverso dalle botteghe di Buckley dove andava la mamma a comprarle i peluche che le piacevano tanto – cattura immediatamente l’attenzione del negoziante perché le piccole tendine colorate all’ingresso sbattono tra di loro tentennando e producendo un piccolo rumore quando lei le scosta per entrare; gli occhi opachi di quell’uomo apparentemente giovane si fermano su di lei e si illuminano di blu per un paio di secondi ed è in quel momento che Ellie capisce di aver fatto bene i suoi conti.
 
Osserva gli scaffali con attenzione, fingendo di essere realmente interessata alla merce esposta. Trova un pupazzo a forma di coniglio, simile a quelli che le piacevano quando era una bambina, ma il ripiano è troppo alto ed Ellie si allunga per afferrarlo senza riuscirci.
 
«Lascia stare, faccio io» il negoziante – alto quattro o cinque centimetri più di lei, i capelli quasi biondi e ricci e il fisico asciutto – si stende verso l’alto e le porge il pupazzo, guardandola con un sorriso sghembo.
 
Ellie ha aspettato l’orario di chiusura per farsi vedere perché immagina che è questo che faccia il simpaticone ai suoi poveri e malcapitati clienti “segnati”: li addormenta stordendoli con un sedativo – il piccolo buco in mezzo alla macchietta violacea sul collo di Arthur Nicol è una prova più che sufficiente a sostegno della sua teoria – e li nasconde per poi portarli in un posto sicuro dove può succhiare loro tutto ciò che vuole indisturbato.
 
Continua a guardare i ripiani, fingendo di essere in cerca di qualche altro oggetto e stringendo il pupazzo con la mano destra mentre l’uomo rimane ancora alla sua sinistra; Ellie sente il suo sguardo curioso e meschino su di sé ma non si volta, convinta di voler andare fino in fondo.
 
«E’ un regalo quel peluche?» con la coda dell’occhio lo vede armeggiare e cercare qualcosa in una delle tasche dei pantaloni.
Ellie annuisce cercando di non tremare e di rimanere concentrata, di non lasciare che la paura prenda il sopravvento sul suo corpo.
 
Si accorge quando l’uomo avvicina una mano al suo braccio ed Ellie la scosta ed alza il gomito per colpirlo in pieno viso; il mostro indietreggia – il suono del vetro sottile di una siringa che gli cade dalle mani infrangersi al suolo e il liquido spargersi sul pavimento –, preso in pieno e totalmente sorpreso da quel gesto ed Ellie lo blocca, tirando fuori la pistola dalla parte posteriore dei pantaloni e costringendolo a rimanere fermo e piegato con la faccia e le mani appoggiate sul bancone.
 
Gli punta l’arma alla testa «La tua corsa è finita, bello» e il mostro sghignazza, storcendo il naso da cui scende un piccolo rivolo di sangue. Ellie non pensava di picchiare tanto forte, ma ha tanta rabbia da sfogare negli ultimi tempi e forse ha trovato pane per i suoi denti. Lo userebbe volentieri come sacco da prendere a pugni, peccato non abbia tanto tempo a disposizione per farlo.
 
«Una cacciatrice… avrei dovuto capirlo che dietro quegli occhietti impauriti si nascondeva una dura» Ellie non risponde, continuando a puntargli la pistola alla testa. Le mani le tremano leggermente, ma si sente sicura perché crede di averlo in pugno e sa di essere ad un passo dal farlo fuori. «Quello che mi coglie ancora più di sorpresa, però, è che hai portato compagnia».
 
Ellie non riflette più di tanto e, quando sente il rumore delle tendine dell’ingresso muoversi appena, si volta verso la porta, distratta da quel tintinnio leggero e questo dà la possibilità al Kendra di voltarsi e bloccarla, un braccio sotto la sua gola e un ghigno troppo divertito stampato sul volto. Ellie schiude le labbra respirando forte, gli arti paralizzati dalla paura, e quando lo vede comparire sulla soglia mentre attraversa le tendine chiare con la pistola puntata contro colui che la tiene in pugno non sa se quello che sente crescerle nel petto è sollievo o una profonda e terribile rabbia.
 
*
 
«Lasciala andare».
 
Dean tiene le braccia tese e l’arma puntata contro quel verme che ha un aspetto decisamente troppo umano per essere il mostro che invece è.
 
Dopo aver lasciato Ellie al motel, non è andato a fare ricerche come avevano stabilito. Ha fiutato l’inganno – gli sbadigli palesemente finti e i cambiamenti improvvisi di idea – e l’ha seguita. Si è anche sentito il peggiore dei maniaci nel farlo, ma almeno ha avuto le risposte che cercava. Anche se non pensava che Ellie fosse così stupida da andare nella tana del lupo da sola.
 
Il Kendra gli sorride sghembo «Perché? Ho appena cominciato a divertirmi» si passa la lingua sulle labbra guardando Ellie e Dean stringe la pistola più forte, pieno di rabbia.
«Ti ho detto di lasciarla andare!» Ellie lo guarda – gli occhi spaventati, terribilmente impauriti – e si muove per provare a liberarsi, ma il mostro non gliene dà alcun modo.
 
«Vedi, amico… c’è troppo cibo per me in questa stanza» i suoi occhi si illuminano di blu in un leggero sfarfallio, qualcosa di appena visibile «Ed ho la sensazione che farai tutto quello che ti dico per questa bella fanciulla» le prende il viso con una mano e Dean starebbe già sparando se ci fosse un’altra al posto di Ellie. Si avvicina di riflesso e il mostro scuote la testa divertito «No, no, no. Stai fermo lì, cowboy».
 
Dean obbedisce suo malgrado, ma non abbassa la pistola. «Perché ti piacciono tanto quelli come me e lei e gli altri che ti sei succhiato questa settimana, eh? Cos’abbiamo di speciale?»
 
Il Kendra alza le spalle «Ognuno ha i suoi gusti. A me, per esempio, piacciono quelli che hanno l’infanzia macchiata, incompleta. Hanno un odore particolare. Anzi, forse dovrei dire avete, visto che la tua puzza di malinconia mista a solitudine arriva fino a qui». Annusa l’aria e per Dean ogni tessera del puzzle, adesso, è al suo posto.
 
Ellie ha cercato suo padre fino all’adolescenza e ne ha sentito profondamente la mancanza, mentre lui è stato costretto a diventare grande quando di anni ne aveva solo quattro e sì, diciamo che non è stato un periodo pieno di unicorni e arcobaleni, ma avrebbe preferito capirlo un po’ prima che al figlio di puttana che ha davanti piacevano quelli come lui. O perlomeno che Ellie glielo avesse detto, visto che è chiaro che è qui per questo, per fare da esca.
 
«E quindi ti piace mangiarci per cena? Buono a sapersi. Adesso lasciala andare prima che ti spappolo il cervello».
Il mostro sogghigna «Ecco, a questo proposito… perché non abbassi quella pistola? Perché ho intenzione di cominciare a mordere la tua amichetta se non lo fai».
 
Dean stringe i denti, serrando la mascella; preme forte le mani sul manico della sua pistola con l’idea di non cedere ma si ritrova a dover obbedire quando il Kendra sposta i capelli di Ellie, scoprendole il collo. Lei stringe le labbra e prova di nuovo a liberarsi, ma quel coso non le dà alcuna possibilità di movimento mentre Dean appoggia la sua arma a terra senza distogliere mai lo sguardo dalla scena che gli si para di fronte.

«Bravo soldatino. E adesso mettiti in ginocchio e alza le braccia» Dean obbedisce ancora, riluttante. «Ecco qua, così» sorride sghembo quel coso maledetto, ma a Dean viene un’idea e sa che c'è ancora una speranza, che non è tutto perduto e che Ellie non sarà cibo per quel mostro tanto quanto non lo sarà lui «E adesso osserva bene come mi nutro della tua amichetta, perché poi toccherà anche a te».
 
Il mostro tira fuori due canini degni di Dracula e sta per affondarli nel collo di Ellie che stringe forte le palpebre e forse azzarda un gesto disperato quando muove il piede e riesce a pestare quello del mostro; tenta ancora di divincolarsi e il Kendra cerca di tenerla ferma e questa distrazione dà a Dean l’opportunità di alzarsi, recuperare velocemente la pistola e avvicinarsi quanto basta per colpirlo alla testa una, due, tre volte finché il corpo del mostro cade a terra esanime.

Ellie cerca di non cadere – libera del peso dell’uomo che la teneva in pugno e per questo rischia di sbilanciarsi – e si passa una mano sul collo e l’altro braccio intorno a sé, come a volersi proteggere e tiene gli occhi sul pavimento.
 
Dean le si avvicina velocemente «Stai bene?» ma lei non risponde; fissa il corpo senza vita del mostro riverso a terra e Dean d’istinto la prende per mano, strattonandola verso di sé «Muoviti, dobbiamo andarcene» l’ultima cosa di cui hanno bisogno è la polizia alle calcagna – in fin dei conti, per chi non sa, è appena morto un “innocente” – ed Ellie lo segue, ma strattona subito il braccio togliendosi dalla sua presa. Dean non ha tempo per le scenate adesso e la lascia stare, assicurandosi però di essere seguito.
 
Si avviano fuori correndo quasi; fortunatamente Dean aveva parcheggiato abbastanza lontano dalla bottega, in modo da poter fuggire inosservato. Raggiunge l’Impala di corsa e sta per salire, ma Ellie tira dritto, andando in un’altra direzione e questo lo manda definitivamente su tutte le furie. Prima ha fatto prevalere la paura e il senso pratico, la logica di chi ha un minimo di sale in zucca da pensare alla sua pelle prima di mettersi a discutere, ma adesso c’è solo rabbia nei suoi occhi quando la raggiunge e le prende un braccio costringendola a voltarsi.

«Che cazzo hai nella testa? Potevi farti male, potevi farti uccidere!»

Ellie lo guarda furiosa e ancora una volta sfugge alla sua presa. «Me la sarei cavata alla grande se non avessi fatto rumore con quelle cazzo di tendine! Stavo per farlo fuori!»
«Oh grandioso, fatti ammazzare nel mentre già che ci sei!»
Ellie scuote la testa, gli occhi tristi e rabbiosi «Non ti fidi proprio di me, eh? Pensavo di sì invece sei proprio come tuo padre!»
Dean la guarda confuso «Che c’entra lui adesso?» Ellie fa qualche passo in avanti stringendosi le braccia, ma lui non ha intenzione di mollare e l’afferra di nuovo «Perché non mi hai detto niente di questa stronzata colossale che stavi per fare? Almeno avrei potuto aiutarti!»
Ellie sbuffa e chiude gli occhi per un istante «Perché ultimamente o non mi parli o mi stai sempre addosso ed io non ti sopporto! Devi lasciarmi in pace!» si libera della sua mano ancora una volta e Dean la lascia andare stavolta, osservandola fuggire via.
 
«Ah, tante grazie per averti salvato il culo! La prossima volta ti lascio con quello stronzo!» Ellie non si volta e Dean scuote la testa espirando furioso e torna alla sua piccola, mettendo in moto come una furia e tornando al motel prima che qualcuno si accorga del cadavere di quel maledetto mostro ruba infanzie tristi.

*

Fa i bagagli con rabbia, buttando nel borsone le sue cose senza nessun ordine e cercando di fare più in fretta possibile.
 
Dean è assolutamente convinto di aver ragione. Se non avesse raggiunto Ellie chissà che sarebbe successo e proprio non capisce perché deve pentirsi di esserle corso in aiuto. E’ vero che non se la stava cavando male, ma chissà come sarebbe andata, magari quel coso – che non sembrava ma, in un modo tutto suo, era parecchio furbo – avrebbe trovato un altro modo per fregarla e lei sarebbe rimasta ferita o, peggio, uccisa e questo Dean non poteva proprio permetterlo.
 
Le avrebbe sicuramente chiesto di scappare con lui se non fosse tanto arrabbiato, ma non ha nessuna intenzione di andarla a cercare e magari di prendersi pure un’altra strigliata totalmente immeritata come quella di prima. Fanculo lei e la sua diffidenza.
 
Capisce che Ellie voleva dimostrare di sapersela sbrigare da sola, ma non è a lui che deve provarlo. Sarebbe bastato chiedere un minimo aiuto e tutto sarebbe andato per il verso giusto.
 
Sente bussare alla porta con insistenza ed estrae la pistola dai pantaloni per poi appoggiare la canna al legno della porta – la prudenza non è mai troppa – ed aprire con esitazione; quando si trova davanti Ellie si rilassa, anche se sa che forse non dovrebbe.
 
Lei lo guarda, le braccia conserte ed è sicuro di non averla mai vista tanto furiosa «Perché mi hai seguita?»
Dean ripone la pistola al suo posto «Perché non sai mentire a me. Anche se, a quanto pare, ti sei divertita parecchio in questi giorni a provare a prendermi per il culo».
Ellie fa spallucce e sorride sarcastica «Beh, certo, giustamente sei bravo tu».
 
Dean non ce la fa a contenere la rabbia e spalanca le braccia, allargando gli occhi «Ma cosa vuoi da me?»
«Il mio braccialetto. Sono venuta qui per questo».
 
Era ovvio che Dean non si riferisse a quello, ma la fa entrare e chiude la porta per poi recuperare quell’oggettino dal suo borsone. Lo trova nella tasca davanti e glielo porge; da solo non è riuscito ad aggiustare la chiusura come aveva pensato di fare, ma lo ha portato da un tipo – uno che fa queste cose per mestiere – che è riuscito a trovarne un’altra e sostituirla. E’ stata una delle poche cose che Dean ha fatto a parte cacciare e dormire nelle ultime settimane, quando già era tanto riuscire a trovare il tempo di respirare, ma non ha intenzione di dire niente ad Ellie. Non vuole farsi bello ai suoi occhi e non gli sembra il momento più opportuno per dirle una cosa così sciocca. E poi, in fondo, è troppo arrabbiato per ammettere ad alta voce che gli sembrava di aver fatto un gesto carino per lei e che ha tenuto quel braccialetto in quella dannata sacca per settimane aspettando di vederla.
 
Ellie se lo allaccia al polso e guarda Dean «Per la cronaca: ho pensato di… di andare da sola perché sono una preda più facile. Avevo capito che stordisse le sue vittime ed i suoi… gusti ed ero perfetta perché sono una ragazza e non sembra che io sia in grado di difendermi» Dean la ascolta con attenzione; sì, ha senso, ma questo non toglie il fatto che poteva almeno metterlo al corrente di quello che aveva intenzione di fare. «E… se non ti ho detto niente è perché non me l’avresti mai lasciato fare. Tu hai… hai questo modo di soffocare le persone a cui vuoi bene impedendogli di rischiare».
Dean la guarda male, incrociando le braccia al petto «Ah sì? E’ questo che pensi?»
«Sì… cioè, è il tuo modo di fare. Vuoi proteggere tutti, ma a volte devi lasciare un po’ più di spazio agli altri» è stranamente calma adesso, molto più pacata, ma Dean è sicuro che sia solo qualcosa di apparente. Dentro sta ribollendo di rabbia, proprio come lui. «Te l’avevo detto dal principio che volevo cavarmela da sola e tu non hai voluto darmi ascolto».
«Volevo solo aiutarti».
«Non è vero. Volevi metterti in mezzo e controllarmi. Fai sempre così».
Dean alza le spalle, profondamente amareggiato da quest’analisi dettagliata del suo comportamento «Non pensavo ti desse tanto fastidio, ma va bene, ne prenderò atto».
 
Ellie si morde appena il labbro e fa per andare nuovamente verso la porta, ma Dean vuole fermarla ad ogni costo, stanco di questa situazione. Non riesce a comprendere il vero motivo per cui Ellie si sta comportando così e di certo non può aspettare un altro incontro per chiarire cosa sta succedendo, vuole saperlo ora.
 
Fa un mezzo passo avanti, le braccia lungo i fianchi «Ti sei pentita, non è vero?»
Ellie si ferma e si volta dopo lunghi secondi, gli occhi nei suoi. «Di cosa?»
«Di quello che abbiamo fatto» lei abbassa lo sguardo un attimo e si appoggia alla porta, le mani aperte sul legno freddo. «Hai sempre questo atteggiamento scontroso e non mi vuoi tra i piedi. Non hai mai fatto così. Insomma, sei strana ed io… io non riesco a trovare un’altra spiegazione».
 
Ellie scuote la testa e lo guarda di nuovo, esibendo un sorriso amaro. «Credi davvero che sia questo il problema?»
Dean, perplesso, aggrotta le sopracciglia. «Beh… sì. Sicuramente non ce l’hai con me solo perché ti ho seguita». Prende fiato ed Ellie non gli risponde, si fissa i piedi e rimane in silenzio. Forse sta aspettando che lui aggiunga qualcosa. Decide di provare a parlare con calma, forse sarà l’unica maniera in cui riuscirà ad ottenere qualche risposta «Se è così, possiamo parlarne. Voglio dire, possiamo metterci una pietra sopra e far tornare tutto come prima».
Ellie annuisce e sorride nervosamente. «Certo, perché è così che tu risolvi i problemi. Facendo finta di niente». Ha una strana calma nella voce, diversa da quella di sempre. E’ come se stesse aspettando qualcosa per scoppiare del tutto. «E comunque no, non è questo il problema e mi stupisce che sia l’unica cosa a cui hai pensato visto che mi sembrava evidente che sono stata davvero bene con te quella sera» inspira forte «Tuo padre ti ha raccontato quello che è successo con il mio?» Dean fa di no con il capo, senza riuscire a capire quale sia il punto. Deve ancora comprendere cosa diavolo c’entra John Winchester con tutta questa storia e perché Ellie lo nomini in continuazione «Ti ha detto che lui e papà hanno litigato perché siamo un peso per lui? Perché io sono un peso per voi due? Per te?»
 
Dean la fissa incredulo. Non è possibile che suo padre abbia detto qualcosa del genere. Non è un santo, ma questo è troppo. Anche per lui. «Aspetta, io non ne so niente».
«E non ti sei chiesto come mai non si sono più visti? Perché non c’ero quella mattina da Bobby? Non ti sei fatto nessuna domanda?»
 
Dean ci riflette un istante. Effettivamente suo padre non ha più menzionato Jim o Ellie, questo l’aveva notato, ma credeva fosse una cosa passeggera, che non ci fosse nessun problema tra di loro.
 
«No. Cioè… non ho pensato a questo». Ellie scuote la testa ancora una volta, le braccia incrociate al petto e sembra volerla buttare giù, la porta dietro la sua schiena, tanta è la forza con cui ci si appoggia addosso.
 
«E’ questo che mi fa arrabbiare. Il fatto che tu non ci abbia riflettuto, che abbia semplicemente creduto che io, sgattaiolata via dal letto, possa essermi pentita». Il suo tono non è più tanto calmo, adesso. «Che tu non mi abbia chiamata perché, semplicemente, non c’ero».
«Beh, io—»
«Sono due settimane che aspetto una tua telefonata. Un messaggio, uno squillo, niente. Sei sparito, neanche avessimo giocato una stupida partita a poker».
 
Dean non capisce cosa abbia a che fare il poker con quello che hanno condiviso, più che altro non capisce il nesso, ma forse è meglio non chiedere e non fare battute. Ellie non ne sembra in vena. «Beh, ma… non lo facciamo mai. Voglio dire, non… non ci chiamiamo mai».
«Appunto. E a te non è venuto in mente che forse, ma dico solo forse, perché non sia mai che io non segua gli stupidi schemi che hai nella tua stupida testa, abbia avuto un problema, che me ne sia dovuta andare, che non l’abbia fatto di proposito».
«Aspetta un momento… »
«Ovviamente no. Non ti è balenata nessuna idea del genere» prende fiato, lo sguardo di fuoco. «Alla fine sono stata io, la fuggitiva, a chiamare te e tu non hai mosso un dito».
«Volevi solo sapere del braccialetto!»
«E spiegarti! Ma mi hai risposto come se non t’importasse!»
«Non è vero!» Dean comincia a perdere la pazienza. «Ero solo… in imbarazzo, non sapevo cosa dire».
«Ma quello anch’io, avevamo appena… va beh, lasciamo stare. Pensavo che almeno dopo mi avresti detto qualcosa, che mi avresti cercata» e adesso la sua voce è leggermente incrinata, gli occhi velati da una profonda patina di tristezza. «Pensavo che avessimo condiviso qualcosa in tutto questo tempo, che t’importasse e che per una volta volevi qualcosa di più di una delle tue solite scopate». Il tono che usa per Dean è raccapricciante, perché è più delusa che arrabbiata, lo è in modo profondo e lui si sente un immenso e colossale imbecille. «Io… pensavo solo questo, ma tu non mi hai più cercata e quindi forse mi sono sbagliata». Dean non è in grado di replicare. Non pensava di averla ferita così tanto, di averla delusa in questo modo. «Ma sai, alla fine non è neanche la cosa peggiore. Quello che mi fa più innervosire è che tu sia d’accordo con tuo padre, che pensi che io sia inutile, un’incapace» gli occhi le si fanno incredibilmente lucidi e cerca visibilmente di trattenere le lacrime.
 
«Questo non è assolutamente vero».
«Invece sì e la dimostrazione ce l’ho avuta proprio stasera, quando mi sei corso dietro».
Dean stringe i pugni, tremendamente nervoso «Ma perché non capisci che volevo solo che tu stessi bene?»
«Ti credevo diverso. Dopo tutto quello che mi hai detto, io… io pensavo che facessi tutto quello che ti dice per gratitudine o che ne so, ma speravo tu fossi diverso, che ragionassi con la tua testa».
Ellie non sembra averlo ascoltato «Ma io non ho mai pensato niente del genere!»
«E allora perché? Perché mi hai trattata come tutte quante? Perché non ti sei neanche degnato di… di provare a capire, di—» non riesce a finire di parlare, la voce rotta dal pianto. Abbassa lo sguardo per un secondo cercando di controllarsi, ma non ci riesce, piange forte e Dean non sa cosa fare, non l’aveva mai vista così.
 
E’ sempre solare e allegra, sempre… piena di vita ed ora c’è solo tanta tristezza nei suoi occhi, qualcosa che lui non avrebbe mai voluto vedere e non sa come comportarsi. Vorrebbe consolarla, in qualche modo, dirle che si sta sbagliando a pensarla così e l’unica cosa che gli viene in mente di fare è provare ad avvicinarsi, ma Ellie si scansa di scatto, facendo qualche passo indietro muovendosi verso lo spigolo tra i cardini della porta e il muro.
 
Tira su col naso e si asciuga gli occhi con il dorso della mano, nonostante qualche lacrima sfugga al suo controllo, cercando di calmare i singhiozzi. «Io… io mi sono aperta con te, ti… ti ho dato tutto quello che ho. Ti ho confidato le mie paure e i miei problemi perché… perché mi fidavo di te, ma non… non per questo volevo essere l’amore della tua vita» sorride fredda, cercando di mostrare una spavalderia che non le appartiene «E’ questo che ti fa tanto paura, no? Che qualcuno ti si appiccichi addosso. Beh, notizia flash: non era mia intenzione farlo» prende fiato, togliendosi con forza le lacrime dalle guance «Quello che volevo era solo… solo un po’ di rispetto, che non mi usassi. Perché è esattamente così che mi sono sentita: usata, come un oggetto. E se a quelle con cui esci di solito non importa, a me sì perché eravamo amici» le ultime parole per Dean sono una coltellata in pieno petto e il tono di voce di Ellie è fermo e deciso, i suoi occhi tristi e disillusi e se mai c’era stata una possibilità di stare insieme, in qualunque forma, è svanita, sgretolata per sempre. «Dovevo saperlo che avresti fatto così. Avrei dovuto immaginarlo». Si scosta dalla porta e tiene gli occhi bassi, la mano sulla maniglia. Sembra quasi attendere qualcosa per qualche istante, poi scuote la testa «Vorrei evitare di vederti prossimamente. Diciamo per il prossimo paio d’anni o fino a quando non sarò sposata e avrò dei figli con qualcuno che mi rispetta oppure continuerò a fare questa vita, chi lo sa. Prima di allora non disturbarti a cercarmi» lo guarda ancora per un istante, in silenzio «Non posso metterci una pietra sopra, Dean, non… non adesso. Io non sono come te».
 
Apre la porta e Dean vorrebbe fare qualcosa per fermarla, vorrebbe dire una qualsiasi cosa, anche un semplicissimo scusa andrebbe bene, per quanto non ci siano parole che tengano e che possano riparare l’errore che ha commesso, ma non è mai stato bravo con queste cose e non gli esce niente di sensato dalla bocca.
 
Ellie esce sbattendosi la porta alle spalle, lasciandolo lì davanti come un coglione. Ci si appoggia con entrambi i pugni chiusi sul legno e la prenderebbe a calci pur di sfogare la rabbia che sente addosso.
 
E’ un completo idiota. Non solo non riesce a tenere unita la sua famiglia, ma non sa neanche tenersi stretta la persona che gli piace, che gli vuole bene e che gli è stata amica per tutto questo tempo che ha passato senza Sam.
 
Non aveva capito nulla: Ellie non si era affatto pentita e per uno stupido malinteso al quale non ha saputo porre rimedio è andato tutto a puttane. Dovrebbe uscire e rincorrerla e dirle che gli dispiace e che è stato uno stupido, che ha capito male e che gli piace sul serio, che non era solo una scopata, ma quando trova il coraggio di farlo Ellie è sparita, non c’è più nessuna traccia di lei e Dean rimane impalato sulla soglia senza fare niente se non fissare il parcheggio semivuoto e non si è mai sentito tanto fallito. 

 
[1] Il dottor Benjamin Spock era un famoso pediatra statunitense, famoso per aver pubblicato il libro “Common sense book of baby and child care”.
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supernatural / Vai alla pagina dell'autore: vali_