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Autore: Kerri    01/10/2015    8 recensioni
Sono felice di partecipare a questa nuova iniziativa: 12 Months CaptainSwan
Raccolta mensile di fanfiction dedicate ai CaptainSwan.
Per ogni mese 3 elementi come prompt, ognuno potrà scegliere quale gli sembra più congeniale alla propria storia,( anche più di uno) che naturalmente dovrà contenere anche il nome del mese corrente.
Gennaio: Neve,camino, pattini
Febbraio: Maschera, San Valentino, Super Bowl
Marzo: Donne, risveglio, altalena
Aprile: Scherzo, cioccolato, pigiama
Maggio: Fiori, pick nick, barca
Giugno: Estate, ciliegie, doccia
Luglio : Spiaggia,temporale, gelato
Agosto: Stelle, calore, mare
Settembre: Vino, viaggio, passeggiata.
Ottobre: Compleanno (Emma), coperta, zucca
Novembre: Ringraziamento, famiglia, nebbia
Dicembre: Candele, vischio, anello
Abbiamo tanta voglia di leggervi!
Ideata da CSGroup
(Alexies, Alexandra_Potter, Clohy, CSLover, Lely_1324, Manu'sPirate e Pandina.)
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il giorno in cui Peter Pan e Uncino bussarono alla mia porta 


 
Avvertenze: AU
 
 
Sbuffando e ignorando il più possibile il dolore ai piedi, Emma continuò a frugare nella borsa, in cerca delle chiavi di casa. Dove diavolo erano finite? Cercava di mantenersi in equilibrio, stringendo tra i denti una piccola bustina e appoggiandosi al muro di fronte. Sperò di non aver fatto suonare il piccolo campanello, o almeno che non ci fosse nessuno nella casa di fronte.
Finalmente, dopo qualche minuto, infilò la chiave nella toppa, chiudendosi immediatamente la porta dietro le spalle. Scalciò via i tacchi alti, lanciò la borsa e le chiavi da qualche parte e, stringendo ancora tra le mani quella bustina, si diresse verso la cucina.
Finalmente un’altra estenuante giornata di lavoro si era conclusa.
Eppure quella, non era esattamente, una giornata come le altre…
Diede un’occhiata al suo vestito nuovo. Quello stronzo, le aveva persino versato del vino addosso! Avrebbe dovuto mandargli il conto della lavanderia!
Certo, passare il giorno del suo ventottesimo compleanno a dare la caccia ad un criminale, non era proprio la sua idea di “festa”, ma si era dovuta accontentare.
Sbuffò ed estrasse dalla bustina, il piccolo cupcake, che aveva comprato prima di tornare a casa.
Bene.
Fortunatamente era ancora tutto intero. La donna lo ammirò, soddisfatta per qualche secondo. Sicuramente era la cosa più vicina ad una torta che avrebbe mai potuto preparare.
L’uomo dietro il bancone, le aveva perfino regalato una piccola candelina.
Da quando, anni prima, era finalmente uscita dal sistema di adozioni, non si era quasi mai soffermata a festeggiare il suo compleanno. Dopo Neal, dopo la prigione, aveva cose ben più importanti a cui pensare.
E poi, probabilmente non l’avrebbe mai ammesso, neanche a se stessa, ma quel giorno, le metteva tristezza, rabbia, solitudine. Quasi come il Natale o la Pasqua.
Quel giorno, più degli altri, le domande che di solito racchiudeva in un angolo remoto della sua mente, si facevano più insistenti, lampeggiavano di più, trascinandola sul fondo delle risposte mai ricevute.
Dopo anni, però, aveva imparato a farsene una ragione. Non avrebbe mai scoperto chi fossero i suoi genitori, né perché quello stesso giorno di ventotto anni prima, avevano deciso di abbandonarla sul ciglio di una strada.
Così, da qualche tempo ormai, aveva deciso di rompere quella stupida tradizione di non festeggiare il suo compleanno. Non aveva mai organizzato nessuna festa (anche perché non avrebbe saputo neanche chi invitare), ma anche lei, Emma Swan, meritava un giorno speciale.
Accese la piccola candelina e si posizionò di fronte al bancone. Fissò quel minuscolo dolcetto per qualche secondo, poi chiuse gli occhi ed espresse un desiderio.
Il suo unico desiderio dacché aveva memoria.
Perché non importava quante bugie dicesse a se stessa, la verità era una soltanto. Nessun essere umano è fatto per restare da solo e di certo, Emma Swan, per quanto cercasse di non darlo a vedere, non era un’eccezione.
Quella sera, circondata da una casa vuota e riscaldata solo dal calore di una piccola candelina, poté abbassare per un po’ quelle solida mura dietro alle quali si era barricata per anni e ammettere che sì, anche lei aveva bisogno di non essere più sola.
Soffiò.
Un’istante dopo, il campanello suonò.
Emma lanciò un’occhiata all’orologio, sorpresa, chi poteva mai essere a quell’ora?
Scalza, si diresse verso la porta.
La spalancò e si guardò intorno. Strano, non c’era nessuno.
«Ehii! Sono quaggiù!»
Emma sobbalzò. Abbassò lo sguardo e incontrò due occhi nocciola intenti a fissarla intensamente.
«Ragazzino! Mi hai fatto spaventare!» mormorò la donna, appoggiandosi allo stipite della porta.
«Grande! Era questo l’intento! Dolcetto o scherzetto?» chiese sorridendo, porgendole un piccolo cestino a forma di zucca.
Solo allora, Emma notò che indossava un piccolo costume da… Peter Pan?
«Sbaglio o sei un po’ in anticipo per Halloween?» domandò, incrociando le braccia al petto.
Proprio in quell’istante, un uomo completamente vestito di nero, si avvicinò correndo verso di loro.
«Henry! Ti avevo detto di aspettarmi!» gridò, fermandosi accanto al ragazzo e scompigliandogli i capelli.
«Scusa Capitan Uncino, ma sei troppo lento per acciuffarmi!» rise, cominciando a punzecchiare l’uomo con il piccolo flauto che aveva attaccato alla cintura.
Emma si permise di fissare l’uomo per qualche secondo. Stava cercando di evitare i colpi del ragazzo, attaccando a sua volta con… un uncino? Oh sì, che fortuna, Peter Pan e Capitan Uncino avevano bussato alla sua porta e non era neanche il giorno giusto.
Si schiarì la gola, così da attirare la loro attenzione.
I due, si fermarono immediatamente.
L’uomo puntò i suoi grandi occhi in quelli della donna e solo allora Emma si accorse che erano di uno strano colore blu, quasi più blu del cielo. Forse la misero in soggezione. Altrimenti perché il suo cuore si ritrovò a battere ad un ritmo più veloce del normale?
«M-mi scusi…» balbettò, grattandosi la nuca con l’uncino e la donna la trovò una delle cose più buffe e allo stesso tempo sexy che avesse mai visto.
«…Sbaglio o Halloween è tra qualche giorno?!» chiese Emma, con il tono più scettico che riuscì a usare.
«Sì! Ma domani io e papà partiamo e non potremo fare “Dolcetto o Scherzetto” sulla nave, così ho chiesto a papà se potevamo vestirci oggi, visto che avevamo già preso i vestiti e…»
«Henry» lo ammonì il padre.
«Ti ho detto tante volte che non puoi annoiare tutte le persone che incontri con la storia della tua vita! La signora non ha sicuramente tempo da perdere…»
«Signorina…» lo corresse Emma, spinta dallo stupido bisogno di dirgli che no, lei non era sposata, figuriamoci!
«Piacere, Emma» porse loro la mano e il bambino l’afferrò immediatamente, riservando una linguaccia al padre che inevitabilmente, alzò gli occhi al cielo.
«Io sono Henry! E questo qui è mio padre, Killian!»
Dopo aver sciolto la presa, Emma strinse la mano dell’uomo, sforzandosi di sorridere. La trovò calda e grande, piena di gioielli perché dopotutto era un pirata, ma rassicurante. Una di quelle mani nelle quali potresti anche perderti. Una di quelle mani che potrebbe perfino ricondurti a casa.
Oh Emma, andiamo, cosa diavolo vai a pensare?!
«Piacere!» mormorò.
«Abitiamo qualche piano sopra questo, ma tu devi essere nuova vero? Non ti abbiamo mai visto… vero papà?» chiese Henry, sbirciando dietro le spalle della donna.
L’uomo scosse la testa, ancora spiazzato da quei grandi occhi verdi che continuavano a fissarlo.
«Sì, mi sono trasferita qui da poco… prego, entrate pure!»
Le parole fuoriuscirono prima che Emma potesse rendersene conto e maledirsi da sola, ma ormai il danno era fatto. Il piccolo era già entrato, accendendo tutte le luci dell’ingresso. Emma lo fissò sorridendo per qualche secondo, poi la voce dell’uomo dietro di lei, la distolse dai suoi pensieri.
«Scusaci ancora… Ce ne andremo non appena riesco a convincere Henry che Capitan Uncino vuole invadere l’Isola-che-non-c ’è!»
Emma rise e Killian pensò che fosse uno dei sorrisi più piccoli che avesse mai visto. Accennato, quasi timoroso di uscire allo scoperto, un semplice movimento di labbra che gli fecero capire che quella donna, nascondeva molta più tristezza di quanta ne avrebbe mai voluta dimostrare. Si insinuò in lui, il folle desiderio, di farla ridere, ridere veramente, con gli occhi, non solo con le labbra. Pensò che sarebbe stata veramente bella, con uno di quei sorrisi dipinti in faccia.
«Non ti preoccupare!» lo rassicurò la donna.
«E questo cos’è?» gridò Henry dalla cucina.
Emma e Killian si diressero verso di lui e lo trovarono intento a fissare il piccolo cupcake abbandonato sul bancone.
«Oh» mormorò la donna, conscia che avrebbe dovuto dar loro una spiegazione.
«Oggi è il mio compleanno…» sussurrò, imbarazzata.  
«Cosa?!» gridarono in coro padre e figlio.
«Auguri!» esclamò il piccolo, precipitandosi ad abbracciarla e stampandole un bacio sulla guancia.
«Grazie…» rispose. Com'era possibile? A quel bambino erano bastati dieci minuti per volerle bene, mentre a lei, a lei servivano giorni interi, forse settimane, mesi, persino anni per voler veramente bene ad una persona.
Percepì la mano calda dell'uomo dietro di lei, sulla spalla e si voltò.
«Auguri!» mormorò anche lui, sorridendo. Di nuovo, quello strano senso di calore, si insinuò in lei.
Sorrise.
Questa volta, Killian se ne accorse, fu un sorriso vero, un sorriso bello e pieno. E lui, come sempre, non aveva fatto niente! Il merito era tutto di quel dongiovanni di suo figlio. Ormai doveva arrendersi all'idea che egli avesse ereditato buona parte del suo patrimonio genetico, compreso il carattere.
Non che gli dispiacesse più di tanto...
«Henry, adesso credo che sia meglio togliere il disturbo...» cominciò, ricordando a se stesso le sue responsabilità.
Il bambino guardò Emma e poi il padre. Poi annuì, tristemente. Quell'Halloween anticipato, si sarebbe concluso senza neanche l'ombra di un dolcetto. Però, tutto sommato, non era stato poi così brutto…
Emma era lì, ferma a fissarli. Una parte di lei, quella razionale forse (anche se non ne era neanche tanto sicura), continuava a ripetersi che era un bene che se ne andassero, che togliessero il disturbo, così che lei potesse finalmente tornare a dedicarsi a quel grigio tepore della sua solitudine.
«No!» urlò, forse un po’ troppo.
I due, si voltarono spaventati.
Emma pensò, per una frazione di secondo, a quanto dovessero sembrare buffi per il resto del mondo: un bambino e un uomo grande e grosso, mascherati, il 23 ottobre. Per lei, invece, erano la cosa più bella che avesse mai visto. Quante volte, da bambina, avrebbe voluto andare a fare “Dolcetto o Scherzetto”, assieme a suo padre?
«Se vi va, potete restare...» cominciò la donna, cercando di sembrare il più convincente possibile.
«Insomma, possiamo dividere il cupcake in tre... è davvero troppo grande e non riuscirei a mangiarlo tutto da sola...»
Una bugia. Killian lo sapeva. Eppure non batté ciglio, sorrise anzi, felice di poter passare più tempo assieme a lei.
Gli occhi di Henry si illuminarono e in men che non si dica, ritornò in cucina e prese posto sullo sgabello dove, qualche minuto prima, Emma aveva espresso il desiderio di non essere più sola.
Gli altri due lo seguirono.
Emma rise ancora.
Killian se ne accorse, ancora.
Certo che quel costume era davvero caldo!
Osservò la donna dividere con minuziosità il dolcetto in tre pezzi. Henry, ne addentò subito il primo, ricevendo un'occhiataccia da parte del padre.
«Prego, serviti pure!»
L'uomo ringraziò, accettando di buon grado il dolce al cioccolato. Prima di portarselo alle labbra però, i suoi occhi incontrarono quelli grandi di suo figlio che chiaramente, lo stavano implorando di lasciargli finire la sua parte di cupcake.
Sbuffò, porgendogli il dolce, che ovviamente, il bambino divorò in un sol boccone.
Emma sorrise ancora, di fronte a quella manifestazione d'amore. Non sapeva come altro definirla, in realtà. Non aveva mai provato l'amore di un genitore, quell'amore vero e incondizionato che non può mai sparire, che, a dispetto del tempo o della distanza, dura per sempre.
I suoi genitori, quell'amore, l'avevano reciso prima ancora che potesse cominciare.
Sorrise, sì, ma tristemente.
Killian alzò lo sguardo su di lei e se ne accorse.
Quanti sorrisi aveva quella donna? In dieci minuti, ne aveva cambiati tre, forse quattro!
Qual era la sua storia?
«Grazie Emma!» mormorò il bambino, leccandosi i baffi.
«Se non fosse stato per te, a quest'ora non avremmo mangiato neanche un dolcetto!»
«Be' sicuramente non ti avrebbe fatto male, visto che ne mangi a quantità industriali tutti i giorni!» lo rimproverò il padre.
«Figurati! - sorrise - mi dispiace soltanto che non ho nient'altro da offrirvi...» mormorò, incamminandosi verso la dispensa che, come si aspettava, era completamente vuota, tranne per qualche biscotto integrale.
«Hai del succo d'arancia?» chiese allora il bambino, dirigendosi verso il frigo.
«Oh, eccolo!» esclamò trionfante, tirando fuori una grande bottiglia di plastica.
«Henry! Ricorda che non sei a casa tua! Scusalo Emma... è un po’ troppo… espansivo…»
«Non c'è problema, davvero...»
Il suono del suo nome, pronunciato dalla sua voce, era una strana combinazione. Non riusciva a capire se le piacesse o meno, o forse non voleva ammetterlo.
Il bambino fissò di colpo l'orologio.
«Oh no! Sono già le nove! Posso accendere la tv? Oggi c'è l'ultima puntata del mio show preferito! Papà come hai fatto a dimenticarlo?!»
Killian strabuzzò gli occhi.
«Non posso ricordarmi sempre tutto, signorino! Gli impegni sono i tuoi, non i miei!»
Il bambino sbuffò e si precipitò in salotto, inciampando su una coperta di pile abbandonata sul tappeto e adagiandosi (poco aggraziatamente) sul divano bianco.
«Ballando con le stelle? Davvero?» rise Emma.
Killian rise con lei.
Cinque sorrisi.
Da quando aveva cominciato a portare il conto?
Alzò le spalle.
«Lo vedeva con sua madre... E' un modo per ricordarla, adesso che lei non c'è più...»
«Oh»
Emma abbassò lo sguardo.
«Mi dispiace…» sussurrò, poggiando la mano su quella di lui, che nel frattempo si era tolto l’impiccio dell’uncino.
«Non preoccuparti...» mormorò, fissando quella strana combinazione di mani.
Il silenzio calò su di loro, non senza imbarazzo. Emma ritirò la mano, chiedendo cosa diavolo le fosse saltato in mente.
Killian sentiva questa strana voglia di confidarsi con lei, di raccontarle tutto.
Voleva conoscere quella donna dai mille sorrisi e voleva che lei conoscesse lui, che si fidasse.
«Sai, qualche anno fa, Henry bussò alla mia porta, sostenendo fosse mio figlio. La sua mamma, purtroppo era morta e lui non aveva più nessuno. Ero sconvolto! Non riuscivo a capire come fosse possibile… Se mi avessi conosciuto prima, avresti saputo che non ero esattamente il tipo adatto a fare il padre...»
«E adesso?»
«Adesso, non posso farne a meno. Ho smesso di farmi domande e ho lasciato che lui entrasse nella mia vita e la sconvolgesse. Adesso, ho messo la testa a posto...» sorrise ancora, grattandosi la nuca.
«Sono felice per te, Killian>> mormorò Emma, gli occhi inspiegabilmente lucidi. Cosa sarebbe successo se fosse capitato a lei? Se un bambino, un giorno, si fosse presentato alla sua porta, sostenendo fosse il suo?
«Che strana la vita, eh?» sussurrò l’uomo, posando gli occhi sulla figura del bambino disteso sul divano bianco.
«E sua madre?» chiese Emma, non riuscendo a contenere quella maledetta curiosità che da sempre la contraddistingueva.
«Cosa le è successo?»
«Gli assistenti sociali dicono sia morta... alle volte, ho qualche dubbio... Io, non la ricordo…»
«Cosa?» urlò Emma, spalancando gli occhi. Già si era immaginata una di quelle storie strappalacrime, in cui i due innamorati sono costretti a separarsi a causa di forze maggiori, non prima di aver condiviso una notte di folle passione e come sempre, aver concepito un figlio.
Questa, sicuramente, era l’ultima cosa che si aspettava.
«Come fai a non ricordarti una donna che hai messo incinta?» sbottò Emma, cercando di abbassare il tono di voce per non far allarmare il bambino nell’altra stanza.
«Non lo so! Credimi, è surreale, me ne rendo conto! Ma più guardo la foto, più mi sembra di non conoscerla…»
«Devi aver avuto davvero molte donne…» mormorò a bassa voce, sperando che non la sentisse.
L'uomo alzò un sopracciglio.
Lei distolse lo sguardo. Dopotutto, a lei non importava, giusto?
«Hai fatto qualche test, immagino...»
«No»
Di nuovo, la sua risposta, la colse alla sprovvista.
Ma cosa aveva quell’uomo? Cosa gli passava per la testa?
Spalancò gli occhi, curiosa. Il verde, di nuovo nell'azzurro.
«No?!» ripeté.
Killian distolse lo sguardo e lo puntò sulla figura del bambino, disteso sul divano.
«Te l’ho detto: ho smesso di farmi domande, ho capito che non mi interessa... Io sono suo padre, Milah era sua madre. Questo mi basta...»
Milah. Che strano nome.
Assunse la solita espressione meditabonda, quella seria e professionale, che utilizzava a lavoro.
«E tu? Qual è la tua storia, Emma?» chiese Killian, ritornando a puntare i suoi occhi in quelli di lei.
La sua voce, la sorprese ancora una volta. Quella strana scelta di parole, come se lei fosse una storia, una storia da raccontare.
Che idiozia!
Forse un horror, una storia da raccontare ai bambini per spaventarli. Un po’ come Cappuccetto Rosso.
Ecco, la sua vita era tutto fuorché una storia, una bella storia da raccontare.
«Non so neanche il tuo cognome, Killian, come pensi che potrei raccontarti la mia storia?» chiese, sforzandosi di sembrare simpatica, divertente e non rivelare il nervosismo dietro quelle parole. Rinforzò i muri, aggiunse qualche mattone. Nessuno sarebbe mai riuscito a scavalcarli.
«Io l'ho fatto» disse, come fosse la cosa più ovvia del mondo.
«Tu sei diverso da me…» constatò la donna, alzando le spalle.
«Jones, Killian Jones» mormorò, porgendole la mano, dopo averla studiata per qualche secondo.
«Emma Swan» rispose.  
Afferrò la sua mano, ancora una volta, quasi ci fosse una forza misteriosa che l'attraesse inevitabilmente a lui.
Continuarono a studiarsi, a squadrarsi in silenzio. Killian cercava di leggerle dentro, di capire, di risolvere quel mistero di donna in cui si era imbattuto. Emma invece, si sforzava di non farlo entrare.
«Papi, ho sonno…»  
Henry era ricomparso in cucina, una mano sulla bocca a reprimere uno sbadiglio, interrompendo quella tacita battaglia che era scoppiata tra i due.
«Peter Pan ha già sonno? Non ci posso credere!» rise l'uomo, attirandolo verso di sé e scompigliandogli i capelli.
«Domani dobbiamo partire! Devo essere in forma!» si giustificò il bambino.
«Hai ragione, campione! Su, saluta Emma, ringraziala e torniamo a casa…»
Il bimbo annuì.
«Ciao ragazzino! E' stato un piacere conoscerti!» lo salutò la donna, piegandosi a stringergli la mano.
«Ciao Emma! Grazie per aver condiviso con me e papà il tuo dolcetto di compleanno! Mi dispiace che domani tu non possa partire assieme a noi, saresti la nostra Wendy!»
Emma si sforzò di sorridere.
«Dove andate?» chiese, cercando di sembrare gentile e sì, fissando Killian di sottecchi.
«Papà è il capo...»
«Capitano» lo corresse l'uomo.
«...capitano di una nave e domani parte e siccome io sono piccolo e non posso restare da solo, vado con lui! Papi, sei sicuro che Emma non può venire con noi?»
Killian si grattò la nuca, imbarazzato.
«No… cioè sì… In effetti il posto ci sarebbe ma…»
Cosa?
«Quanto tempo starete via?»
Perché il suo cuore aveva cominciato a battere più veloce del normale? Perché, il suo cervello, non riusciva ad elaborare una facile via di fuga, da quella scomoda situazione?
«Fino al Ringraziamento!»
«Cinque settimane…» lo corresse Killian.
«Ti prego, ti prego! Vieni con noi!» la pregò il bambino ed Emma riconobbe lo stesso sguardo implorante che aveva quando aveva convinto il padre a dargli la sua porzione di dolcetto. Diamine, aveva ragione! Era davvero difficile resistergli!
«I-io, non so se sia il caso...»
«Ti prego!» ripeté il bambino, avvinghiandosi alla sua vita.
Emma guardò Killian in cerca di aiuto. Ma tutto quello che trovò fu un altro paio di occhi che la guardavano con lo stesso sguardo implorante. Scherziamo?
L'uomo sembrò ritornare in sé.
«Henry, non puoi obbligare la gente a fare ciò che vuoi…» mormorò e ad Emma il suo tono parve triste, perfino più di quello di suo figlio. Forse, l’aveva solo immaginato.
«Ti ho obbligato a vestirti da Capitan Uncino!»
«Non è vero, è stata una mia libera decisione!» ribatté il padre.
Il piccolo sbuffò, incrociò le braccia al petto.
«Ti prego!» la pregò un’ultima volta, prima che il padre lo tirasse via.
Emma guardò ancora una volta Killian.
«Sai, puoi venire se vuoi... Partiamo alle otto! Magari sarebbe la giusta occasione per raccontarmi la tua storia, Swan...»
Emma incrociò le braccia al petto.
«Sei davvero così curioso? Credimi, non è una bella storia!»
«Tutte le storie sono belle, alcune più di altre…»
«La tua lo è: hai trovato qualcuno che ti ha salvato la vita...»
«Forse l'hai trovato anche tu! Solo che sei troppo cieca per rendertene conto...»
Le parole aleggiarono per qualche secondo tra di loro.
«Buonanotte, Emma»
«Buonanotte, Killian»
Chiuse la porta, solo quando non riuscì più a scorgere la figura nera dell’uomo. Sbarrò gli occhi.
Tutto quello che riusciva a sentire era il suo muro creparsi.
 
 
Ok, forse nelle “avvertenze” iniziali avrei avvertirvi veramente! xD
Forse vi starete chiedendo cosa avete appena letto! Bene, non lo so neanche io! Il mio cervello ha partorito questa pazza e folle idea e io non ho fatto altro che metterla per iscritto.
Insomma, tutti ci siamo chiesti, almeno una volta, cosa sarebbe successo se il nostro bel Capitano fosse entrato in scena sin dalla prima stagione…
Secondo voi, cosa farebbe Emma se si trovasse in questa situazione? :)
Spero che, nonostante tutto, vi sia piaciuta e sarei davvero felice di leggere i vostri pareri!!
Ringrazio come sempre chi lo farà, chi l’ha già fatto, chi legge silenziosamente e chi inserisce nelle varie categorie! GRAZIE!
La finisco qui!
Buon primo ottobre a tutti!
Un bacione
Kerri :-*
 
 
PS: OUAT è ritornato col botto! Ho adorato la premiere! Questa, si prospetta una lunga e interessante stagione! 
   
 
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