Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Robin Nightingale    01/10/2015    2 recensioni
Piccola raccolta di ricordi.
Kanon di Gemini ricorda vari momenti della sua vita: dall'infanzia, all'adolescenza, alla sua vita al Santuario e, soprattutto, ciò che di più prezioso possiede.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il giorno in cui nonna è morta, è stato decisamente il più traumatico della mia vita.
Non amavo quella donna e il giorno del suo funerale mi ha anche fatto capire che non mi sarebbe mancata affatto.
I miei parenti piangevano, persino mio padre, che mai al mondo si sarebbe mostrato così fragile, aveva abbandonato la sua immagine dura e severa, mostrando il suo dolore.
Casa mia non era mai stata così affollata come in quel momento; era grande la mia famiglia e non me lo sarei mai aspettato, la maggior parte di quelle persone non le conoscevo nemmeno.
Parlavano tra di loro, elogiavano quella vecchia, descrivendola come una donna buona, comprensiva ed amorevole. Avrei tanto voluto rispondere e dire loro quante volte mi ha colpito con il suo bastone, quante volte mi ha tirato per i capelli, o per le orecchie, senza una valida ragione. Inciampava sui miei giocattoli e mi urlava contro…questo era divertente, per me, ma stranamente non avevo alcuna voglia di ridere.
Ero seduto sulla scala e guardavo il salone sottostante, dove sempre più persone, più o meno conosciute, entravano per omaggiarci delle loro condoglianze.
Nessuno di loro si è avvicinato a me, nessuno di loro mi ha rivolto la parola o un semplice sorriso; non mi serviva, perché io non ero addolorato, ma avevo come l’impressione di essere invisibile.
Tu, invece, che eri rannicchiato su una delle poltrone, piangevi a dirotto; il tuo viso era rosso come il cuscino che stringevi e nulla sembrava calmarti.
Mi chiedevo perché mai una tale reazione da parte tua; poi, riflettendoci, tu e nonna eravate molto legati: lei ti prendeva in braccio, ti cullava, ti spingeva sull’altalena, ti preparava biscotti in abbondanza ed evitava accuratamente di farli mangiare a me.
Voi due eravate felici; quando tu eri nei paraggi, la nonna era molto più amorevole, e finalmente riuscivo ad identificarla con la descrizione data dai nostri parenti.
In quel momento mi scappò una lacrima, e non perché provassi nostalgia per quella megera, ma perché avrei voluto che quei momenti felici fossero stati anche i miei.
Piangevi dalla sera precedente e da allora non mi sono mai avvicinato a te; volevo aiutarti, ma non sapevo neanche cosa dire: io ero del tutto lucido ed indifferente e non capivo affatto le tue reazioni, non potevo certo consolarti.
Mi sono sentito fuori posto. Le mie reazioni erano sbagliate, forse.
Era morta mia nonna e per me era un giorno come un altro: qualcosa non andava in me, pensai.
Mi sono sentito cattivo, come mi hanno sempre dipinto; mi sforzavo di essere triste, dispiaciuto, ma non riuscivo a provare nulla di tutto ciò.
Lei non mi mancava e non mi sarebbe mai mancata, era inutile nasconderlo.
A differenza mia, tu avresti sofferto per un po’ e questo mi dispiaceva, oltre ad infastidirmi. Non riuscivo a vederti così, probabilmente, eri l’unico motivo per stare male quel giorno.
Ogni tua lacrima era come un pugno allo stomaco per me.
I parenti ti avvicinavano, ti sussurravano parole affettuose e ti abbracciavano; cercavano di farti sorridere, ma invano, poi, una volta finite quelle stupide cerimonie di circostanza, ti lasciavano nuovamente da solo.
Io osservavo la scena dall’alto e dubitavo fortemente che a molti di loro stava davvero a cuore sapere delle tue condizioni; sapevo benissimo che si avvicinavano solo per forma, eppure tu sembravi gradire ugualmente.
Per quanto mi riguarda, questi semi-sconosciuti, mi rivolgevano solo uno sguardo di sufficienza; alcuni sorridevano malinconicamente, fingendo di essere dispiaciuti per me, altri mi salutavano con un gesto del capo, per poi scomparire per sempre dalle mia vita.
Li ho fulminati tutti con lo sguardo, perché anche se non ne avevo bisogno, o non mi interessava, non riuscivo a capire perché mai io non meritassi le stesse tue attenzioni.
Solo uno strano tipo mostrò un vero interesse per noi due.
Era entrato in casa in punta di piedi, con indosso un impermeabile nero completamente zuppo. Il suo volto era coperto e nessuno sembrava conoscerlo, nonostante questo si era presentato come un nostro lontano parente proveniente dall’estero.
Non me lo ricordavo, ma in verità io non ricordavo nessun membro della mia famiglia.
Entrò e passò del tutto inosservato ai miei occhi, fino a quando non hai smesso di piangere e ti sei drizzato sulla schiena al solo vederlo.
Avevo l’impressione che vi conosceste, tu hai sempre avuto più memoria di me, dopotutto; io non riuscivo proprio ad inquadrare quell’uomo, fin troppo strano per i miei gusti.
Ero troppo lontano per riuscire a sentire qualcosa, ma ero più che sicuro che non nessuno di voi due avesse aperto bocca. L’uomo si limitò soltanto a poggiarti la mano sul capo e andare via.
A differenza degli altri, non si voltò verso di me, ma si avviò verso l’altra stanza ignorandomi totalmente.
Lo insultai mentalmente, per poi decidermi a scendere da te, ma prima che potessi alzarmi, me lo trovai davanti.
Strano che non mi fossi accorto di nulla, eppure ero sicuro di non averlo visto salire.
Lui si inginocchiò, e anche se il suo volto era coperto sia dal cappello, che da una pesantissima sciarpa, i suoi occhi erano ben visibili, e non erano solo tristi, ma anche sinceri.
Erano di un azzurro molto chiaro, tanto che riuscivo a vedere il mio riflesso in essi; improvvisamente mi prese una fitta allo stomaco, che divenne sempre più forte quando poggiò la mano sulla mia testa.
In quel momento provai la tua stessa sensazione: io e quest’uomo c’eravamo già visti da qualche parte, ma non riuscivo a capire dove.
So solo che la sua presenza, per un attimo, mi aveva riempito il cuore…di gioia? Speranza? Sì, forse quest’ultima.
Era bello sapere, o anche solo illudersi, che al mondo vi era qualcuno a cui importava anche di me.
Ho ricambiato il suo gesto con un sorriso felice, come mai ne avevo fatti nella mia vita, pur sapendo che in quel giorno non vi era nulla per cui ridere; lui ricambiò appena, i suoi occhi erano sempre colmi di tristezza e se solo fossi stato più attento, mi sarei anche accorto che erano appena lucidi.

<< A presto >>

Sussurrò addolorato quelle parole, per poi alzarsi e scendere le scale.
Prima di andarsene si voltò ancora una volta verso di noi, mostrando compassione, ed infine uscì.
Ti sei alzato e sei corso alla finestra nella speranza di intravederlo, ma era già scomparso nel nulla. Eri ormai tranquillo, le tue lacrime si erano asciugate, ma il dolore per la perdita di nonna era ancora percettibile.
Sei salito in camera senza neanche degnarmi di uno sguardo; a quel punto ti ho seguito, nonostante sapessi che non volevi vedere nessuno, neanche tuo fratello.
Mi sono fermato quando ti ho sentito chiamare da lei; ho sceso i primi tre gradini e mi sono nascosto, tremante alla sola idea di farmi vedere da mia madre.
La sua voce era interrotta da singhiozzi, difatti faceva fatica a chiamarti; stava piangendo e me ne stupì, non credevo che potesse capire cosa fosse successo, ma forse l’unica cosa che mi aveva veramente stupito era  il fatto di vederla lucida.
Tu, però , non eri riuscito a sentirla e le hai sbattuto la porta in faccia.
In quel momento credo che il suo piccolo mondo, di cui tu eri il centro, si fosse appena rotto e l’imminente ritorno di frasi sconnesse e pianto isterico ne erano la prova.
Si sono susseguite le urla e le botte violente alla nostra porta, e non solo.
Terrorizzato, sono sceso ancora di più, mentre lei continuava ad urlare tirando oggetti.
Nostro padre si avvicinò, i parenti erano ormai andati via; il suo volto era tornato quello severo di un tempo, mi prese per l’orecchio e mi trascinò verso la nostra stanza.
Mi ci ha buttato dentro letteralmente, mentre intimava ad entrambi di non uscire per nessuna ragione.
Io mi massaggiavo l’orecchio, gonfio e rosso come sempre quando passavo sotto le sue mani; tu eri seduto sul mio letto, poggiato sul davanzale delle finestra, intento a guardare la pioggia che batteva sul vetro.
Mi sono avvicinato e con amarezza notai che stavi di nuovo piangendo.

<< Che cosa succede? >>

Cercavi di mostrarti forte, asciugandoti le lacrime, in modo tale che non le vedessi.

<< Ecco…tu le h-hai chiuso la porta in faccia e ha cominciato ad urlare >>

<< Capisco >>

La mia notizia ti aveva amareggiato ancora di più.

<< Non intervieni? >>

Chiesi curioso, sapendo che eri il solo in grado di calmarla; il tuo sguardo divenne ancora più cupo, mentre ti poggiavi nuovamente sul davanzale.

<< E’ meglio di no, per ora >>

Decisi di non chiederti altro; mi appoggiai anch’io sul davanzale, cercando di stringermi il più vicino possibile  a te.
Entrambi guardavamo la pioggia cadere, apparentemente senza aver il coraggio di aprir bocca, mentre dal corridoio si udivano urla straziate e oggetti che andavano in frantumi.

“E’ andato via…mi ha abbandonato…la nonna voleva solo parlare”

Non faceva altro che ripetere questa frase, e tutto ciò mi inquietava, soprattutto l’ultima parte; dal giorno dell’incidente, ho sempre avuto paura delle sue crisi e, con tutto il cuore, speravo che mio padre riuscisse a trattenerla: il solo pensiero di potermela trovare alle spalle mi terrorizzava.

“La nonna ti vuole parlare, la nonna ti vuole con te”

Più le urla aumentavano, più ti stringevi nelle spalle, fino a coprirti le orecchie con le mani. Per un attimo ho temuto una tua crisi, invece eri solo stanco di sentirla soffrire così stanco.
Ti sei gettato su di me disperato; non ti avevo mai visto così e non credevo che, prima o poi, sarebbe successo.

<< Falla smettere, ti prego! >>

Come avrei potuto fare? Non potevo avvicinarla.

<< Lei l’avrebbe calmata, perché è andata via? Perché mi ha lasciato da solo? >>

Solo. E io cos’ero per te? Non ero forse più importante?
Ti avrei preso a schiaffi. Ti avrei picchiato fino a farti sanguinare, ma non avevo il coraggio di avventarmi su di te in quelle condizioni.
Ho scoperchiato il letto e ti ho invitato a riposare; avevi inumidito il cuscino in brevissimo tempo, mentre ti appallottolavi su te stesso, ripetendo il nome della nonna.
Le volevi bene davvero e io mi sentivo sempre più sbagliato.

<< Lei non amava vederti piangere >>

Parole a vuoto. Non mi stavi minimamente ascoltando.
Decisi di lasciarti in pace, più tardi, probabilmente, ti saresti calmato e avresti avuto voglia di giocare.
Non riuscire a consolarti mi metteva a disagio, non potevo capire cosa stessi provando e, ad essere onesti, non volevo neanche provarci.
Improvvisamente, qualcosa di pesante cadde a terra e si frantumò, una porta venne sbattuta violentemente e io, che di poco avevo aperto la porta per riuscire a capire cosa stesse succedendo, vidi la figura di mio padre scendere al piano inferiore.
Prima di aprire la porta, mi sincerai che lei fosse chiusa in camera sua, e solo dopo uscì nel corridoio.

<< Papà ha detto di rimanere qui! >>

Gridasti con voce soffocata, ma io ero già sulla tromba delle scale per capire con chi stava parlando nostro padre al telefono.

<< E’ impossibile calmarla! Venite a prendere lei e il figlio, chiudeteli entrambi in manicomio, io non posso andare avanti così! >>

Papà aveva una mano insanguinata, aveva aggredito pure lui e per questo voleva rinchiuderla, ma non solo lei.
Il figlio di cui parlava non potevi che essere tu; girandomi verso sinistra, mi accorsi di non essere solo: mi avevi raggiunto e dal modo in cui balbettavi e scuotevi la testa, capì subito che non ti sfuggì neanche una parola di quella telefonata.

<< No. No, io non c’entro niente…perché mi vuole mandare via? >>

Era la prima volta che ti vedevo così spaventato, tanto da farmi pena; mi hai preso entrambe le mani e tra un singhiozzo e un tic nervoso, che non prometteva nulla di buono, mi trascinavi via verso di te.

<< Kanon, ti prego…non permettergli di mandarmi via, io non ho nulla, sono sano. Ho visto cosa fanno in quel posto, ho visto cosa facevano a mamma. Aiutami, io non sono come lei! >>

Eri quasi riuscito a convincermi, fino a quando i tuoi occhi non cambiarono colore e diventarono rossi. Prima che impazzissi del tutto, presi il tuo viso tra le mani, promettendoti che non ti sarebbe accaduto niente e che nessuno ti avrebbe portato via da me.
I tuoi occhi tornarono normali, facevi continuamente sì con la testa, e per quanto mi preoccupasse la cosa, era comunque meglio che avere a che fare con la tua controparte malvagia.
Al richiamo di nostro padre, però, sei corso via traumatizzato; l’uomo mi strattonò via con forza e si avventò su di te; ti afferrò per le spalle e caricandoti sulle sue, ti chiuse in camera, evitandoti via di fuga.
Pensavo che volesse picchiarmi come al solito, così tentai di scappare anche io, purtroppo dalla parte opposta.
Entrai in camera da letto, ma non me n’ero reso conto fino a quando non sentii mia madre cantare alle mie spalle. Cantava una ninna nanna, la stessa che ti cantava per farti addormentare.
Mi girai in lacrime verso di lei e la vidi stringere un bambolotto di pezza ormai logoro; lo guardai a lungo e riconobbi in lui il nostro primo giocattolo, o meglio, il tuo.
La nonna te lo avevo regalato quando avevi due anni, amavi giocarci, fino a quando non sei cresciuto abbastanza e hai perso ogni interesse.
Qualcuno gli aveva messo il tuo vecchio pigiama, e dal modo in cui lei vi discorreva, potevo anche immaginare chi.
La stanza era un disastro: il rumore che avevamo sentito altri non era che l’enorme specchio, che era poggiato sopra la scrivania, i suoi cocci erano ovunque, come le nostre vecchie fotografie di famiglia.
Le aveva rovinate tutte, soprattutto le tue, che presentavano vari buchi, quasi a volerti cancellare.
Solo dopo mi accorsi che mi madre aveva un grosso pezzo di vetro tra le mani, con il quale, non solo infilzava il tuo pupazzo, ma si era anche recisa i polsi.
Finita la canzone gettò tutto a terra.

<< La nonna ti vuole parlare, la nonna ti vuole bene >>

Diede un altro colpo, staccandogli la testa.

<< Ora siete insieme, ma non temere, non ti lascio solo. Non ti lascerò mai più solo, staremo sempre insieme >>

Si tagliò la gola davanti ai miei occhi.
Non mi ero neanche accorto che mio padre tentò di fermarla, avevo impresso solo il suo sangue.
Sono fuggito via prima che lui mi prendesse; intorno a me non vedevo altro che sangue e lei che moriva davanti ai miei occhi.
Ho sceso le scale in fretta, ho aperto la porta di casa e sono corso via per strada. L’ultima cosa che ricordo di aver sentito, è stato un enorme boato provenire dal piano superiore.
Correvo per le vie di Atene senza alcuna meta, con le lacrime che ormai si erano fuse perfettamente con la forte pioggia.
Le immagini erano così forti, che la vista mi si annebbiò e mi sentivo svenire; mi sono fermato in mezzo ad una piazza, di fronte ad un’enorme fontana. Le allucinazioni continuavano, l’acqua mi sembrava sangue, persino la pioggia. Credevo di impazzire.
Mi sono lasciato cadere esausto, incapace di andare avanti, e lì ho visto la figura di un uomo.
Era di spalle, di fronte a me, le braccia erano incrociate dietro la schiena, come se fosse in attesa di qualcuno; non aveva ombrello, era vestito semplicemente di una tunica bianca e un cappello nero in testa.
Lo riconobbi subito: era lo stesso uomo che era venuto a farmi visita. Credevo di sognare, forse non era nemmeno reale, dato le mie condizioni, ma non appena si voltò a guardarmi, il malore scomparve e tutto il sangue, che credevo di vedere un secondo prima, scomparve nel nulla.
Ci fissammo a lungo, sotto un incessante temporale, senza dire nulla; si tolse il cappello, lasciando cadere i capelli di un biondo quasi sbiadito lungo la schiena.
Non credevo fosse così anziano: la prima volta che lo vidi, il suo volto era talmente coperto da impedirmi di vedere quelle profonde rughe che contornavano i suoi occhi. E che strane sopracciglia che aveva.
Si inginocchiò, allungò una mano sul mio viso e mi asciugò le lacrime; la sua carezza era dolce e il pianto che la susseguì era sincero: quell’uomo piangeva per me, dimostrando di tenere a me e al mio dolore.
Ero scosso, traumatizzato, ma al contempo felice; strinsi la sua mano con forza, come a volerlo trattenere, magari per sempre. Mi lasciavo accarezzare, sentendomi benvoluto per la prima volta in vita mia e da chi poi? Da uno sconosciuto; eppure non era il termine adatto per descriverlo: in cuor mio sapevo di averlo già visto, sentivo di conoscerlo, addirittura da secoli.
La mia felicità svanì presto, non appena mi resi conto di averti lasciato solo, di essere fuggito senza portarti con me.
Dovevo tornare indietro, ma l’uomo me lo impedì.
Subito dopo qualcuno gridò il mio nome: eri tu, eri riuscito a scappare, ma ti costò un enorme sforzo, infatti, sei caduto a pochi centimetri da me privo di forze.
Il boato che avevo sentito era opera tua.
Purtroppo, papà ti aveva seguito, ti urlava di fermarti e seguirlo; per la prima volta lo vidi tirarti per i capelli e colpirti con violenza.

<< Sei un demonio! >>

Così ti aveva chiamato.
Non potevo crederci: lui ti amava, lo aveva sempre fatto, o almeno, era quello che avevo sempre pensato.
Ti sei sentito tradito, potevo leggerlo dai tuoi occhi; io, invece, preso dalla rabbia, volevo solo sottrarti dalle sue violente mani, che troppe volte avevo provato sulla mia pelle.
L’anziano me lo impedì nuovamente; mi strinse la mano e con sguardo severo e con il solo ausilio di una mano, creò un’onda di forza ben bilanciata per colpire solo nostro padre e lasciarti illeso.
La sua forza mi diede i brividi. La luce dorata che emanava era la stessa della tua, io potevo toccarla con mano e percepirne la grandezza: non era un semplice vecchietto, ne avevo avuto la conferma.
Una volta tramortito papà, ti sei alzato e l’hai fissato a lungo; avevi lo stesso sguardo di prima, come me sentivi di conoscere l’uomo che avevi di fronte, qualcosa ti legava a lui. Fin troppo.

<< Shion… >>

Sussurrasti il suo nome, lasciando entrambi basiti, infine ti sei gettato tra le sue braccia, disperato e provato.

<< Perché ci hai messo tanto? >>

Singhiozzavi, mentre io percepivo il tuo dolore e piangevo con te.
Non ti ho mai chiesto il perché di quella domanda, se davvero eri a conoscenza del suo arrivo, o qualcosa dentro di te ti aveva suggerito qualcosa.
L’uomo ricambiò il tuo abbraccio, anche se un po’ interdetto. Sorrise appena, consolandoti come avrebbe dovuto fare un vero padre.
C’era un legame profondo che vi univa, ne ero sicuro, tanto da sentirmi di troppo ancora una volta.
Lui mi tirò a sé, stringendo anche me in quel tenero abbraccio, che non si sciolse fin quando le nostre lacrime non si esaurirono. Ero stato accettato, proprio come te.
Il giorno in cui nonna è morta, il giorno del suo funerale, non lo scorderò mai: quel giorno aveva messo fine a tutto, persino al mio dolore. Il mondo ostile in cui ero nato era finalmente giunto al termine, non vi era più nessuno che poteva farci del male.
Eravamo solo io e te, insieme, per sempre. 


Note
Bentrovati miei cari lettori, buon inizio di Ottobre.
Sono tornata con un altro dei miei capitoli preferiti, sì, lo so: sto torturando Kanon, me ne rendo conto...ma adesso è felice, o no?
Preferito che ottiene il primato di capitolo più lungo e un pizzico della mia antipatia.
E con l'arrivo di Shion, si cambia scenario. Era ora.
I colori del Grande Sacerdote sono quelli del manga, e anche se non lo dico, anche quelli dei gemelli...a Kurumada piacciono i biondi.
In attesa di scoprire quanto durerà questo "per sempre", io vi auguro una buona lettura e una buona notte.
Un bacio e a presto.
 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Robin Nightingale