La fine di un'estate

L'estate stava finendo e per questo decisi di fare una passeggiata sulla spiaggia alla quale mi ero tanto affezionata e che non avrei rivisto per molto tempo, dal momento che gli anni successivi sarei andata in un'altra località di mare dove i miei genitori avevano comprato casa. Di solito il giorno era affollata e piena di gente, perciò aspettai fino alla sera per darle un ultimo saluto. Così, dopo aver posato la bici, con la quale la raggiungevo sempre, nell'apposito parcheggio, mi distesi a terra ad ammirare il paesaggio. Attorno a me, chilometri e chilometri di granelli di sabbia fine e chiara, quasi bianca, e, per via del tardo orario, anche piacevolmente tiepida. Sulla riva, migliaia di conchiglie colorate, granchi e paguri, che cercavano di prendere la più grande per farne una casa. Sulla sinistra, invece, uno scoglio, sul quale troneggiava, imponente, un faro, che, con la sua luce, abbracciava tutto l'ambiente. Alle sue spalle, come a fargli da sfondo, una zona verdeggiante costituita da piante della macchia mediterranea attraverso le quali si poteva intravedere una piccola casa, forse quella del guardiano. Dietro di essa spiccava un promontorio dalle cime alte ed aguzze che, man mano che si avvicinavano all'acqua, si abbassavano sempre di più fino a sparire nell'orizzonte. E infine, lo spettacolo per il quale ero venuta, il mare, quel giorno stranamente calmo. Sembrava riflettere, oltre ai raggi del sole, anche il mio stato d'animo malinconico e triste per la mia imminente partenza. Era di una bellezza inimmaginabile, forse perchè era il tramonto. Infatti, in quell'orario si tinge dei colori più belli che vanno, con varie sfumature, dal blu, al viola e all'arancione del sole che stava calando simboleggiando, oltre alla fine della giornata, anche quella della mia permanenza in quel luogo meraviglioso. A rendere l'atmosfera migliore, il fatto che non ci fosse traccia di persone che mi faceva provare pace, calma e tranquillità. A spezzare questo silenzio, quasi surreale, l'infrangersi delle onde, una dolce musica che sembrava una voce che mi chiamava. L'aria era fresca e pulita e, di tanto in tanto, una leggera brezza mi accarezzava il viso scompigliandomi i capelli e mandandomi quell'odore salmastre tipico del mare che è un incrocio fra la salsedine, le alghe e i pesci. Mentre ero lì a cercare di fotografare nella mia mente ogni singolo dettaglio di quella splendida immagine, i miei pensieri vagavano liberi, proprio come i gabbiani che volteggiavano davanti a me facendo piroette e sfiorando appena quell'immensa distesa d'acqua. Non potevo fare a meno di sorridere, ripensando a tutti i bei momenti vissuti lì. Ricordavo di quando costruivo castelli di sabbia o giocavo a pallone con mio fratello, di quando raccoglievo conchiglie per fare collane, di quando supplicavamo nostra madre per poterci fare il bagno anche se lei diceva di no perchè avevamo da poco mangiato, delle belle nuotate e giochi in acqua quando riuscivamo a spuntarla e delle belle gite in pedalò. Quanti bei tuffi al largo in quel mare cristallino e quanti non fatti per via delle meduse... Fra tutti questi miei pensieri ce n'è, però, uno un po' amaro che mi fa notare che non starò lì per sempre, che, prima o poi, me ne dovrò andare e che, forse, non ritornerò lì mai più.