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Autore: Castiga Akirashi    03/10/2015    1 recensioni
- ATTENZIONE: questa storia è il seguito di Black Hole. Se non avete l'avete letta, la comprensione potrebbe risultare difficile. -
Due anime gemelle sono due metà che si compongono.
Una non può vivere senza l'altra.
Raphael ha perso la sua e, ora, la sua unica gioia è Lily.
Ma capirà presto che non è mai troppo tardi per essere felici...
Questa storia è un po' diversa dalle altre sui Pokémon... diciamo che ci sono lotte, ci sono Pokémon ma c'è anche altro. Ho cercato di inserire il più possibile inerente all'argomento.
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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La settimana dopo, per Lily fu una persecuzione. Da ogni angolo sbucava quel ragazzo, con ogni tipo di invito possibile e lei ogni volta rifiutava, un po' scontrosa per via della sua snervante insistenza. Così, per evitare altri agguati, si rifugiò in classe, non uscendo più per farsi un giro.
«Sai chi è un certo Joshua Blade?» chiese a Felix, l'ennesima ricreazione confinata in aula.
«Non ne ho idea. Ne so quanto te della gente che c'è qui.» rispose lui, ma una voce si intromise: «Posso risponderti io!»
I due si voltarono e videro una ragazza venire loro incontro, sorridente, tendendo la mano. Lily l’aveva intravista spesso, dato che era una vera e propria secchiona. Faceva continuamente domande e si interessava di tutto ciò che si faceva a lezione.
«Io mi chiamo Amanda.» si presentò, per poi aggiungere: «Scusate l'interruzione.»
«Tranquilla.» rispose Lily, stringendo la mano e presentandosi a sua volta: «Io sono Lilith Grayhowl e lui è il mio amico Felix.»
La ragazzina sorrise, riconoscendo di fama il padre della compagna di classe, ma poi si fece seria e la mise in guardia, dicendo: «Stai attenta a Joshua. È un ragazzo di quarta che non fa altro che allungare la sua lista di conquiste.»
Lily annuì, rispondendo: «Lo immaginavo. Sono giorni che mi perseguita con questa storia della moto. Mi ha stufata.»
«Hai rifiutato un giro con lui?! Sei la prima che sento!» esclamò la nuova amica, meravigliata da quella scoperta.
Seccata, la ragazzina aggiunse: «Non sono un numero e uno che ti chiede un giro in moto prima ancora di presentarsi non è affidabile. Lezione numero uno di mio papà.»
«Eh certo… con un papà avvocato non sei di sicuro una sprovveduta.»
Lily ridacchiò, annuendo, e fece volentieri amicizia con quella compagna di classe. Era molto simpatica e si trovavano bene insieme. Uscì però solo finite le lezioni e andati via quasi tutti, per evitare problemi, ma, ovviamente, la sua bionda persecuzione riapparve. Prima ancora che lui potesse dire qualunque cosa, lei gli scoccò un'occhiataccia e sbottò: «Blade mi hai stufata. Non so cosa ti sia messo in testa, ma io non sono un numero.»
Facendogli il giro intorno, prese e si incamminò sulla via principale. Non si accorse però che Joshua, per nulla seccato dalla risposta, la stava seguendo furtivo. Non riuscendo a convincerla, era passato al metodo “seguila e guarda cosa le piace”. Lily andò come sempre al carcere. Era ora di raccontare alla mamma di quel tipo e magari chiederle consiglio su cosa fare per levandoselo di torno, anche se temeva varie soluzioni, tutte con almeno due litri di sangue sparso ovunque. Così, controllando che nessuno la vedesse, entrò mettendo il suo calco al posto della chiave e inserendo rapida la password. Blade si nascose lì fuori, decisamente perplesso, osservandola sparire dietro al portone blindato.
“Ha un galeotto come fidanzato?” gli venne da pensare, non riuscendo a capire cosa ci facesse lì dentro.
Nel mentre, la ragazzina varcò anche la seconda porta, sbirciando che non ci fosse nessuno, e, giunta davanti alla cella, disse: «Ciao, ma’. Ciao, Thomas.»
I due risposero al saluto. Il secondo giorno di scuola, Athena le aveva detto che Thomas O'Bull era forse l'unico della gente lì dentro con un po' di sale in zucca e le aveva proposto di provare a conoscerlo. Fidandosi della madre, ed eventualmente della sua protezione, la ragazzina aveva eseguito e avuto successo.
«Com’è andata a scuola?» chiese la madre, avvicinandosi alle sbarre per vedere sua figlia in faccia.
Lei sorrise, con il solito istinto di abbracciarla forte, ma costretta a non poterlo fare, e rispose: «Bene ma… c’è un ragazzo seccante. Non fa altro che tentare di abbordarmi. È una persecuzione.»
«Cerca di evitarlo, prima o poi si stuferà.» borbottò Athena, seccandosi lievemente sentendo che qualcuno osava importunare la sua bambina: «E se ti tocca, dimmelo.»
Lily sogghignò, facendosi spuntare in faccia un sogghigno quasi sadico, terribilmente simile a quello della madre, e rispose: «Contaci. Cambiando discorso... come state voi due?»
La donna lasciò perdere i toni tetri, e, gongolando come una bambina davanti a un sacchetto di caramelle, rispose: «Mi hanno ridato l’ora d’aria!»
«Davvero?» chiese la figlia, stupita da quella novità.
Ormai la madre non usciva dalla cella da mesi, visto che tra ossa rotte e minacce, nessuno si azzardava a ridarle l’ora d’aria per paura che facesse una carneficina.
«Finalmente sì! Non ci speravo più!» ridacchiò lei, ancora gongolante.
Thomas sbuffò dalla sua branda, alzando la testa e tirandole un cuscino addosso, e intervenne nel discorso, dicendo: «Ma non dire scemenze! Hai rotto le palle a tutto il carcere per tutte le ultime settimane!»
Lei ghignò soddisfatta e lui, vedendo lo sguardo interrogativo di Lily, spiegò: «Continuava a urlare: “Aria! Soffoco!” e cose così, finché non gliel’hanno ridata per disperazione.»
«Tutta tattica.» disse la donna, apprezzando la propria intelligenza e la poca pazienza delle guardie: «Insomma, non è giusto che voi vedete il sole e io no!»
«Noi non stuzzichiamo i secondini come fai tu.» ribatté lui.
«Perché siete fifoni.»
Lily li guardò litigare sorridendo. Era bello vedere che la madre non si buttava mai giù. E Thomas era un ottimo compagno di cella. Parlarono un po' tutti e tre, poi la ragazzina uscì, visto che si era fatto tardi. Blade la vide, chiedendosi sempre più curioso cosa avesse fatto per così tanto tempo lì dentro. Immerso nei pensieri, la perse di vista, e non la vide raggiungere un bosco, montare in groppa a Pidg e volare via, verso casa. Continuò gli appostamenti, ma lasciava perdere ogni volta che la vedeva andare nel carcere. Sapeva che non faceva nulla di interessante dopo, e per fortuna della ragazzina quindi, non scoprì mai nulla su Pidg e su dove abitasse. Lei, nel frattempo, cercava disperatamente le attenzioni di N. Voleva almeno un abbraccio, una parola, una stretta di mano, uno sguardo. Ma niente; lui sembrava non badare più a lei, quasi ignorarla. E questo la feriva. Molto. Ma non ne capiva il motivo.
Passati i due mesi, Lily era ancora una preda ambita del compagno di scuola. Molto ambita.
«Ora basta. Non mi farò prendere in giro da una mocciosa.» sbottò seccato l’ultimo giorno della scommessa: «Devo portarmela a letto e così farò. Anche a costo di usare la forza.»
Non era particolarmente carina o chissà che altro, ma semplicemente la sua irritante resistenza era un'onta nel suo orgoglio. Lui, il grande playboy, che veniva preso in giro così.
La braccò quindi fuori da scuola e la trascinò dietro l’edificio, convinto delle sue intenzioni. Lei tentò di difendersi, ma non aveva speranze contro un ragazzo di tre anni più grande e decisamente più forte. Lui la inchiodò al muro, senza possibilità di fuga, e la costrinse a baciarlo, posando le labbra sulle sue. Lei, scioccata dall’assalto e immobilizzata, non riuscì a reagire. Joshua si sentì scaldare dentro, mentre si appassionava a quel bacio rubato. Era una sensazione strana, che lo eccitava e spaventava al tempo stesso. Lily era pietrificata e spaventata, mentre lui le prendeva il viso con le mani e si posava a lei, baciandola quasi con foga e desiderio.
La salvò Amanda. Perplessa dal fatto che l’amica non fosse ancora nei paraggi, pur avendola vista scendere prima di lei, era andata a cercarla. Andando dietro alla scuola, aveva visto Joshua molestarla e si era messa a urlare a pieni polmoni, chiamando la polizia. Lui, sentendo gridare, si era voltato e dato alla fuga prima di venir preso per l'ennesima volta e sbattuto di nuovo in riformatorio, ma gli agenti di pattuglia erano lì vicino ed erano intervenuti subito, catturandolo prima che potesse dileguarsi.
«Lasciatemi!» urlò lui, divincolandosi e cercando di liberare le braccia imprigionate dai due poliziotti.
Lily lo fissò dall'angolo, con uno sguardo di disprezzo, sentendosi ancora una volta il bersaglio delle mire di pazzi pervertiti, e lo guardò venire quasi buttato a forza nella volante. Amanda l'abbracciò e tentò di consolarla, dicendo: «Tranquilla. È tutto finito.» ma lei la scostò. In quel momento, non avrebbe tollerato l'abbraccio di nessuno.
Nel frattempo, nella macchina degli agenti, uno dei due disse, con un sogghigno di crudele vendetta: «Un tentato stupro non te lo toglie nessuno Blade.»
Lui fissò quello sguardo gongolante nello specchietto retrovisore con rabbia, e rispose: «Non era uno stupro.»
L’uomo non si tolse dal viso quell’espressione di malcelata gioia e ribatté, guardando nello specchietto laterale Lily che li osservava andare via: «Ah no? Ragazzo, quella ragazzina ha tutta la faccia di una che non acconsentiva. Sei un violento e ora finirai insieme ai tuoi simili per un po’. Che ti serva da lezione. Ora sei maggiorenne bello mio. Sognati il riformatorio e quell'idiota di un assistente sociale.»
Lo sbatterono nel carcere di Zafferanopoli senza tanti preamboli. Come reclusione provvisoria, non serviva un processo. Venne chiuso in cella, ma l’incubo cominciò nell’ora d’aria.
«Ehi, ragazzino. Non si stupra, non lo sapevi?» lo canzonò uno dei detenuti, dandogli uno spintone, poco dopo che lui fu scortato nell'ampio cortile recintato.
Lui non rispose, ma continuarono a canzonarlo finché non reagì. Purtroppo però, era il più debole e poteva fare ben poco contro quegli uomini decisamente più grandi e forti di lui. Criminali incalliti che, chiusi da tempo dietro le sbarre, non facevano altro che aumentare la loro massa muscolare.
Uno dei detenuti lo rinchiuse in un angolo, visto che non prendeva sul serio le loro minacce, e gli sussurrò, minaccioso: «Ragazzino, tu non sai chi c’è qui dentro. Fa’ poco il gradasso o qualcuno potrebbe dire a qualcun altro quello che volevi fare. E ti avverto… non gradirà.»
Joshua lo ignorò, pensando a cosa ribattere per dimostrare che non l’avrebbe spaventato così facilmente, ma l’uomo lo prese per il mento e lo costrinse a guardare verso destra, continuando a parlare a voce molto bassa, per evitare che venisse sentito e martoriato: «Vedi quell’uomo? Quello con il gesso alla gamba e al braccio?
È uno stupratore seriale, finito delle mani di chi ti dicevo prima.»
Lo lasciò andare, allontanandosi da lui per raggiungere un gruppetto, e il ragazzo fissò quel detenuto con paura. Chi l’aveva ridotto così doveva avere una violenza dentro fuori dal comune. Sembrava essere vivo per miracolo. Non intendeva però lasciarsi intimidire, permettere loro di giocare così con lui, al che urlò al suo aggressore: «Io non temo nessuno!»
Lui si voltò con un ghigno e rispose: «Te ne pentirai.»
Passarono alcuni giorni e Joshua cominciò a pensare che quel tipo si fosse inventato tutto per spaventarlo. Un rumore di catene lo contraddisse. Non l’aveva mai sentito nei pochi giorni che era stato lì fino a quel momento. Si voltò spaventato e vide un’ombra avvicinarsi dal corridoio delle celle, scortata da tre secondini.
Uno dei tizi che giorni prima avevano deriso il ragazzo, si posò al muro a braccia incrociate, fissando la persona che stava arrivando dal corridoio, e disse, quasi con voce suadente: «Ciao, bella. Finalmente ti hanno ridato l’ora d’aria.»
Athena venne accompagnata dai secondini fino in fondo al corridoio, ma ignorò quell’imbecille sbuffando, e raggiunse O’Bull che era poco lontano da Joshua.
«Come mai non gli rispondi?» chiese l’uomo, mentre lei si sedeva di fronte a lui, tintinnando.
«Se gli rispondo è la volta buona che lo strangolo.» rispose lei, posando le braccia sul tavolino: «E mi tolgono l'ora d'aria di nuovo. Dopo un minuto secco farei un primato.»
La sua voce era tetra, glaciale. Il ragazzo l’ascoltò, rabbrividendo; temeva più quella donna che tutti i detenuti messi assieme. Era incatenata ai polsi, alle caviglie, al collo e perfino al bacino. Pareva che dovessero in qualche modo trattenerla con tutti i mezzi a loro disposizione.
O'Bull rise e disse: «Ti aiuto molto volentieri! Liberata di nuovo per l'ennesima volta, eh?»
«Non è giusto che mi tolgano questa bella oretta di sole perché prendo a sberle gli idioti che ci sono qui dentro. Faccio un favore alla comunità.» sbottò lei, fingendosi offesa.
«E alle pompe funebri!» concluse lui la frase, ridendo.
«Non è ancora morto nessuno.» gli fece il verso lei, sogghignando: «Sto facendo un record.»
Blade invece si chiedeva chi fosse quella donna. Ne aveva paura certo, ma era anche piuttosto curioso. Non l'aveva mai vista e non sembrava pericolosa, eppure aveva un qualcosa che la rendeva temibile. Inoltre, gli ricordava tremendamente qualcuno, ma non riusciva a collocarla da nessuna parte.
Comunque fosse, se era lì dentro, qualcosa doveva aver pur fatto, e lui non intendeva di certo stuzzicarla.
«Ehi, Demone!» urlò un detenuto, rovinandogli i piani, rivolto alla donna, mentre gli altri sghignazzavano scommettendo quante ossa rotte avrebbe rimediato: «Sai che ha fatto quel ragazzino? Ha tentato di violentare una minorenne della sua scuola!»
Joshua si sentì morire sotto quello sguardo rosso di ghiaccio e gli venne in mente tutto. L’aveva letto sul giornale: il Demone Rosso era rinchiusa nel carcere di Zafferanopoli. Si allontanò da lei, terrorizzato, ma non poteva nascondersi e lo sapeva bene; sarebbe stato ucciso dopo ore di sofferenza. Volente o nolente. Infatti, due giorni dopo, venne sbattuto contro il muro e due occhi rossi e gelidi lo fissarono con ira. Si sentì mancare l'aria, oltre che la terra sotto i piedi, e un dolore lancinante partì dal polso destro e lo imprigionò in una morsa di sofferenza.
«Non volevo farle del male! Non so cosa mi sia preso! Era solo una scommessa! Lo giuro, non sto mentendo!» esclamò lui, cercando di parlare nonostante il male, fissandola negli occhi con convinzione e innato coraggio.
Lei lo scrutò a lungo, poi lo lasciò andare. Lui respirò di sollievo, massaggiandosi il polso, ma una banda di detenuti lo prese, seccati che il Demone non lo avesse toccato, e lo pestarono a sangue, giusto per dare una lezione alla sua arroganza. Quello e anche i giorni seguenti.
Quella sera, invece, Lily riuscì a introdursi nel carcere con molta fatica. Raphael aveva saputo dell'aggressione, ma sapeva di non poter agire in prima persona. E non poteva nemmeno avviare un'inchiesta. Rischiava che, nelle indagini contro Blade, uscissero cose che era meglio non sapere della famiglia Grayhowl. Così aveva chiesto a Pidg di tenere d'occhio la figlia, facendolo andare fin dentro il cortile per recuperarla, a rischio di farsi vedere. Anche lo zio, seriamente preoccupato, non si era opposto e aveva eseguito ben volentieri la richiesta. Si era detto che tanto, i giovani delle scuole non avrebbero potuto riconoscerlo e lui era bravo a mimetizzarsi.
«Finalmente ce l’ho fatta.» borbottò quindi la ragazzina, avvicinandosi alla cella: «Papà è diventato oppressivo.»
«Come mai?» chiese la madre, perplessa.
«Ma niente, lascia stare.» chiuse il discorso la figlia, per evitare di parlarle dell’aggressione: «Come stai?»
«Bene. Nel senso lato del termine. Qui dentro non si può star bene. Tu?»
«Anche direi...»
«Giovanni?»
Lily alzò le spalle e rispose: «Lui è quello che sta meglio fidati. Esce la mattina alle sei e torna la sera alle nove... non si sa dove sia stato ma se N è tranquillo, non vedo perché dovremmo preoccuparci noi.»
Athena annuì, conoscendo l'indole del figlio, e replicò: «Sarà in giro, ancora abbattuto per aver perso.»
«Non hai paura che si faccia del male?» chiese invece la ragazzina, dato che il fratellastro era sempre in giro da solo e con il caratteraccio che si trovava, poteva facilmente finire in problemi seri.
«Non sottovalutarlo.» rispose la madre, seria: «È meno indifeso di quanto sembri. E poi ha i suoi Pokémon. Donkey è una testa calda, ma sa come farsi rispettare. Giovanni è fatto a modo suo, ormai l'abbiamo capito.»
La piccola annuì e borbottò: «Forse dovrei essere più gentile anche io...»
«Che vuoi dire?»
«È talmente antipatico che forse lo tratto troppo male...» confessò Lily, sentendosi un pochino in colpa.
La madre sospirò, capendone il motivo, ma poi disse: «Non è colpa tua... posso capire che sia difficile, però cerca di andarci un po' d'accordo. Ha un brutto carattere, lo so, ma se te lo tiri dalla tua può essere un buon alleato. Devi solo capire come prenderlo. Lui pensa che vogliate portarmi via da lui, per questo non riesce ad adattarsi.»
«È difficile ma potrei provarci...»
«Piuttosto.» disse la donna, cambiando discorso visto che si stava cadendo nella tristezza: «Sai che hanno sbattuto dentro un ragazzino? Forse l’hai visto a scuola… non avrà più di diciotto anni.»
«Com’è fatto?» chiese lei, anche se sapeva già di chi stesse parlando.
La madre guardò un angolo per fare mente locale e rispose: «Biondo, occhi azzurri.. carino ma un po’ spaccone. Deve essere il classico bulletto. Mi ricorda Archer… comunque, è dentro per tentato stupro. Ma quello non ha fatto niente, se non allungare un po’ le mani. Oppure l’hanno fermato in tempo.»
Lily si rabbuiò ma cercò di non darlo a vedere e andò via prima del solito, dopo aver dato qualche risposta secca come parvenza di dialogo; ma i monosillabi non riuscirono a ingannare molto. Thomas osservò la sua compagna di cella arrampicarsi sulla branda e chiese: «Che hai?»
«Devo aver detto qualcosa di male. Lily sembrava offesa.» mormorò lei sovrappensiero, sdraiandosi sul materasso.
Lui alzò le spalle, senza sapere cosa rispondere, anche se aveva notato l’irritazione della ragazzina.
Lily invece stava tornando a casa, furibonda, pensando: “Non ha fatto niente. Grazie! Ci mancava solo che ci fosse riuscito! Anzi, sarebbe stato meglio. Almeno la mamma lo avrebbe ucciso. Invece solo un bacio non è stupro. Maledizione. Con tutto quello che ho passato con Ragefire, anche questa doveva capitarmi … mi sento sola… tanto sola… N non mi guarda nemmeno più, papà ha quella faccia che mi fa scoppiare, mamma pensa che un bacio non sia niente...”
Quando la vide, Pidg non disse nulla perché non sapeva come chiederle cosa avesse e confidò nella consolazione del padre. Giovanni la guardò passare, quasi in lacrime. Le tratteneva a stento. La bambina si chiuse in camera. Piangeva silenziosamente, ma non voleva farsi sentire. Nessuno la capiva. Flamey, entrata dalla finestra dopo essersi arrampicata, le si accoccolò tra le braccia ma la sua presenza non sembrava consolare la tristissima amica.
Un tamburellare sulla porta ruppe il silenzio.
Lei però non rispose, chiusa nel suo dolore.
N scostò appena la porta e spiò dentro. La vide piangere ma gli sembrò strano che Athena l'avesse ferita. Non era da lei.
Voleva alleviarle la sofferenza, ma come fare?
Probabilmente… non voleva vedere nessuno del sesso opposto. Era stata molto traumatizzata dalle violenze subite. E lui, volontariamente, non le aveva riservato troppe attenzioni nell'ultimo periodo. Ma non se la sentiva di lasciarla sola in quelle condizioni. Le lasciò un biglietto sotto la porta. Poi se ne andò con passo felpato.
Quando Giovanni tornò in camera la sera, non vide il biglietto, e mormorò: «Sapientina, stai bene?»
Doveva ammettere di essere un po' preoccupato per la sorellastra. Non era da lei comportarsi così e magari era successo qualcosa alla loro mamma. Ma lei, rannicchiata sotto le coperte ancora in lacrime, non gli rispose.
Lui non insisté, anche se infondo era preoccupato, e andò a dormire, pensando a come ripartire all'attacco la mattina dopo.
Più tardi, a notte fonda, Lily si calmò e pensò di andare a rubare qualcosa dal frigo. Non volendo vedere gente, aveva saltato la cena e la fame era arrivata a perseguitarla. Arrivata sulla porta però vide il pezzettino di carta in terra davanti all'uscio. Lo prese perplessa e lo aprì.

“Piccola Lilith,
immagino che il tuo animo sia ferito nel profondo per via delle violenze che hai subito da uomini che non hanno un minimo di sensibilità. Per questo, non ho reputato adatto e opportuno avvicinarmi a te. Come nell'ultimo periodo. Perdonami per il distacco, non avrei dovuto, probabilmente. Ma credimi quando ti scrivo che vorrei aiutarti, alleviare questo tuo tormento.
Mi piange il cuore vedere una giovane vita così solitaria …
           N”

Lily lesse quel biglietto talmente tante volte da impararlo a memoria. Quell’uomo le aveva sempre ispirato una calma e una pace fuori dal comune. E se n'era presa una tremenda cotta. Forse poteva davvero aiutarla... come aveva già fatto in precedenza. Uscì dalla sua stanza e, facendo silenziosamente le scale, si avvicinò alla porta della sua, all'ultimo piano. Bussò e attese, stringendosi le mani dall'ansia. Stava andando a disturbare una persona che la salutava a malapena. Non sembrava il caso. Mentre ponderava se restare o andarsene, la porta si aprì e lei vide N, in pigiama, che si stropicciava un occhio.
«Disturbo?» mormorò lei, con gli occhi ancora rossi dal pianto e la voce tremante.
Lui le sorrise dolcemente, intenerito, e rispose: «Certo che no.»
Lily aveva ancora bisogno di sfogarsi, di sentire gente amica, così, ricominciando a singhiozzare disperata, scoppiò, entrando nella sua stanza e camminando qua e là: «Non è giusto! La mamma pensa che solo perché quel Blade si è “limitato” ad un bacio, non mi abbia messo le mani addosso! Dopo quello che ho passato con quel bastardo di Ragefire, anche solo un banale bacio è una cosa orribile! Perché non lo capisce?! Perché non ha ammazzato anche lui?!»
N non rispose subito, notando come sembrasse desiderare il sangue del ragazzo. Cercando di mantenere il tono di voce calmo, replicò: «Non è che non lo capisce. Vedi … lei non sa che la vittima sei tu. Prova a pensare razionalmente. Un semplice bacio, benché sia senza dubbio una violenza, non è così traumatico. Ma se è solo quello. Athena non sa che la ragazza che Blade ha aggredito, ha subito anche violenze maggiori, che rendono quel bacio peggio di ciò che è realmente. Mi segui?»
«Sì.» annuì lei, rendendosi conto di aver preso un granchio enorme: «Mi sono lasciata prendere dalla frustrazione…»
Lui sorrise, vedendo come fosse sconvolta da quella consapevolezza, e si avvicinò a lei; mettendole le mani sulle spalle, mormorò: «Non crucciarti, è normale. D’altronde sei stata messa a dura prova. Ora hai solo una scelta da fare: dirle che la vittima sei tu o tacere questo dettaglio.»
«Lo uccide se scopre che mi ha toccata.» disse lei, quasi pentendosi di quello scatto e delle sue parole cattive nei confronti di quello che comunque era un essere umano.
N le strinse le spalle con affetto, vedendo che non si stava ritirando al contatto, ma rispose: «Mi duole dirlo ma… questo è poco ma sicuro.»
Lily sorrise, alzando un braccio e posando la mano sulla sua. Non gli parlava così da tanto tempo. Le era mancato. Lui sorrise ma nascose uno sbadiglio; lei lo notò e disse: «Oh, scusami tanto. Sono venuta a svegliarti in piena notte, scaricandoti addosso tutte le mie frustrazioni senza preoccuparmi di niente.»
«Non è un problema.» rispose lui, sorridendo: «Se c’è una cosa che ho imparato da tua madre, è che non c’è nulla di meglio di un pisolino dopo pranzo al sole.»
«Concordo appieno!»
Lily lo guardò negli occhi, gli sorrise a sua volta e disse: «Ciao N. buonanotte e… grazie di tutto.»
«Figurati. Sempre disponibile.» rispose solo lui, guardandola uscire.

  
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