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Autore: __Armageddon__    03/10/2015    3 recensioni
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La presidente mi osserva, mi scruta con calma e cerca di leggermi l'anima con i suoi occhi di un colore che io stesso non sarei in grado di riprodurre su nessuna mia tela.
«Voglio sapere da che parte sta!» sibila. I gomiti poggiati sul tavolo di ferro, le mani strette come se stesse pregando, ogni tanto se le sfrega, quasi sentisse freddo.
«Lei è consapevole del fatto che tutti i suoi... “compari”... sono dietro quel vetro,assistendo così al suo mutismo?» chiede,pronunciando la parola “compari” in modo tagliente,quasi le facesse ribrezzo.
«RISPONDA!» grida esasperata e furente, battendo le mani sul tavolo con impeto e sporgendosi in avanti,come se volesse spaventarmi. Poi si blocca, osserva per un nano secondo lo specchio posto al fianco del tavolo, conscia di non essere sola, realizzando di avere gli occhi di tutti i miei amici puntati sul suo profilo.
Si risiede nella seggiola e si mette alcune ciocche di capelli dietro l'orecchio.
«Voglio sapere da che parte sta,Mellark.» sospira,con finta tranquillità.
«Avevamo un patto!» affermo inquieto.
«Lo so bene.» risponde lei, flemmatica.
«E allora perché Katniss è ancora a Capitol City, da Snow?!» sibilo a denti stretti, adirato.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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“Le persone non piangono perché sono deboli, ma perché
sono state troppo forti per troppo tempo." -Johnny Depp.


 

Il rumore insistente dell'hovercraft mi rendeva terribilmente nervoso.
Ci era voluta una settimana per progettare tutto, per concedermi la mia ora, così da farmi realizzare cosa aveva fatto Snow al mio mondo.
Ero agitato, avevo paura di quel che avrei visto perché non ero pronto, e forse, mai lo sarei stato. Eppure dentro di me sapevo che era una cosa necessaria, perché dovevo capire, tastare con mano.
Avevo avvertito solamente Delly e Primrose della mia visita al distretto e le ragazze avevano avuto due reazioni differenti.
La mia amica mi aveva supplicato di non guardare quello che le fiamme avevano demolito, di non andare al distretto perché era una cosa scioccante, perché lei mi conosceva e sapeva che mi sarei accusato, che mi sarei odiato senza alcun motivo e così facendo avrei mandato all'aria tutti i progressi che avevo fatto nel corso di questi mesi, ma la posta in gioco era troppo alta ed io, ovviamente, non l'ascoltai, proprio come fece Ross seguii il mio istinto.
La dolce e piccola Primrose, invece, mi aveva sorpreso; ormai era un'emozione continua quella giovane donna. Lei mi aveva semplicemente guardato dritto negli occhi, sorridendomi dolcemente, ma non disse nulla, stette in religioso silenzio per qualche minuto, poi, sbuffò cacciando l'aria dal naso e dopo poco mi chiese se potessi farle un favore, ovvero, dovevo entrare in casa sua per recuperare alcune erbe medicinali che le servivano per l'ambulatorio, ma che il 13 non poteva fornirle; successivamente di prenderle il libro delle erbe che stavo finendo con sua sorella e una foto di suo padre, per la signora Everdeen.
Quando ebbe finito la sua breve lista le chiesi solo una cosa, la mia domanda era tanto spontanea quanto inusuale.
«Perché tu non cerchi di fermarmi?» dissi flebilmente, forse perché il mio quesito era così sciocco da non dover essere sentito, ma lei aveva risposto con saggezza mentre un dolce sorriso le si dipingeva in viso.
«Perché penso che dopo aver visto il distretto riuscirai, finalmente, a trovare uno scopo e così, troverai anche te stesso.» quando udii quelle parole le sorrisi timidamente, come se fra i due fossi io quello più piccolo di quattro anni e dopo averla salutata con un abbraccio mi diressi con Johanna verso l'hovercraft.
Dovevo farlo, dovevo vedere com'era ridotta la mia casa, era essenziale. Dannatamente necessario.
Lo era, anche se mi tremavano le ginocchia per l'agitazione, anche se avrei voluto comunicare al pilota di tornare indietro, perché temevo che al posto di ritrovarmi mi sarei perso del tutto, perché in cuor mio sapevo che non ne sarei uscito indenne. E Johanna mi fissava, spazientita dalla mia agitazione ed esasperata dal mio silenzio, il mio mutismo diceva più cose delle parole stesse. La mia compagna di stanza non era paziente con me e, sotto sotto, mi andava bene, perché avevo bisogno di questo, della verità sbattuta in faccia senza alcun timore, perché dopo anni di bugie ne avevo l'esigenza; non sarei riuscito a sopportare il peso del tradimento un'ennesima volta.
«Hawthorne si è rifiutato di farti da scorta...»disse incurante Jo mentre si guardava le unghie, ed io, da buon amico l'ascoltai, anche se non mi importava di Gale che non riusciva a stare nella mia stessa stanza, o degli sguardi omicidi che mi lanciava infondo provavo rancore anch'io verso il minatore... E non erano inerenti al contesto i commenti della Mason su quanto fosse carino il braccio destro della Coin, forse, in un'altra vita sarebbero stati degli argomenti interessanti, ma adesso provavo solo disagio sentendomi sempre più inferiore al ragazzo dagli occhi color piombo, perché anche Katniss lo aveva scelto, la ragazza che annunciava di amarmi in diretta televisiva e che successivamente mi ignorava quando eravamo al distretto perché lui era sempre in mezzo ed io me lo facevo andare bene, avrei fatto di tutto per non perderla, ero un po' una bambola di pezza tra le mani di Katniss Everdeen, lei aveva il potere di farmi fare tutto quello che voleva, non sarei mai riuscito a dirle di no perché lei non aveva idea dell'effetto che faceva, che mi faceva.
«Panettiere ?... Peeta, siamo arrivati.» la voce bassa di Johanna mi fece ridestare dai miei pensieri e piano piano l' hovercraft si fermò, atterrando lentamente, rendendomi sempre più inquieto.
Boogs uscì dalla cabina di pilotaggio porgendoci degli auricolari.
«Avete un'ora, se qualcosa dovesse andare storto avvertiteci, vi teniamo d'occhio.
Nel frattempo noi voliamo intorno al distretto per non farci rintracciare dai possibili radar capitolini .» annuii lentamente, sfregando le mani sulle cosce, la paura mi stava letteralmente paralizzando, temevo ciò che avrei potuto vedere.
«Avanti Peeta, ci sono io.»sussurrò Johanna mentre mi afferrava una mano, sorridendomi quando il portellone iniziò ad abbassarsi e trascinandomi fuori, convinta che non fosse successo nulla di grave, come se tutti gli abitanti del 12 avessero solo ingigantito un racconto rendendolo più drastico di quello che era in realtà. Ma il sorriso incoraggiante morì sulla faccia di Johanna non appena aveva poggiato un solo piede in quella coltre di cenere.
Avevo la bocca spalancata e mi portai una mano su di essa per reprimere un gemito di dolore, perché avrei preferito morire che convivere con questo fardello. Erano morti a causa mia e la fitta al petto diventò ancora più forte quando avanzammo di qualche passo, perché non c'era più nulla se non una distesa di cenere e di calcinacci, perché al posto della piazza vi era solo il nulla, una distesa di mattoni rotti e ingrigiti per via del fumo e delle fiamme.
Era tutto irriconoscibile e andavo avanti per le strade appellandomi alle mie memorie ed era orribile, sopratutto quando mi ritrovai difronte alla panetteria Mellark. Le gambe avevano ceduto facendomi crollare in terra, non c'era più nulla, non avevo più niente se non detriti e resti di una vita passata.
I crani umani erano ovunque così come i corpi bruciati senza un minimo di pietà, senza alcun rimpianto, per punire me e Katniss dei nostri atteggiamenti, non eravamo stati abbastanza bravi con l'idillio e gli abitanti del 12 ne avevano pagato il prezzo, ma ancora il presidente non mi aveva fatto saldare il conto e la sua voce calda echeggiava nell'aria perché alla fine, Katniss, mi aveva raccontato delle minacce che il presidente le aveva fatto nella sua stessa casa, facendola sentire un'estranea.
Immagini il suo distretto raso al suolo,radioattivo, come il distretto 13. Le persone che più ama...Morte.
L'aveva fatto Snow, aveva mantenuto la sua promessa, peccato però che il prezzo più caro lo stavo pagando io che ero a carponi di fronte alla panetteria della mia famiglia, le ginocchia mi dolevano, ma non era abbastanza, non era niente di paragonabile a quello che avevano fatto a loro, i governatori di Panem agli abitanti del 12, vittime innocenti uccise per una sete di potere incontrollabile. E tutto mi faceva paura, più paura dei giochi e della morte stessa, perché non potevo prevedere nulla, perché non vi erano paracaduti o sponsor, ma solo vittime e sopravvissuti.
Rimasi immobile per chissà quanto tempo e non riuscì a non pormi delle domande, perché ora sapevo che Snow poteva tutto e se il Presidente aveva raso al suolo un distretto di oltre diecimila persone, cosa avrebbe fatto a Katniss se fosse stata viva tra le sue grinfie?
Iniziai a gattonare muovendomi di qualche metro verso quello che sembrava il piazzale vicino ai negozi, andai a carponi in preda ai singhiozzi sporcandomi di cenere, di resti umani, piangendo, perché quei cadaveri potevano essere di chiunque, poteva essere Paul il fioraio o Daisy che lavorava al vecchio forno, potevano essere i miei compagni o i miei amici, qualsiasi persona era importante, nessuno escluso.
Mi sentivo malissimo e avrei solo voluto gridare dalla rabbia e forse lo stavo facendo perché la gola bruciava e la salivazione si era azzerata come se dovessi vomitare da un momento all'altro e alla fine lo feci, rimettendo anche l'anima, se ce l'avevo ancora, perché chi aveva fatto tutto questo non poteva che essere solo un mostro, un serpente viscido che uccide senza pietà e mi facevo schifo pure io, perché vivevo mentre tutti loro avevano pagato per i miei errori, i nostri errori.
Non avevo saltato un solo posto del distretto ed ero riuscito ad andare avanti solo per Johanna che mi aveva abbracciato da dietro mentre ero inginocchiato davanti al palazzo di giustizia, mentre i corpi ammassati erano stati così tanti da farmi reprimere a stento i conati, il senso di colpa era così forte che l'unico pensiero che riuscì ad articolare fu: uccidetemi, vi prego, perché farebbe meno male.
E la mia amica mi strinse forte, così forte da mozzarmi il fiato per un breve istante, premendo il suo petto contro la mia schiena, sussurrandomi che avremmo vendicato tutti e che grazie al loro sacrificio,forse, molti altri avranno un futuro migliore e mentre mi cingeva per la vita afferrai le sue mani, che erano stette sulla mia pancia, sporcandole i dorsi di cenere grigiastra e piegandomi in avanti per sfogarmi di tutto quello che avevo dentro, ma forse dentro non avevo più niente, niente che non fossero lacrime e rabbia. Avevo perso tutto quello che avevo, tutto quello che ero, non sarei riuscito a ritrovarmi, perso come Dante all'inferno.
Poco dopo i singhiozzi scemarono e noi ci alzammo, continuando a girovagare tra le distese di morte e distruzione.
Stavamo camminando da minuti e le nostre mani non si erano separate per un solo istante, era un piccolo appiglio per non distaccarci dalla realtà, poi finalmente, vidimo in lontananza il cancello in ferro battuto del villaggio dei vincitori ed insieme lo oltrepassammo .
Il villaggio era perfetto. Il giardino era ben curato, le case ridipinte e dalla fontana usciva dell'acqua, era tutto impeccabile in ogni singolo dettaglio, il presidente aveva saltato le case dei vincitori e la mia malizia mi suggerì che forse l'aveva fatto per poter dare asilo a qualche giornalista, in modo tale che stesse comodo durante il suo soggiorno.
Di fretta mi diressi verso la mia abitazione, entrando così subito in casa, correndo su per le scale e recuperando il mio zainetto, infilandoci dentro qualche felpa, alcune tempere e pennelli e il mio libro preferito, poi uscì e senza indugiare mi recai a casa di Haymitch.
«Questa casa è un porcile...» Era schifata Johanna mentre si faceva largo fra le bottiglie vuote del mio vecchio mentore che nonostante avesse scelto me, lasciando lei nell'arena a morire, meritava qualche cimelio della sua vecchia vita. Così presi la sua fiaschetta riempiendola di Alcool e poi recuperai qualche sua fotografia. Jo si guardava intorno osservando i libri e l'arredo di casa Abernathy, senza mai toccare nulla perché per lei potrebbe essere tutto pieno di germi!
Alla fine, come ultima tappa, c'era la casa della famiglia Everdeen.
«Io resto qui... Prenditi il tuo tempo.» si era seduta sul portico la mia amica, anche se ormai Johanna era più di un'amica, era come una sorella fastidiosa, una di quelle che ti entra nel cuore, ma che non ne vuole più uscire. Senza dire nulla la ringraziai, annuendo ripetutamente mentre mi voltavo verso la porta d'entrata, poi, varcai la soglia di casa lentamente.
Dopo aver richiuso la porta mi appoggiai con la schiena su di essa, lasciandomi scivolare lentamente in terra e respirando a pieni polmoni.
Il profumo di Katniss era ovunque, non lo sentivo da così tanto che temevo di averlo dimenticato e faceva male perché non avevo più niente se non la fioca speranza che mi spingeva a credere che lei fosse ancora viva, ma ci contavo poco, dopo quello che Snow aveva fatto al 12 era impensabile pensare che lei vivesse ancora.
Avevo stretto le ginocchia al petto e le mani poggiate sugli occhi che lacrimavano, perché mi mancava, mi mancava come l'aria quando si va sott'acqua.
Dopo qualche minuto mi rialzai mettendo di fretta tutto l'occorrente che serviva a Prim nella sacca, poi andai al piano di sopra ed entrai in camera di Katniss, prendendo alcune sue cose, per averla più vicina, per sentire ancora il suo profumo, per sognare la sua presenza. Restai nella sua stanza per non so quanto tempo, sentendomi un intruso nella sua tana, ma alla fine dovetti andarmene e fu come se l'avessi abbandonata, ancora.
Mancavano 5 minuti all'arrivo dell'hovercraft ed io mi fiondai quindi al piano inferiore, recuperando dall'attaccapanni il giubbotto di pelle marrone logoro che usava sempre Katniss, quello di suo padre, quello che indossava sempre ed ero immerso nei miei ricordi, nel vederla mentre camminava per le strade del distretto, mentre barattava i suoi scoiattoli con mio padre che la pagava più del dovuto perché gli avevo promesso che avrei fatto i turni doppi in panetteria e che avrei decorato tutte le sue torte, perché non importava se lavoravo di più arrivando alla sera con la schiena distrutta, tutto passava in secondo piano quando c'era lei di mezzo, e ogni tanto, le facevo regalare da mio padre due pagnotte, perché era sempre troppo magra, perché non avrebbe mai più dovuto piangere o rovistare nella spazzatura come aveva fatto quando avevamo undici anni e ancora mi davo dello stupido per non esserle andato incontro, porgendole il pane e bagnandomi sotto la pioggia con lei, ma nonostante tutto il giorno dopo, a scuola, trovai un dente di leone sul mio banco e dalle occhiate che mi lanciava ero sicuro ce l'avesse messo lei, ce l'avevo ancora, l'avevo conservato meticolosamente ed era essiccato dentro il libro che avevo dentro lo zainetto.
Fu il rumore delle stoviglie a farmi spaventare, pensavo di essere solo e mi aspettavo fosse Johanna a fare baccano, ma in realtà era solo il gatto di Prim. Quando lo vidi iniziai a pensare che Ranuncolo fosse realmente immortale, sopravvissuto alla furia di Katniss che non lo sopportava affatto e ad un bombardamento, così ridacchiando lo presi tra le braccia, coccolandolo, e dopo aver messo delicatamente il giubbotto di Katniss nella borsa presi una casacca appesa nell'attaccapanni infilandoci dentro il gatto arancione che miagolava incessantemente.
Uscii fuori dalla casa chiudendo attentamente la porta d'entrata poi mi allontanai, ma appena arrivai sulle scale del portico tornai indietro e chiusi la porta a chiave, perché nessuno doveva poter invadere il mondo della ragazza in fiamme,poi, misi quel pezzo d'ottone in tasca, custodendolo come fosse la mia stessa vita.
«Non ci hai messo molto.» Jo mi sorrise dolcemente con le labbra chiuse, adesso non c'era spazio per i battibecchi o per le prese in giro, ci lasciammo semplicemente cullare dall'orrore commesso da Capitol City, perché non c'era tempo per fare gli adolescenti che litigavano, perché dopo la visione del mio distretto c'era solo la consapevolezza che il presidente dell'intera Panem avvelenasse i suoi nemici per non avere rivali, perché in fondo governare un regime con la paura era molto più semplice che infondergli speranza.
Così saliammo sull'hovercraft, mi sedetti svogliatamente sul sedile allacciandomi le cinture, sospirai e posando il capo sul poggiatesta, iniziai a pensare a ciò che avevo appena visto e provato e quando il velivolo decolla, finalmente capii perché stessimo facendo tutto questo e forse sarà perché avevo ancora le ceneri del mio distretto sulle scarpe, ma per la prima volta riconobbi agli abitanti del 13 qualcosa che finora avevo negato loro: il merito di essere rimasti vivi contro ogni aspettativa.
Dopo qualche ora ritornammo al distretto 13 e non appena oltrepassai le porte blindate mi accolse una Delly con un sorriso mesto, così tirato da sembrare una smorfia, mentre camminavamo per raggiungerla, Johanna mi informò che sarebbe andata a lavarsi e la capivo perché voleva togliersi quella sensazione di sporco, che non è materiale, ma emotivo, psicologico, vuole sentirsi meno sporca dentro ed io, forse solo io, riesco a capirla per davvero, così annuii senza ribattere, lei doveva assimilare, io l'avevo fatto durante il viaggio, non ero riuscito a chiudere occhio, i miei pensieri non mi davano pace.
Johanna oltrepassò Didi in silenzio, salutandola con un cenno del capo, allontanandosi in fretta e sparendo subito dal mio campo visivo.
Adesso mi guarda negli occhi Delly, con quei pozzi azzurri in cui ho rivisto in pochi secondi tutta la mia giornata, rivivendola e ricordandomi della sua ultima notte al 12.
Un lampo attraversa lo sguardo di Delly Cartwright che mi fissa, per poi sospirare dalla tristezza. Nessuna parola potrebbe mai descrivere i nostri stati d'animo, perché non sarebbe necessario, ma alla fine, la mia amica, cede.
«Non capirò mai Capitol City», ribatte lei.
«Forse è meglio non capirla», le dico.
Perché è vero, nessuno dovrebbe capire com'è, perché quando te ne rendi conto l'amarezza è il retrogusto che ne lascia la sua scoperta.
Poco dopo la mia amica si allontana da me, salutandomi con un abbraccio veloce, per poi andare a fare chissà quali compiti con l'orario giornaliero ed io ne approfitto per andare da Primrose.
«Finalmente sei ritornato» mi guarda dolcemente, accogliendomi nella sua stanza ed io le sorrido di rimando.
«Si, ho recuperato tutto quanto, ma la cosa fondamentale è lui...» dico aprendo la casacca e porgendole delicatamente il suo adorato gatto arancione, quello che Katniss voleva fare al forno e ancora sorrido per le minacce che lanciava a questo povero animale, che per la sorellina non può che essere adorabile.
«Ranuncolo!» lo prende subito fra le braccia con gli occhi emozionati e subito questo fa le fusa in sua direzione, bramando le carezze della sua padroncina.
«Pensi che me lo faranno tenere? Qui hanno delle regole rigide...» e con questa frase la vedo,per la prima volta, come una ragazzina della sua età e non posso fare a meno di prometterle che avrei fatto di tutto per farglielo tenere e lei mi stringe una mano, sussurrandomi un 'grazie Peeta' mentre le guance le si imporporano lentamente, poi dopo poco entrò la signora Everdeen nell'alloggio, salutandomi in modo quasi forzato, mentre un sorriso, che pareva tutto tranne che vero, le si dipinse in viso.
Cortesemente le diedi tutte le cose che le servivano, facendo attenzione a non rompere nulla.
«Ho preso anche la giacca di pelle di suo marito e una foto che sua figlia adorava...» anche solo ricordarla faceva male, perché lei non era al loro fianco,non più, c'ero io, ma di me non importava a nessuno, lei era necessaria per tutti, io no.
«Si...Katniss era molto legata a suo padre.» lo sapevo, me ne aveva parlato Katniss, raccontandomi dell'esplosione della miniera e della morte di suo padre, sapevo tutto di quella famiglia, tutto o quasi.
Sapevo come Beth Everdeen aveva reagito alla morte di suo marito Jimmy, lasciando le proprie figlie al loro destino, cadendo in uno stato catatonico e rinchiudendosi nel suo dolore e non ne soffriva molto la signora Everdeen della lontananza di Katniss, non soffriva come me, come Prim che di nascosto, quando pensava di non essere vista da nessuno, piangeva; come Gale o semplicemente come Haymitch.
Ormai Beth aveva riposto tutte le sue speranze in Prim, che le somigliava, che aveva preso anche la passione per la medicina da lei, perché ormai aveva perso Katniss e non sarebbe mai bastato il prepararle un bagno caldo dopo gli Hunger Games, perché Katniss le era scivolata fra le dita molto prima della mietitura e Beth lo sapeva, perché aveva perso definitivamente la sua primogenita quando se ne era infischiata della sua vita, quando le aveva permesso di fare da madre a Prim, quando aveva dovuto rovistare nella spazzatura per cercare un po' di cibo o quando l'aveva abbandonata al suo destino, lasciando che la sua prima figlia si affidasse alla divina provvidenza. Se ne era semplicemente fregata, vivendo solamente per sentire il dolore della sua privazione.
Non era stata una brava madre Beth, che con la morte del marito non riuscì ad amare più nessuno, neppure se stessa. E forse era proprio per questo che la signora Everdeen mi guardava con riluttanza, preferendo sempre Gale Hawthorne a me, perché io avevo contribuito inconsciamente all'allontanamento di Katniss, anche se la colpa era solo di una madre che non sapeva essere più tale, proprio come la mia, lei, non provava amore.
Ed è per questo che dopo alcune formalità esco dalla stanza, perché so di non essere ben accetto dalla donna bionda che mi fissava riluttante, ma va bene, non importa, ormai nulla ha più importanza.
L'unica cosa che voglio, è solo stare dove vorrei essere e diventare ciò che voglio e dopo quello che ho visto so che diventerò la voce della rivoluzione, per tutti i caduti, per gli innocenti uccisi da un presidente assetato di potere, ma anche per Katniss.
Quando mi distendo sul letto ho ancora i capelli umidi per la doccia, la stanza è avvolta dal buio e Johanna ronfa nel suo letto, il sonno non accenna ad arrivare così esco vagando per i corridoi, proprio come facevo al tour della vittoria e la sento ,lei, sta gridando ancora ,come quella notte sul treno, così le corro incontro entrando nella sua stanza per tranquillizzarla, per salvarla dai suoi fantasmi.
«Scusami...era solo un' incubo.» dice e di getto le rispondo, perché ho già vissuto tutto e lo vorrei rivivere ogni notte se significasse stare con lei, anche se per qualche istante.
«Figurati, ce li ho anch'io.»ribatto e le auguro la buonanotte allontanandomi di qualche passo quando mi richiama e mi volto, perché l'unica cosa che voglio è sentirle dire che vuole me, sempre.
Eppure non lo fa, tentenna e mi manda via e la perdo, ancora. Poi mi ritrovo in una stanza bianca con delle luci a neon accecanti, la vedo, è al centro della camera e mi fissa con i suoi occhi grigi, mi sorride, ma il sorriso sparisce dal suo volto, del sangue le esce dalle sue labbra carnose ed io la vedo morire davanti a me, ma non posso fare nulla, impotente, sono bloccato e lei continua a sanguinare davanti ai miei occhi così grido, grido perché ho fallito di nuovo, me l'hanno portata via, l'ho persa per sempre.
Apro di scatto le palpebre, sono in un bagno di sudore e Johanna sta ancora dormendo, non grido mai quando ho un incubo, mi agito e basta e solo quando il dolore è troppo forte mi sveglio in preda al panico, perché non siamo al tour della vittoria o al centro di addestramento, perché al mio risveglio lei non c'è, perché nei miei incubi la perdo per sempre e al mio risveglio non vi è alcun sollievo, perché realizzo di averla persa anche nella realtà.
Sono disteso supino, la testa che gira e il mio cuore si pone una sola domanda: mi stai sognando anche tu, Katniss? 
Mi siedo strofinandomi gli occhi, passandomi una mano fra i capelli madidi di sudore e so che ormai Johanna è sveglia perché il suo respiro non è più pesante e perché non russa come prima. Ormai ci conosciamo come i palmi delle nostre mani e la domanda mi esce spontanea.
«Cosa pensi che le faranno...» la mia voce è ancora impastata dal sonno, ma non importa perché questa sarà l'unica notte in cui mi appello alla speranza che lei sia ancora viva, non voglio ingozzarmi di false speranze per poi vomitare delusioni, ne uscirei annientato.
«Quando Snow capirà che fai parte dei ribelli: qualsiasi cosa serva per spezzare te.» la risposta della mia coinquilina è come un pugno in pieno petto e mi ritrovo a pensare cose che non avrei mai il coraggio di dire, perché sarebbe un'ammissione troppo dura, troppo egoista, un pensiero che non è da me.
Mi ritrovo a pensare che se così fosse, forse, è meglio che sia morta. Perché la amo troppo e non riuscirei a vederla distrutta a causa mia e mi odio fin da subito per aver considerato anche per un solo istante questa cosa, mi ritrovo diviso a metà perché vorrei solo essere con lei ,ovunque sia, e rispondere per dieci; cento, mille volte che resterei con lei per sempre, ma non me l'hanno permesso.Perché io sono completo solo se c'è lei al mio fianco, perché sono troppo impegnato ad essere suo per potermi innamorare di qualcun'altra ed è il mio amore a farmi andare avanti, vado avanti grazie a lei.
Per lei, sempre.
Non ero più riuscito a prendere sonno, così dopo essermi rigirato fra le lenzuola decisi di alzarmi.
Feci una doccia e mi preparai per affrontare un'altra insulsa, monotona e noiosa giornata. Sulla parete l'orologio segnava che erano le 5 del mattino e nessuno si sarebbe alzato non prima delle 8.
Johanna dormiva ronfando sonoramente ed io dopo aver sistemato il letto mi distesi sopra le lenzuola per leggere il libro che avevo preso da casa mia. Ricordo quando i miei fratelli mi chiedevano come potevo leggere un mattone simile, perché per loro erano troppe pagine e la storia non era avvincente, ma per me...per me era tutta un'altra storia.
La trama era semplicissima, così semplice che mi rivedevo nel protagonista e ogni volta che leggevo speravo che tutto andasse per il verso giusto, nonostante conoscessi alla perfezione ogni capitolo.
Era una storia d'amore tormentata, uno di quei romanzi per ragazze, ma per me era uno dei libri più belli che mio padre avesse mai portato in casa.
Leggevo lentamente per godermi ogni singola parola, ogni singolo gesto che compieva l'innamorato verso la sua fanciulla, ma il muoversi di Johanna mi distraeva.
Scalciava le coperte come fossero corde che la legavano e, di tanto in tanto, sibilava qualche 'No'.
Quando Jo faceva un brutto sogno non reagiva come Katniss, lei era molto più agitata e le sue urla mi facevano paura e tristezza da quanto erano strazianti...Katniss si calmava solo con me.
Johanna invece si rigira fra le coperte, parla nel sonno e se l'incubo è “potente” morde il cuscino e grida con tutto il fiato che ha in gola, ma le urla vengono attutite dal guanciale e nessuno, oltre me, riusce mai a sentirla.
Alcune volte l'avevo ritrovata in bagno, accovacciata mentre si dondolava e piangeva, era tanto forte quanto debole Johanna, il suo cinismo era una corazza che le permetteva di non farsi ferire, forse, ero l'unico con cui se ne privava.
«Jo...Jo!» senza indugiare mi accuccio accanto a lei scuotendola, ma non la svegliano neanche le bombe da quanto ha il sonno pesante.
«Johanna!» la muovo con vigore e finalmente apre gli occhi di scatto, attaccandosi al mio collo per poi spingermi via come se avessi fatto qualcosa di tremendamente sbagliato.
«Cosa vuoi, Panettiere?» chiede assonnata, indossa la sua maschera di superficialità, sa che mi dà fastidio.
«Avevi un incubo.»ma la mia constatazione non la smuove, è tremendamente orgogliosa e poche volte si lascia andare, abbattendo i muri che si è creata intorno, mostrandosi per quella che è realmente.
«Non importa...» il mio volto non ha espressioni e il mio sguardo è vacuo, non deve mentire con me. Non dopo le lacrime che abbiamo versato insieme mentre eravamo abbracciati in bagno nel cuore della notte; non dopo le grida e gli insulti; non dopo la visione della mia casa; non dopo tutte le parole di conforto che mi aveva sussurrato ogni volta che cadevo in pezzi e non dopo che ci eravamo presi per mano per non perdere chi eravamo.
«Che hai visto?» parlo piano e a bassa voce.
«Va tutto bene,Panettiere..» fa schifo a mentirmi Johanna, sopratutto dopo un incubo, così la fisso insistentemente e dopo essersi seduta a gambe incrociate sul letto sbuffò e iniziando a raccontare.
«In realtà nulla di particolare Peeta, ho solo rivisto tutto...» dice guardandosi le mani che ha poggiato sul grembo e che continua a torturarsi, so cosa significa il suo tutto.
Ero stato al 7 solo una volta, al tour della vittoria con Katniss. Non mi ero concesso di visitarlo per intero, ma Johanna lo descriveva come un posto noioso, fatto di falegnami orgogliosi e mogli devote.
La Mason abitava in una piccola fazione del distretto e la sua casa era in legno bianco. Viveva con i suoi genitori e il fratello maggiore Jason, che fin da bambina le aveva insegnato a difendersi dai bambini più grandi.
La madre di Johanna si chiamava Evangeline ed era una donna bellissima, il padre, Samuel, era uno dei falegnami più importanti del distretto. Ma nonostante la famiglia potesse vivere nella parte più ricca del quadrante decise di abitare in una casa modesta.
La mia amica mi disse che aveva sempre avuto un bel visino, era considerata una sorta di bambola di porcellana per molte persone e la sua aria innocente tradiva il suo carattere da maschiaccio, infatti lei andava a tagliare la legna con il padre e si arrampicava velocemente sugli alberi e la madre la sgridava spesso per questo suo comportamento, ma a Johanna non importava perché i vestitini che le arrivavano sotto al ginocchio, i capelli color ebano lasciati sciolti o acconciati grazie ad un nastro e il suo sorriso intenerivano chiunque e facevano credere nella sua finta innocenza.
Dopo la mietitura si era finta una debole, piangendo e addirittura
singhiozzando all'intervista di Ceasar Flickerman, ma quando fu dentro l'arena fece uscire il suo lato meno dolce, quello che le fece piantare la scure in pieno petto a molti tributi, quel lato che le aveva fatto decapitare il tributo maschio del distretto 4 in un batter di ciglia.
Quando tornò a casa niente era come prima, la madre non la guardava più in faccia, troppo disgustata da ciò che la figlia aveva fatto e il padre fingeva che nulla fosse mai accaduto comportandosi in modo quasi vergognoso, la Johanna che era ritornata non era la stessa che era partita, ma Jason,... Lui era realista. Le diceva le cose in faccia e la prendeva in giro, suo fratello non la trattava in modo diverso o come se niente fosse successo, Jason era Jason.
Snow aveva fatto delle richieste a Johanna, ma lei di buon grado si era tirata indietro, così il presidente le ripose che avrebbe pagato pegno, che si sarebbe pentita del suo rifiuto.
Poco dopo il suo ritorno dal tour della vittoria scoprì che il padre morì misteriosamente in un incidente nella boscaglia, la madre finì in depressione e si suicidò, la trovarono impiccata ad un albero non molto distante dall'abitazione dei Mason, con un biglietto di addio sotto i piedi che penzolavano.
Alla vincitrice rimaneva solo suo fratello e lo mise in guardia, raccontandogli delle minacce del presidente e dicendogli che forse era meglio che accettasse le proposte, ma i due litigarono e Jason le gridò in faccia le peggio cose sbattendo poi la porta di casa e andando chissà dove per bere, ma non fece più ritorno.
«Non te l'ho mai detto Peeta, ma era stato ritrovato dentro al pozzo...affogato. L'ho visto mentre galleggiava...» stringo la mano della mia amica che è più forte di molti, ma che al contempo è fragile come la porcellana.
«Hanno archiviato subito il caso.» dice insofferente, continuando a guardarsi le mani.
«Mi dispiace Jo...» annuisce alzandosi e dirigendosi verso il bagno, sono ormai le 7 e mezza.
«Non sono triste, anzi... Si sa che tanto lo uccido quel pezzo di merda di Coriolanus Snow.» dice per poi richiudere la porta con un tonfo ed io vado nel corridoio principale per prendere l'orario del giorno, non conosco quello che mi aspetta, ma sto bene, in realtà non sento niente, ma non mi interessa.
Sapevo già quello che avrei fatto durante il giorno, ovvero, avrei cercato ogni singola scusa per distrarmi e pensare ad altro, per non soffermarmi troppo con la mente verso Katniss, verso il 12 o semplicemente sul racconto di Johanna. Sonoforte, ma non invincibile, sono stanco, abbattuto e si, anche sconsolato. Mi hanno tolto tutto quello che avevo e al loro posto hanno lasciato solo un vuoto incolmabile che ha come retrogusto il sapore ferroso del sangue misto a quello salato delle lacrime, quelle che avevo versato durante tutti questi mesi e che avevo bevuto per errore.
Non sarei mai e poi mai riuscito a leccarmi le ferite in fretta, voglio solo che il tempo passi in fretta per far finire al più presto questa terribile agonia che mi è stata riservata per nulla.
Vorrei scappare da tutti, persino da me stesso.
Così decisi che oggi avrei saltato la colazione, non avevo fame e non amavo la compagnia e il calore della folla e sarei passato direttamente al programma delle 9, non c'è scritto molto solo:
SALA 34.

 






NOTE:

Ciao a tutte :3 lo so, avevo promesso di caricare il capitolo dopo una settimana dalla pubblicazione di quello precedente, ma davvero sono state delle giornate infernali. Tra lo studio ed un'imprevisto durato 3 giorni e 2 notti che ho dovuto passare in ospedale per dei problemi di salute non ne sono venuta a capo, quindi vi chiedo scusa per l'attesa e in cuor mio spero che ne sia valsa la pena.
L'immagine all'inizio del capitolo è una Rosa dopo un'incendio e la trovo magnifica, anche se la qualità della foto fa un po' schifo xD
Bando alle ciance: 
finalmente Peeta riesce a vedere com'è conciato il distretto 12, capisce di cosa è capace Snow e inizia a fare 2+2, ma la cosa che lo differenzia da Katniss è che lui nonostante tutto non entra solo in casa sua -come ha fatto lei nel libro originale- ma va in quella della famiglia Everdeen e, nonostante tutte le accuse che gli ha lanciato contro, anche in quella di Haymitch... E' proprio tenero il panettiere :3
Poi c'è anche il racconto di Johanna e della sua vita prima dei giochi, ma sopratutto la sua vita dopo la vittoria agli Hunger Games.
Scrivere questo capitolo è stato come ricevere una pugnalata al cuore, la tristezza proprio :-P
Se vi va fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo tristissimo con una recensione, sono davvero curiosa di conosere i vostri pareri :3 sono ben accette critiche e consigli cosicché io possa migliorarmi con il proseguimento della storia :)
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito fin adesso la mia storia, chi l'ha aggiunta tra i preferiti, le ricordate, le seguite o chi semplicemente legge...
Davvero, graziegraziegrazie è un traguardo importantissimo per me! 
P.S.: Il prossimo capitolo, per me, è troppo carino, ma sopratutto è già in fase di correzione spero di riuscire ad aggiornare al più presto possibile :3

A presto sognatori <3
__Haaveilla__



 

 

  
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