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Autore: Porrima Noctuam Tacet433    03/10/2015    2 recensioni
Sempre Geoffrey Martewall, ma attraverso occhi diversi.
Hector- "...aveva capito che c’erano ancora troppe ferite che il suo animo indomito tentava di sanare ogni giorno, troppa voglia di liberarsi da qualcosa."
Brianna-" Lo aveva visto dalle finestre e non aveva capito subito perché la paura l’avesse attaccata a tradimento, così all’improvviso. Poi la verità le si era rivelata in un modo così evidente che Brianna non aveva potuto continuare ad ignorarla."
Gant-"« Dovete sentirvi molto solo, sir. » gli aveva sputato addosso Gant, con una calma solo apparente.
Martewall aveva fermato il suo passo ma non si era voltato.
Jerome-"E sapeva anche che non avrebbe ascoltato il suo ordine.
Sembrava nato per essere diverso dagli altri, e, di conseguenza, per essere allo stesso tempo dannatamente irritante e dannatamente insostituibile."
Etienne-"Erano state poche le volte in cui aveva provato ad immaginare cosa pensasse.
Forse perché se c’era una cosa che Etienne detestava, era fallire. E da quel punto di vista, Martewall rappresentava un fallimento continuo."
Guillaume-" « Cercate solo… » disse, senza più voltarsi « Di non fare per orgoglio o paura la mia stessa fine. » "
...
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Geoffrey Martewall, Un po' tutti | Coppie: Geoffrey/Brianna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Harald Martewall

 

Padre.

 

 

Il barone è tornato a casa.

La sua veste è gocciolante e il suo mantello pesa sulle spalle. È tornato in un giorno in cui il cielo non è stato clemente, in un modo che oramai gli abitanti del territorio si aspettano. Le nubi sono scure e opprimenti nelle ombre della sera, e rilasciano una pioggia torrenziale.

Il barone si sfrega con una mano la barba castana, la pelle pallida e tirata sugli zigomi dalla stanchezza. Ma è solo un momento distratto, e poi il suo sguardo si irrigidisce di nuovo, come animato da un movimento che è risalito dalla schiena, ora più dritta e austera. Sembra di nuovo infaticabile, il barone, anche se il suo viaggio è finito.

Si ferma nella sala d’ingresso, finalmente lontano dalla tempesta e ascolta per un momento, senza dire nulla, le voci concitate degli ufficiali che ordinano ai servi di mettere i cavalli al riparo. Impartisce lui stesso qualche istruzione, davanti ai volti dei suoi famigli che, lo sente, sono felici di vederlo. Cede ad uno di loro il mantello con un sospiro di piacere, non sopportando più di sentire il tessuto freddo e bagnato sul collo.

Sorride distrattamente. Lui stesso è molto felice di essere di nuovo a casa. E non solo per il calore del fuoco acceso.

Dal corridoio fanno capolino delle giovani balie dai capi coperti da un panno bianco, una di loro porta in braccio un bambino  che quasi scompare tra le pieghe delle sue vesti. Lo vedono e gli vanno incontro con sorrisi ampi e saluti cortesi. Il barone le osserva inchinarsi di fronte a lui e poi tende le braccia con un piccolo sorriso.

La piccola Leowyn adesso è tra le sue braccia e dorme profondamente. Il barone le accarezza la piccola testolina ma alza lo sguardo quando sente i passi dell’ ambasciatore che lo raggiungono, e lo guarda negli occhi mentre, delicatamente, riaffida la piccola alle cure delle donne. Il messaggero ha in mano una lettera e il barone sa che resterà con lui per discutere riguardo al suo contenuto, una volta che l’avrà letta.

La porta dietro alla sue spalle si apre lentamente mentre un’altra folata di vento piega i rami degli alberi fuori dalle finestre di vetro opaco. Il barone si accorge allora di non essersi allontanato dall’entrata e si volta mentre il portone sbatte con un tonfo sordo.

Ricambia lo sguardo profondo di un bambino con le guance sporche di fango e gli occhi rossi per il vento e la pioggia che hanno raccolto. Il loro grigio intenso non ha perso però quel guizzo vivace che ha sempre avuto nel suo colore frastagliato, che pare più chiaro ancora alla luce danzante del camino. Le spalle del bambino sono magre sotto la camicia ampia e sporca anch’essa di fango, gli stivali logori e i capelli castani arruffati e fradici.

Il barone riesce a non far trapelare il suo sorriso dalle labbra, ma non dai suoi occhi, per un solo istante. Gli bastano pochi passi per raggiungere il bambino, e lo fa nonostante la presenza del messaggero sembri rendere l’aria più pesante. Anche il bambino se ne è accorto, ovviamente. Punta lo sguardo sull’uomo con quegli occhi curiosi che sembrano scrutare nel profondo della sua persona, con un velo costante di malinconia.

Sembra esserci tutto, nello sguardo di suo figlio, o almeno così ha sempre pensato il barone. C’è tutto meno che la tranquillità e la remissione.

È sempre segnato da una sorta di vivace ma non per questo serena irrequietezza.

« Signore…» l’ambasciatore richiama il barone con una stizza che cerca invano di rimanere nascosta. Lui e suo figlio ancora non si sono parlati, il messaggero scalpita perché vuole portare a termine il suo dovere nel minor tempo possibile e non capisce perché quel bambino che pare essere sbucato dal nulla e non essere nulla stia attirando così tanto l’attenzione del barone. Le donne invece sanno bene chi sia il nuovo arrivato, quelle più vecchie lo osservano con biasimo, quelle più giovani con un misto di confusione e preoccupazione. Si preoccupano per lui anche se non lo capiscono, perché è quello che devono fare, ma sanno che non è il loro compito controllare che il bambino non esca quando gli è proibito. Loro devono occuparsi quasi esclusivamente di Leowyn, per fortuna.

Il messaggero, che nulla sa della vita nel castello di Dunchester, si chiede anche come il bimbo possa permettersi di osservare sia lui stesso che il barone con quella fissità attenta e irriverente.

Il barone non lo ascolta. Per una volta, non ha voglia di mettere da parte i suoi desideri. Il suo volto potrà anche essere severo come sempre, ma il suo cuore trabocca di gioia e questo non può ignorarlo, non dopo un viaggio che è sembrato così interminabile. Non gli sfugge, inoltre, la gioia dello sguardo di suo figlio nel rivederlo dopo lungo tempo.

Il viso del bambino è molto sottile, tanto che il barone può stringergli le guance tra le dita, con il pollice da una parte e le altre quattro dall’altra, che premono vicino all’orecchio. Lo vede nei suoi occhi, che si aspetta di essere rimproverato. E infatti qualunque altra sera suo padre non ci penserebbe due volte ad afferrare la verga. Se solo pensa al buio che c’è fuori dal castello, al vento pericoloso per chiunque non abbia un riparo sopra la testa, alla pioggia che col suo frastuono potrebbe coprire qualsiasi suono e infine al bambino che è uscito da solo, sente il sangue ghiacciarsi nelle vene dal terrore. Gli stringe di più la mascella, le unghie che incidono leggermente la pelle. Il bambino lo guarda con gli occhi grandi e senza paura.

Il barone non sa se ha più voglia di abbracciarlo o di prenderlo a schiaffi, e suo figlio sa che sarà punito, ma non gliene importa,  il grigio dei suoi occhi risplende di felicità benché, capendo la situazione, eviti di sorridere apertamente.

« C’è mio figlio sotto questo strato di fango?» chiede freddamente Harald Martewall, severo.

Geoffrey lo osserva senza mutare espressione, poi accenna ad un sorrisetto impertinente, che sembra voler riservare solo al padre.

« C’è lui, padre. » annuisce, e Harald sente il suo mento pesare di più sulla mano.

Harald è stanco. È troppo stanco per sgridarlo, lo capisce in un mezzo sospiro. Ma se fosse solo colpa della stanchezza, non si sentirebbe così ben disposto. Per quella che è forse la prima volta, non punisce suo figlio perché non vuole farlo. Non vuole rovinare quell’intesa tra i loro sguardi, quel momento di comprensione che condividono spesso e di cui non potrebbe mai stancarsi, i piccoli gesti di Geoffrey per far trasparire il suo affetto anche quando ha fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare.

Come l’appoggiare quasi impercettibilmente il mento sul suo polso.

« ora non è il momento adatto… » inizia Harald, perché nonostante tutto non può dimenticare la paura di poco prima, la sorpresa e la sottile rabbia, e il vento fischiante non fa che ricordarglielo. « della tua nuova bravata parleremo domani. »

Si volta per chiedere alle serve di preparare un bagno al bambino, specificando che non serve che l’acqua sia calda. Se non si è ammalato sotto la pioggia scrosciante non si ammalerà di certo nella grande tinozza delle sue stanze.

Quando si gira di nuovo verso suo figlio vede uno sguardo diverso nei suoi occhi, una speranza infranta, e gli si stringe il cuore. Vorrebbe parlargli, avere tutto il tempo di farlo, confrontarsi con lui e anche rimproverarlo, magari, che sarebbe qualcosa di preferibile rispetto a quel vuoto di attenzioni.

Invece lo osserva andarsene a capo chino, salutando a voce bassa, e il messaggero deve richiamarlo due volte prima di ricevere un minimo di considerazione.

 

 

Non è stata una serata piacevole come aveva sperato quando ancora era in viaggio verso casa.

Quando finalmente gli è possibile congedare il messaggero, la mente di Harald è più ingombra di preoccupazioni di prima, le spalle più curve e il volto più teso e tirato. Per quanto riguarda il suo umore, è ciò che, più di tutto il resto, lo fa sentire stranamente debole e impotente.

E distante.

Distante come non lo era mai stato, persino. Distante dai suoi figli, da quei desideri che aveva sempre accantonato con la speranza che, un giorno, sarebbe stato ripagato di tutti i suoi sforzi. Ma la speranza era smorzata da poche, scarne gioie che lo appagavano lasciandogli al contempo il gusto della delusione nella bocca, dell’insoddisfazione. Lo accontentavano quel poco che bastava per farlo andare avanti su una via estremamente tortuosa.

Il barone metteva tutta l’anima in ciò che faceva. Perché era un uomo d’onore e di valore.

Ed è strano come, quella sera, non senta nessun tipo d’orgoglio, né quella sua costante decisione ferrea in ogni azione, ma si senta solo vuoto e stanco.

La speranza ora lascia il posto a un piccolo dubbio. A una piccola, sussurrata, confusa paura. Il tempo gli sta sfuggendo di mano, e lui deve fare di tutto per costruire dei ricordi che gli facciano affiorare il sorriso sulle labbra anche nei momenti più tetri.

Le gambe lo portano da sole, non le muove un suo preciso ordine.

Si dirige deciso verso una direzione ben definita nella sua mente, forse perché sa che lui è ancora sveglio, o forse perché, tra tutti, è la persona che gli somiglia di più. Sul suo volto vede la sua stessa forza idealista, la sua solitudine e qualcosa che Harald tenta costantemente d’afferrare e di capire. Qualcosa di così prezioso, da dover restare nascosto persino ai suoi occhi, il frutto di un amore viscerale.  Come se Geoffrey avesse sempre avuto, non sapendo d’averla, una cura per ogni tormento di suo padre e il potere di sconvolgere la sua vita in una sola parola.

Harald trova la luce debole delle candele che ancora filtra dalla fessura sotto all’entrata. Spinge piano la porta, osservando suo figlio rimasto sopra alle coperte del letto in fondo alla stanza, i capelli asciugati da un panno che gli pende dalle spalle, il viso pulito, i gomiti sottili poggiati sulle ginocchia e una spada di legno sciupata tra le mani. Ha l’espressione seria di un piccolo soldato.

O forse è solo quella di un bambino abbandonato che non vuole dare a nessuno la soddisfazione di vederlo imbronciato.

Harald si avvicina e si sente come se un grande peso gli sia stato appena levato dalle spalle quando incrocia il suo sguardo. Si sente felice e dispiaciuto al tempo stesso, perché quello scambio silenzioso è durato un solo istante ma è bastato per fargli capire che c’è sempre qualcosa che Geoffrey non gli perdona.

A volte dimentica che è solo un bambino.

Perché Geoffrey è così… strano, complesso, e i suoi occhi sono così grandi, da far dimenticare che anche lui è un bambino. Non come gli altri, forse. Ma soffre nell’essere imprigionato a metà strada.

Harald si siede sul letto, e vorrebbe costringerlo a guardarlo e a rivolgergli uno di quei suoi sorrisi così belli, ma sa che non basterà il poco che sarebbe sufficiente con chiunque altro per riuscirci. Con Geoffrey non sono mai bastate le promesse vuote, lui vuole spiegazioni.

Il barone gli tocca la spalla spingendolo leggermente all’indietro. Allora il bambino alza lo sguardo su di lui con una muta domanda nella testa, quella testa che osserva e pensa scavando nell’essenza delle cose, si scosta una ciocca di capelli castani dagli occhi.

Harald è così felice di essere lì, di vedere le sue iridi brillare di fronte al suo sorriso. È così felice di poter di nuovo stare vicino a lui, di sapere che l’indomani si preoccuperà di nuovo e si arrabbierà di nuovo. Gli passa una mano tra i capelli spettinati con l’affetto che dimostra poche volte.

« Vuoi che ti racconti cosa ho fatto in tutto questo tempo? » chiede, la voce profonda e scura.

Geoffrey lo osserva confuso e stupito, stringendo le labbra.

« Non siete arrabbiato?»

Harald sorride debolmente e scuote la testa. Oramai la rabbia è svanita e non è venuto per rimproverare suo figlio, ma perché ha bisogno della sua vicinanza. Per questa volta Geoffrey può scamparla.

« E tu?»

Geoffrey sembra pensarci per un momento, poi scuote la testa.

« Bene…» sorride Harald, preparandosi a raccontare una storia a suo figlio come non l’ha mai fatto prima, scoprendo di non essere poi tanto scarso nel provarci. Alterna racconti veri a momenti più avventurosi, sorvola sulle lunghe discussioni politiche e fa apparire la sua storia, vera solo per metà, più magica ed eroica di quanto sia in realtà, sapendo che suo figlio penderà dalle sue labbra con gli occhi sbarrati dalla sorpresa.

Perché, non ci sono dubbi, è giusto che sia così.

Quello è il loro personale momento di magia.

 

*

 

Harald Martewall era arrivato da tempo a un punto in cui non poteva far altro che vederlo tornare sapendo che se ne sarebbe andato dopo poco tempo. È una delle conseguenze della guerra, una di quelle che nella sua famiglia si accetta oramai con una certa rassegnazione. Ma non questa volta. Questa volta, qualcosa è cambiato. Forse Harald non ha mai fatto i conti con la realtà prima d’ora, non ha mai messo in conto che suo figlio potesse non tornare.

Il sollievo di sapere che è vivo lascia presto il posto alla paura.

 Fin da quando suo figlio era solo un bambino, il barone sapeva che, pur potendo scegliere una strada diversa da quella militare, Geoffrey sarebbe diventato un uomo d’arme.

Era lampante, il suo talento con la spada, ma vi era anche qualcosa di più profondo che rimaneva immutabile nell’espressione del suo viso, tra i tratti schietti del ragazzino che sarebbe diventato il bell’uomo che desiderava così ardentemente tornare a vedere.

Il suo destino si poteva percepire nelle sue risposte secche, nello sguardo penetrante e talvolta distante, nella cupa sofferenza dei suoi occhi di fronte alla salma del fratello.

Harald chiude gli occhi con dolore. Pensare di poter perdere quel giovane cavaliere, di cui è così fiero, che è stata la cosa più preziosa che abbia mai posseduto… è insopportabile.

Il barone si sforza di accantonare per un momento i ricordi, i pensieri, tutto quello che gli porta a far perdere lo sguardo oltre le finestre, in mezzo alla pioggia incessante che gli ricorda un momento ben preciso passato con suo figlio.

« Signore, gli esattori del re sono qui. »

Quanto ci sarebbe voluto per mettere insieme abbastanza denaro da pagare il suo riscatto e farlo tornare a casa? Harald stringe i pugni furiosamente. Non c’è nulla che non potrebbe fare pur di riaverlo , là dove si trova il suo legittimo posto. Eppure suo figlio è ancora in Francia, in una prigione, e può solo ringraziare che non sia morto.

« Signore…?»

Harald volta di scatto la testa verso Kerwick ed Ewen, li scruta come se volesse bruciarli con lo sguardo. Perché il barone vorrebbe distruggere ogni cosa, con la stessa furia appassionata di suo figlio, come oramai la vecchiaia e la malattia gli impediscono di fare. Sente un oppressivo senso di impotenza al pensiero di essere quasi completamente bloccato su uno scranno, mentre suo figlio soffre in una prigione e lui non può fare altro che abbandonarlo perché, nonostante tutti i suoi sforzi, non viene mai raggiunta una cifra sufficiente per i francesi.

I due cavalieri abbassano lo sguardo con una tetra consapevolezza negli occhi. Harald osserva molto attentamente il più giovane, con freddezza.

Sa chi è, sa che soffre per l’assenza di Geoffrey, che è cresciuto dietro alle sue stesse mura e che ha sempre ammirato da lontano. Eppure il barone è convinto che nessuno possa capire cosa stia provando lui stesso.

« Perdonatemi se non vi ho prestato attenzione. » sbotta, con un gesto scontroso della mano. I due cavalieri rialzano a fatica lo sguardo. Kerwick non riesce a guardarlo in viso.

« Chiediamo perdono, signore, per avervi disturbato. Gli esattori sono insistenti. » dice Ewen, nascondendo senza troppa convinzione un astio che il barone condivide con tutta l’anima.

Harald sposta lo sguardo sul tributo, racchiuso in una cassa, che avrebbe dovuto cedere al Senza Terra. Stringe le dita sul bracciolo del suo scranno.

« Che Dio mi fulmini se sarò ancora così debole… » mormora con rabbia e dolore.

Sorride appena pensando alla scelta che ha preso. Sa che Geoffrey non sarebbe d’accordo, non subito. Ma sta facendo esattamente quello che il bambino con la spada di legno in mano si aspetterebbe dal suo eroe.

 

*

 

 

Harald non si era decisamente aspettato questo.

Non si era aspettato di provare una tristezza così profonda, nel perdersi nel buio sconosciuto dei suoi occhi. Gli erano sempre sembrati senza fondo, indefiniti come i pensieri indecifrabili al loro interno e allo stesso tempo terribilmente presenti, pronti a dimostrare quanto valessero, quanto tutto ciò che avevano passato li avesse resi più forti, più freddi, più sicuri.

Ciò che vede Harald in quel momento è collera, una collera bruciante. Il suo desiderio di distruzione e di violenza non è mai stato così bruciante e così difficile da tenere a freno anche, soprattutto, per Geoffrey stesso.

E Harald, quando mormora che non riesce a riconoscerlo, quando pensa che non è suo figlio che sta pronunciando quelle parole spietate, non mente. E come ogni volta che non si mente per amore, il dolore è indescrivibile.

 Si sente improvvisamente molto, molto stanco, quando il muro di risentimento di Geoffrey gli piomba addosso insieme alla sua stessa vecchiaia. La consapevolezza di essere il destinatario di tanto odio, di essere il creatore inconsapevole di tutti quei pensieri che Geoffrey gli ha sbattuto in faccia senza pietà, arriva come una pugnalata al petto.

Per un attimo vacilla. Stringe più forte il bastone.

Eppure c’è qualcosa nei gesti di Geoffrey, come un ombra tra i tratti del suo volto, che gli fa capire che suo figlio non è del tutto perduto. Che forse il peggiore dei suoi timori non si è avverato.

Ma è testardo, il suo solitario terzogenito, lo è soprattutto quando è arrabbiato, o quando è deluso, e purtroppo crede di avere tutti i motivi per esserlo, a causa della condizione che Harald si è trovato obbligato ad imporgli. Con un'altra guerra alle porte dopo cinque lunghi mesi di prigionia.

Geoffrey si sta sforzando di trovare una nobiltà nelle sue azioni che non sente più di avere, che gli viene negata dai suoi impulsi, dal suo agire con una fredda lucidità al fine di rimettere a posto la sua vita piena di contraddizioni. Harald sente il forte bisogno di salvarlo da qualcosa di troppo inconsistente per essere sconfitto e non si è mai sentito così impotente.

La decisione si presenta come una sferzata d’aria gelida.

È questo il momento di mostrare tutta la sua forza, prima che Geoffrey arrivi ad essere troppo lontano da lui.

Gli fa terribilmente male vedere quanto la guerra l’abbia cambiato. Eppure, se ci riflette, avrebbe dovuto aspettarsi l’arrivo del momento in cui Geoffrey avrebbe cominciato a dubitare di se stesso, a perdersi in una voglia di vendetta ingiusta e camuffata da qualcos’altro, a non perdonarsi con una crudeltà sofferente.

Gli fa male anche vederlo rimanere fuori dalle mura, preso da un accecante senso d’abbandono, in balia dei nemici che continua a fronteggiare con un coraggio folle. Cosa cerca, per la prima volta lo vedi nei suoi occhi che sono ancora un enigma, quando il conte francese lo tira a forza al riparo.

Geoffrey vuole l’oblio della guerra, e cerca la pace con l’irrequietezza di qualcuno che non saprebbe come comportarsi dopo averla trovata. Geoffrey vuole vendetta per la sua sicurezza di sé che è andata distrutta, vuole lottare per tornare in superficie ma il peso della consapevolezza di quel che crede d’essere lo trascina sempre più a fondo. Geoffrey vorrebbe che per una volta tutto fosse semplice, ed affronta con forza i suoi demoni.

Forse, per un breve istante di quel tempo folle in cui è rimasto solo, con i soldati che gli gridavano di superare il cancello, ignorando ogni voce ha perfino desiderato che arrivasse il colpo fatale.

Geoffrey si trascina dietro il suo inferno ad ogni passo.

 

 

*

Lo ama con un diverso tipo d’amore.

O forse è più corretto dire che non ha mai amato nessuno, come ha amato lui. Perché dovrebbe nasconderlo a se stesso?

Non ha smesso un istante di essere fiero di lui. E vorrebbe solo che lui lo sapesse, che capisse che suo padre non lo ha mai accusato di nulla. Ricorda la loro strana connessione, che apparteneva solo a loro e non si poteva descrivere perché non vi erano al mondo parole così eterne e flessibili.

E questo padre così orgoglioso morirebbe con la pace nel cuore se sapesse che suo figlio è vivo e sta bene, e la sua anima ha smesso una volta per tutte di sanguinare. Ma gli è stata negata anche quella pace, e sa che sentirà nella tomba la disperazione di Geoffrey, quel figlio che era partito per salvarli tutti.

Quel figlio che Harald non avrebbe mai, mai voluto mandare nelle mani dei nemici come ostaggio. La vita era stata spietata con entrambi.

La sua unica consolazione è sapere che, anche se Geoffrey non lo sa, il futuro barone non ha bisogno di lui. Anche se forse cadrà di nuovo, si rialzerà, e non perderà se stesso.

E mentre Harald guarda sua figlia cercando di farle coraggio, sapendo che almeno lei sarà protetta, ricorda le ultime parole che ha detto a Geoffrey e vuole innalzarle al cielo come una preghiera.

Sei un cavaliere e un uomo d’onore…

Il boia alza la scure.

… non metterlo mai più in dubbio.

 

Angolo di Tacet

Oh.

Ho finito. Ok. Non so perché ci ho messo così tanto a decidermi per scrivere questo capitolo, scusate. La mia musa ispiratrice è perennemente in sciopero. Comunque, ci siamo, e punto in alto con Harald. Uhm, che dire… non l’ho affatto riguardato, anzi, l’ho finito proprio ora, in più il mio orologio biologico ha cambiato i suoi schemi e quindi ora ho stranamente sonno…  ;) penso e spero comunque di non aver fatto errori di grammatica, nel caso contrario, mi raccomando, non esitate a dirmelo.

Altre cose, altre cose… perdonate il capitolo melenso. non mi dilungo sulla mia insoddisfazione. E spero di non essere andata troppo OC. e lo so che ho privilegiato, attraverso lo sguardo di Harald, Geoffrey rispetto agli altri figli, ma pazienza, vero? O.o

Oggi Jerome non c’è, per fortuna, dorme anche lui.

Scusate ancora per l’imperdonabile ritardo, mi dispiace! se riesco a breve mi faccio perdonare ;)

Ciao!!!

 

 

  
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