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Autore: lovinfaber    03/10/2015    3 recensioni
[-Creepypasta-]
[-Creepypasta-][-Creepypasta-][-Creepypasta-]Lui: un assassino seriale, sfuggito alla giustizia per diciasette anni. Lei: una giovane costretta a fare del suo corpo una merce. Entrambi reietti (seppure per diversi motivi), sopravvivono in quello stesso mondo che li ha partoriti per poi rinnegarli. In un susseguirsi di incontri casuali, di omicidi, di personaggi che lasciano un segno nelle loro vite, i due si ritroveranno faccia a faccia con i loro demoni.
Avvertenze: contenuti maturi per scene violente e linguaggio forte.
La scelta dei personaggi e della trama è motivata dall'idea di proporre una riflessione (seppure molto parziale) su tematiche come la prostituzione e l'alcooldipendenza.
Eventuali critiche costruttive sono bene accette. Non si accettano commenti offensivi.
I personaggi, i luoghi, le storie e i nomi sono di pura fantasia (ad eccezione di Jeff, di cui non possiedo i diritti). Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.
Genere: Horror, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jeff the Killer
Note: Lime, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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~~Oldfield

«Accidenti!»
John vide il treno delle 20:45 lasciare la stazione di Oldfield, la sua corsa per prenderlo in tempo si rivelò infruttuosa. Aveva perso il treno per Gresham.
Seccato, telefonò sua moglie per avvertirla che avrebbe rincasato tardi. Fu costretto ad attendere il treno delle 21:25 in quella desolata ferrovia, dove era solo con i suoi pensieri. Era troppo felice per maledire quella giornata, del resto non era andata così male. Dopo anni di precarietà lavorativa, una vicina fabbrica di automobili aveva deciso di assumerlo, con un contratto di tutto rispetto, e uno stipendio che avrebbe risollevato le sorti della sua famiglia da una situazione di perenne indigenza. Operaio sempre disoccupato e di scarsa cultura, tutto ciò su cui John poteva contare erano la sua prestanza fisica, la sua dedizione al lavoro e il suo buon cuore, che i colleghi conosciuti negli anni gli avevano riconosciuto. Fu quel cuore a conquistare l'amore di sua moglie, che gli diede due bellissimi figli, verso i quali indirizzava buona parte delle sue preoccupazioni. Pensò proprio a loro,  i quali avrebbero avuto qualche giocattolo in più, e a sua moglie, che avrebbe potuto finalmente permettersi di andare più spesso dal parrucchiere, o comprarsi un vestito. Pregustò la vita, semplice ma dignitiosa che avrebbero condotto insieme. Non vedeva l'ora di tornare a casa e di raccontarle tutto.
 La sua gioiosa impazienza fu interrotta da un suono sinistro, nel buio e nel silenzio di quella stazione immersa nella periferia cittadina.
Dei passi lenti, regolari e striscianti fecero la loro comparsa nella mente di John, tanto erano impercettibili.
Aguzzò il suo orecchio, per tentare di comprendere da dove venisse, si guardò intorno. Niente. John era completamente solo.
 Sospirò maledicendo la sua immaginazione, frugò nelle tasche del suo giubbotto per estrarre il suo vecchio cellulare e vedere l'orario sullo schermo rotto. Pensò che presto avrebbe potuto permettersi un cellulare moderno, di quelli che non hanno i tasti e che navigano in internet. Sorrise tra sé, divertendosi ad immaginarsi mentre cercava di capire il meccanismo di quegli aggeggi infernali. Ancora assorto nella sua ilarità, capì che non era solo:
i passi tornarono, accompagnati da un sibilio che non riuscì a comprendere: gli sembrò di udire lo strisciare di un oggetto metallico e appuntito su un muro. Il percorso tracciato da quel suono attraversò la schiena di John, lasciandolo in preda ai brividi. Cercò di tornare in sé: non era la prima volta che trascorreva solo in stazione, allora perché tutta quella paura? E di cosa, di chi? Di qualche altro disgraziato come lui che doveva prendere un dannato treno?
Ancora si rimproverava per la sua impressionabilità da femminuccia quando alzò la testa, per vedere una figura inghiottita dall'oscurità, della quale poteva distinguerne solo la statura imponente. 
John lo guardò perplesso, poi la sua perplessità si trasformò in paura quando, con due grandi falcate, il soggetto misterioso lo raggiunse. Avrebbe voluto dire qualcosa, mettere le mani davanti a sé per proteggersi. Un dolore lo sorprese in petto, ma non lo guardò. Si limitò a fissare gli occhi del suo aggressore, prima di lasciare che si annebbiassero per sempre. Il grande cuore del giovane operaio smise di battere.

...


Palo Alto, ore 10:47

« Johanna! Muoviti! Siamo in ritardo per la conferenza. Smith avrà già cominciato a parlare da un pezzo!»
« Aspettami, Claire! Hanno detto che non avrebbe iniziato a parlare prima delle undici.»
Due giovani studentesse di psicologia si fecero strada tra gli affollati corridoi dell'università, in preda a un'ansia mista a gioia. Avevano sentito parlare di Smith, delle sue teorie e ricerche in quasi tutti i libri che si ritrovarono a studiare nel loro percorso, iniziato appena qualche anno prima. Appena entrate nell'Aula Magna, affollata al punto da non potersi sedere da nessuna parte, compresero con sollievo che il relatore le cui parole avrebbero ascoltato con avidità aveva appena esordito con il suo discorso:
« Nell'uomo, il bene e il male albergano in egual modo, ma il confine tra i due principi è molto più sottile, aleatorio e fragile di quanto pensiamo. Siamo certamente dotati di strutture superegoiche, fondamenti della moralità, che tentano di impedire al male di palesarsi in tutta la sua efferatezza... »

Quella seccante giornata di inizio Ottobre non riuscì a scoraggiare gli animi di studenti, giornalisti e ricercatori che riempirono l' Aula Magna della Stanford University, sfidando e vincendo il maltempo che aveva tentato inutilmente di dissuarderli dal recarsi al prestigioso ateneo. La ressa creatasi all'interno di quella struttura non era di certo una novità, visto che a Palo Alto era piuttosto frequente ospitare ricercatori eccellenti, menti brillanti ed eminenti personalità famose in tutto il pianeta per i loro contributi scientifici, filosofici, politici o letterari.
Quel giorno, ad essere accolto tra gli onori del rettore e dei comitati studenteschi, vi fu Nathan Smith, geniale ricercatore e teorico nel campo della criminologia e della psichiatria forense. I suoi contributi riscossero riconoscimenti persino tra gli scettici atenei d'oltreoceano, che avevano sempre giudicato gli psicoterapeuti americani come pragmatici o medicalizzati oltre misura.
La giovane età del professor Smith, i modi pacati e al contempo coinvolgenti con i quali conduceva la sua conferenza, evidenziarono ancor di più la sua vivace intelligenza, nonché la passione che impiegava per disvelare i più arcani, putridi e aberranti segreti dell'animo umano.
Il tema dell'evento in questione erano proprio gli omicidi seriali:

«... ma cosa avviene quando un soggetto, con freddezza e lucidità e in apparente assenza di moventi, dà avvio ad una sadica catena di omicidi? E cosa possono fare la psicologia e la psichiatria di fronte al fenomeno che siamo soliti indicare come omicidio seriale?» continuò il giovane criminologo.
L'intera aula era in assoluto silenzio, qualcuno cominciò a prendere appunti, qualcun altro avviò il proprio registratore: nessuno osò perdere una sola parola di quel discorso.
« La definizione dell' FBI individua precisi parametri comportamentali tipici dei serial killer: tra le caratteristiche peculiari si possono ricordare la ripetizione dell'omicidio, l'assenza di motivazioni evidenti, scarsa o assente relazione con la vittima, un legame più o meno netto con la sessualità ed infine la presenza frequente di diverse forme di patologia mentale, ma tali definizioni non sono sufficienti per definire un fenomeno così complesso. Per questo la criminologia si è avvalsa di vari contributi che hanno, in diversi modi, tentato di definire i processi mentali che sottendono gli atti criminosi di un assassino seriale. Per decenni, noi criminologi abbiamo tentato di “spiegare” le personalità dei “mostri” che seminano morte nella società, ne abbiamo individuato le storie di vita, il più delle volte molto simili tra loro...».
Nat guardò quella massa indistinta che annuiva quasi ad ogni sua parola. Si sentì lusingato, ma preoccupato al tempo stesso, dal momento che molti degli uditori erano giovani studenti desiderosi di conoscenza, ma al tempo stesso più malleabili rispetto allo smaliziato corpo docente. Nat si sentì responsabile verso quei ragazzi, e dentro di sé pensò “vi prego, pensate sempre con la vostra testa!”. Detestava essere osannato o non riscontrare nessuna divergenza di opinioni, aveva sempre tentato di seguire la dialettica e le idee più disparate, perché credeva fermamente che la verità fosse raggiungibile solo cercandola, confrontandosi anche con chi la pensa diversamente.
Man mano che procedette con il discorso, Nat parlò di ciò che lo rese celebre, ma che al tempo stesso gli costò una fiumana di polemiche nel mondo accademico: « ...Abbiamo usato la psicologia e la psichiatria per catturare assassini in libertà, per indagarne il passato e per soddisfare domande che, in fondo, non troveranno mai una risposta definitiva. Il male, per sua natura, non è spiegabile fino in fondo. E' per questo che la maniacale curiosità che ci coglie quando i media ci propinano l'ennesimo esempio di scelleratezza, è destinata ad esaurirsi. Hannah Arendt parlò di banalità del male, negando l'esistenza del male assoluto, descrivendo Adolf Eichmann, uno degli uomini più terrificanti della storia (e del nazismo), come un grigio burocrate, che aveva progressivamente azzerato la sua capacità di pensare e, conseguentemente, di discernere il bene dal male. Da questo punto di vista, sono anche io avezzo a credere che le leggi morali, fondamenti che pulsano dentro noi, arrivino in alcuni soggetti, a stabilire confini sempre meno definiti, fino a che essi arrivino ad accettare l'atto criminoso come un bene... Ed è per questo che bisogna usare la criminologia non solo come strumento investigativo, ma come un mezzo terapeutico, e fare in modo che gli assassini possano, anche dopo aver compiuto una lunga serie di omicidi, avere la possibilità di essere messi di fronte a ciò che hanno fatto.»
Il discorso di Nat fu interrotto da una domanda: « Mi scusi, professore...» il giovane che osò alzare la mano per chiedere un chiarimento fu circondato in men che non si dica da un esercito di occhiatacce e di mormorii di disapprovazione.
Inorando completamente i commenti, Nat alzò gli occhi verso il ragazzo: « Prego, domandi pure.»
« Qual è l'utilità del suo approccio? Voglio dire...perché dovremmo prenderci cura di persone che hanno fatto del male al punto da meritare l' ergastolo o la pena capitale? Una “redenzione”, o una “guarigione” dal male che li ha indotti ad uccidere sarebbe totalmente inutile, dal momento che, una volta incarcerati, non possono più recarsi all'esterno, e mettere in pratica eventuali effetti di una psicoterapia. Quale giovamento alla società dal suo approccio?».
« La ringrazio per la sua domanda.» rispose Nathan, sinceramente contento dell'innocente provocazione dello studente « La terapizzazione di soggetti renderà ben due benefici. Primo: non è mai troppo tardi per guarire o “redimersi”, come ha detto lei. Secondo: trasmettere un messaggio di cura e non di condanna all'interno della società, potrà solo indurre eventuali soggetti disturbati a chiedere aiuto, anziché isolarsi dal mondo e dare libero sfogo alla propria distruttività. Questa è per certi versi pura fantascienza, ma se arriveremo a prevenire comportamenti antisociali, per noi sarà già una vittoria.»
 Il discorso del professor Nathan Smith, durato altri pochi minuti, terminò nel rumoroso scroscio di un lungo applauso. Dopo ore trascorse a stringere mani e ad interloquire con i ragazzi, la cui curiosità sembrò infinita verso il suo approccio alla criminologia, tornò finalmente nell' albergo che lo ospitava.
Poco dopo essersi accasciato sul letto, distrutto dalla stanchezza, qualcuno aprì la porta della sua camera.
« Gwen, finalmente.» disse tra lo spazientito e il sollevato.
« Temevi mi avessero rapita?» commentò la giovane donna che, appena entrata, sfilò dai piedi i suoi scomodissimi tacchi. Le sue labbra, allargate in un gioioso sorriso, andarono a poggiarsi su quelle di lui.
 Un lieve accenno di brio si accese nell'animo di Nathan, felice di aver reincontrato l'unica persona di cui aveva sentito la mancanza quel giorno.
« Per un attimo sì!» scherzò il giovane criminologo.
« Dovresti evitare di seguirmi ovunque.» continuò Nat, poggiando la mano sul ventre della giovane,     appena arrotondato da un dolce segreto che giaceva al suo interno.
« Il dottore dice che non è un problema, inoltre siamo già al quarto mese» lo rassicurò lei.
Con scherzoso cipiglio, Nathan continuò a punzecchiare Gwen: « Scusa tanto se sono preoccupato della salute di mia moglie e del nostro bambino!».
Quello era già il terzo bambino che Gwenevre portava nel grembo, ma l'ansia di Nathan per la salute di sua moglie e del nascituro non ne volevano sapere di scemare sotto l'influsso delle precedenti esperienze: ogni paternità era per lui un evento sempre nuovo, che lo riempiva di gioia e paura al tempo stesso, a dispetto della sicurezza sempre ostentata durante le lezioni e i convegni.
Penserioso, restò a sfiorare la pancia di Gwen, la quale prese la sua mano fra le sue, e sussurrò: « Dovremmo telefonare ai bambini.».
«Già».
Mentre Nathan compose il numero di telefono di casa, qualcuno bussò alla porta della loro camera.
« Tesoro, potresti parlare prima tu con i bambini? Io vedo cosa vogliono. »
« Certo».
Il professor Smith aprì la porta a un ossequioso cameriere.
« Chiedo scusa per il disturbo, Signor Smith. C'è una persona che vi attende alla hall.».
« Può dirgli di attendere qualche minuto? Dovrei fare una telefonata...»
« Dice che è piuttosto urgente.».
Nathan tirò un sospiro di rassegnazione: « Arrivo subito.».

“Si trattano bene questi professori” pensò il visitatore dell'albergo dove alloggiava momentaneamente Nathan Smith. Non potè fare a meno di notare il lusso e i comfort di cui l'hotel era pieno.
“Spero sia bravo almeno la metà di quanto dicono”, continuò a dirsi, mentre si vide arrivare alla hall uno di quelli che lui definiva impietosamente “sbarbatelli”, e il suo scetticismo salì alle stelle.
« Buona sera, dottor Smith. Sono lo sceriffo Damien Mckenzie, del dipartimento di Oldfield, Oregon.».
« Buona sera, sceriffo...» rispose Nathan perplesso nell'osservare quella severa figura.
« Ho seguito con interesse il suo intervento alla conferenza di stamattina...» esordì il poliziotto, ancora incredulo di trovarsi davanti l'uomo di cui parlavano tre quarti di psicologia e criminologia mondiale.
«...ma non è per congratularmi con lei che sono qui.» continuò francamente « Al dipartimento di polizia di Oldfield abbiamo bisogno del suo aiuto.».
Nathan annuì, ascoltando attentamente.
« Nella nostra città si sono consumati diversi delitti. Per le dinamiche con cui essi avvengono, sospettiamo che l'autore sia una sola persona, probabilmente la stessa che da diciassette anni sta viaggiando negli stati uccidendo intere famiglie nelle proprie abitazioni. Il sindaco di Oldfield e lo stesso governatore del nostro Stato hanno deciso di non coinvolgere anche i federali nelle indagini, perché supponiamo che, fino ad oggi, l'assassino si sia approfittato delle “attenzioni” che gli stiamo riservando per fuggire. Stiamo al momento procedendo autonomamente, ma non possiamo farcela senza la consulenza di un ottimo criminologo. Dottor Smith, lei deve aiutarci ad acciuffare l'assassino.»
Nathan restò senza parole. Tutto ciò che restò di quel momento fu un interminabile groppo alla gola.


...

Non tutti i binari della vecchia stazione di Oldfield erano funzionanti: alcuni fungevano da cimitero di vecchi vagoni abbandonati, fermi da quasi vent'anni. Quei mostri di metallo massiccio incutevano terrore a chiunque si avvicinasse in piena notte. Nessuno si sarebbe lasciato ospitare all'interno di quegli spettri, ad eccezione di una persona.
Rannicchiato in un angolo, percorso da brividi e tremori, una figura pallida fremeva di freddo, paura e rabbia incontenibili. Le calde lacrime che scivolarono sulle guance andarono a mescolarsi al sangue che ornava macabramente le ferite aperte di una bocca che non poteva smettere di sorridere, nonostante il dolore che aleggiava in quel vecchio vagone.
« Ti sei sbagliato, Bob.»  disse l'uomo, in uno spasmodico e incontrollabile delirio. «Ti sei fottutamente sbagliato.»

Note dell'autrice:
Salve! Ecco il mio tredicesimo capitolo della mia long-fic, che dedico con tutto il cuore a Ginevra, da cui è ispirato il nome di Gwen. Spero ti piaccia questo personaggio. Ovviamente cercherò di farli apparire altre volte in questa storia. Ad ogni modo, spero che in generale il capitolo vi piaccia. Se per caso avete letto dalle parole di Nathan Smith delle inesattezze in merito alla psicologia e alla criminologia vi prego di perdonarmi, ho lavorato molto di fantasia in merito a na branca della psicologia che mi è quasi totalmente ignota. Un saluto a tutti! Marina.
   
 
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