XII
Le era sembrato che Ed fosse stranamente assente, quasi come se si fosse perso in un mondo al quale poteva accedere solo lui. Era sempre stato timido e schivo, lo sguardo perso, ma quando lo aveva visto alzare gli occhi dal portatile, aveva avuto come l’impressione che qualcosa in lui si fosse rotto.
Quella notte il sonno l’aveva abbandonata, ma non era colpa dell’influenza, quella era già passata – e avrebbe giurato che fosse merito della presenza di Edward – ciò che la teneva sveglia era invece un presentimento. Aveva una certa paura annidata nel petto, del tutto insensata per lei, e non sapeva come scacciarla via. Non sapeva più se fosse preoccupata per Edward, per se stessa o per entrambi.
Era giunta alla conclusione che lo avrebbe aiutato come poteva, da buona amica, ma sapeva che calarsi in quella situazione significasse mettere in gioco il suo cuore – davvero. Era sulla buona strada per innamorarsi di Edward definitivamente e non sapeva spiegarsi come o perché.
Mancavano pochi giorni a Natale e i suoi alunni fremevano sulle sedie, impazienti di mostrare alle proprie famiglie le opere d’arte prodotte durante l’anno. La mostra organizzata dalla scuola si sarebbe tenuta di lì a pochi giorni e si dovevano ultimare i preparativi, ma avrebbe dovuto farlo da sola. Jody sarebbe stata dimessa dall’ospedale quel pomeriggio e non appena terminato il lavoro, sarebbe andata a trovarla, anche se questo significava non vedere Edward. La biblioteca non era più contemplata nei luoghi da frequentare a causa dei suoi doppi turni, ma aveva la certezza che quel sabato lo avrebbe rivisto.
Controllava in modo ossessivo il suo cellulare, sperando in un sms o in una chiamata persa, ma il display era sempre vuoto. Sperava che se Edward avesse avuto un problema, l’avrebbe contattata.
- Maestra, cosa fai a Natale?
- Oh, lo trascorrerò con la mia famiglia. Tu cosa farai, Jack?
- Io resterò a casa con mio fratello, sai, ha la varicella e non può uscire. – il bambino si guardava i piedi, in imbarazzo. – Non voglio che resti solo.
Distolse per un attimo lo sguardo, cercando di non far notare la sua commozione, poi gli diede una carezza e gli disse di essere fiera di lui. Quando quello si voltò, tornò al suo posto col sorriso sul volto. Sua madre la aspettava impaziente a Londra, come ogni anno e lei non poteva certo mancare. Sorrise al pensiero di rivederla.
Dopo la fatica dell’ora di pranzo e delle lezioni del pomeriggio, salutò i suoi alunni e si lasciò andare sulla sedia con un tonfo. Sospirò, sciogliendosi i capelli e sfilandosi il camice sporco, pensando a quanto fosse ancora lunga la giornata: erano solo le 16:00 e doveva ancora fare la spesa, andare a trovare Jody e studiare. Guardò l’aula ordinata, ma pensò che ci fosse qualcosa di sbagliato in quel silenzio, così – senza permettere al malumore di conquistarla del tutto – si alzò per andare via.
Con i capelli nel cappotto, uscì al freddo chiudendosi la porta alle spalle, e si avviò immediatamente al supermercato. Lungo la strada, distratta com’era, non si accorse di essere stata affiancata da una figura, così, quando rivolse lo sguardo dall’altra parte, lo spavento la fece sobbalzare. Spalancò gli occhi e fece un passo indietro, realizzando che la persona che le era di fianco non era certo qualcuno che volesse incontrare.
- Ciao. – la sua voce simulava innocenza.
- Uhm… - fece, storcendo il naso. Era proprio lui.
- Mi chiamo Jef.
- Va bene. – e ritirò la mano. – Non volevo spaventarti. Ti chiami Marina, vero?
- Come sai il mio nome? – chiese, senza cercare di essere cortese.
- Edward mi ha detto un gran bene di te. Siete amici, no?
- Sì, siamo amici. – tagliò corto e riprese a camminare, ma lui la seguì.
- Ti avevo notata in biblioteca, sei molto carina. – Lui continuava ad affiancarla con le mani in tasca, ma senza mai smettere di guardarla.
- Io non ti avevo notato.
- Mi chiedevo se…tu e Edward foste fidanzati.
- N-no, solo amici. – rispose, stringendo i pugni nelle tasche.
- Bene, allora posso invitarti a prendere un the?
- No, scusami. Devo andare.
- Non mi arrendo così!
- Marina! Che bello vederti!
Carezzando il pancione di Jody, apprese da lei stessa che avrebbe partorito entro i primi giorni dell’anno nuovo e avrebbe chiamato suo figlio Christopher.
- Come suo padre. – sorrise, ricordando il marito di Jody.
- Lui ne sarebbe felice. – rispose quella, pacata.
Guardò il vapore uscire dalla tazza e si chiese come avrebbe fatto senza di lei durante la mostra e durante la visita al museo, ma il pensiero che la sua amica fosse in una fase così delicata, fece sparire ogni traccia di egoismo.
- E come va col bel tenebroso?
- Beh, sai, adesso lavora all’Hawking sia come cameriere che come cantante. Sabato si è ubriacato e ha dormito da me e-
- Cosa?! – La mora sgranò gli occhi, sporgendosi verso di lei.
- Non potevo certo rischiare di farlo morire assiderato! – tentò di giustificarsi.
- Certo che no, ma-
- Tranquilla, ha dormito sul divano. – disse, pregando che non insistesse su quel punto. – Ieri ha pranzato da me per puro caso e mi ha raccontato la sua storia.
- Ho-ho! Allora, qual è la vera storia del belloccio?
- Foster&Martins? Conosco questo studio. – disse, aggrottando lo sguardo. – Mio zio lavorava per il signor Foster come segretario.
- Davvero? – sperò di poter ricavare qualche informazione utile per Edward.
- Certo, era lì che andavo anni fa dopo la scuola. Davo una mano a zio Fred che aveva il colpo della strega. – spiegò Jody.
- Jody, hai ancora contatti con tuo zio?
- Certo, se hai bisogno di qualcosa…
- Te lo farò sapere.
- Piuttosto, cosa c’è tra voi due? – il tono della domanda era tipico delle vecchie bigotte che spettegolano in chiesa la domenica mattina.
- Assolutamente niente! – rispose, sventolando le mani in segno di diniego.
- Vallo a raccontare a un’altra, io ti conosco come le mie tasche. Tu sei cotta, bella!
- Ma Jody, lui non mi vede così, siamo solo amici.
- Ma se ti ha chiesto il numero!
- Non è come credi, lui è così timido e spaventato, non è come gli altri. Ha bisogno di tempo anche per considerarsi davvero mio amico, figurati cosa potrebbe accadere se gli confessassi che ho una cotta per lui. Non voglio rovinare questo rapporto.
- Se ti innamori di lui, sorella, sei fritta.
Lo splendido “incoraggiamento” di Jody non era servito a risollevarle il morale, ma mentre si arrampicava sullo scaffale per prendere i cereali, era felice di avere un aggancio per quella testa rossa. Un vero colpo di fortuna. Si aspettava da un momento all’altro di vederlo comparire dal nulla per aiutarla a prendere quella scatola, ma dovette cavarsela da sola.
Si chiese dove fosse, se avesse qualche nuovo livido o se fosse in qualche bar a lavorare, per quell’ora. Il display era ancora vuoto e lei moriva dalla voglia di raccontargli dello zio di Jody, ma non osava scrivere per prima, dimostrandosi ancora una volta un’adolescente in piena crisi. A 23 anni non riusciva a scrivere ad un ragazzo per trasmettergli una semplice informazione, ma era QUEL ragazzo, era Edward.
Ah, Marina, quando capirai la differenza tra l’infatuazione e l’amore? Ci avrebbe pensato mentre faceva la fila alla cassa.
Quasi trascinò le buste fino a casa, ma riuscì a varcare la soglia giusto prima che si scatenasse la tempesta. Cenò sul divano, da perfetta zitella, col pigiama infilato nei calzini e la vestaglia abbottonata fino al collo, cercando di andare avanti con la tesi.
Come un lampo, le tornò alla mente quel tipo viscido che l’aveva seguita quel pomeriggio. Se aveva capito bene, quello doveva essere il fratellastro di Edward, l’aiutante cattivo della vicenda. Per quale motivo si era avvicinato a lei, pur sapendola amica del rosso? Non si fidava di lui, anche se all’apparenza poteva sembrare un tipo – diciamo – apposto. Un po’ lugubre, ma chi era lei per giudicare.
Il rumore dei vetri che vibravano al vento forte, le metteva sempre una tremenda angoscia e il buio copriva anche la luce dei lampioni, quella notte. Ormai non riusciva più a studiare, tantomeno a scrivere la tesi, data la burrasca e la stanchezza, così richiuse il portatile e si decise per andare a letto. Impostò la sveglia, intrecciò i capelli e si infilò sotto al piumone, patendo la solitudine che un letto vuoto regala ogni notte. Con la lampada ancora accesa, lasciò che i pensieri fluissero dove capitava, da Edward a Jody, da Jody alla scuola, dalla scuola a Edward. Edward e i suoi occhi. Edward e i suoi capelli. Edward e le sue spalle. Prima ancora che l’orologio segnasse la mezzanotte, si assopì, sperando che l’indomani la bufera fosse passata.
STUD, STUD, STUD.
L’aria le sibilò in gola per lo spavento, facendola scattare come una molla.
STUD, STUD, STUD.
Non lo aveva sognato. Cercò di accendere la lampada, ma scoprì di essere senza elettricità, probabilmente a causa della tempesta.
STUD, STUD, STUD.
Le si sciolse il sangue nelle vene. Chi diavolo era a quell’ora? Era paralizzata al centro del letto e non riusciva in alcun modo a muoversi.
STUD, STUD, STUD.
I ladri? Un maniaco? Un barbone? Non avrebbe scommesso nulla su nessuno dei tre, ma quando ripresero a bussare alla porta, dovette prendere un profondo respiro ed allungare la mano al cassetto del comodino per recuperare la torcia. Dopo un paio di tentativi, riuscì ad illuminare la stanza. La sveglia sul comò segnava le 2:00 e chiunque ci fosse là fuori, continuava a bussare.
Ormai terrorizzata, stava per chiamare la polizia. Prese il cellulare tra le mani e quando lo sbloccò, trovò una lunga serie di chiamate perse da parte di Edward. Sbiancò. Doveva essere successo qualcosa. Ricompose il numero, incurante dello sconosciuto che insisteva a bussare alla sua porta. Doveva essere un incubo, ancora un po’ e si sarebbe svegliata.
Uno squillo, due e poi rispose.
- Edward! – disse allarmata, ma un colpo di tosse la interruppe. – Edward, stai male? – Quasi piangeva.
- Apri! – un altro colpo di tosse. – Sono qui fuori!
Cadde davanti a lei, sul tappeto dell’ingresso.
- Edward! – le mancava il respiro. – Cosa-?
- Cristo! – e cominciò ad afferrarlo. – Entra! Riscaldati!
L’assenza di elettricità non l’aiutava, ma riuscì a trascinarlo al divano. Diffuse la luce grazie ad una bottiglia di vetro, così fu in grado di accendere due candele in breve tempo e di portarle accanto a lui.
- Cosa ti è successo? – chiese, mentre gli sfilava il cappotto pieno di neve, scoprendolo ancora in divisa da lavoro. – Parla, Edward.
- Mi- - e tossì ancora. – Mi hanno investito. – disse d’un fiato.
- Merda!
- Sei ferito in qualche altro punto?
- Non è niente. – disse flebilmente.
- Dove? – insistette lei.
Soltanto alle 3:15 i suoi battiti decelerarono e preparò del the per aiutarlo a scaldarsi. Edward riposava sul divano, ma senza chiudere gli occhi. Era pallido come chi ha visto la morte in faccia.
- Vuoi dirmi cosa è successo? – chiese, cercando di sembrare, come dire…dolce.
- Ero al lavoro, al bar. Quello dove mi hai visto quella volta, ricordi? – l’immagine di lui in divisa le attraversò la mente. – Il capo ci ha lasciati andare troppo tardi, il cancello di casa mia era bloccato dalla neve e così avevo pensato di andare al rifugio. – Tossì ancora, alla luce della candela. – Poi, un’auto ha perso il controllo e mi ha preso in pieno.
- Non si è fermato ad aiutarti. – costatò.
- Avrà pensato che fossi morto.
Versò il the e glielo porse, sedendosi accanto a lui.
- Marina-
- Zitto. – lo rimproverò. – Non dire niente.
- Grazie. – sibilò lui, guardando dall’altra parte.
- Mi basta che tu sia vivo.
Forse quell’affermazione contava per lui più di quanto lei potesse credere. Quello era il suo vero, silenzioso ringraziamento.
Non disse una parola e si accoccolò accanto a lui, lasciando che il resto del suo braccio scivolasse sulle sue spalle. Senza malizia, certo, ma sentì i suoi occhi trapassarle l’anima. Finì per poggiarle la mano sulla spalla, continuando a bere il the.
La sua tosse rompeva il silenzio e quando non la sentì più, seppe che si era addormentato. Sfilò la tazza ancora calda dalle sue mani e andò a recuperare il vecchio maglione del suo ex. Non aveva altro da dargli e di certo non poteva restare in camicia e gilet.
- Edward… - lo scosse. – Ti aiuto a mettere qualcosa di comodo.
Una lacrima le pizzicò gli occhi quando trovò il coraggio di sfiorargli il viso per guardarlo ancora in faccia, sentendo chiaramente la sua barba sotto i polpastrelli. Lasciò sostare il palmo sulla sua guancia.
Edward chiuse gli occhi, strofinando il viso sulle sue dita, senza alcuna insicurezza. Un gesto che probabilmente non avrebbe più avuto il coraggio di fare, ma le circostanze gli permettevano di desiderare di più di una semplice sosta. La carezza di Marina era la cura.
Non nacque alcun sorriso sui loro volti e lei, con la treccia poggiata sulla spalla, arrossì e ritirò la mano soltanto molto tempo dopo. Il buio la aiutò a nascondere l’imbarazzo, mentre lo aiutava ad indossare quel maglione. Gli ridiede il cuscino e la coperta e lasciò la candela accesa sul tavolo, nella tinozza con l’acqua. Quando si voltò di nuovo verso di lui, stava già dormendo.
Sfiorandogli la fronte costatò che non avesse la febbre, ma il suo sonno era inquieto. Accovacciata di nuovo accanto a lui, desiderò avere una lampada magica per regalargli i suoi tre desideri. Ora che lo aveva al sicuro, sul suo divano, al caldo, non poteva resistere dal guardarlo e sperare che ogni cosa andasse per il meglio. Il suono del suo respiro cominciava a risultarle familiare, eppure sarebbe rimasta lì ad ascoltarlo per ore.
Ancora non sapeva spiegarsi da quale incantesimo fosse stata colpita, ma la sua presenza le infondeva serenità, il saperlo al sicuro le placava l’animo. Voleva proteggerlo da tutto e da tutti.
Sospirò e prima di andare via, gli lasciò un bacio sulla pelle calda.
Fuori la tempesta continuava ad infuriare.
Angolo autrice:
Ciao bella gente!
Ho adorato scrivere questo capitolo, non so perchè. Spero sia piaciuto anche a voi e che la storia in generale sia di vostro gradimento.
In ogni caso, fatemelo sapere in una recensione!
Ringrazio i miei abituali recensori - siete bellissimi - e i lettori silenziosi.
Ci vediamo prossimamente con un nuovo aggiornamento.
A presto!
S.
Jody: