Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: Overlook    04/10/2015    4 recensioni
Dragon Ball Z
-
Bulma ha fatto ritorno a casa propria, alla Capsule Corp., a seguito dell'apocalittica avventura su Namecc.
Tre impulsi, slanci, momenti in cui l'istinto, il sesto senso, prendono il sopravvento su ogni altra cosa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Stubborn'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Licenza Creative Commons
Il secondo capitolo di "Dashes", di Overlook è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.



Dashes
Di Overlook, 2015©

____________________________


Capitolo II - Due prede, quanti predatori?







Nell'incontro erotico vi è un'altissima probabilità di imparare la tecnica, ma mai d'apprendere un sentimento e quello è l'elemento imprescindibile, poichè l'arte di procurare piacere all'altro si configura come la medesima arte dell’amore e della devozione. In assenza d'amore o di un bocciolo di questo, la tecnica più precisa, la maestria più perfetta risultano infine prive di valore e di significato, involvendo solo verso un artificio senz'anima.




***



Si sarebbero potuti indovinare l'aroma ed il gusto di quelle ombreggiature invitanti, trotterellanti sul manto candido sopra di loro. Esse davvero parevano gelatine di frutta, omogeneamente spalmate, ancora tiepide, su quel soffitto immobile e solido. Ma erano soltanto i giocherelloni riflessi che il sole, prossimo al tramonto, proiettava tra le mura, ostacolato dal traslucido tessuto di cui erano composte le leggere tende che appena velavano l'abissale lontananza tra la quiete del giardino esterno e l'infernale aria umida e rovente, appesantita, di quella camera esagitatamente occupata.
Così come un vecchio gigante ormai stanco poggia le pantagrueliche membra al suolo, affondando in esso croci e rimpianti, i piedi del letto, lucidi e scuri parevano inabissarsi nell'impiantito come ciocchi di legno nel mare in tempesta, strenuamente intenzionati a reggere ancora la palafitta di cui hanno la piena responsabilità. Irreale sarebbe stata l'atmosfera, per chiunque si fosse trovato a passeggiare da quelle parti, tanto assordante era il silenzio oltre la porta ben chiusa a doppia mandata; tanto ammutolente era il frastuono di due soli cuori danzanti all'impazzata nell'immobilità di quei corpi fusi insieme.



***



Bulma non si era capacitata di come la chiave inglese da trentadue millimetri appena utilizzata per svitare l'ennesimo bullone troppo intestardito tra due lamiere fosse letteralmente svanita nel nulla. Lei era un meccanico, e che meccanico, si poteva ben dire!
Pioniere di numerose tecniche e procedimenti d'assemblaggio e creazione chimico-materialistica, con suo padre formavano la piccola, ma tuttora invincibile squadra di scienziati ingegneristici che per primi avevano pensato, progettato e dato vita al connubio tra libertà di movimento nello spazio e prigionia del proprio peso entro le leggi della fisica: la stanza gravitazionale.
Se in principio quella aveva avuto la sola funzione di consentire a Son Goku un recupero lesto del tempo perduto in ospedale, in vista del raggiungimento del pianeta Namecc, chi invece ne aveva davvero subìto un'attrazione fatale era stato colui per la cui sconfitta era stata resa quasi indistruttibile. Il principe del popolo Saiyan.
Nell'ultima frenesia della lunga fuga intergalattica alla ricerca dell'acerrimo rivale, egli aveva scoperto, a bordo dell'ampia navicella sottratta ai Terrestri che l'avevano riportato in vita, un sofisticato pannello ricoperto di tasti alfanumerici, ricollegabili ad un piccolo schermo rettangolare entro cui lampeggiava insistente la scritta "0 G". Vegeta, che dei rudimenti di tecnologia ne aveva sempre dovuto conoscere quantomeno le basi, si era incuriosito di fronte a tale dicitura e senza esitare aveva premuto da subito il tasto "2 G", azionando in pochi secondi il dispositivo di modifica della forza gravitazionale all'interno di quelle mura concave, trasformandole in oppressive lamiere infuocate desiderose d'arderlo vivo. Con il fiato corto ed un ghigno paradossalmente eccitato, egli aveva così compreso che la stessa innovativa miglioria utilizzata da Kaharot tempo addietro, ora giaceva alla sua, di mercé, offrendogli la possibilità di sostenere un pari allenamento che, forse, lo avrebbe condotto all'aureo livello tanto agognato. Il flusso violento ed impetuoso di quei pensieri mai tanto errati si era dovuto interrompere, frustato malamente dallo stridulo suono d'allarme che avvisava il pilota automatico della navicella di un'avaria al motore, causata dalla mancanza di carburante e, quindi, del conseguente impatto imminente sulla superficie Terrestre, nella medesima area da cui inizialmente era partita.
"Dannazione...", fu la sola parola riuscì a sibilare ad occhi stretti e ben serrati, con le mani a proteggere il capo chino, supino sull'impiantito gelato in precipitazione.
S'era aspettato assai più rischioso, quell'atterraggio inaspettato e violento; invece, era sceso dalla sferica bomba ad orologeria ormai disinnescata con un abile balzo, trovandosi disgustato di fronte ad un patetico Terrestre che ricordava a malapena di aver fatto fuori. Anzi, no, lui non aveva nemmeno dovuto sporcarsi le mani, col rammollito. L'irritazione montatagli in corpo a sentir proferire proprio da quella bocca infima interrogativi ed accuse, quando l'unico che, a parer suo, sarebbe stato in pieno diritto di farlo era soltanto lui stesso, era scemata di colpo lasciando posto ad imbarazzo e stizza protagoniste di quell'amara sottomissione all'indecente sfrontatezza della donna che gli si era piazzata davanti, appuntandogli il pessimo odore che da giorni emanavano lui e la tuta da combattimento ormai da buttare.
Il pensiero a proposito di quella stanza dai poteri inequiparabili, capace di confondere l'implacabile volere della natura, assoggettandolo ad una piccola, semplicissima tastiera, s'era fatto nuovamente pulsante solo tempo dopo, precisamente quando, al rientro dalla landa desolata in cui avevano fatto ritorno il tirannico Freezer e l'odiato Son Goku, il rendersi adeguatamente pronti all'epico scontro previsto all'indomani di tre anni da quel giorno s'era fatto strada prepotente tra le sue membra belligeranti e smaniose di affronto fisico; se non altro per godere di quel perverso piacere che solo un esponente di quella sua stessa razza avrebbe potuto ben comprendere, o forse nemmeno questi, fino in fondo. Deciso a sfruttare appieno le potenzialità del vecchio ingegnere, padre di quell'irritante turchina che l'aveva inaspettatamente ospitato a tempo indeterminato, s'era a lui rivolto non troppo educatamente per la costruzione di un macchinario in grado di racchiudere le stesse capacità di quella navicella, ma che fosse pure più potente, idoneo ad un allenamento a gravità superiore a duecento. Inutili erano stati i tentativi del dottor Brief di spiegargli quanto rischioso avrebbe potuto essere un tale sforzo, i pugni serrati di Vegeta davanti all'asciutto viso baffuto erano stati di gran lunga più convincenti.
Se, al termine dei lavori, all'alieno non era balenato in testa neppure un alone di stupore, altrettanto non si sarebbe potuto dire dell'espressione decisamente sorpresa alla notizia che piccoli macchinari mobili, telecomandati autonomamente per la simulazione di uno scontro a due, erano stati aggiunti al corredo d'allenamento dalla collega, nonchè figlia, Bulma.
Si dava il caso che a Vegeta non fosse stato fatto mistero, sin da subito, che proprio quella donna irritante e sfacciata, irriverente e... Particolare, fosse la mente ingegnosa antistante a gran parte delle curiose ed innovative trovate di quell'azienda dal nome tanto efficacemente riassuntivo, Capsule Corporation. Ma che davvero vi fossero quella massa di capelli gonfi e ribelli, quel paio di occhi azzurri e fiammeggianti dietro quello sprint aggiuntivo, ecco, questo l'aveva lasciato in qualche modo interdetto. Forse, quel che più lo maciullava nelle viscere, era proprio la consapevolezza che l'interdizione verso quella petulante bellezza umana fosse assolutamente positiva, quasi... Orgogliosa, o giù di lì. Ne conosceva a malapena il nome, ne traeva utilità soltanto nel momento in cui aveva bisogno di sfogare la propria arrogante parlantina presuntuosa, avendo compreso da subito di trovarsi davanti all'unico pane per i suoi denti affilati. Non s'era fatto sfuggire, tuttavia, l'innegabile bellezza che ogni tratto del volto e del corpo trasudava impudente, calibrando per la prima volta in vita sua i canoni estetici dell'alieno apaticamente distante da certe questioni che egli era sempre stato.



***



"Oh, uffa, ma dove ti sei cacciata, insomma...!".
Bulma, accaldata e inviperita dalla propria stessa evidente sbadataggine, aveva il viso rigato da macchie di grasso lubrificante e residui di ruggine maleodorante a cesellarle i ciuffi ribelli, raccolti in un elastico slabbrato sopra la nuca. Supina al di sotto della parte inferiore della navicella gravitazionale, o quel che ne rimaneva dopo l'ennesima esplosione, nell'operazione di restauro s'era fatta aiutare da un sottile carrello a rotelle, tra l'impiantito e il marasma caotico di cavi elettrici sottostanti alla base portante del marchingegno; in tale, rischiosa posizione si trovava già da più d'un paio d'ore, come Vegeta aveva potuto irrequieto constatare nell'immobile silenzio del suo osservarla eclissato dalla parte opposta del vasto laboratorio.

"Cerchi... Questa?", aveva proferito tagliente, squarciando il silenzio di quel sereno primo pomeriggio invernale. Il violento colpo alla testa che Bulma ricevette in cambio dallo spavento al suono improvviso della voce, di quella voce, l'aveva fatta lamentare imprecando sguaiata, scoprendo il busto sino ad allora celato dal telaio metallico. I piedi e i polpacci, coperti da robusti anfibi marroni, fecero lo sforzo di far muovere l'asse di legno su cui poggiava la schiena, rivelando un paio di pantaloni scuri e larghi, insozzati di olio motore, un niveo lembo di pelle tonica sfregiata solo dal minuscolo ombelico ed una maglietta a manica corta striminzita e logora, riportante il marchio aziendale, invitantemente deformato dal profilo generoso di un seno importante, rispetto al minuto resto di sè. Gli occhi indecifrabilmente spaventati o adirati, la fronte madida ed arrossata nel punto in cui aveva subìto il colpo, i capelli appiccicati nel residuo di una pettinatura abbozzata.
Non era certo la prima volta, in quei due anni che s'erano rincorsi veloci sulla Terra, che Vegeta scorgeva la propria amante in quelle condizioni. Si divertiva sempre abbastanza, quando appunto non aveva a disposizione la propria stanza gravitazionale, ad indispettirla con quegli stupidi giochetti che a lei causavano sempre dei veri e propri colpi al cuore. Se la prima volta il giochetto era valso la candela, vista la conturbante passione con cui lui l'aveva letteralmente ghermita su quello stesso impiantito caoticamente disordinato, facendola godere improvvisamente, senza controllo, furiosamente, adesso che quello stesso brutale tormento meraviglioso ed ossessivo si consumava implacabile al sicuro della camera da letto d'uno o dell'altra, durante la notte, a Bulma risultava controproducente e maligno, quell'interromperla al solo scopo di schernire e confonderne la razionalità.
"Maledizione, Vegeta, da quanto tempo sei qui?! Si può sapere perchè non mi hai passato subito questa dannata chiave inglese?". Il tono della voce s'era alzato in crescendo, togliendo malamente dalle mani di lui l'attrezzo a lungo cercato tra i mille sparsi accanto a sè.
"Rilassati, non è mia intenzione intrattenermi in tua compagnia un minuto di più", l'aveva immediatamente liquidata, spazzando in un sol colpo tutti i pudici ragionamenti che lei s'era propinata in mente poco prima.
"Mi spieghi, allora, che sei venuto a fare? Solo ad interrompermi? Stavo per spaccarmi la testa, sotto quelle lamiere, mi verrà un livido gigantesco proprio qui, in mezzo alla fronte...", s'era messa a piagnucolare, a metà strada tra l'isterico ed il puerile, mentre con le dita affusolate aveva preso a massaggiarsi i lombi infiammati.
"Tsk, come se degli altri segni ti fosse mai importato qualcosa. O mi sbaglio?". Sapendo d'avere ragione, Vegeta aveva voluto in ogni caso godersi lo sguardo imbarazzato e basso di Bulma, cui dinanzi si parava l'immagine dei propri polsi striati di viola e di giallognolo, a segnare l'età dei rapporti intimi con il principe dei Saiyan al pari degli anelli al cuore del fusto di una quercia. Non solo. Erano entrambi ben consci che se Bulma aveva smesso di indossare collant velati e gonnelline svolazzanti era perchè all'interno di quelle toniche cosce si trovavano ancora pulsanti i segni di un'arcata dentale completa e famelica, infingarda ed arrogante, che a lei tanto piaceva sentire stretta attorno alle parti più carnose di sè.
Il volgerle la schiena sprezzantemente e il risalire la scala che precedentemente lo aveva condotto fin lì, le fece sbraitare "Sei impossibile!", così, d'istinto, come se lo sforzo di mantenersi incurante almeno durante il giorno non fosse risultato sufficiente ad arginare l'incedere della larva d'affetto che le si era annidata nel cuore.
Voltò solo lo sguardo affilato, tetro e suadente.
"Tu no, invece. Per me, nulla lo è".




***



S'era chiuso la porta alle spalle con fare indagatore e poco convinto. Il fatto di non aver più visto Bulma gironzolare per casa gli dava da insospettirsi che si fosse un'altra volta intrufolata di soppiatto in quella sua stessa stanza, desiderosa di prendersi la rivincita fisica all'amara sconfitta verbale incassata ore prima. Lo sguardo scontroso e il disegno increspato delle labbra sottili spifferavano alla realtà che piuttosto che un impiccio, quel sospetto fosse invece una speranza, seppur vaga, ma impellente. Da quando aveva saggiato il beato contorcersi sopra o sotto quel corpo snello e leggero, prorompente e smaliziato, non aveva avuto mai la minima reticenza a proporsi nuovamente volontario per quel continuo esperimento sensoriale. Le aveva visto stillare improvviso un rivolo di sangue, a decretare la fine della castità di quegli anfratti umidi e bisognosi; un sapore agrodolce aveva investito la sua lingua guizzante quando per primo - unico ed ultimo - ne aveva accarezzato i contorni morbidi e roventi, già ammaestrati al giusto movimento ritmato tra le dita abili e lisce.
Aveva colto il turgore delle estremità di quei seni madidi e pesanti, troppo pesanti, perfettamente pesanti rispetto a quel busto tanto minuto e gracile da farlo somigliare a quello d'una creatura fatata ed eterea.
Aveva goduto di quel gusto dolciastro al sapore di gomma da masticare alla fragola che si ritrovava di rimando in bocca, quando mordeva e succhiava quelle labbra struccate gonfie e febbricitanti. S'era beato della morbidezza ineguagliabile di quella chioma ribelle e marina, ondeggiante sul cuscino di raso mentre lui ne indovinava i profili annebbiato dall'incedere delle spinte di quei loro bacini congiunti.



***



Sapeva d'essersi introdotta laddove, per uscire, avrebbe dovuto pagare il prezzo della propria sottomissione a quella tortura tanto avvolgente, tanto elettrizzante, indomabile da farle perdere ogni controllo. Era un paio d'anni che, quasi ogni notte, ma con rare eccezioni pure al tramonto del giorno, lei e Vegeta si spogliavano dei propri abiti e delle proprie fredde maschere imperturbabili per lasciar liberi i propri corpi ed i propri animi di ricongiungersi in un unico essere indomito ed orgasmico, per poi, ripreso il pieno controllo di sè, nascondere tutto sotto al manto del mero fabbisogno sessuale che quelle loro fattezze tanto selvagge ed attraenti, quelle loro lingue tanto taglienti e scattanti scatenavano ogni volta. Aveva il terrore di lasciarsi uscire di bocca, annegato tra i gemiti emancipati, la reale natura di quel legame, da parte sua, con l'alieno più temibile e temuto esistesse nell'intero universo. Se non fosse stata corrisposta, l'insopportabile vergogna di essersi mostrata tanto disponibile nei suoi confronti e l'insostenibile peso d'essersi spontaneamente resa marionetta di un teatrino gestito solo e soltanto da lui sarebbero stati letali. Se non alla vita, a quel qualcosa che lei - come lui - metteva addirittura al primo posto: il proprio orgoglio.
Eppure, ad ogni palesarsi di tale scellerato dubbio tra i suoi pensieri, un sentore sottile e impalpabile come uno spettro angelico si adagiava delicato sulle sue ansimanti preoccupazioni, scaldandone i raggelanti confini con un accenno di certezza in grado di ridarle fuoco alle iridi color del cielo, trasformandole in un infernale varco spalancato verso il baratro della propria rettitudine.

Terminata la corroborante doccia bollente, aveva avvolto la chioma in un telo di lino e per il corpo aveva utilizzato l'ampio asciugamano in spugna che Vegeta impiegava solo alla stregua di un riparo pudico tra la stanza da bagno e la cassettiera contenente la propria biancheria.
Frizionato il capo energicamente per ravvivare il riccio ribelle fresco di nuova permanente, aveva deciso di non perdere tempo tra spazzole ed asciugacapelli, preferendo invece coccolarsi con un unguento dall'aroma speziato lungo le gambe stanche e sfibrate. Gli occhi s'erano chiusi a voler concentrare su quell'intenso profumo tutta l'attenzione disponibile, facendo del naso sottile l'unico strumento di contatto con la realtà inebriante di quel momento. Il corpo nudo, rilassato da quel massaggio lento e delicato lungo le linee flessuose dei propri arti, s'era seduto al bordo del letto rassettato dai robot domestici sin dal primo mattino e le cosce tiepide avvertivano alternatamente la liscezza del cotone delle lenzuola e la ruvida lanosità della coperta che ne foderava la maggior parte. Soltanto il fioco lume dell'abat-jour di rado accesa, ad illuminare, birichina, contorni proibiti ed altri più genuini, mentre le unghie laccate di rosso procedevano ora con un lento striare il profilo della cervice, roteante sotto le nocche delle mani vellutate ed unte.
Ferita dall'incedere dei raggi del Sole morente, s'era risolta a spegnere la luce, lasciando che il silenzio circostante ed il tepore dei termosifoni in funzione la cullassero, sino all'arrivo del predatore.



***



L'ingresso di quella camera era leggermente differente dalle altre, o almeno, da quella in cui lui era solito metter piede nel cuore più profondo delle prime ore della notte inoltrata. Anziché dare immediatamente sull'arredo essenziale del letto, della cassettiera in faggio, del comodino e dell'armadio in coordinato, essa s'inerpicava in uno stretto atrio raccolto, ospitante una specchiera ed uno scrittoio che davano da pensare che quel vano fosse appartenuto in precedenza ad una femmina o comunque che quelle mura fossero state studiate per ospitare un individuo di quel genere. Vegeta aveva trovato piuttosto aggradante, invece, tale conformazione della stanza, non fosse stato altro per la comodità di potersi spogliare dei vestiti maleodoranti senza portarne l'olezzo sin nell'area del letto, su cui s'era scoperto assai sensibile a suoni ed esalazioni che non fossero del tutto silenti durante il proprio riposo. Da due anni a quella parte, la comodità di quel percorso s'era fatta un'arma a doppio taglio, per il fatto che essa celava alla perfezione l'eventuale presenza di Bulma sul bordo o al centro di quel suo sterile giaciglio sempre ben rassettato al suo rientro, impedendogli così d'avere il preventivo e pieno controllo delle proprie azioni in entrambe le evenienze: che lei ci fosse o meno.
Così, egli aveva finito per superare la soglia di quel particolare ingresso, cogliendo subito il profilo flessuoso della schiena e dei fianchi della donna, impassibile ai segnali che annunciavano l'irrompere dell'alieno lì dentro. Anzi, s'era voltata appena, con gli occhi socchiusi e la bocca maliziosamente sorridente, quasi a domandargli giustificazione, a tanta attesa subìta.

"Mi pareva d'aver capito non volessi essere sfregiata da altri segni", aveva dato fiato alle corde vocali lui per primo, avanzando felpato sino a finire seduto proprio dietro di lei. Le pupille infuocate, abbassate e compiaciute sul livido a forma di palmi di mano nella zona del coccige di lei e le labbra increspate in un sorriso altezzoso ed affamato.
"Infatti. Mi hai forse sentita chiederti di toccarmi? A me non sembra", fu la risposta tagliente e risoluta di Bulma, impegnata nuovamente a massaggiare i polpacci contratti.
La presa salda, ma sufficientemente delicata del principe, tuttavia, ne domò l'insolenza a partire dai fianchi, risalendo lento e inarrestabile lungo la scalinata delle vertebre dorsali.
"Ma guarda... E io che invece mi ero fatto la strana idea che ti fossi intrufolata qui per godere un altro po'...". Il suo alito caldo e profumato di caffè amaro le fece vibrare il midollo dell'epidermide. L'aveva afferrata di scatto, prepotente, ma complice, come suo solito, senza darle il tempo di pulirsi le mani, lasciando ch'ella ungesse i ciuffi corvini della sua chioma e che il balsamico aroma li avvolgesse entrambi, completamente.
"Vegeta... I-io non... Non voglio essere la tua...".
" 'La mia'... 'La mia' cosa, Bulma?". La voce di Bulma era arrendevole, quella di Vegeta carica di un impeto tanto vulnerabile da dover essere sussurrato, mentre le braccia sollevavano la donna sino a posizionarla supina di fianco a lui, scavandosi poi lo spazio con le spalle tra le sue gambe, diligentemente preparato a stuzzicare quella morbidezza sacra su cui lui amava bestemmiare attraverso i denti e la lingua.
Il profilo frontale del viso di lei s'era ormai eclissato dietro ai contorni travolgenti dei seni agitati, soltanto qualche parola, travestita da gemito, si fece strada: "Io ci tengo a te, Vegeta, nemmeno immagini quanto. Non voglio che tutto questo sia solo sesso, lo capisc-". L'ennesimo bacio schioccato sulle labbra assai meno sfacciate di quelle del viso, ne interruppe il flusso di parole e pensieri, dandole solo il tempo d'udire, incerta se reali o allucinate, le ultime parole proferite d'istinto dal principe, senza pensarvi su un solo istante, prima che da quella bocca straripasse il suo piacere più liquido.
"Se fosse solo sesso, Bulma, a quest'ora non saresti di certo viva, te lo posso garantire".



-Fine-




  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Overlook