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Autore: Overlook    03/10/2015    4 recensioni
Dragon Ball Z
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Bulma ha fatto ritorno a casa propria, alla Capsule Corp., a seguito dell'apocalittica avventura su Namecc.
Tre impulsi, slanci, momenti in cui l'istinto, il sesto senso, prendono il sopravvento su ogni altra cosa.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Stubborn'
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Il primo capitolo di "Dashes", ad opera di Overlook è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.


Dashes

Di Overlook, 2015©


____________________________


Capitolo I - Tutti i colori dell'evidenza



Per quanto, sin dalla notte dei tempi, vizi e virtù siano estremamente volubili, nei più svariati contesti e nelle più indefinite situazioni, niente rende gli uomini più vulnerabili, ed al contempo belligeranti, della pioggia. Essa scroscia, dilaga tra le fughe disegnate dalle strade sulla maiolicatura cittadina, è più veloce e funesta di un virus influenzale tra i corridoi di una scuola dell'infanzia, frusta le spalle troppo scoperte ed appesantisce gli indumenti troppo abbondanti. Irrompe dispettosa soltanto nel momento in cui può star sicura di prendere alla sprovvista se non tutto, almeno la maggior parte del creato, sciogliendone la maschera di civile convivenza sullo stesso suolo; svelando l'essere umano per null'altro di quel che è: un'indecente belva feroce, opportunista, irrimediabilmente intrappolata nella propria stessa stupidità, alla stregua di un ratto che si trovi a fiutare una possibile via di scampo tra i muri invalicabili di un labirinto creato da chimici e ricercatori scientifici. Esso non sa e non potrà mai sapere che quella sua ricerca nient'altro è che l'obbiettivo di chi l'osserva dall'alto; allo stesso modo, l'uomo o la donna che cerchino forsennatamente riparo per le proprie giacche inamidate e chiome cotonate sotto a pensiline e tendoni di negozi, eseguono il mero volere di un plumbeo cielo che sovrasta le loro teste. Per riuscire nella propria fuga, essi si spintonano, se ne fregano dell'altrui handicap o di posti già occupati, diventano sguaiati e morbosi, bestiali e... Cattivi.
Bulma Brief, ormai, di umano, probabilmente poteva vantare solo il proprio sangue, giacchè dal momento in cui aveva rimesso piede, incredula, nella propria camera da letto, aveva avuto l'opportunità di tirar le somme su quella sua esistenza sino ad allora costellata di peripezie al limite dell'immaginazione, tanto densamente quanto una notte d'Agosto è intrisa di stelle e... zanzare.

Dopo essersi sbarazzata dell'ultima, con un abilissimo colpo di pantofola all'angolo del muro, gli occhi azzurri e ancora stanchi s'erano posati sulla polaroid effettuata a bordo della navicella spaziale, durante il viaggio verso il pianeta Namecc. I capelli a caschetto, ancora in piega, impreziositi dal cerchietto in raso rosso, lambivano il suo viso terso e raggiante, trasudante l'allegria d'esser lì a compiere un memorabile autoscatto in compagnia del piccolo Son Gohan, teneramente ridicolo con il papillon ben annodato e l'amico Crilin, spensieratamente abbigliato come un turista intergalattico.
Certo che ne aveva visto di stramberie, lei. Praticando la professione di scienziata meccanica, s'era un tempo illusa che le stranezze le avrebbe avute davanti agli occhi soltanto sottoforma di prodotti ultimati, bizzarri e geniali, presso la sede della Capsule Corporation, la sua stessa dimora. A quanto pareva, la sorte le aveva invece riservato un posto in prima fila -ed altrettanti nel cast principale- per il susseguirsi di vicende assurde che da quando aveva conosciuto Son Goku riempivano e quasi soffocavano ogni anno, ogni giorno, ogni momento della vita. "E pensare che mi sarebbe bastato un bel fidanzato...!", aveva pensato ad alta voce, mentre misurava con le dita di entrambe le mani il perimetro di quella fotografia.
Yamcha stesso, non era affatto un uomo qualunque. Per la verità, fin troppe volte aveva messo in discussione il fatto che si potesse definire uomo, tale era stata da sempre la sua immaturità pur avendo superato da un pezzo i canonici diciotto anni. Alzando gli occhi al cielo e sbuffando indolente, ricacciava indietro quel flusso di pensieri. Sconnessi di primo acchito, d'un tratto, senza avvisare, trovavano la solidità del cemento totalmente asciutto su cui poggiarsi, tra le aguzze guglie disegnate dai ciuffi della chioma folta e corvina del tremendo alieno che d'impulso s'era offerta d'ospitare sotto il suo stesso tetto.
Vegeta.
A Bulma era giunta molto prima la fama, che il nome, di quello scellerato aguzzino che aveva decretato la prematura morte di Yamcha e che aveva ridotto in fin di vita Son Goku. Su Namecc inaspettatamente e con orrore ne aveva fatto diretta conoscenza, troppo avviluppata nel timore egli potesse essere davvero tanto spietato da farle del male, per accorgersi della perversa sicurezza che, quell'alieno, non le avrebbe mai torto un capello.
Nessun problema, comunque, giacchè di questo -e di ben altro, di lì a poco- aveva potuto accorgersi in tutta calma tra le rassicuranti mura della propria dimora, sin dai primi giorni di permanenza del principe del popolo Saiyan.
L'odore -avrebbe voluto parlare di profumo, ma la decenza ed il pudore s'erano alleati contro di lei- che Vegeta lasciava nell'aere ad ogni passo, muschiato, maschile, empio, vissuto e pungente, accarezzava le sue minute narici con la stessa insistenza con cui la nube fuoriuscente dalla sigaretta di suo padre la istigava a farlo entrare nei suoi polmoni illibati.
Il fumo crea letale dipendenza, Bulma lo sapeva bene, non era certo una sprovveduta. Quel che la allarmava era la conseguente analogia, del tutto inconscia, con l'odore dell'alieno.
Ma cosa, la intimidiva? Era forse impaurita dai ricordi di morte e sangue che quell'aroma portava dentro di sè? Era per caso intimorita dal sentore troppo differente dal resto della popolazione terrestre?
No, era spaventata a morte dall'evidenza che quel profumo -sì, per la miseria, è profumo, ciò che conturba ed aggrada all'olfatto- avesse iniziato a piacerle da impazzire, a mancarle quasi fosse ossigeno vitale, quando per più di qualche ora quell'assassino interspaziale non si palesava nella stessa stanza ove era lei; a prendersi gioco dei suoi più profondi sogni, quando al mattino si svegliava di soprassalto avvolta da una vergognosa sensazione di dispiacere, nel trovarsi tra le proprie lenzuola candide e non tra quelle insudiciate di fango e sforzi sovrumani del letto di qualche stanza avanti.
Yamcha aveva impiegato davvero pochissimo tempo, a divenire null'altro che una faticosa zavorra morale da trascinarsi dietro, un peso sulla coscienza con cui dover fare i conti, quando all'imbrunire del giorno il pensiero chiosante era "Fortunatamente ha gli allenamenti con la squadra, questo fine settimana".
Era tornato alla vita da relativamente poco, ma la gioia di riaverlo per sè era perdurata nel tempo di un abbraccio più intimo, di un tentativo più adulto da parte del giovane guerriero. Le aveva chiesto se quella sera avessero potuto dormire insieme, per la primissima volta, in verità. Lo sguardo scioccato e gli strepiti di indignazione avrebbero dovuto suonare a tutti e due come un gran bel campanello d'allarme, ma inevitabilmente s'era finito per sigillarsi adirati ognuno nelle proprie stanze, chi a smaltire la carica sospesa davanti a certi giornaletti, chi a ragionare su quale nugolo di polvere stesse inceppando tanto decisamente l'ingranaggio del comune evolversi di una relazione sentimentale.
Ed era proprio lì, l'inghippo su cui Bulma tutte le volte scivolava malamente e per medicarsi utilizzava il lavoro, il cuscino e le riviste di moda: Si trattava davvero, alla fine dei conti, di una relazione sentimentale? O forse sarebbe stato meglio per tutti aprire definitivamente le porte a quella che era una splendida e profonda amicizia fraterna? Bulma non era certo una persona poco incline ai cambiamenti ed alle sorprese, anzi, ella stessa fino a quel momento ne aveva fatto un carburante esistenziale. Per cui non si poteva dire fosse reticente a dare quella svolta decisiva alla sua vita. Si poteva invece urlare a gran voce che ciò che la tratteneva era la sempre più fondata consapevolezza che non avrebbe giulivamente galleggiato da una sponda all'altra del torrente della sua gioventù, una volta conclusa la loro... Storia. No, si sarebbe arenata violentemente sullo scoglio impervio e tempestoso i cui profili più alti ricordavano le fattezze di una fiamma vivace, con la stessa naturalezza con cui la gazzella agguantata e assediata dal branco di leoni si lascia andare alle loro fauci fameliche.
Certo, che la gazzella sarebbe volentieri fuggita, ma ormai... E poi, così è la legge di natura.
Allo stesso modo, Bulma distingueva sempre meno nettamente i contorni della paura di un tale pensiero, non riusciva nemmeno più a scorgere le ombre funeste del passato di quell'inquilino da cui chiunque si teneva ben alla larga, da quando aveva deciso di accettare l'invito della scienziata.
Ancor più infame era la spontaneità con cui quei pensieri permanevano nei meandri della mente, benchè ben viva fosse la riminescenza delle ultime parole a lei rivolte dall'alieno durante il giorno.

"Levati di mezzo".
"Non ho tempo da perdere con una patetica Terrestre".
"Che hai, da fissare? Pensa agli affari tuoi".

Dove diamine stavano il cenno, il gesto, la parola che avessero ambiguità tale da suggerirle simili elucubrazioni? Da nessuna parte! Eppure, il prosieguo di quelle diapositive mentali in movimento, picconava inesorabile alla base ogni tentativo razionale di rimettere ordine in testa.

"Principe dei miei stivali, mi leverei volentieri di mezzo, se non avessi conciato il lavello peggio di un porcile! Pulisci tu, forse?!".
"E io non ho certo tempo da perdere con un maniaco della guerra senza un briciolo di civiltà! Perciò... Ti saluto!".
"Ti sarebbe piaciuto, che ti stessi fissando, caro mio! Per la verità mi dava da pensare quel quadro lì, proprio dietro di te. Non trovi che sia... Un po' storto...?".

Tutto quel sottile e malizioso sfidarsi, rincorrersi, violentarsi e punirsi, per poi liberarsi ancora, si librava nell'aere inarrestabile come la carica negativa d'un elettrone che incontri quella positiva di un protone. Essi si scontrano, ma si cercherebbero, in ogni caso. Sono agli antipodi, ma sono uno il complemento dell'altro.
Di nozioni e dogmi scientifici ne aveva a sufficienza da redigere un trattato, Bulma, ma fegato e temerarietà per ammettere la specularità con la sua situazione, quelli sorprendentemente scarseggiavano da tempo. Eppure non ci aveva pensato su un minuto di più, quando s'era trattato di raggiungere il luogo d'atterraggio di Freezer.

Yamcha era diventato di nuovo un lontanissimo atomo immerso nell'iperspazio della sua coscienza.



***


"Procurami indumenti che non siano così vomitevolmente... Rosa, se vuoi che mi levi di dosso la tuta da combattimento, è chiaro?", le aveva sbraitato in faccia Vegeta, paonazzo di rabbia ed imbarazzo per quel patetico teatrino di cui si ritrovava ad essere, suo malgrado, marionetta principale.
A nulla erano valse risatine e tentativi vari di sdrammatizzare tanto astio, Vegeta s'era rinchiuso tra le mura concave della Gravity Room posta in un angolo remoto del giardino e da lì non era più uscito. Neppure per sfamarsi.
La finta, spensierata noncuranza di Bulma s'era spenta sotto i riflettori ben più potenti di un alone di preoccupazione reale, per le condizioni dell'alieno.
Conscia che bussare al portellone sarebbe servito solo a far sì che da lì Vegeta non sarebbe davvero uscito mai più o, ancor peggio, avrebbe nuovamente azionato i motori della navicella, pronto ad abbandonare un'altra volta quel pianeta, s'era risolta a tuffarsi, letteralmente, tra i fradici marciapiedi della città, quello stesso fine settimana, alla volta del centro commerciale, dove avrebbe investito un bel po' del proprio generosissimo capitale, tra must have modaioli per lei e, finalmente, qualche sobrio abito scuro per quel bell'alieno.
S'era finta scocciata dalla mansione, ma tant'è, quando sua madre l'aveva avvisata dalla cucina che al telefono la stava cercando insistentemente Yamcha, in palestra dal mattino, ella aveva calzato gli stivaletti in gomma nera, lucida ed infilato alla svelta il cappottino in velluto mélange, verdone, sbraitando sguaiata dall'ingresso che lei sarebbe dovuta uscire e che quello non era proprio il momento adatto per ricevere telefonate.
L'insistente scrosciare della pioggia sul tessuto ben teso dell'ombrellino tascabile appena scapsulato non le permetteva d'avvertire in anticipo i passi delle persone che, ad onor del vero, finivano per scontrare i propri ombrelli, uno ad uno, con il suo, quasi fosse stata la sola ad andare nella direzione opposta a quella della gente ammassata sotto ai vari tendoni e alle numerose pensiline.
"Accidenti, ma vuole fare un po' più d'attenzione?!", aveva inveito contro l'ennesimo signore grassoccio le si era parato davanti intenzionato a non muoversi d'un millimetro, ora che quella precaria decina di centimetri quadrati al riparo era stata conquistata. Che fossero tutti squallidamente sordi al richiamo dell'educazione, in quel frangente, era vero. Ma che Bulma, in meno di un chilometro percorso a piedi verso il centro commerciale, avesse già le mani occupate da almeno quattro grossi sacchetti recanti loghi di lusso, lo era altrettanto.
"C'è chi può e chi non può", si risolveva sempre a pensare in casi come quello, quando le pacchiane signorine sue coetanee, dai bordi inzaccherati del marciapiede su cui sostavano inzuppate e furenti, la osservavano verdi d'invidia, più che nere di rabbia per l'acquazzone improvviso, distruttore di messe in piega. Lei faceva già parecchia beneficenza, insieme a suo padre, la coscienza se la puliva di sovente. Non amava neppure la disciplina dello shopping più o meno compulsivo, perciò quando decideva di farne, non avrebbe dovuto sentir volare neppure una mosca. Guai a chiunque, altrimenti.

Con non poca fatica e con la gola arsa dagli insulti urlati a destra e a manca, incapsulato l'ombrello, Bulma aveva fatto il suo ingresso all'interno dell'enorme centro commerciale da poco aperto in pieno centro nella Città dell'Ovest. Su più piani, esso racchiudeva tutto il mondo modaiolo. Negozi di vestiti, di scarpe, di borse, di gioielli e persino di animali, considerati alla stregua d'accessori, dall'emisfero benestante.
Questo la indisponeva parecchio, proprio lei che, seppure non fosse a questi troppo legata, ne aveva sempre ospitati a dozzine, presso gli spazi esterni gestiti dal dottor Brief. Constatare però, una volta giunta proprio di fronte all'insegna, che i clienti fossero bambini e bambine desiderosi di prendersi cura di un amico a quattro - o due o otto che fossero- zampe col beneplacito dei genitori, la fece sorridere impercettibilmente, rincuorata e ricaricata dell'energia necessaria per affrontare la calca accumulatasi di fronte alla nuova filiale Charmante appena inaugurata.




***



Nonostante lo zigomo continuasse a pulsare arrossato, Bulma aveva definitivamente rifiutato la cortese offerta da parte del titolare della rinomata gioielleria di porgerle quantomeno del ghiaccio con cui tamponare la contusione. La screanzata che s'era malamente interposta, puzzolente e malvestita, tra lei e la vetrina principale del negozio, aveva agitato un po' troppo le mani, con quel suo fare provinciale, nella speranza un commesso le venisse in aiuto prima che ad altre. Uno di quei pugni chiusi e maldestri era finito contro il suo niveo viso, facendola andare su tutte le furie e scatenando l'ira di tutta la clientela, benestante e compita, sommessamente parlottante, in ordinata coda per le vetrine d'esposizione.
Incapsulate le numerose buste ormai d'impiccio, s'era decisa a spostarsi nel settore d'abbigliamento, ove un graziosissimo giacchetto corto e smanicato in jersey arancione faceva sfoggio di sè su di un manichino a cui Bulma non aveva proprio nulla da invidiare , anzi, fosse stato animato, avrebbe avuto quello, qualcuno su cui rodersi il fegato. Si presentava come sbarazzino soprabito di una blusa lillà più lunga, traforata, i cui bottoni riprendevano la forma di simpatici musi di gatto stilizzati. Il pantalone che le commesse avevano abbinato era di un verde militare piuttosto largo, informe, di quei modelli che erano andati almeno due stagioni prima e che con tutta probabilità rappresentavano un esubero di magazzino da rendere appetibile al più presto, per evitare perdite economiche. Storcendo il naso poco convinta, Bulma tornò ad osservare il taglio estremamente comodo, ma pure attillato dello smanicato, immaginandolo sopra a quel crop top color sangue che sua madre le aveva comprato durante uno dei meticolosi raid presso le boutiques della periferia cittadina. Le stava divinamente, non fosse stato per il fastidioso dettaglio che a livello del seno, esso risultava forse troppo morbido, non perfettamente fasciante, quasi a volerle insinuare il dubbio fosse lei ad essere poco procace. D'altronde però, quella piccolezza così lievemente si notava che ella non aveva fatto altro che sospirare noncurante davanti alla specchiera, ponendo l'indumento ben piegato nell'armadio, aspettando il periodo delle festività primaverili tradizionali nella sua città, dove sistematicamente riusciva a prendere quel paio di chili in più che, per una volta, le avrebbero giovato.

Non calcolò neppure la possibilità di adeguarsi all'abbinamento proposto dal negozio, ne uscì soddisfatta con il solo pezzo di suo interesse, l'ultimo disponibile peraltro, lasciando che un impudente manichino con la testa mozzata s'infreddolisse con la sola camiciola e i pantaloni desueti a coprirne le plastiche nudità.



***




Non aveva mai avvertito il bisogno di uniformarsi alle altre, coetanee o meno che fossero. Bionde, more, brune, lei senz'altro spiccava per il colore acceso e cristallino che la caratterizzava sin dalla nascita, con quell'unico ciuffetto in fronte che Bunny Brief le aveva saputo acconciare in milioni di modi differenti. Certo, quei suoi naturali connotati tanto particolari necessitavano di una maggiore attenzione nel corredo del vestiario, tant'è che, seppur grande appassionata di stravaganze e appariscenze varie, Bulma aveva sempre posto un occhio di riguardo agli abbinamenti in tinta all'interno del proprio guardaroba. Il più delle volte sfoggiava armoniosi ton-sur-ton riprendenti quelle marine movenze, altre volte le piaceva giocherellare con contrasti azzardati, come quello che da qualche tempo usava indossare: un morbido abitino a maniche lunghe, rosso, rigato da sottili linee orizzontali parallele, di colore scuro. A proteggerle le spalle freddolose v'era sempre un gilet in cotone color tramonto, simile a quello appena acquistato, ma logoro e un poco sgualcito ai fianchi. S'era concessa da qualche tempo una leonina permanente ai lunghi capelli, giusto per dare un taglio netto alla traumatizzante esperienza interplanetaria.
Di tante tinte con cui aveva da tutta la vita giocato abilmente, la blu era quella con cui il suo sex appeal giovanile si trasformava in un suadente fascino avvolto nel mistero, il mistero da cui gli amici erano incuriositi, di come fosse, la vita, alla Capsule Corporation, da quando l'alieno più belligerante e spietato di sempre s'era stabilito sotto quello stesso tetto...
"Già, Vegeta!", aveva ricordato a voce bassa sgranando un poco gli occhi; era giunta sin lì per acquistare abiti a lui, non chincaglierie e capricci per lei. Fluido come l'acqua pura che stilli da una ferita tra le rocce impervie, il pensiero di Bulma si sviluppò in un indeciso e analitico scandagliare ogni sfumatura maschile che avrebbe reso onore al fisico disumanamente bello del principe dei Saiyan. Il colore nero le pareva quasi tedioso, abbinato allo stesso tono di quegli occhi seducenti e di quella chioma ribelle e selvaggia. Il bianco donava a quella pelle sempre incurantemente abbronzata, ma cozzava violentemente con la sua stessa persona. Con una mano a reggerle il mento dubbioso e l'altra a farsi strada tra le porte girevoli dell'ennesima boutique, Bulma intercettò il proprio sguardo assorto con quello inanimato di un mezzobusto nudo, troneggiante su un grande scaffale, defilato dagli altri, su cui poggiavano quiete e severe due pile di abiti: pantaloni comodi e robusti color castagna e maglie a manica lunga con scollo tondo, color della notte. Blu. Non servì affatto che Bulma provasse ad immaginare Vegeta con quei vestiti addosso, perché fu il suo stesso spettro nell'immaginazione a palesarlesi davanti agli occhi in un austero fascino ineguagliabile.
"Ecco, prendo questi! Mi faccia la cortesia di togliere già i cartellini, grazie". Non aveva intenzione di sentirlo sciorinare la solita trafila d'insulti a denti stretti perchè quei... Cosi in plastica gli davano fastidio addosso. Anzichè staccarli, aveva disintegrato più volte la biancheria intima che gli aveva fatto trovare sul letto.
"Ma, signorina... E se poi non dovessero andar bene?", s'era azzardato il gentile commesso alla cassa, preoccupato che visto il costo della merce, non fosse poi più possibile il cambio in caso di errore nella taglia.
"Mi creda, so perfettamente, cosa va bene e cosa no". Ma Bulma, l'immagine di quell'alieno, terribilmente magnetica ad ogni ora del giorno... E della notte, l'aveva stampata in mente più precisa di quella dei prototipi a cui stava lavorando.
Era andata ad occhio, con il pantalone color ocra e la camicia rosata e non aveva sbagliato d'un millimetro.
Il peso di quel pacchetto poteva esser tranquillamente retto tra le dita, perciò si risolse a non incapsularlo e a concludere il suo ramingo girovagare con una sosta al bar in voga, al piano terra di quell'enorme edificio, corroborandosi con un cappuccino sporcato dall'eccessiva spolverata di cacao amaro.



***



Il fiato era corto non solo per la corsa, ma pure per il pungente freddo che quel giorno insolitamente aveva investito la regione. Erano i primi giorni di autunno, mica pieno inverno!, bofonchiava sin dal mattino.
Eppure, anche per un guerriero senz'altro fuori dal comune come lui, la maglia lunga e candida in cotone, quel giorno pareva non bastare. Gli mancava da percorrere qualche metro, al ciottolato antistante la grande dimora emisferica presso la quale alloggiava spesso, più come ospite che come colui ch'era convinto di essere da -e per- sempre. Il gattino trasformista faticava a stare al suo passo spedito e pesante, ma una volta raggiunto il pannello di controllo digitale per l'ingresso gli si posò sulla spalla, ansimante.
"Adesso mi sente... Non è sempre stata lei, a rimproverarmi di non ricordare mai nulla?!".
Lì dentro, il tepore dei termosifoni accesi e del forno sempre in funzione riusciva a coccolare anche l'animo più adirato. Yamcha s'era subito disteso, il suo viso s'era fatto meno rosso e contratto, sciolta la tensione accumulata con l'aroma dolciastro proveniente dalla cucina.
"È... È permesso, scusate?". S'era annunciato in tal modo, all'ingresso dell'enorme stanza ospitante i coniugi Brief ed il paffuto micio nero, acciambellato sopra il microonde.
"Oh, ciao, caro! Che bella sorpresa, sei venuto a far visita a Bulma? Che tesoro. Purtroppo però lei non c'è, ma se vuoi unirti a noi per un buon caffè caldo accomodati, non fare complimenti!".
Bunny gli aveva cinguettato il sempre cordiale invito a trattenersi, ma in quel momento a lui interessava sapere dove si fosse cacciata quell'impertinente di Bulma.
"La ringrazio, ma a dire la verità vorrei proprio sapere dov'è finita sua figlia, sono ore che provo a contattarla... Ricorda? Ho telefonato anche prima... È ancora fuori?".
"Beh, sì. Almeno, io non l'ho ancora vista tornare, ma magari potrebbe esserti d'aiuto Vegeta. È almeno un'ora che se ne sta lì davanti alla finestra! Che caro, ci tiene molto alla salute di mia figlia, con questo freddo, sarà preoccupato anche lui!". Da quando la giuliva donna gli aveva nominato quel
nome, il resto del discorso s'era automaticamente eclissato in sordina, lasciando posto solo ad uno stridulo fischio all'interno dei padiglioni, mentre lento, basito, voltava il capo in direzione della vetrata davanti al quale s'ergeva pacata e comodamente assisa la figura di quell'alieno assassino, la cui schiena era tutt'uno col muro portante e le cui gambe erano distese sul davanzale interno, tranquillamente poggiate sul termosifone ardente. Tra le mani grandi, ma lisce, stava una tazza in ceramica scura, fumante, dalla quale doveva provenire senz'altro una parte di quel caffè precedentemente offertogli dalla signora Brief, altrimenti non si sarebbe spiegato il paio di ridicoli baffi disegnati appena attorno alle labbra sottili del temuto principe.
"V-Vegeta... Cosa ci... Cosa ci fai, qui...", era stata l'unica cosa gli era venuto istintivo chiedere, più timoroso della possibile risposta, che del fatto stesso d'avergli rivolto parola.
"Correggimi se sbaglio, ti prego, ma mi risulta che questi non siano affari tuoi", gli aveva affettato sarcastico e maligno Vegeta, senza nemmeno rivolgergli un'occhiata.
Notata la tensione nuovamente galoppante nelle viscere del fidato amico, Pual si era parato innanzi a Yamcha suggerendogli di attendere Bulma in salotto, ma soltanto la voce pacifica del dottor Brief riuscì a catturare la sua attenzione.
"Andiamo, andiamo Yamcha, sai bene che Vegeta non vuole essere disturbato. Bulma sarà sicuramente andata al nuovo centro commerciale, figuriamoci! Ti consiglio di cercarla lì, perchè senz'altro non ha in programma di tornare a breve, visto il forfait che mi ha dato in laboratorio". E spingendolo delicatamente con entrambe le mani nuovamente verso il portone d'ingresso, l'aveva finalmente convinto a desistere da quel duello impari che lui senz'altro avrebbe voluto sostenere.
Non appena il rumore della porta gli assicurò l'assenza di Yamcha da quella casa, Vegeta non potè fare a meno di trattenere un'ombra di ghigno compiaciuto; il vecchio non era poi tanto male, come tipo. Se non altro, pareva aver per primo capito come comportarsi al suo cospetto.



***



"Amico mio, non fare così, dopotutto sai che provocare quel Vegeta non è mai una buona idea..."
.
"Non mi interessa, Pual, quello lì dovrebbe essere confinato in quella diamine di navicella, non libero di gironzolare in quella casa... In casa m-". Dovette arrestarsi, Yamcha. Se non per amor del vero, almeno per buon senso. Quella non era, casa sua e a voler ben vedere lui non era mai stato così ospite, lì dentro, come da quando Vegeta aveva fatto fortuito ritorno sulla Terra schiantandosi con la navicella gravitazionale con cui era tempo prima fuggito nell'iperspazio. Poco a poco, giorno dopo giorno, l'importanza da sempre riservatagli dai genitori di lei e da Bulma stessa, che teoricamente ancora ricopriva il ruolo di sua ragazza, era venuta meno, sino a trasformarlo in un personaggio accessorio, da salutare cortesemente quando lo si incrociava tra i corridoi dell'immenso edificio, ma della cui assenza non farsi cruccio quando la notte preferiva l'aria salmastra dell'Isola del Genio delle Tartarughe. Bulma, che mai in ogni caso aveva voluto saperne di lasciarsi andare ad atteggiamenti più intimi di un bacio, gli aveva già da tempo messo in chiaro bruscamente che c'era un motivo, per cui i letti delle loro stanze erano singoli, regalandogli il sapore legnoso di una porta chiusa dritta in faccia. Quante volte s'era immaginato di sorprenderla, entrambi eccitati e nudi, come mai nella realtà s'erano osservati, con l'abilità dimostratagli tra le dita, la lingua ed oltre. A che cosa sarebbe servito, altrimenti, tutto quel ramingo transitare da un letto all'altro, agli angoli più squallidi di quella frenetica città?
Invece, questo tipo di pensieri periva senza eccezioni tra le urla furenti di lei e le risatine nervose di lui, per minimizzare la gaffe assai poco lusinghiera. Non gli pareva plausibile che una tipa come Bulma avesse in programma di mantenersi una vergine per tutta la vita.

Il passo celere e iracondo aveva cominciato a rallentare non appena giunto di fronte all'ingresso del centro commerciale. Vi si sarebbe fiondato deciso, se non avesse intravisto, dietro alla vetrata illuminata, la figura snella e procace di Bulma, prossima all'uscita, con in mano soltanto una busta di medie dimensioni, in cartonato leggero, lucido e scuro, recante la firma di un noto atelier d'alta moda maschile. Lo sguardo tornò a distendersi, le mani tornarono ad aprirsi dentro alle tasche dei pantaloni, le spalle tornarono a sciogliersi e la bocca ritrovò una piega sorridente. Era stato il solito impaziente, la sua ragazza s'era prodigata tutto il giorno per trovare il regalo adatto per il suo compleanno e lui in cambio era stato intenzionato a piantarle una scenata coi fiocchi! Che stupido.
Bulma non s'avvide della presenza di Yamcha sino al momento in cui si guardò attorno per capire se dover riaprire l'ombrello o meno; la permanente andava salvaguardata anche dalla più misera pioggerella residua.
"E tu che ci fai, qui?", le era venuto naturale domandare a quell'incosciente che inebetito se ne stava lì davanti a fissarla sorridente, con addosso solo una maglia in cotone.
"Eh eh, ciao, Bulma! Sapessi, le mie intenzioni erano quelle di cantartene quattro, ma poi ho visto il pacchetto... Che sciocco, credevo ti fossi dimenticata del mio compleanno!".
Senza neppure valutare un'opzione più ipocrita, ma più cortese, Bulma per istinto riuscì solo ad esclamare, come caduta dalle nuvole: "Oh, dici questo? Sono i nuovi abiti che ho comprato per Vegeta, me li ha... Chiesti... Lui stesso!", sorridendo mansueta e spensierata, con lo sguardo gentile rivolto ai manici in corda di quella busta.
Non trascorse più d'una manciata di secondi, prima che il suo sguardo si facesse sgomento e sbarrato, offrendo consona compagnia a quello dell'altro.
Eccolo di nuovo lì, il lontanissimo atomo immerso nell'iperspazio della sua coscienza ormai logora.




-Fine-



*Mi pare corretto, prima ancora che assai piacevole, linkare qui un altro racconto -per me IL racconto- in cui potersi beare di simpatici baffi disegnati attorno alla bocca del principe dei Saiyan.
  
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