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Autore: Targaryen    04/10/2015    5 recensioni
Le vicende narrate in questo racconto si svolgono prevalentemente a Eryn Galen e coprono il periodo che va dall’inizio della Terza Era sino alla fondazione di Dol Guldur da parte di Sauron. Nonostante l’ombra che cala sul Reame Boscoso, questa non è una storia di guerra.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amroth, Elrond, Galadriel, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sussurri di foglie e di vento'
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7. L’ombra su Boscoverde (950 T.E. - 1049 T.E.)
 


Il Lórinand è troppo caldo in estate, e i telain gli trasmettono un’insolita sensazione di leggerezza a cui non è abituato. Sono solidi e ben ancorati ai rami, eppure l’eco dei propri passi che si perde nel vuoto lo mette a disagio. Amariel ha riso quando glielo ha confessato e lo ha baciato su una guancia come avrebbe fatto con un bambino preda di sciocche paure, quindi ha raggiunto la scala che serpeggia lungo il tronco ed è scomparsa dalla vista. Avevano programmato di visitare i giovani mellyrn lungo le sponde del Celebrant, ma re Amroth ha deciso di riapparire quel giorno dopo una delle sue lunghe permanenze nei boschi, ed egli è stato costretto a trattenersi e a lasciarla in compagnia di Maidhwen e della scorta. Non ne ha mai compreso sino in fondo le ragioni, ma dopo il lutto che li ha colpiti Maidhwen ha perduto quella sorta di cortese distacco che ha sempre esibito nei confronti di Amariel e ha cominciato a mostrare un lato di sé nettamente migliore.
Thranduil cerca l’anello d’oro che la moglie gli ha donato oltre cinquecento anni prima, lucente come quel giorno e, se possibile, ancora più caro. Lo fa sempre quando ha bisogno della sua forza, e in quel momento oltre alla forza vorrebbe anche possederne la pazienza.
“Re Amroth, il numero di orchi intorno ad Amon Lanc è cresciuto troppo in questi ultimi decenni perché non sorga spontaneo domandarsene la ragione”, ripete per l’ennesima volta, “I tuoi esploratori lo hanno confermato.”
Amroth ascolta, ma non pare cogliere la gravità di quanto sta accadendo. Nessuno sembra farlo, neppure Elrond, che siede in disparte con il capo chino. Ha indossato le vesti del signore ed è impossibile indovinare cosa stia pensando. Galadriel, invece, passeggia avanti e indietro e appare più interessata ai decori del pavimento che a quello che lui sta dicendo. Questa è la Galadriel a cui non si inchinerà mai.
“Gli orchi spesso agiscono senza uno scopo, re Thranduil”, dice Amroth, “Non è la prima volta che si riuniscono dopo la disfatta del loro padrone.”
Thranduil si impone la calma. Non considera più Amon Lanc parte del proprio regno, ma è parte di Boscoverde ed il Reame Boscoso è Boscoverde. Percepisce quelle immonde creature come uno sfregio alla sua terra e come una minaccia concreta alla sicurezza del suo popolo, e non riesce a capire come Amroth possa tollerare di averli così vicini. L’Anduin, seppure imponente, non rappresenta una barriera invalicabile e non protegge il Lórinand, e nonostante dopo il matrimonio con Amariel egli non abbia più sognato degli anni trascorsi tra la polvere ed il sangue quella sensazione non lo ha abbandonato: l’impressione di qualcosa rimasto incompiuto c’è ancora.
“Chi ci garantisce che il loro padrone non possa tornare?”, domanda.
Le sue parole sono accompagnate da un lungo silenzio a cui pone fine la voce di Elrond, ridotta ad un sussurro.
“Nessuno.”
Galadriel si ferma e si volge verso Thranduil, adagio, il volto che pare scolpito nell’alabastro e che non trasmette nulla, solo una fredda bellezza che quasi spaventa e l’accavallarsi dei millenni risucchiati dal suo sguardo.
“Cosa proponi di fare, re Thranduil?”, chiede.
Rimane immobile, mentre il soffio del bosco le accarezza gli abiti e i capelli, sollevandoli come le volute di fumo che danzano sulla lama rovente della spada appena forgiata. Thranduil non vacilla.
“Qualunque cosa non comporti il dover restare seduti ad aspettare”, risponde.
Galadriel sorride, ma il suo viso continua a non trasmette alcun calore.
“Ciò lascia aperte molte opzioni”, dice.
Il primo impulso di Thranduil sarebbe quello di alzarsi e di andarsene, perché anche se il tono di Galadriel non risulta in alcun modo offensivo il suo intento è palese, tanto palese che Elrond solleva il capo e le rivolge un’occhiata da cui traspare qualcosa di molto vicino alla disapprovazione. Eppure non lo fa. Sopprime il moto d’ira che rischia di annebbiargli la mente e mette da parte l’orgoglio, perché non può dimenticare di avere responsabilità con o senza corona.
“Non sono venuto qui con una soluzione, dama Galadriel”, ammette, “Sono venuto qui per trovarla insieme a voi.”
Galadriel sembra riflettere, ma tace e riprende a camminare.
“Per trovare soluzioni occorre disporre di informazioni attendibili, re Thranduil”, interviene Amroth, “Per ora noi non ne abbiamo.”
Thranduil si volge verso il bordo del talan presso cui siede Elrond.
“Potremmo conoscere anche la tua opinione, lord Elrond?”, domanda.
Osserva l’amico mentre si alza lentamente ed appoggia le mani sul parapetto, lo sguardo proiettato verso Amon Lanc quasi volesse ghermirne i segreti nonostante gli alberi che lo celano alla vista.
“Non vi è nulla a noi noto che possa indurci a ritenere che vi sia qualcosa di insolito nell’attività intorno ad Amon Lanc”, dichiara, la voce priva di ogni emozione, “Comprendo le tue preoccupazioni, re Thranduil, ma agire d’impulso non è mai una buona cosa.”
Thranduil abbassa il capo e non si sorprende di non provare rabbia per le parole di Elrond. Prova amarezza, invece, e si sente improvvisamente stanco. Troverà un rimedio per Amon Lanc, ma prima di giungere da Amroth nutriva la certezza di non doverlo fare da solo, mentre ora ha la sensazione che il tempo di coloro che lo circondano abbia preso a scorrere ad una velocità diversa rispetto al proprio e che solo lui senta l’urgenza di agire. Gli edain sperimentano qualcosa di simile quando si rapportano alla loro stirpe?
“Terrò sotto stretto controllo la parte meridionale di Boscoverde e darò ordine ai miei silvani di inviare dispacci anche a te”, conclude Amroth, alzandosi e ponendo di fatto termine all’incontro.
“Ti ringrazio, re Amroth”, dice Thranduil alzandosi anch’egli, “Io farò lo stesso.”
Amroth saluta e si allontana, accompagnato da Dama Galadriel che si limita ad un cenno del capo. Galadriel viaggia spesso in quel periodo, sovente accompagnata dal marito, ma la meta dei suoi viaggi è ignota ai più e il sovrano di Boscoverde non ha mai posto domande.
Rimasto solo con Elrond, Thranduil torna a sedere e si lascia cullare per un lungo momento dal silenzio di quel bosco, così diverso dal proprio eppure ugualmente capace di infondergli pace.
Si accorge appena della sedia che viene accostata alla sua e non si volta.
“E’ azzardato ritenere che ci sia Sauron dietro ad Amon Lanc”, esordisce il figlio di Eärendil, prendendo posto accanto a lui.
Thranduil trattiene un sospiro e cerca di superare il disappunto di pochi istanti prima. Elrond vede dove lui non può e forse sa cose che lui non sa.
“Non ho mai sostenuto questo, ma sono in ansia per la mia gente”, dice, “Non c’è un fiume tra noi e quegli orchi, né ci sono montagne.”
Elrond lo guarda, gli abiti di circostanza finalmente dismessi.
“Attraverseremo il fiume e valicheremo le montagne se servirà, non dubitarne.”
Thranduil sorride.
“Non lo farò, ma i tempi in cui tua figlia rideva tra le braccia di mia moglie a volte mi sembrano troppo lontani.”
Un’ombra attraversa il volto del signore di Imladris, la stessa che sfiora il cuore del re di Eryn Galen.
“Non me ne hai mai parlato”, azzarda.
Thranduil non fatica ad indovinare ciò a cui Elrond si riferisce.
“Parlarne fa male e addolora chi ascolta”, sussurra, “E’ capitato. Non è colpa di nessuno.”
Elrond distoglie per un attimo l’attenzione e poi torna a guardarlo. Vi è sofferenza sul suo viso e i lineamenti tradiscono una parvenza di esitazione.
“La regina ha riportato conseguenze?”, chiede.
Sono trascorsi secoli da quel giorno, eppure per Thranduil è ancora arduo confidarsi con qualcuno che non sia Amariel. Lui e la moglie hanno condiviso innumerevoli volte il loro dolore, con la voce o restando stretti in silenzio e parlando col corpo e con l’anima, e un giorno hanno dato un nome al loro primogenito. Non lo riveleranno mai a nessuno, ma se qualcosa di lui ancora sopravvive nella mente dell’Uno in questo modo egli saprà come rivolgersi al loro piccolo, e lo sapranno loro quando ne richiameranno il ricordo nei rispettivi cuori. Ora sono pronti a concedersi un’altra possibilità, ma nessuno può avere la certezza che il loro desiderio verrà soddisfatto. La loro volontà è forte, ma i loro spiriti non dimenticano ciò che hanno perduto. Essi aspetteranno, e se non accadrà resterà quella sottile malinconia per qualcosa di non vissuto, ma il loro amore saprà porvi rimedio.
“Possiamo avere figli, se è questo che mi stai domandando, ma adesso è più difficile”, dice, “C’è sempre la paura che possa succedere ancora.”
Elrond abbassa la fronte.
“Ho sempre parole per ogni circostanza, ma questa volta non ne trovo per darti conforto, amico mio.”
“Non ve ne sono”, ammette Thranduil, e nessuno dei due aggiunge altro.
 
***

Aglaras scuote con vigore i grandi palchi e pesta l’erba con uno zoccolo, rubando un sorriso al re. E’ desideroso di riprendere la marcia e non manca di farglielo presente.
“Pazienta ancora un poco, amico mio”, sussurra Thranduil, accarezzandolo più volte, “Non tutti sono veloci quanto te.”
L’animale sembra comprendere le sue parole e volge il muso verso il punto in cui egli sta guardando: un piccolo agglomerato di rilievi non troppo alti posto alla confluenza tra il Fiume Selva ed il Fiume Incantato. Scavando la roccia calcarea l’acqua ha creato dedali di caverne celate nel loro ventre, facili da estendere e da modellare. I suoi esploratori le hanno percorse in lungo e in largo, confermando la fattibilità del progetto ed alleggerendo appena un poco il suo cuore.
Non deve attendere a lungo prima che uno scricchiolio di foglie calpestate faccia sbuffare Aglaras e attiri la sua attenzione. Amath si ferma al suo fianco ed esamina il profilo ondulato dei monti ricoperti di verde.
“Occorrerà molto tempo”, riflette, “E serviranno mani che lavorino per noi.”
Thranduil resta in silenzio, mentre i ricordi si risvegliano ed immagini non sempre liete oscillano sospese, confondendo il panorama che si dispiega dinanzi a loro. La sua futura dimora non raggiungerà lo splendore delle Mille Caverne, ma sarà sicura e abbastanza grande da ospitare il popolo della foresta se mai dovesse servire. E forse, un giorno, le sue pareti proteggeranno insieme a lui e ad Amariel il loro tesoro più prezioso. Gli anni sono volati via come petali nel vento, ma nessuno dei due ha ancora perso la speranza.
“Abbiamo tempo, forse non molto, ma mi auguro più quanto sarà necessario, e troveremo l’aiuto che ci occorre”, sospira, “Non possiamo affidarci alle scelte dei saggi. Essi sono attenti alle grandi cose ma spesso troppo lontani dalle piccole, e noi siamo un piccolo regno ormai.”
Durante l’incontro con Elrond e Galadriel, egli ha avuto la sensazione che i loro pensieri fossero proiettati verso qualcosa che nessun altro eccetto loro riesce a percepire e che dispiega la sua tela in quel futuro a lui nascosto e su cui non ha potere, e ha avuto la certezza che entrambi conservassero segreti. Amroth, invece, era proiettato verso altro, ed era lontano con il cuore e con la mente. Guida il suo regno con mano capace, ma forse non è ad esso legato quanto lui.
Amath cerca il suo sguardo.
“Non sei adirato con loro, mio signore?”, domanda, la voce salda come sempre l’ha sentita.
“Ho provato rabbia al loro cospetto, e la proverei tuttora se potessi permettermelo”, riconosce Thranduil, “Ma le priorità sono altre.”
Detto ciò afferra le redini e guida Aglaras giù per il fianco della collina sin nelle fredde acque del fiume, seguito da Amath e da coloro che sono giunti insieme a lui.
 
***

Elrond siede al lungo tavolo posto al centro della biblioteca che ha edificato nei secoli addietro, più di ogni altro luogo custode del sapere del loro tempo e scrigno di preziose memorie affidate alla carta. E’ notte fonda e Isil sonnecchia oltre l’orizzonte. Le lanterne sono spente e la flebile luce che filtra dalle finestre non gli permette di scrivere, ma poco importa perché non saprebbe cosa scrivere. Attraverso i corridoi la voce di Celebrían gli giunge come l’eco di una carezza, ma in quel momento non ha il potere di alleviare il rimorso che prova. Guarda l’anello e la sua grande pietra blu, e lo sente pesante come non mai. A volte è difficile convivere con la capacità di vedere dove gli altri non possono e la saggezza è per lo più una condanna.
Quanto sarebbe facile togliersi Vilya e consegnarlo a Thranduil, affinché chi ne ha più bisogno lo possa usare … A cosa servono gli anelli se non a questo? L’amico di Thranduil lo farebbe, ma cosa farebbe il signore di Imladris?
Avrebbe il re di Eryn Galen la forza e la rettitudine necessarie per servirsene senza rivelarne la presenza? Nessuno lo sa, neppure lui, e le doti migliori o peggiori emergono nei momenti più bui, ma l’amico di Thranduil correrebbe il rischio, anche se forse l’amore per il suo popolo lo spingerebbe a commettere imprudenze. E se il loro sospetto fosse fondato e Sauron si nascondesse dietro ai movimenti di orchi a Dol Guldur? Cosa accadrebbe se l’Oscuro Signore scoprisse che Thranduil detiene Vilya e che l’Anello del Cielo è a un passo da lui? Ancora Elrond rischierebbe, ma lo farebbe lord Elrond? No, lui no.
Lord Elrond sa che non sempre ciò che il cuore comanda è anche saggio, e ha abbastanza forza per mortificare il proprio, tacendo su ciò che custodisce con coloro a cui vuol bene e rifiutando di accorrere in aiuto di chi ha già sofferto troppo. Lord Elrond resterà in attesa del momento giusto per agire, e se quel momento non giungerà nasconderà Vilya nei recessi più profondi dei suoi pensieri sottraendolo alla vista del mondo. E come Galadriel anche lui farà ciò che deve e non ciò che vuole. Ma per Galadriel è più facile, o così a lui sembra.
“Perdonami”, sussurra al nulla.
Non si aspetta che il silenzio risponda, eppure non si sorprende quando ciò accade.
“Vorresti darlo a lui?”
La voce di Galadriel precede il fruscio delle lunghe vesti che scivolano sul pavimento di pietra, una visione sfocata a cui il buio sottrae luce e colori e che cammina a piedi scalzi sul confine tra realtà ed illusione. E’ in quella sala con lui, eppure sembra avere la stessa consistenza dei ricordi.
“Coloro che ama verrebbero sempre prima dell’anello”, continua avvicinandosi ancora, “Non saprebbe tenerlo celato.”
Forse no, ma vi è qualcosa di profondamente sbagliato nel dover abbandonare un popolo a sé stesso perché il suo re lo ama troppo, e la presunzione è un pericolo tanto più grande quanto più in alto si giunge. C’è forse qualcuno più in alto dei custodi dei Grandi Anelli?
“Al suo posto noi sapremmo farlo?”, domanda, la voce insolitamente alta in quel mondo fatto di ombre e di parole appena sussurrate.
Galadriel si ferma, ma Elrond non attende che ella parli. Si alza e si dissolve nell’abbraccio delle tenebre, e non vede l’afflizione che intacca appena la perfezione della maschera che la Dama della Luce offre al mondo. Non vede lady Galadriel divenire Galadriel, e non vede le labbra tremare al tocco delle dita della notte.
 
***

C’è profumo di neve nell’aria e in tutto il palazzo i fuochi sono stati accesi. Succede ogni anno, quando l’inverno inizia a passeggiare tra gli alberi addormentati e il loro popolo lo accoglie cantando e danzando, allo stesso modo in cui accoglie ogni altra stagione.
Amariel percorre con la punta delle dita il ricamo che adorna la piccola coperta appoggiata sulle ginocchia, fili d’argento che lei stessa ha fissato al tessuto e che fermano nello scorrere del tempo un giorno d’autunno.
Sorride.
Dalla foresta non giungono voci e la musica tace. Il silenzio ha accolto l’inverno quest’anno e gran parte degli insediamenti sono già stati abbandonati. La loro gente si è spostata nei nuovi siti a nord del fiume che attraversa il bosco settentrionale, lontano da Amon Lanc e da terre divenute troppo pericolose. Ancora pochi giorni e anch’essi se ne andranno, e con loro si ritirerà l’esercito ancora dispiegato lungo il confine meridionale a protezione del palazzo e della famiglia reale. Raggiungeranno la loro nuova dimora e prenderanno ad abitare le aule di pietra scavate nel cuore della terra, tra giochi d’acqua e nastri di ponti sospesi. Sono belle, talmente belle che Amariel crede che Thranduil le abbia volute così per lei, e che abbia fatto scolpire intrecci di rami intorno a ciascuna colonna per non farle sentire la mancanza del bosco neppure se le possenti porte di pietra dovessero essere chiuse.
Si guarda intorno, seduta sul letto al centro di una camera ormai spoglia. Tutto ciò che poteva essere spostato è stato trasferito a nord e quando se ne andranno il fuoco distruggerà il resto. Tradizione vorrebbe che restituissero tutto alla foresta, lasciando ad essa il compito di cancellare le tracce della loro presenza, ma Thranduil non vuole che i luoghi in cui si sono conosciuti ed amati debbano subire l’onta di essere calpestati dalle ripugnanti creature che si stanno moltiplicando a sud, e ha ordinato che il palazzo venga bruciato subito dopo la loro partenza.
Amariel prova tristezza al pensiero di doversi separare per sempre dalle stanze che l’hanno vista felice, eppure si tratta di null’altro che di legno e di pietra e la sua casa non è un luogo, ma una persona. La sua casa è colui che l’ha presa in moglie e che ha unito la propria vita alla sua, e poco importa se la bacerà sotto le fronde di un albero o sotto volte scavate nella roccia, perché sarà sempre lui a farlo e questo è tutto ciò che conta.
Sorride di nuovo, ma questa volta non più ad un ricordo. Depone la coperta e si alza per rifugiarsi tra le braccia del marito che ha appena varcato la soglia. Thranduil avrebbe voluto accompagnarla al nuovo insediamento ancor prima dell’arrivo dell’inverno, per poi tornare a sud ad occuparsi delle ultime incombenze, ma Amariel si è rifiutata di lasciarlo ed egli non ha insistito. Forse, nonostante ciò che il buonsenso sembrava suggerire, in fondo al cuore anche il re preferiva averla accanto per poterla proteggere personalmente in caso di necessità. 
Qualunque sia stata la ragione della sua scelta alla fine si è rivelata un bene, perché ha permesso loro di scoprirlo insieme e di ridere e piangere tra baci e sussurri. Amariel non dimenticherà mai la luce che si è accesa nello sguardo del marito quando ha appoggiato per caso la mano sul suo ventre ed ha quasi smesso di respirare. E non dimenticherà mai ciò che anch’ella ha provato quando ha sfiorato il primo palpito di quella nuova vita. Ha guardato dentro di sé seguendone le tracce e ha ricamato quella data sulla coperta. La avvolgerà intorno a lui quando verrà alla luce, ad un anno da quel giorno. Amariel aveva sempre creduto che i loro figli dovessero per forza nascere in primavera, ma si sbagliava ed ora ha la sensazione di non aver mai amato l’autunno così tanto, nonostante quello che sta accadendo a sud e nonostante non sia la pace ciò che si profila all’orizzonte. Hanno atteso che succedesse di nuovo per così tanto tempo che tutto il resto non ha importanza.
“Sono partiti tutti?”, domanda, ma prima che egli risponda accosta le labbra alle sue e respira insieme a lui.
“Sì”, lo sente sussurrare contro la sua pelle, “Anche per noi è tempo di andare. Domani ci metteremo in viaggio. Presto nevicherà.”
Vi è una vibrazione nel tono usato da Thranduil che Amariel ha imparato da tempo immemore ad associare all’ansia. Solo lei riesce a percepirla, come tante altre cose che passano inosservate agli altri, ma è così che deve essere. Ella è sua moglie, parte di lui come lui lo è di lei.
Allontana il volto quel tanto che basta per guardarlo negli occhi.
“Non temere, amore mio”, sorride, “Mi sento bene e il viaggio è breve.”
Thranduil le posa un bacio tra i capelli trattenuti da un semplice diadema. Amariel non ricorda quasi più l’ultima volta in cui li ha intrecciati. Un giorno, poco dopo averlo conosciuto, ha avuto la sensazione che lui li preferisse così, liberi come foglie al vento, e come anch'ella amava sentirli. Solo dopo averle donato l’anello d’argento egli le ha raccontato cosa avesse provato dinanzi a lei in quell’occasione, stringendola tra le braccia e facendo tremare il suo cuore.
“Lo so, ma temo che dovrai abituarti ad avere al tuo fianco un marito forse un po’ troppo apprensivo durante l’anno a venire”, scherza, “Spero mi perdonerai.”
“Ti perdono sin da ora”, ride Amariel, e lo bacia di nuovo, assaporando le sue labbra e la felicità che li aspetta.
Per Thranduil ed Amariel la vita è tornata ad essere carica di promesse.
 
***

Gli elfi sono artisti mirabili, e vi sono tra di essi scultori capaci di soffiare vita nella pietra. Thranduil le ha raccontato di una dama che non ha mai calpestato il suolo della Terra di Mezzo e le cui creazioni sembravano guardare ciascuno con occhi diversi, rispondendo al sentire di chi osservava come fossero modellate con la carne e con il sangue. Il suo ricordo ha percorso le crudeli distese di ghiaccio a nord del mondo, accompagnando i passi stanchi di chi ha tradito e di chi è stato tradito, e ancora viene tramandato attraverso i racconti di coloro che ne hanno conosciuto il talento, anche se Thranduil ha sempre evitato di pronunciarne il nome. Eppure c’è una cosa che le statue nate dal genio dei Primi Nati non sono solite ritrarre: il marchio che lo scorrere del tempo lascia sul volto e sui corpi, poiché invecchiare significa per loro consumarsi nello spirito e non nel sembiante.
Amariel solleva la mano e segue adagio le curve del marmo plasmato in forma di donna, una figura solitaria seduta sull’erba sotto i rami piegati di una vecchia quercia a farle da corona. Quella scultura è diversa. Dita elfiche hanno guidato martello e scalpello, ma il suo creatore alla pietra ha incatenato il tempo, che sembra ora fluire percorrendone le intricate venature e disegnando solchi sottili che mutano al mutare della luce. Sono leggeri al mattino, increspature appena accennate sulla superficie di un mare liscio come olio, e assumono profondità col maturare del giorno, giungendo a sera a posarsi su di essa come la ragnatela che solo la brina rivela.
Amariel abbassa lo sguardo.
Una ragnatela che gli anni hanno meticolosamente intessuto, e che infine ha avuto ragione di colei che da lungo tempo riposa nell’abbraccio delle radici di quell’albero, alla cui ombra generosa tante volte in vita ha chiesto ospitalità.
Perché Beleth era forte, ma non era immortale.
“Non ho rimpianti”, sembrano ripetere le labbra di pietra, “Eccetto uno.”
Amariel non capiva allora a cosa ella si riferisse. Beleth era risa ed allegria, e quando qualcuno le domandava se sentisse il bisogno di vivere tra la sua gente era solita portarsi le mani ai fianchi, con espressione offesa, e rispondere con un no deciso. Era già tra la sua gente, diceva. L’unico rimpianto, imparò Amariel il giorno della sua morte, erano lei ed il re. Non glielo disse la sua voce, ma glielo dissero i suoi occhi quando persero la loro luce in un ultimo guizzo di consapevolezza. Si spense serena Beleth, lasciando ad altri inquietudini ed incertezze che non aveva mai conosciuto, e portando con sé quella sapienza che solo chi accoglie con un sorriso ogni nuova alba possiede.
Amariel si inginocchia.
Nonostante i secoli trascorsi il marmo è pulito come fosse stato appena lavorato, ma entro breve la foresta comincerà ad intaccarne la perfezione. Coloro che se ne prendevano cura sono partiti, e verrà un giorno in cui quella scultura vestirà rami e foglie sino a divenire un pallido fantasma di un passato sconosciuto ai più. Ma Beleth amava la foresta, e non le sarebbe dispiaciuto diventare parte di essa.
“Amariel, la scorta è pronta.”
La voce di Thranduil le giunge gentile insieme al tocco della sua mano e al fruscio delle lunghe vesti. Il suo arrivo non la coglie di sorpresa, poiché le loro menti hanno imparato da tempo a parlarsi e l’avvicinarsi del marito è qualcosa che percepisce ormai prima ancora di udirne i passi. Lo sente chinarsi accanto a lei e d’istinto appoggia il capo alla sua spalla.
“Perdonami, ti sto facendo aspettare”, sussurra, ma continua a fissare l’immagine di Beleth congelata nel marmo.
“Non c’è fretta, ma lei non è più qui da molto tempo.”
Ci sono premura e comprensione in lui, ma egli non conosceva personalmente Beleth. Tutto ciò che sa della neonata trovata e cresciuta dagli elfi dei boschi glielo ha raccontato lei e il loro dolore non può essere lo stesso.
“Lo so, qui c’è solo una tomba sopra una manciata di vecchie ossa”, riconosce Amariel, “Ma andarmene è un po’ come lasciarla sola. Sono sciocca, marito mio.”
Le braccia di Thranduil si stringono intorno a lei.
“L’affetto non è mai sciocco”, dice, “I Valar devono aver sbagliato qualcosa quando hanno diviso le sorti delle nostre stirpi senza dividere anche i nostri cuori.”
Amariel scuote lievemente il capo.
“Se lo avessero fatto non avremmo avuto la forza di morire gli uni per gli altri.”
“Sei saggia”, lo sente sospirare, “Molto più di me.”
“E’ un bene che chi ti conosce non abbia di te la stessa opinione che tu hai di te stesso”, lo corregge Amariel, alzandosi e inducendolo a fare altrettanto.
La sua voce è salda, ma non c’è alcun rimprovero in quelle parole. Vi è solo l’ennesimo invito a non ritenersi inferiore ad altri, in nulla. Invito che ella sa andrà perduto, poiché Thranduil è così e le certezze non fanno parte di lui. Eppure, per lei, egli non potrebbe essere migliore.
Si volge e sfiora le sue labbra. Non sono soli e non si concede di più. La scorta attende a debita distanza, ma i pochi alberi che li circondano non possono nasconderli in alcun modo. Sorride quando sente la mano di lui appoggiarsi sul suo ventre e la copre con le proprie. E’ ancora troppo presto perché la sua gravidanza possa rivelarsi, ma il figlio è ora una presenza forte intrecciata ai loro spiriti e per entrambi è diventato spontaneo offrirgli carezze.
Amariel ha sempre saputo che i figli rappresentano l’immortalità dei mortali, ma ora che è in procinto di consegnare al mondo una parte di sé e di colui che ama si rende conto che questo è vero anche per la loro stirpe. Se essi dovessero un giorno abbandonare quelle terre il figlio che hanno concepito resterà, testimone del loro passaggio e loro eredità.
“Andiamo”, sussurra a Thranduil, e si incammina al suo fianco lasciandosi guidare alla cavalcatura.
Prima di salire getta un ultimo sguardo alla statua, salutandola in silenzio e sorridendo di nuovo quando un raggio di sole si intrufola tra i rami accendendola di bianco. Sembra quasi che Beleth li stia osservando attraverso la pietra e che gioisca insieme a loro, e in un angolo del proprio cuore Amariel spera che dovunque ella sia possa vederli davvero.


___________

Nota:
In The History of Middle-earth di J. R. R. Tolkien (“Laws and customs among the Eldar” / “Athrabeth Finrod and Andreth”) risulta evidente che è usanza tra gli elfi sposarsi e concepire figli prevalentemente in tempi di pace, ma gli accenni alla possibilità di ricorrere al rito matrimoniale senza cerimonia in tempi travagliati e al fatto che la procreazione avvenisse in tempi felici “se possibile” portano a ritenere che l’usanza, in particolari situazioni, potesse essere non seguita. Alla luce di ciò in questa storia ho supposto che l’ombra che cala su Boscoverde poco prima dell’arrivo di Sauron (situazione comunque ben lontana da uno scenario di conflitto conclamato) non abbia dissuaso Thranduil e la moglie dalla decisione presa in merito al concepimento di Legolas. La data della sua nascita, che si è soliti collocare entro l’anno 1000 T.E., è stata inoltre spostata in avanti di qualche decina d’anni. Poiché, infatti, il concepimento di un figlio richiede in ogni caso che i genitori possiedano quella tranquillità necessaria per esercitare con successo la loro volontà in tal senso, ho ritenuto fondamentale attendere la fine della costruzione delle aule sotterranee e lo spostamento del Reame Boscoso a nord, in terre che Thranduil e la moglie ritenevano sicure.




  
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