Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: Lost In Donbass    04/10/2015    1 recensioni
Tom è un agente dell'Anticrimine, squattrinato, con poca fortuna nelle relazioni, trasognato e tropo romantico. Bill è un mercenario, tossico, ficcanaso, malizioso e dannatamente sexy.
In una Berlino troppo calda, in mezzo a serial Killer psicotici, poliziotti indolenti, trafficanti poco raccomandabili e coinquilini fuori di testa, sarà mai amore tra i due ragazzi? O finiranno anche loro vittime del giro di sangue che ha avvolto Berlino nella sua morsa?
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO UNDICI: NON TI PIACE IL SUCCO DI MIRTILLO?

Tom si grattò nervosamente una guancia, osservando con malcelata inquietudine il portone aperto del palazzo del suo Bill. Non aveva paura, era solamente … agitato. Perché era come se stesse per entrare nelle fauci del leone di sua spontanea volontà, vestito di carne. Se avesse sospettato qualcosa, se lui si fosse lasciato sorprendere con le mani nel sacco, sarebbe stata la sua fine. E, in più, avrebbe dovuto essere come al solito, e fare una bella figura. Killer o no, implicato nel caso o no, era pur sempre il suo semi fidanzato. Doveva essere perfetto, non voleva che l’angelo lo considerasse un cretino impedito e lo scaricasse per qualcuno di più sveglio e intraprendente. Non pensava di poter reggere una simile umiliazione.
Sospirò, e si decise finalmente a entrare nell’androne puzzolente di vinaccia, con le luci mal funzionanti nell’oscurità della periferia berlinese. I palazzi distrutti si oscuravano a vicenda, senza lasciar filtrare il più sottile raggio di luna o di stelle per le strade dissestate dove ragazze semi nude facevano l’occhiolino e ragazzi pelle e ossa osservavano le loro siringhe nella speranza di trovare un’ultima goccia di droga.
Prese le scale, sporche, disordinate, buie e strette, puzzolenti di ammoniaca. Si sentiva in lontananza il pianto di un bambino e alcune risate sguaiate. Tom si passò una mano tra i dread sospirando, stringendo il mazzo di tulipani e rose che aveva comprato al chiosco della fioraia, giusto per non presentarsi a mani vuote. E poi, i fiori piacevano più o meno a tutti, no? E i tulipani rossi si abbinavano benissimo ai capelli corvini di Bill, così come le rose color pesca erano una fine opposizione ai suoi occhi meravigliosi. Sì, Tom si sentiva decisamente poetico, e al diavolo la sua maestra delle elementari che diceva che non aveva vena artistica. Lui era aulico, la sua poesia era su un altro piano rispetto a quella della signorina Rottermeyer. Avrebbe potuto comporre le “Billiadi”, e Omero si sarebbe roso nella tomba alla vista del suo diretto discendente e grande poeta Tom Kaulitz, con la sua monumentale opera sia in prosa che in versi sull’eclatante bellezza dell’Angelo Autostoppista. Si riscosse di colpo quando inciampò nei suoi piedi, ritrovandosi a un palmo di naso da una bottiglia di vino rotta. Si rialzò di scatto, accelerando il passo verso il quinto piano, ricordandosi finalmente del passato di Bill. Avrebbe tanto voluto avere per le mani quegli schifosi, stronzi, figli di puttana eccetera che lo avevano stuprato. Avrebbe volentieri finito quello che aveva iniziato il serial killer delle croci, e al diavolo se era un agente, avrebbe fatto loro rimpiangere di essere nati. Fare una cosa simile a un essere così bello, così puro, così idealizzato. Con che cuore? Con che occhi?
Bussò titubante alla porta dell’angelo, schiarendosi la voce e mettendosi velocemente a posto berretto e felpa, stampandosi sulle labbra il sorriso migliore; sorriso che si trasformò in una splendida espressione da pesce bollito quando Bill spalancò la porta, raggiante come un piccolo sole, abilmente truccato, i capelli perfettamente lisciati che gli ricadevano sulle spalle, un paio di pantaloni di pelle talmente aderenti che sembravano cuciti addosso, una maglietta troppo larga che gli ricadeva addosso, lasciando intravedere la pelle candida delle spalle e del collo, ingioiellato da far invidia a una gioielleria di Parigi. Tom deglutì rumorosamente perché no, lui non poteva stare con una cosa così. Sembrava un errore della Natura.
-Tommuccio!- Bill gli saltò al collo, stringendolo affettuosamente e stampandogli un rumoroso bacio sulle labbra.
-Bill!- preso da non si sa quale strana divinità inviata dal cielo, lo prese addirittura in braccio. Forse era veramente contento di vederlo. Di avere una serata solo per loro, come una vera cosa romantica, magari con le candele sul tavolo e il suo mazzo di fiori a centro tavola.
-Ti aspettavo con ansia, gattino.- Bill chiuse la porta con un sordo “clack”, prendendo il mazzo di fiori che era caduto per terra, ammaccandosi leggermente.
Tom arrossì immediatamente, mentre tentava di levarsi le scarpe senza cadere rovinosamente per terra. Accidenti a Claudia che faceva quei fiocchi assurdi … ok, magari anche lui a ventitré anni suonati poteva imparare ad allacciarsi le scarpe, però … già che aveva i coinquilini che lo facevano per lui …
-Ehm, sì, sono per te. I fiori. Spero ti piacciano.
Bill sorrise soddisfatto, affondandoci il nasino perfetto dentro, annusandoli e sorridendo radioso.
-Sono bellissimi, cucciolo. I tulipani sono il mio fiore preferito in assoluto, come hai fatto a indovinare?- la sua espressione felice era il massimo per il rasta, che si sentì sollevare in aria da una serie di angioletti con la cetra che cantavano le prodi gesta del divino Tom durante le Billiadi.
-Sesto senso.- disse, sorridendo timidamente a sua volta. Davanti a Bill, non riusciva a parlare normalmente senza impappinarsi o dire scemenze; erano ancora in stallo.
-E le rose … che grazia, che romanticismo … Tom, davvero, mi sorprendi!
L’agente non seppe se considerarsi contento dell’affermazione o leggermente imbarazzato, ma optò per un semplice gesto che stava a dire “figurati”.
Bill ridacchiò, prendendolo per il polso e trascinandolo nella piccola ma fresca cucina, che affacciava sul triste cortile interno del palazzo, dove vi era un piccolo tavolo rotondo accuratamente apparecchiato per due con estremo gusto di porcellane cinesi, un vaso di chiara manifattura giapponese sembrava aspettare il suo mazzo di fiori, che subito venne messo dentro per vivacizzare la tavola, una fine tovaglia di pizzo con lo stesso motivo della camicia di Bill probabilmente cucita anch’essa da May Ran Mao. Due candele ardevano, lasciando colare la cera sui piattini sotto di esse, romantiche, scoppiettanti come loro due.
Bill gli fece cenno di accomodarsi e di versare il liquido strano contenuto nella caraffa di cristallo nei rispettivi calici da champagne. L’intera tavola sembrava un’accozzaglia di mistero orientale, pacchianeria e finezza occidentale. Insomma, rifletteva perfettamente l’avvenente padrone di casa.
-Tooom, spero tanto che ti piacciano le cose che ho tentato di cucinare … non sono molto ferrato in cucina …
-Sarà buonissimo, cagnolino.
Tom deglutì. Aveva realizzato solo in quel momento di essere una piaga assurda per mangiare. Ingurgitava solamente pochissime cose, e cotte solo in un certo modo, e servite solo in determinate maniere. Non lo faceva apposta, era nato così e sarebbe morto così. Sperava che Bill non si fosse lanciato in estrose cucine alternative o orientali, sennò si vedeva già ben preso. Non avrebbe toccato cibo, e il suo ospite si sarebbe offeso a morte. E lui non voleva mica offenderlo. Magari se glielo avesse detto già da subito che era uno dai gusti difficili … ma no. Che figura ci avrebbe fatto?
-Ecco qui. Spero che la pasta al forno sia di tuo gradimento.
Bill gli sottrasse il piatto da davanti, e glielo riconsegnò poco dopo con dentro una pappetta rossa, bianca e giallastra, che sapeva di forno ma anche di qualcosa di poco identificato, odorante di qualcosa di indefinito, che poteva essere cavolfiore come pomodoro seccato. A Tom venne già un conato di vomito, ma tentò di nasconderlo bevendo di scatto un sorso di quella roba che aveva messo nei bicchieri. Magari era vino rosso italiano … no. Aveva riposto male le sue speranze. Tentò di non sputare tutto per la sorpresa: cioè, ma da quando si pasteggiava a succo di mirtillo?!
-Oh, Tommuccio, non ti piace il succo di mirtillo?- Bill lo guardò sinceramente preoccupato, portandosi una mano alla bocca, quasi arrossendo.
-No, no, tutt’altro.- tentò di recuperare il rasta, tossicchiando – E’ solo che non me l’aspettavo. Comunque tranquillo, mi piace.
Bill non gli credé nemmeno per un secondo, e fece una smorfia triste. In realtà a Tom piaceva il mirtillo, ma farsi addirittura una cena intera … era un po’ troppo.
-Mi dispiace, ma io non bevo vino, né birra. Solo acqua, succo di mirtillo e calvados. Vuoi quello?
Tom si affrettò a scuotere la testa, tanto per non cominciare a vomitare che non aveva nemmeno toccato la pappa di pasta, o quello che cavolo era.
Con un sorriso poco sicuro, infilò la forchetta nel piatto e saggiò la consistenza gommosa della sua cena. Prese un profondo respiro e ne assaggiò un bocconcino microscopico. Gli bastò quello per ingoiare un attacco di vomito. Ma quella non era pasta al forno, era plastica fusa bagnata di benzina e impregnata di colla da carpentiere! Nemmeno Kalle cucinava così male, che era tutto dire.
-Ok, fa schifo. Tom, non mangiarla.
Bill scoppiò a ridere, sputando senza problemi la forchettata che aveva messo in  bocca. Tom tirò un sospiro di sollievo e allontanò quel veleno da sé.
-Spero tu non ti offenda, ma è leggermente … tossico.- disse, felice che Bill rovesciò senza problemi la loro cena nel lavello, ridendo di gusto. E Dio, come era sexy quando rideva buttando all’indietro la testa. Davvero troppo.
-Te l’ho detto che non so cucinare, gattino, scusa. Sono un pessimo padrone di casa.- Bill si passò una mano tra i capelli, recuperando il secondo piatto. – Questo è pollo alle prugne. Ti piace, vero? Non l’ho cucinato io, tranquillo. Ha fatto tutto la rosticceria della Colonia Strasse.
Rise di nuovo, portando a tavola un orrendo pollo che puzzava di prugne da lì a un chilometro. Ma bene, pensò Tom, forzando un sorriso. Il piatto che più odio in vita mia, geniale. Porcaccia.
Tentò di mascherare il ribrezzo bevendo ancora quell’acidissimo succo di mirtillo, che sembrava di quelli senza zuccheri aggiunti con cui Heike riempiva il frigo della centrale e che faceva schifo a tutti. Oddio, allora anche Bill era un mezzo salutista da roba macrobiotica! In realtà, a ben vedere, non dovette nemmeno fingere che gli piacesse, siccome si trovò già in difficoltà nella sezione “taglio coscia di pollo”. Uffa, non era possibile. A casa, c’era sempre la mamma che glielo tagliava per benino e gli preparava le fettine togliendogli tutti i filamenti e gli ossicini. Lì a Berlino, ormai anche Georg aveva capito l’antifona e gli dava sempre lui due tagli alla roba ogni volta che c’era della carne nelle vicinanze. Oppure Kalle, se proprio non c’era nessuno, visto che le ragazze si rifiutavano di farlo chiamandolo “bamboccio americano” e Gustav invece che tagliare e preparare, mangiava della grossa.
Prese un profondo respiro, armandosi di coltello e forchetta come fossero armi nucleari, pronto allo sfondamento di una corazzata nemica che aveva l’aria di un polletto morto, che rideva della sua incapacità di maneggiare le posate.
-Si fa così, gattino mio.
Tom si irrigidì come un blocco di ghiaccio, quando sentì la braccia di Bill avvolgerlo, prendergli di mano le posate e cominciare a tagliargli il pollo. Da un lato, avrebbe voluto sotterrarsi una volta per tutte: non poteva essere così infantile, Cristo! Dall’altro, qualcosa gli diceva che quella era la prova che Bill provava più di semplice attrazione per lui, ma qualcosa di più profondo. Sennò non gli avrebbe mai tagliato il cibo, no? C’era qualcosa di romantico e dolce, in fondo. Sotto la vergogna del rasta e la malizia dell’angioletto infernale.
Tom non si rese nemmeno veramente conto di come si ritrovò Bill in braccio, che lo imboccava con pazienza estrema, sorridendo dolcemente. Fatto sta, che per la prima volta in vita sua trovò accettabile il pollo alle prugne, vittima delle attenzioni di Bill, comodamente seduto sulle sue ginocchia, che gli portava alla bocca la cena, pezzettino per pezzettino, sorridendo soddisfatto.
Si ritrovò a pensare a quanto sarebbe stato dolce se la loro storia fosse andata avanti, e se Bill avesse continuato ad aiutarlo a mangiare in quel modo. Anche se subito la coscienza lo rimproverò per la sua inettitudine e per lo sfruttamento di Bill.
Il resto della “cenetta a lume di candela ormai sciolta” lo passarono imboccandosi a vicenda, e facendo un gran casino con le prugne che non ne volevano sapere di infilarsi nella forchetta, ridendo per le più grandi scemenze che Tom avesse mai detto, pentendosi amaramente di aver raccontato a Bill delle lezioni di tango con i G&G, facendo stupidi giochetti con la cera della candele, e, soprattutto, dimenticandosi completamente del motivo tecnico per cui era lì, e lasciandosi sopraffare dalla simpatia contagiosa di Bill e dal suo sorriso.
Gli rivenne tristemente tutto in mente quando il ragazzo lo accompagnò in un salottino piccolo e ridondante di libri di ogni genere, con appese alle pareti quelle che a Tom parevano inquietanti armi bianche orientali, come coltelli, sciabole, shuriken, e molti altri oggettini inquietanti, un divano verde simile a quello di July sotto una bella lampada Tiffany. Manca un kris, registrò meccanicamente Tom. Ma non ci diede peso, vedendo la quantità spropositata e strana di quelle armi: magari July usava la casa di Bill come deposito momentaneo di roba leggermente scottante. Non pensava che ci andassero giù leggeri se avessero scoperto che teneva armi di quel calibro in negozio.
-Aspettami qui, Tommuccio, vado a fare il caffè e te lo porto. Guarda ciò che vuoi.
Bill mostrò con un gesto della mano la stanza piccola ma confortevole e corse in cucina, i piedini nudi che facevano un buffo “cick cick “ sul pavimento di parquet.
Tom si passò una mano tra i dread e si guardò attorno con aria ebete, non vedendo l’ora di poter chiacchierare amabilmente con Bill su quel divano dall’aria comoda, davanti a una bella tazza di caffè decente, su quello che concerneva il caso. Meglio togliersi il dente subito, e poi divertirsi un po’. Era già sovraeccitato dalla splendida serata che stava vivendo da non capire molto quello che accadeva, come fosse dietro a uno strato di ovatta, dall’altra parte di una cascata.
Passò un dito sulla copertina del primo libro che vide nella libreria dell’Ikea marrone scuro, osservando incantato la quantità di volumi che si teneva in casa il suo angelo. Prese con delicatezza il libro in questione, dalla copertina verde scuro, con la scritta in oro, piccolo e compatto, che sapeva di vecchio e di bancarella dell’usato. “Lolita”, diceva il titolo. Come non conoscere uno dei capolavori del grande Nabokov? Tom accarezzò la copertina cartonata, leggermente morbida al tatto, e lo aprì a una pagina a caso, sfogliandolo senza pensarci, senza leggere, con distrazione. Quando sentì qualcosa scivolargli tra le dita e cadere per terra. Si abbassò di scatto, per raccogliere ciò che era caduto dalle pagine consunte del libro, e si rese conto che erano foto. Tantissime, piccole, Polaroid. Aggrottò le sopracciglia, osservando attentamente le foto cadute, sedendosi per terra come quando da bambino leggeva i libri di favole in casa di sua nonna. E rimase per un secondo sconcertato, con la bocca aperta di fronte alla prima. Era Bill, senza ombra di dubbio: Bill, con addosso un vestito rosso amaranto che ricordava tanto quelli settecenteschi, i capelli sparati in aria e un calice vagamente medioevale stretto in mano, seduto in mezzo a un cerchio di candele accese, come fosse una strega in preda a una crisi mistica. Ma cosa diavolo …? Tom afferrò le altre fotografie, guardandole come impazzito, sfogliandole velocemente, prima che Bill lo vedesse ravattare tra le sue cose. Ed erano tutte foto dell’angelo; avvolto in dei veli e semi sdraiato su un tetto, vestito come Alice nel Paese delle Meraviglie, seduto a cavalcioni di un grosso tubo di una qualche industria, messo in posizioni assolutamente disonoranti, vestito in tutti i modi possibili, dalla volgarità più assoluta, a una principesca tenuta.
Tom strabuzzò gli occhi, stupito. Non riusciva assolutamente a capire cosa fossero quelle foto, perché fossero state fatte, cosa volessero dire. E soprattutto, a chi fosse venuto in mente di scattarle.
-Tom, dove … - Bill si interruppe di scatto, soffocando uno strillo, fiondandosi addosso al rasta che puntualmente non si era accorto che il padrone di casa era arrivato, strappandogli di mano foto e libro.
Tom alzò la testa, e incrociò gli occhi dell’altro. Vi lesse un qualcosa di indefinito, che sarebbe potuta essere vergogna, mischiata al terrore più puro che avesse mai visto. Come se avesse appena liberato la sua paura più orrenda, come se lo stesse costringendo a misurarsi con la sua fobia assoluta. Una cosa talmente bruciante, sconvolgente, oscenamente vera che fece pentire amaramente Tom di aver tirato fuori quel libro e di aver guardato quelle paradossali fotografie.
Bill si alzò di scatto, infilando alla rinfusa le Polaroid nel libro e rimettendolo velocemente al suo posto, schiacciandoci la mano sopra con troppa tensione.
-Ehm, Bill, io, scusami, ma sono cadute, io … - balbettò Tom, senza sapere che pesci prendere, sicuro che l’angelo l’avrebbe cacciato di casa seduta stante.
-Zitto. Dimenticatele. Tu … tu non hai visto niente. Non hai mai preso quel libro.
Bill si voltò, la voce tremante come quella di un agnellino lasciato da solo nella brughiera, gli occhioni truccati gonfi di quelle che potevano essere lacrime, le mani tremolanti, le labbra strette.
-Va bene; io non ho visto niente.- Tom sospirò, abbracciandolo, aspettando che Bill la smettesse di tremare e singhiozzare, aggrappato alla sua felpa, il viso affondato nella sua spalla, così innocente e così cristallino. Eppure così impregnato di sangue.
Rimasero immobili così per quelle che a Tom parvero ore, mentre furono soltanto pochi minuti, congelati nell’attimo, proprio come se fossero i protagonisti di una fotografia. Colti nel secondo, fotografati nel momento. Immaginò un’istantanea delle sue lacrime, del loro calore, di quel secondo intrappolato per sempre su carta, per rimanere impresso nella testa di qualcuno. Di quel qualcuno che fotografava Bill. Ma per farne cosa? Per quale perverso motivo incastonare nel tempo quelle scenografie degne di un teatro, bruciare il secondo per tenersele addosso come un veleno? Alzò la testa, lentamente, accarezzando la schiena di Bill, e lo vide. Il motivo. Il secondo bruciato e innalzato al cielo. Un quadretto, grande più o meno sui 40X40, appeso esattamente di fronte a lui, nel corridoio. Che raffigurava, senza ombra di dubbio, una sirena sdraiata su un tavolo da cucina, che giocherellava con un kris, un sorriso malefico stampato su un viso che Tom conosceva ma che non riusciva a mettere troppo a fuoco, nella penombra del corridoio. E poi capì, al volo, come una specie di rivelazione: prima, guardando le foto, ne aveva trovata una raffigurante Bill sdraiato su un tavolo da cucina, a pancia in giù, le gambe semi incrociate, nudo, che stringeva tra le mani un coltello, i capelli sparati in aria e il solito sorriso dolce e malizioso. E allora, nella testa di Tom, si fece largo il perché di quelle foto: erano la “brutta copia” dei quadri; prima quel qualcuno che allora era sicuramente il killer posizionava Bill in un certo modo, lo fotografava, e poi nei quadri aggiustava con elementi “sovrannaturali” la foto. Ed ecco che quindi il suo angelo sdraiato sul tavolo, diventava una sirena maligna. Non osava immaginare negli altri quadri cosa avesse modificato quel pazzo criminale. Comunque, innegabilmente, era uno dei pittori più dotati che avesse mai visto.
-Ehi, Bill, come ti senti?- sussurrò, dandogli un bacio sui capelli.
Bill si staccò impercettibilmente, quel poco che bastava per guardarlo negli occhi, un timidissimo sorriso stampato sulle labbra e le guance dolcemente arrossate.
-Grazie, Tommuccio. Scusami …
Tom scosse la testa, facendolo sedere sul divano, mettendogli nelle mani la tazza di caffè che si era raffreddato nel frattempo. Gli si sedette vicino, bevendo un sorso del suo caffè (l’unica cosa mangiabile finora), passandogli un braccio attorno alle spalle, pronto a immedesimarsi nello psicologo della situazione, come a scuola. Chissà perché chiamavano sempre lui per calmare le crisi isteriche di alunni e insegnanti.
-Che cos’è successo?- mormorò, facendogli posare la testa sulla sua spalla.
-Forse dovrei spiegarti delle cose.- la voce di Bill, anche se sempre sottile, si fece più determinata e convinta. Alzò la testa, scostandosi un ciuffo corvino dalla fronte pallida, aggiustandosi un po’meglio sul divano. Aveva proprio l’aria di stare per intraprendere un discorso particolarmente serio, e Tom non vedeva l’ora di sapere cosa nascondesse il suo angelo con le corna. Come diceva sempre Claudia: “Per vivere una buona storia d’amore, bisogna sapere tanto uno dell’altro. Ma qualche segreto bisogna sempre tenerselo, non si sa mai cosa possa succedere”.
-Gattino mio, intanto tu sai chi è July-chan, vero?
Tom si grattò la testa, assumendo un’espressione non proprio intelligente.
-Ehm, il tuo migliore amico?
-Sì, questo ok, ma oltre a quello?
Bill alzò gli occhi al cielo, con un sorrisino rassegnato, e Tom si sentì il solito tonto: e meno male che al Decimo era anche il più sveglio di tutti …
-Ehm … il proprietario del negozio “Carabattole e Ammennicoli vari?”
-Sì, caro, ma oltre quello?- insisté Bill, accarezzandogli il collo.
Tom scosse la testa, arrendendosi: non era mai stato bravo con gli indovinelli, addirittura di quel calibro poi! Accarezzò distrattamente i capelli di Bill e gli sembrò di sprofondare in una dimensione magica. No, doveva stare sveglio. Ma come faceva con il suo angioletto praticamente in braccio?!
-Bene, allora, mi raccomando non ti sconvolgere, ma hai mai sentito parlare dello hwajae ui jeongal?- Bill arrossì un pochino, ridendo all’espressione da tonno bollito di Tom, che si grattò una guancia con aria interrogativa.
-Non credo … non esiste una traslitterazione in tedesco?- borbottò, anche se non era così sicuro di volerlo sapere.
-Scorpione di fuoco, gattino. Vuol dire Scorpione di fuoco.
Tom rischiò di sputazzare tutto il caffè per terra, sentito quel nome. Cioè, come non conoscere lo Scorpione, chiamasi anche “il terrore delle Polizie di mezzo mondo”?! Se ne era sempre discusso e fantasticato, sin da quando era entrato in polizia, sentendo gli agenti più anziani raccontare loro di questo Scorpione, ovvero il più grande, inafferrabile, sfuggente trafficante d’armi di tutto il mondo. Si era spesso pensato di essere riuscito a catturarlo, dall’America all’Europa, dall’Asia all’Africa, ma alla fine si scopriva che colui che era stato catturato al suo posto era un fantoccio, messo lì apposta per ingannare le forze dell’ordine o i servizi segreti.
Tom strabuzzò gli occhi e quasi urlò
-No, fammi capire, July sarebbe lo Scorpione?! Ma mi prendi in giro?!
-No, gattino. Sconvolto?
Bill si lisciò i capelli con una mano, ridacchiando alla vista della faccia del rasta, sorseggiando l’ultimo sorso di caffè con la sua solita grazia.
Tom annuì, affondando ancora di più nelle coltri del divano verde. Aveva avuto sotto gli occhi tutto quel tempo lo Scorpione di fuoco, e non se ne era mai accorto?! Avrebbe potuto diventare famoso, catturarlo, diventare Tom Kaulitz Colui Che Superò Addirittura L’F.B.I. Catturando Lo Scorpione. E invece niente. C’era anche stato da solo, a chiacchierare pacificamente nel retro del negozio. Ma porcaccia, era veramente messo male! Tutta colpa di Bill, e del suo effetto maledetto sulla sua normalità. Anche se adesso, forse, gli sarebbe dispiaciuto mettere in carcere July perché, ok, gli sembrava folle dirlo, ma gli stava quasi simpatico. E gli sembrava di tradire qualcuno, affidandolo per sempre alle patrie galere.
-Comunque, non siamo qui per parlare di July-chan, o perlomeno non solo. Quindi, ora che lo sai, cosa ti viene in mente?
-Beh, è il più grande trafficante di tutto il mondo. Armi, droga, tesori. Tutto. E quindi le sue sorelle saranno le due ninja che si dice ammazzino chiunque osi anche solo avvicinarsi a lui. Quei due mostri che hanno mandato la testa mozzata senza occhi di un concorrente dello Scorpione al suo mandante. Una cosa orrenda.
-Esatto gattino. May e June sono le ninja migliori del mercato in assoluto.
-E questo cosa c’entra con te, Bill?
-Penso che July-chan te l’abbia detto. Che mi chiamano Chong bulmyeong-ye.
-Beh, si. E mi ha detto che vuol dire “disonore con la pistola”. Che vuol dire, cagnolino? Non ci sto capendo più niente!
Tom si mise una mano tra i dread, scuotendo la testa. Era tutto così confuso. Sembrava che si stesse completamente aprendo una nuova visuale delle cose, come se Berlino fosse un teatro in cui continuavano ad aprirsi sfondi infiniti, girando velocissimi uno sull’altro, sovrapponendosi e mischiandosi.
-Cosa ne dici di questo, Tommuccio?
Il rasta non si rese nemmeno conto di quando Bill gli si presentò davanti con una pistola doppia canna che gli puntò fastidiosamente alla tempia, un coltello a doppia lama indiano sul fianco e una freccia tra i denti.
Tom boccheggiò un attimo, per poi mettersi a strillare terrorizzato, chiudendo gli occhi, finché Bill non gli levò quella roba altamente pericolosa da dosso e gli saltò addosso dicendo, con un vocino preoccupatissimo
-Oddio, Tommuccio, cosa c’è?
-Ma come cosa c’è?! Mi stavi per uccidere!- abbaiò Tom, spalancando gli occhi più del normale, tremando di fifa nonostante il caldo opprimente di quel maggio che sembrava peggiorare ancora in quella casa.
-Io? Ma caro, figurati. Era solo per farti capire senza dirlo cosa faccio, oltre al commesso in negozio. Non ti farei mai del male.
-Oh.- Tom si grattò il collo, sventolandosi un po’. – Mi sono preso un colpo.
“Molto coraggioso, Tom, complimenti. Piscia sotto!” lo rimproverò la coscienza, sgridandolo senza pudore. Bill scosse la testa, accoccolandoglisi vicino, sfarfallando gli occhi, dandogli un bacino sulla guancia con aria maliziosamente colpevole.
-Scusa, gattino. Comunque, ora hai capito perché mi chiamano così.
-Sei un mercenario.- soffiò Tom, picchiandosi mentalmente per essersi perdutamente innamorato di, addirittura, un mercenario, che chissà quante leggi avrà infranto. Però, come diceva sempre Raghnild “L’amore è cieco: non è che puoi scegliere chi amare. È una cosa che va contro la legge”. E forse era vero, l’irreprensibile agente caduto nella rete del criminale, come nelle peggiori storie d’amore. Come una schifosa fan fiction romantica. Che cliché, Tom, che terribile, maledetto, splendido stereotipo.
Bill miagolò, e gli diede un altro bacio sul collo. Forse lui non vedeva il pericolo, l’errore, la diversità, l’ … l’amore. Giusto, lui era più in bolla di Tom: ci vedeva l’amore, che poteva anche essere tra un’ameba e un orso. Quindi, a quel punto, se proprio un angelo mercenario infernale era il suo destino, doveva accettarlo. E comunque Bill, era Bill. Non pensava di riuscire a sopportare qualcun altro dopo di lui e il suo sorriso.
Decise di soffocare tutto quello che pensava la parte stupida e ragionevole, e prese il viso di Bill tra le mani, stampandogli un sonoro bacio sulle labbra ricoperte di rossetto viola.
-Si, Tommuccio, sono un mercenario. Che lavora per l’hwajae ui jeongal. Potresti anche arrestarmi, a questo punto. Sul nome del mio mandante, del sangue che mi impregna le mani, dei peccati che mi saturano l’anima.
A quel punto a Tom venne quasi da ridere, dimenticandosi completamente delle foto, della storia contorta, della pistola, del coltello a doppia lama, di tutto quello che era relativo alla parte investigativa della serata, lasciandosi semplicemente circondare dalla voce melodiosa del suo Bill, delle sue mani tra i tubi, dei suoi baci. Lo prese in braccio, lo trascinò in camera, rovesciandolo sul letto, cercando di ignorare quell’inquietante quadro sopra la testata, che, ci avrebbe scommesso raffigurava Bill in qualche orrenda mise. Ci avrebbe comunque pensato il giorno dopo. Adesso aveva altro da fare.

***
Ciao ragazze! Volevo solo dirvi che lo so che il finale del capitolo è uguale a quello del settimo capitolo, ma per motivi tecnici è uscito così ... comunque l'inizio del dodicesimo sarà differente dall'inizio dell'ottavo, tranquille ;)
Vi ringrazio tantissimo tutte, a presto.
Baci XD
Charlie.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: Lost In Donbass