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Autore: lunella678    05/10/2015    1 recensioni
-Perdonare...- aveva ripetuto lei. Come poteva lei perdonare?
- Tutti... sbagliano. Io ho fatto moltissimi errori nella mia vita, ci sono tante persone che...- si era fermato, non era mai stato un grande oratore. In effetti non era mai stato tanto loquace con lei. Comunque lei sapeva cosa voleva dire. -Itachi non è morto per colpa tua.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Storiella scritta di getto da una che è piuttosto ignorante in materia Naruto ( ho questa passione da una settimana circa XD).  Io ho un amore- odio per Sasuke e una profonda antipatia per Sakura, per cui ho provato a mettere l'una nei panni dell'altro cercando di non stravolgerne troppo i caratteri. vi prego di essere clementi. non ho idea di cosa quest'idea malata abbia partorito.


 

Lui era lì, ad aspettarla. La luce lo illuminava a metà, un'ironica esaltazione di quello che era il suo carattere. Luce e buio. Bianco e nero. Bene e male.
Da quando era tornato a Konoha era stato guardato con sospetto, e anche ragionevolmente, a detta di Sakura. Perfino lei nei sei mesi immediatamente successivi alla battaglia aveva preso le distanze, lo aveva allontanato, e infine, quasi dimenticato. Dopotutto aveva tentato di ucciderla, di fare del male ai suoi migliori amici, e ancora prima, quando ancora erano parte della squadra 7, prima che tutto iniziasse ad andare male, l'aveva disprezzata, lei lo sapeva. Eppure ora era lì, in quello squallido vicolo dietro l'ospedale, ad aspettare lei, proprio lei, una persona noiosa e mediocre. No, non più.
Lei non era noiosa, men che meno mediocre, lei aveva salvato moltissime vite durante la guerra, e ne salvava ancora, lei era l'allieva migliore di Tsunade, era la più brava con i pazienti, la più capace nelle operazioni, la più brillante nella ricerca. E non aveva bisogno di nessuno, nemmeno di lui. Ora era lui ad aver bisogno di lei. Era stato lui a cercarla, era stato lui a chiedere scusa, lui le aveva chiesto aiuto. E lei glielo aveva dato. Giorno per giorno, un passo dopo l'altro, era riuscita a scalfire quella barriera che aveva eretto tra sé e il mondo, mentre il suo fisico e il suo animo guarivano.
E un giorno, inaspettatamente, mentre gli cambiava la fasciatura dove finiva il suo braccio e iniziava quello artificiale, l'aveva baciata. Non era pronta Sakura, ancora non poteva, e l'aveva allontanato da sé, per poi dargli un lungo abbraccio fraterno subito dopo. L'aveva guardata perplesso, stupito, forse ferito ma sicuramente molto deluso. Il fatto era che lei a malapena ricordava quei sentimenti adolescenziali che aveva provato dai 10 ai 16 anni. Forse. Forse perché alla fine lui era così idealizzato nella sua mente che non sapeva nemmeno lei se quello era amore, o semplice immaginazione.
Poi era successo. Un saluto, una cena... un arrivederci. Ma non li aveva più rivisti. I suoi genitori se n'erano andati per un povero ubriacone che aveva attraversato la strada nel momento sbagliato. Le macchine erano un' invenzione nuova, suo padre non era ancora un esperto. Erano morti tutti e tre, l' auto schiantata contro un albero. Le teste fracassate contro il parabrezza. Da bravo medico qual' era Sakura aveva morbosamente immaginato tutti i dettagli, notte dopo notte, mentre il dolore sordo ed il senso di impotenza le impedivano di dormire. Ci aveva provato a salvarli, aveva tentato tutte le cure più sperimentali, aveva persino provato a resuscitarli. Inutilmente. I loro corpi erano vuoti, le loro anime erano altrove. Ma lei non riusciva ad andare avanti. E non riusciva a perdonarsi.
Quell'ultima sera, dopo molte insistenze, i suoi erano riusciti a convincerla ad invitarli a cena. Lei era sempre così impegnata, loro sempre così tremendamente noiosi. Non aveva cucinato niente, aveva apparecchiato la tavola alla bell'e meglio e non aveva mai smesso di guardare l'orologio mentre mangiava distrattamente le prelibatezze che sua madre aveva cucinato apposta per lei. Sempre distrattamente aveva ascoltato i loro tediosi discorsi e risposto alle loro stupide domande sul lavoro, su quando si sarebbe sposata, messo su una famiglia... cose vecchie, passate, che a lei non interessavano più, ora solo il lavoro contava. Allo stesso modo li aveva salutati, a malapena aveva risposto al dolce abbraccio di sua madre, allo sguardo affettuoso di suo padre.
E così era finita. Due ore dopo l'avevano avvertita che erano in ospedale, in fin di vita. Non aveva fatto in tempo nemmeno ad arrivare ( si era trasferita a due passi dell'ospedale per essere sempre disponibile), che loro erano morti, andati per sempre, nonostante tutti gli sforzi che quella notte e tutto il giorno successivo aveva fatto.
Era stato lui a prenderla in braccio, mentre lei inginocchiata in un angolo della stanza guardava scioccata il corpo immobile di sua madre, che anche nella morte aveva quella sua espressione dolce e sempre un po' ansiosa. L'aveva portata a casa e fatta stendere a letto, ed era rimasto fino alla mattina accanto a lei. Le aveva compilato i documenti necessari e l'aveva aiutata con il funerale, bastava che lei dicesse qualcosa e questo era fatto, come per magia. Fiori, incenso, lapide... tutto perfetto, perfettamente irreale. Era lì, al funerale, con gli occhiali da sole e il fazzoletto in mano, con gente conosciuta e non che la abbracciava e le stringeva la mano, e guardava con aria assente l'ammaccatura sul suo braccialetto d'oro, chiedendosi quando mai era potuto succedere, l'aveva messo due volte quel braccialetto, alla cerimonia per il passaggio da allieva a maestra medica e al matrimonio di Shikamaru e Temari.
Per le settimane successive era stata così, assente. Non sapeva il giorno prima dov'era stata e cosa aveva fatto, entrava in una stanza e nemmeno ricordava perché. E in tutto questo lui era lì, che le faceva la spesa e le metteva i piatti a lavare, sempre accanto, una solida e silenziosa presenza, una roccia sicura nel mare insidioso del dolore.
Anche Naruto l'aveva aiutata, anche lui veniva un giorno sì e uno no a trovarla, spesso accompagnato da Hinata, con cui oramai faceva coppia fissa. Aveva provato a parlarle, con discrezione aveva anche tentato di capire il problema, ma lei non ce la faceva, era chiusa a chiave, e Naruto quella chiave non l'aveva. Probabilmente era lui che lo aveva convinto a farsi avanti, che lo aveva spinto ad affrontare con lei l'argomento. Non lo sapeva, probabilmente non l'avrebbe mai saputo.
Fatto sta che un giorno gliel'aveva domandato, diretto.
 

- Che cosa c'è?

Lei guardava fuori dalla finestra l'ospedale, dove non era più entrata da quel giorno, dove prima o poi sarebbe dovuta tornare. Ma non riusciva nemmeno ad immaginarsi di ricominciare quella vita fatta di orari assurdi e gente malata.

-A che ti riferisci?- aveva risposto, nemmeno ricordava che fosse lì.

-Al fatto che non ci sei con la testa. Sei sempre silenziosa, non sai cosa fai... Che cosa pensi?- le aveva chiesto a bruciapelo. Aveva alzato le spalle, non aveva idea di cosa volesse dire. Lei stava bene. Il sole stava tramontando ed era rosso come il fuoco, uno stormo di uccelli faceva acrobazie nel cielo.

-Guardami mentre ti parlo- aveva ordinato lui, in tono gelido. Sakura l'aveva ignorato,che se ne andasse al diavolo quel rompipalle. Se in quella stanza c'era qualcuno di noioso quello era proprio lui. Poi si era sentita afferrare bruscamente e si era ritrovata immersa in due occhi neri come il buio più profondo. Una volta quegli occhi le mettevano soggezione, sapeva del loro incredibile potere. Ora provava solo arida, sterile indifferenza. A fatica si era divincolata, in quel momento non ce la faceva ad essere scrutata nel profondo, non poteva.

-Che ti importa?- gli aveva chiesto con rancore. - Io sono noiosa, ricordi? A chi può importare di qualcuno così noioso?

L'aveva guardata con espressione così... triste, colpevole.

-Non sei noiosa. tu... devi perdonarmi per quello che ti ho detto.- aveva mormorato, senza staccare lo sguardo dal suo.

-Perdonare...- aveva ripetuto lei. Come poteva lei perdonare?

- Tutti... sbagliano. Io ho fatto moltissimi errori nella mia vita, ci sono tante persone che...- si era fermato, non era mai stato un grande oratore. In effetti non era mai stato tanto loquace con lei. Comunque lei sapeva cosa voleva dire. -Itachi non è morto per colpa tua.

Aveva serrato la mascella. Il suo meccanismo di autodifesa era scattato in autonomo, i suoi occhi erano diventati freddi come il ghiaccio e la sua espressione dura come la pietra. Ma si era dominato. Aveva chiuso per un istante gli occhi e quando li aveva riaperti in essi c'era una luce di... comprensione. -Mio fratello...si è sacrificato per me. Io gliene sono grato. E so che non l'avrei potuto impedire. Anche con i tuoi. Loro... non è colpa tua, è stato un incidente.

Un incidente. Era vero, era stato un incidente, un caso. Ma forse... se lei non avesse avuto tanta fretta, se non fosse stata così superficiale, così disattenta. Forse quella sera i suoi sarebbero rimasti di più, forse suo padre sarebbe stato più attento alla strada, forse quel vuoto nel suo cuore non sarebbe mai esistito.

-Tu non capisci. Io... mi sono comportata.... li ho dati così tanto per scontati... avrei dovuto... esserci di più, curarmi di loro. Li amavo e non... non gliel'ho mai detto.

Una lacrima solitaria era caduta dai suoi occhi, fissi per terra. Era forse la prima volta che lo ammetteva ad alta voce. Ogni giorno, ogni notte si ripeteva le parole che avrebbe voluto dirgli, e per superficialità non aveva mai detto. Loro erano lì, a portata di mano, e lei non li aveva neanche mai guardati, non davvero.

Due mani fresche si erano posate sul suo viso rivolto a terra, e gliel'avevano sollevato. Di nuovo il buio si era impossessato del suo sguardo.

- Loro sapevano che tu li amavi. Anche se eri distratta, anche se in quel periodo non li consideravi. Eri loro figlia, erano i tuoi genitori, e tu li amavi, tanto quanto loro amavano te. Il passato non si può cambiare Sakura, isolandoti da tutto non rimetterai a posto le cose, il tempo non ritorna. Fidati io lo so, ci sono passato. Io sono sicuro che loro non avrebbero desiderato altro che vederti felice, e stare qui a macerarti nei sensi di colpa non ti renderà felice, né ti restituirà i tuoi genitori.

Aveva appoggiato la fronte sulla sua e aveva chiuso gli occhi.

- Posso capire, ora.- le aveva sussurrato. - riesco a capire cosa significa guardare qualcuno, qualcuno a cui tieni, farsi del male. Ora so cosa provavi quando mi guardavi mentre mi perdevo nell'oscurità.

Per la prima volta dalla notte dell'incidente il suo cuore aveva iniziato a battere forte.

-Ritorna in te Sakura. Vederti soffrire... fa male. Non ho mai provato una sensazione come questa.- la sua voce era diventata talmente flebile che se non fossero stati a meno di un centimetro di distanza non l'avrebbe sentita. Aveva letto nel suo sguardo il dolore, il suo stesso dolore che si rifletteva nella sua anima. Non si era mai sentita così vicina a qualcuno. Gli avrebbe potuto toccare il cuore, se solo avesse allungato una mano. Per lunghi istanti i loro sguardi erano rimasti come incatenati, poi, lentamente, Sasuke l'aveva circondata con le sue braccia, e Sakura aveva sentito che era lui, era stato lui ad allungare la mano, ad accarezzare il suo cuore.

Aveva sempre pensato che il suo compito fosse quello di curare le ferite nell'animo di Sasuke, ma quel giorno si era resa conto che anche lui poteva. Anche lui era capace di curare e guarire. E quando l'aveva baciata, Sakura si era sentita pronta e per la prima volta, consapevole. Di ciò che provava e di ciò che voleva. Per la prima volta Sasuke glielo poteva dare. Per la prima volta Sasuke la amava davvero. E solo con questa certezza Sakura era potuta tornare a vivere.

 

 

  
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