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Autore: Alexia96    06/10/2015    1 recensioni
Storia partecipante al contest "Diamo lustro al personaggio originale" di l@dyriddle
Dal testo:
“Hai paura, lo so. Sei confuso e ti senti solo, in questo momento. Sappi però che tutto questo è passeggero. Nessun dolore è eterno, io lo so. Non sono così triste dalla morte dei miei genitori ma ho superato anche quella. E questo perché ho trovato quel calore che credevo impossibile da ritrovare. So che ci vorrà molto prima che tu riesca a rendertene conto, ma con noi, tutti noi, riuscirai a farcela. L’importante è che tu non torni a isolarti, perché quella è la cosa peggiore. La cosa buffa è che succede spesso: allontaniamo gli altri quando invece ne avremmo più bisogno. Pensiamo che non vogliano sapere dei nostri problemi, che sono solo un peso, e invece ci ascoltano con piacere. Perché questo? Perché sopportano i loro e i nostri problemi?”.
“Perché ci amano, ecco perché. E se ti chiedi se qualcuno ti ama, in questo mondo, sappi che io ti amerò per sempre, anche a costo di costringerti a farti amare”.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Coming out

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Chi ha paura di “uscire dall’armadio”, per le reazioni che potrebbe suscitare, sappia che vorrei essere là, a sostenerlo e ad aiutarlo in questo passo così spaventoso;

 Chi è già fuori, e ha scoperto un mondo gaio e pieno di colori, sappia che vorrei essere là, a ballare al suo fianco;

Chi, purtroppo, ha incontrato solo bastoni e insulti, sappia che vorrei essere là, a curare le sue ferite e a ricordargli che c’è amore anche per quelli come noi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal dormitorio del quarto anno dei Serpeverde non usciva nessun tipo di rumore, quella notte. In realtà era sempre così, perché i ragazzi che ci dormivano si ricordavano sempre di lanciare incantesimi per annullare i suoni delle loro scorribande; ma quella notte si sarebbe potuti entrare nella camera senza essere investiti dalla baraonda quasi quotidiana di quel luogo.

Purtroppo nessuno poteva aprire la porta del dormitorio e ammirare questa rarità. Nessuno, tranne i due ragazzi che vi dormivano dentro.

Uno di questi, più che dormire, si può dire che stesse riposando gli occhi. Il lenzuolo lo copriva dalla cintola in giù, così da mostrare solo il busto, coperto da un leggero strato di peluria bruna, le braccia, non magre ma neanche gonfie di muscoli, e il viso. Ci sarebbero tanti piccoli dettagli da elencare, su questa particolare zona del corpo ma per citarne solo uno, è giusto descrivere la bocca del ragazzo. Non per le sue caratteristiche fisiche, ma per la singolare capacità di trasmettere emozioni: ogni sentimento aveva una piega particolare e spesso bizzarra, capace di rendere il ragazzo molto espressivo.

In questo preciso istante, la bocca del ragazzo era distesa in un ampio sorriso, di quelli che hai quando ti senti in pace con te stesso e con il mondo. Ed era così che si sentiva Alan Miles, dopo anni di sofferenza. Dopo l’incidente dei genitori e gli anni passati in orfanotrofio, non credeva davvero possibile che la sua vita potesse capovolgersi così. Prima la visita del professor Paciock, e la scoperta di Hogwarts e del mondo magico; poi, una volta arrivato là, le amicizie che aveva instaurato con i suoi compagni, soprattutto con Albus Potter.

Beh, ex-amicizia, per lui pensò, allargando il suo sorriso.   

I suoi occhi schizzarono subito alla sua sinistra, dove dormiva il suo Albus; il ragazzo che si vergognava a cambiarsi davanti ai suoi compagni di dormitorio; il ragazzo che soffriva tanto d’insicurezza che, nonostante fosse molto studioso, in classe evitava di alzare la mano per rispondere, lasciando l’onere a gente come la cugina Rose, che schizzava il braccio prima che i professori potessero finire la domanda; il ragazzo timido che non voleva fare il provino per diventare Cercatore, solo perché c’era già un altro ragazzo.

Per fortuna il suo amico Scorpius gli aveva fatto notare quanto scarso fosse quel ragazzo, Edward Morrison, altrimenti non avrebbe mai superato il provino, e loro due non sarebbero mai diventati amici. Con un anno di differenza e i loro caratteri quasi opposti, difficilmente si sarebbero avvicinati di loro spontanea volontà: Alan sapeva essere molto scherzoso, tanto da fare amicizia con un vero Grifondoro come James Potter, con cui passava il tempo molto volentieri. Albus, invece, era quasi il suo contrario: si avvicinava difficilmente alle persone e, a prima vista, non suscitava grande simpatia. Durante gli allenamenti della squadra, invece, trovò in lui una persona dall’umorismo molto acuto, e una gentilezza fuori dal comune. Fu così che scoprì un nuovo lato del ragazzo, che voleva solo per sé.

Non gli sembrò niente di così sbagliato, a differenza di Albus, che per settimane negò persino di essergli amico; Alan però sentiva che lui provava i suoi stessi sentimenti, e sapeva che doveva convincerlo a scoprire le sue carte.

Ci volle molto tempo, ma ne era valsa la pena. Il solo poter essere così vicino a lui lo riempiva di felicità, e avrebbe fatto qualunque cosa, anche la più dolorosa, pur di poter continuare quella relazione.

Anche se era una storia clandestina.

Anche se ci sarebbero voluti anni prima che Albus avesse avuto il coraggio di dirgli ‘Ti amo’.

Perché oggi avevano fatto l’amore per la prima volta, ed era stato Albus a organizzare il tutto. E per Alan, quello era il gesto d’amore più bello che gli potesse fare.     

Un movimento attirò l’attenzione del ragazzo sul suo compagno. Fino a pochi istanti prima dormiva profondamente; poi prese ad agitarsi sempre di più, fino a sembrare in preda alle convulsioni.

Prima che Alan potesse fare qualunque cosa per aiutarlo, Albus si svegliò, grondante di sudore e urlando: “Nooooo!”.

Albus cominciò ad ansimare, come se avesse fatto una lunga corsa, ed era tanto preso dal recuperare fiato da non accorgersi di aver iniziato a piangere.

“Albus, stai bene?”.

Il ragazzo si voltò verso la voce, come sorpreso che ci fosse qualcuno sdraiato accanto a sé. Si rese anche conto di avere il volto grondante di lacrime e si affrettò ad asciugarle, strofinandosi il braccio contro il volto. Ad Alan ricordò se stesso da bambino, quando a volte s’isolava dagli altri per piangere, e gli venne una gran voglia di stringerlo e cullarlo.

“Al, mi dici che cosa è successo?” continuò a domandargli, avvicinandosi a lui. Nel frattempo, Albus si era calmato e aveva deciso di alzarsi e di mettersi i boxer che aveva lanciato sopra il comodino del suo amico Scorpius Malfoy.

“Niente, era soltanto un brutto sogno” gli rispose Albus mentre s'infilava anche un paio di pantaloni e la maglietta che usava come pigiama.

“Io me ne intendo d'incubi, e questo non era ‘soltanto un brutto sogno’” rispose Alan, mimando anche le virgolette. Albus spostò il suo sguardo su tutto ciò che era presente nel dormitorio, tranne che su Alan.

“Va bene, non me lo dire” esclamò arrendevole Alan, alzando le braccia in segno di resa. Si sdraiò di nuovo sul letto, incrociando le braccia dietro il collo.

“Dovresti andartene, prima che gli altri tornino” gli disse Albus. Alan non si spostò di un millimetro, e non diede segno di volerlo fare.

“E perché, di grazia?” domandò Alan. “Conoscendo Madama Chips, Ted e Ben non usciranno dall’Infermeria prima di domani, anche se le loro ossa si sono già ricostruite”. Ted e Ben erano i due battitori di Serpeverde, che durante gli allenamenti del pomeriggio si erano dati una mazzata in testa a vicenda. Alan sorrise nel rivedere la scena nella sua testa.

“Mentre per quanto riguarda Scorp” aggiunse Alan, “tu stesso mi hai assicurato che sarebbe stato chiuso dentro il Bagno dei Prefetti con Rose fino a domani mattina, ricordi? Quando mi hai buttato sul tuo letto con solo l’asciugamano e il corpo grondante d’acqua”.

Alan girò leggermente il capo, per vedere la reazione di Al alle sue parole. Quando erano soli, Albus riusciva a essere molto spontaneo ma quella sera aveva superato ogni sua più rosea speranza: dopo aver accompagnato i due ragazzi in Infermeria, gli aveva proposto di farsi una doccia nel suo dormitorio, visto che quello di Alan era occupato. Una volta uscito dalla doccia, Albus lo aveva scaraventato sul letto, farfugliando che quella sera non ci sarebbero state altre persone al di fuori di loro, e che aveva deciso di volerlo fare con lui. L’atteggiamento di Albus, ora, era all’opposto di quello di qualche ora fa, e Alan era strasicuro che fosse colpa del sogno appena fatto.

Al dovette aver capito che per Alan quella reazione era forzata, così cambio subito umore: “Hai ragione, l’avevo dimenticato, mi dispiace”.

“Non ti scusare e porta quel bel culetto accanto al mio” esclamò Alan battendo una mano sulla parte libera del materasso.

Albus si sistemò accanto a lui senza dire nulla, ma mentre poggiava il capo sul suo torace, Alan vide i suoi occhi farsi più cupi, e intuì che nella sua testa l’incubo non era ancora finito.

 

 

 

***

 

 

 

Il giorno seguente Alan si stupì di essersi svegliato nel divano della Sala Comune, invece che nel letto di Albus, dove si era addormentato. Corse nel suo Dormitorio a lavarsi e a vestirsi, e scese verso la Sala Grande a fare colazione prima dell’inizio delle lezioni.

Ad Alan piaceva andare nella Sala Grande perché aveva amici in tutte le Case, quindi ne approfittava per salutare tutti, anche sedendosi a mangiare nei loro tavoli, comportandosi come “un serpente con le ali, la criniera e il pelo nero e bianco”, come dicevano i gemelli Scamandro. La colazione, però, la faceva sempre con i suoi compagni verde-argento, accanto a Scorpius e di fronte ad Albus. Una volta raggiunto Scorpius però non si sedette subito come al solito, né incominciò a scherzare con i suoi compagni per svegliarli meglio.

“Ciao Alan” mormorò Scorpius, che sembrava sul punto di addormentarsi sulla sua colazione. Alan non rispose subito, continuando a stare fermo e a guardare il posto di fronte a Malfoy, vuoto.

“Ciao Scorpius” rispose Alan prima di sembrare rincretinito. “Dov’è Albus?”.

“È corso via dopo aver trangugiato una quantità di cibo insolita” disse Scorpius forse ancora più mogiamente di prima. “Sembrava quel maiale di James, per come si è ingozzato”.

Le labbra di Alan avevano un’altra particolarità: non sapevano fingere un sorriso. Perciò non si sforzò di ridere alle parole di Scorpius, come invece fecero altri ragazzi accanto a lui. Albus difficilmente si comportava in maniera così bizzarra, e se sommava questo con quello che era successo il giorno prima, non faceva che preoccuparsi ancora di più.

Decise che doveva parlare con Albus il prima possibile, ma qualcuno doveva volergli davvero male, perché non riuscì a vederlo per tutto il giorno: ogni volta che correva verso la classe che aveva appena svolto, lo vedeva allontanarsi di corsa, senza riuscire a raggiungerlo; all’ora di pranzo nessuno lo aveva visto né nella Sala Grande né nella Biblioteca, e nemmeno nella Sala Comune dei Serpeverde; a cena le cose non cambiarono, col risultato che Alan fu costretto ad andare a letto a stomaco vuoto e pieno di bile.

Cercò di dormire ma prima di riuscirci sentì due dei suoi compagni di stanza bisbigliare tra loro. Cercò di ignorarli ma quando pronunciarono il nome “Albus” decise di tendere l’orecchio il più possibile.

“Se sicuro di quello che dici?” domandò il primo, Edmund. “Chi te l’ha detto?”.

“Un suo compagno di stanza, Ted” gli rispose l’altro, Cornelius, suscitando un’immediata crisi di risa nel suo interlocutore.

“Tu credi a quel pallonaro di Ted?” disse in mezzo alle risate soffocate. “Quello che era strasicuro che il professor Dill bevesse la Pozione Polisucco e che in realtà era un Mangiamorte?”.

“Beh, però aveva fatto bene a denunciarlo, tutto sommato” continuò a dire Cornelius.

“Sì, perché era un alcolizzato cronico e rischiava di far saltare in aria qualche calderone” gli rispose Edmund, che considerò la questione chiusa e si mise a letto.

Alan si girò per non farsi vedere mentre origliava, ma gli ci vollero delle ore prima di riuscire ad addormentarsi. Non gli piaceva che girassero pettegolezzi su Albus, perché sapeva quale sarebbe stato il passo successivo: gli sguardi. Qualsiasi notizia stesse circolando, si sarebbe diffusa e avrebbe portato gli altri ragazzi a fissare Albus in ogni momento, facendolo sentire sotto un riflettore che aumentava d’intensità ma che rendeva più oscuro tutto ciò che era fuori dal suo raggio d’azione. Lo sapeva bene, perché anche lui aveva avuto il suo riflettore: arrivato all’età di sei anni all’orfanotrofio, ricordava perfettamente i propri genitori, suscitando l’invidia degli altri bambini e il loro disprezzo, manifestato con quegli sguardi, tutti carichi di sentimenti diversi ma ugualmente intensi. Il risultato di tutto ciò furono molti pianti, ma anche la maturazione di un proprio sistema di difesa, che consisteva in un misto d’indifferenza e di prese in giro.

Ancora oggi, in un certo senso, usava quella tecnica; o diventava amico di qualcuno o lo trasformava in un bersaglio per i suoi scherzi, ma lo faceva solo perché non voleva rivivere daccapo la stessa sensazione di solitudine con cui aveva dovuto convivere da bambino.

Albus però non possedeva il suo umorismo o la sua sfacciataggine. Non aveva armi di difesa.

Così, prima di addormentarsi, si ripeté in mente quello che ormai stava diventando il suo mantra.

Devo parlare con Albus il prima possibile.

   

  

 

***

 

 

 

“Porca miseria!”

L’urlo di Alan riecheggiò per tutta la Sala Grande, ancora vuota a quell’ora. Lui e Scorpius, preoccupato anche lui per l’amico, da giorni non riuscivano a parlargli, e per stanarlo avevano deciso di appostarsi nella Sala Comune tutta la notte. Purtroppo, tutt’e due crollarono, e adesso non avevano la minima idea di dove cercarlo.

“Come abbiamo fatto ad addormentarci, neanche avessimo tre anni!” continuò a sbraitare Alan, furioso sia con se stesso che con Scorpius.

“E oggi è sabato, quindi non avremo neanche la scusa delle lezioni per parlarci” disse Scorpius molto seccato ma più composto di Alan. Entrambi andarono a sedersi al tavolo dei Serpeverde, deserto come gli altri, e si misero nella stessa posizione, l’uno accanto all’altro con le mani fra i capelli.

“La Sala Grande ha aperto solo ora, magari riusciamo a incrociarlo” disse Scorpius poco convinto.

“No, vuole evitarci, si farà dire da qualcuno se siamo dentro o no” rispose Alan deciso. Diventava più furioso ogni secondo che passava, finché all’improvviso non spalancò la bocca, come colto da un’illuminazione.

“Il Quidditch!” esclamò Alan. “Oggi ci sono gli allenamenti di Quidditch!”

“Certo, non li salterebbe neanche se gli avessero staccato un braccio”.

Quella di Scorpius non era un’esagerazione. Il Quidditch era la grande passione di Albus, che aveva sviluppato con gli anni prima nella teoria, grazie anche alla madre giocatrice, e poi con la pratica, quando suo padre lo fece volare con la scopa per la prima volta. Volo anche quando, a otto anni, gli venne il vaiolo di drago e, annoiato, voleva fare un giretto nel boschetto poco fuori città, com’era suo solito. Perciò Alan si sbrigò a mangiare quella mattina, e corse verso il Campo da Quidditch, deciso a concludere la discussione iniziata giorni fa sul letto di Albus.

Quando arrivò, vide che qualcuno era già dentro, ed esultò interiormente; quando si avvicinò a loro, fu come se una tonnellata di mattoni gli si fosse appena scaricata sopra la testa e gli avesse fratturato la mascella, impedendogli così di chiudere la bocca.

“Che ci fa lui qui?” sbraitò Alan verso il capitano della squadra, Richard Nott, indicando però l’altro giocatore, che indossava la divisa da Cercatore, ma che di certo non era Albus.

“Buongiorno anche a te, Miles” esclamò Edward Morrison, fingendo di essere cordiale.

“Non sto parlando con te, quindi vai a rompere il cazzo a qualcun altro!”. Edward salì sulla scopa e cominciò a fare dei giri di prova, soprattutto nella zona sopra i due giocatori.

“Perché. Cazzo. Lui. È. Qui?” ringhiò Alan a muso duro contro Richard, che sembrava furioso quanto lui. Entrambi odiavano Morrison per una lunga lista di ragioni: oltre il pessimo carattere e lo scarso rendimento sulla scopa (che costò alla squadra due coppe perse per un soffio), avevano subito angherie da lui durante il loro primo anno. Anche se Edward aveva solo un anno in più, si permetteva di primeggiare su chiunque gli fosse leggermente inferiore. Ricordò che fu una vera gioia per lui e per Richard cacciarlo dalla squadra l’anno scorso, per lasciare il posto ad Albus, che li fece anche vincere.

“Stavo per farti la stessa domanda” rispose Richard. “Da te me lo aspettavo, visti i G.U.F.O.  ma Albus non aveva motivo di mollare la squadra. Pensa, pur di riaverlo con noi sono dovuto andare da suo fratello James a chiedergli di parlargli, e mi ha costretto ad ammettere, davanti a decine di Grifondoro, che senza di un Potter non si può battere un altro Potter, e…”.

Mentre parla, Richard ha il vizio di passeggiare. Perciò guardava Alan mentre parlava dei G.U.F.O., gli dava le spalle mentre lo informava del ritiro di Albus, ed era intenzionato a riguardarlo negli occhi mentre parlava di James. Solo che Alan non era più di fronte a lui.

Appena sentita la parola “mollare”, Alan saltò sulla scopa e raggiunse Edward, con la seria intenzione di sperimentare come si possa spappolare un cranio umano con solo una spinta data a 15 metri dal suolo e la forza di gravità.

“Che cosa hai fatto ad Albus?!” urlò furioso Alan. Edward si limitò a guardarlo confuso, come se non sapesse neanche di chi stesse parlando.

“Che dici, non gli ho fatto nulla!” esclamò lui sorpreso. “Non sapevo neanche che aveva lasciato la squadra”.

“Finiscila con questa sceneggiata!”.

Ad Alan, a pochi centimetri da Edward, con le scope così vicine e il braccio destro che gli tirava la divisa, gli bastava veramente poco per farlo cadere giù. Dovette far uso di tutta la sua forza di volontà: strinse le labbra fino a renderle una striscia sottile, poi si allontanò da Edward, lasciandolo libero. In tutto questo, il ragazzo non si era minimamente scomposto, continuando a mostrare un sorriso sfacciatamente cordiale.

Attorno a loro incominciarono a spuntare altre scope, e sentirono Richard chiamarli attorno a lui. Alan smise di guardare storto Edward e decise di rimandare quel colloquio a dopo l’allenamento, così da non creare altri problemi a Richard.

“Allora, Capitano, con cosa iniziamo oggi?” disse Edward, una volta raggiunto Richard. Alan si accorse che anche lui voleva attuare il suo stesso esperimento, e che anche lui dovette farsi molta violenza per fermarsi.

“Lui cosa ci fa qui?” esclamò Helena, Cacciatrice del sesto anno. “Dov’è Potter?”.

“Albus ha deciso di lasciare la squadra momentaneamente, senza darmi una vera ragione” spiegò Richard alla squadra.

“Saranno stati gli incubi” disse sogghignando Ted.

La frase di Ted fece scattare Alan, anche se impercettibilmente: lui dormiva accanto ad Albus, quindi non si stupì molto del suo commento, sospettando che quello a cui avesse assistito lui non fosse un caso isolato; quello che invece gli faceva montare la rabbia dentro era che l’unico a non capire il significato della sua frase era stato proprio Edward, che gli indirizzò un occhiolino.

Non riguardava solo Edward. Anche altri erano coinvolti.

Durante gli allenamenti cercò altri segni d’intesa tra i due, e non solo. Temeva che più membri della squadra, per motivi a lui sconosciuti, si fossero coalizzati contro Albus, e che lo avessero costretto a cedere il posto a Edward. L’unica cosa certa era che la colpa era tutta sua.

Passata un’oretta, Alan dovette scartare l’idea dell'alleanza. Edward, con dell’incredibile, era riuscito a peggiorare le sue poche capacità di gioco (tipo andare sulla scopa senza investire nessuno), e nessuno riusciva a sopportarlo più.

“Basta, non c’è la faccio più, fermiamoci!” gridò disperato Richard. Edward, con le sue ‘manovre’ era riuscito a disarcionare mezza squadra, col risultato di un Battitore e due Cacciatori con qualcosa di rotto.

“Questo non è un allenamento, è una strage!” continuò una volta a terra. “Alan, aiutami a portare questi vittime di guerra in Infermeria”.

“Non posso, devo seguire Edward e…”.

“E cosa?” lo fermò Richard. “Dargli la possibilità di farti buttare fuori dalla squadra?”.

“Tu conosci Albus, adora il Quidditch!” esclamò esasperato, come se i suoi sospetti fossero in realtà verità inconfutabili. “Di sicuro lo gli avrà fatto qualcosa. Ascolta” aggiunse, prima di essere interrotto. “Albus ci sta evitando come la peste, non torna nel Dormitorio a dormire se non a notte fonda, e poi esce prima dell’alba. Gli è successo qualcosa, e Edward se ne sta approfittando, se non ha causato tutto lui!”.

Richard si mise il braccio di Helena sulle spalle per aiutarla a camminare, e disse: “Può darsi che hai ragione ma non hai nessuna prova, dico bene?”. Il silenzio di Alan gli bastò come risposta.

Una volta portati i compagni di squadra in Infermeria, Alan corse il più velocemente possibile verso la Sala Comune dei Serpeverde. Non importava ciò che diceva Richard, lui sapeva che era il responsabile del comportamento di Albus, lo sapeva e basta. Svoltò in direzione di un arazzo, che nascondeva un passaggio segreto di solito deserto.

Già, di solito.

Oggi c’era una coppietta che si stava amorevolmente controllando le tonsille, che fu fatta precipitare sul pavimento da Alan, come fossero birilli da bowling.

“Non lo sai che non si deve correre così velocemente quando il percorso è ostruito da qualcosa?” gridò una voce stridula e saccente, che avrebbe riconosciuto tra mille.

“Rose, Scorpius!”

Aveva gentilmente steso a terra la cugina e il migliore amico di Albus, entrambi suoi amici. Era felice che dopo un anno di pene per entrambi, troppo cretini e orgogliosi per confessare i propri sentimenti, si erano finalmente messi insiemi. Ma oggi si trovò a maledire la loro felicità.

Non tanto perché gli avevano intralciato la strada verso la vendetta, quanto piuttosto perché era geloso del loro rapporto. Che fossero nascosti o in mezzo a un corridoio, loro due si baciavano sempre, senza remore. In certi giorni passavano più tempo a baciarsi che a parlare; in altri giorni si guardavano negli occhi, senza dire nulla. Se iniziasse a fissare Albus senza dire nulla, la gente intorno a loro lo prenderebbe per deficiente. Se invece spiegasse il perché delle sue azioni, nessuno farebbe i versetti da tenerezza, come per Scorp e Rose: lo troverebbero strano, nei migliori dei casi.

Finora non gli era mai importato di non mostrare in pubblico il proprio amore per Albus ma, in questi giorni in cui non riusciva a stargli vicino, si era reso conto di quanto gli mancasse, e di quanto avrebbe voluto buttarlo a terra, nei rari momenti in cui lo vedeva in lontananza, e baciarlo fino a perdere fiato. Capiva, però, che le preoccupazioni di Al sulla loro relazione non erano infondate. Non le sentiva, ma le capiva.

“Perché corri così?” chiese Scorpius, una volta in piedi.

“Albus ha lasciato la squadra” disse secco.

“CHE COSA?!” gridarono entrambi, sconvolti.

“E il nuovo cercatore è Edward Morrison” aggiunse Alan. Rose non lo conosceva ma Scorpius sì.

“Quel bastardo figlio di puttana!” gridò furioso. “È lui il responsabile del comportamento di Albus!”.

“Quindi non parla neanche con te?” chiese Rose ad Alan, triste e consapevole della situazione.

“Già, e sono sicuro che la colpa sia di Edward, per questo correvo, volevo cercarlo...”.

“E legarlo a una sedia per interrogarlo?”.

Tutt’e tre si girarono verso la fonte di quella voce: James, dall’altra parte del passaggio, stava trascinando una sedia, con sopra Edward legato stretto e con il volto pallido e sudato.

“James, ti rendi conto di quello che hai fatto?” gridò Rose terrorizzata. “Hai esagerato, devi pensare prima di fare una cosa del genere e…”.

Rose si fermò, perché si accorse che James le stava facendo il verso, mettendo un braccio sui fianchi e ondeggiando l’altro come a volte, e anche adesso, faceva.  

“Hai finito?” chiese Rose seccata.

“Eri molto più divertente, prima dell’incidente” disse James mettendo un finto broncio.

“Che incidente?” chiesero contemporaneamente Alan e Scorpius. Rose mosse una mano come a dire ‘dopo’, e James imitò anche quello.

“Quando la finirai?” sospirò lei esasperata.

“Quando la tua reazione non mi farà più ridere” rispose James. “Ma basta parlare tra di noi, coinvolgiamo anche il nostro ospite”. E così dicendo mise Edward in modo che fosse completamente circondato.

“Allora, un serpentello è venuto a dirmi che mio fratello ha deciso di lasciare la squadra, e un uccellino mi ha detto che tu lo sapevi già prima che quel serpentello te lo dicesse”.

Edward diventava parola dopo parola più pallido, non guardava negli occhi nessuno ed era notevolmente spaventato.

“Ora, a meno che tu non sia un veggente, io credo che tu centri qualcosa con la decisione di mio fratello, e così?”

“N-non so di cosa stai parlando, l-lo giuro” balbettò Edward appena James finì di parlare.

“So per certo che Ted sta mettendo in giro voci su Albus, e che tu sai che la notte non dorme per gli incubi, osi negarlo?”.

“G-giuro” ripeté Edward, sempre più terrorizzato. “N-non ne so niente”.

James sospirò teatralmente, e uscì dalla sua tracolla qualcosa incartato in una busta viola e con tre W arancioni.

“Qui dentro c’è una Merendina Marinare, conosci i suoi effetti?”. Non lo fece rispondere, e continuò all’istante a parlare: “ Potrei fartene assaggiare un pezzetto, e poi dimenticarti qua senza darti l’antidoto, se non dirai la verità”.

“Non lo farai” esclamò forte, tremando vistosamente.

“Se non lo fa lui, lo farò io” disse Alan, fissandolo intensamente. Edward smise di tremare ma non perché si era tranquillizzato: lo sguardo di Alan lo aveva pietrificato.

“Va bene, lo ammetto, l’ho convinto io” sussurrò Edward.

“Come?” chiese James. “Con cosa lo hai minacciato?”.

“Ho paura a dirlo” rispose Edward, tornando a tremare e girando il volto verso Alan. “Ho paura della tua reazione”.

“Preoccupati di più a non rispondere” gli disse Alan. Vide Edward prendere un grosso respiro, prima di parlare.

“L’ho convinto minacciandolo di far sapere a tutti della vostra storia”.

Silenzio.

“Come, scusa?” domandò James, leggermente scioccato.

“Quando ci hai visto?” disse subito Alan, ignorando i ragazzi attorno a lui, e così fece anche Edward. Era un discorso solo fra loro.

“Dopo un allenamento, volevo farvi uno scherzo, e vi ho visto baciarvi”.

“Perché non mi ha risposto?” disse James seccato. Capitelo, non gli piace quando non ricevere attenzioni da tutte le persone in una stanza, figuriamoci quand’è completamente ignorato.

“E che hai fatto?” chiese Alan, ignorando di nuovo James.

“Ho detto a Potter che avrei spifferato a tutti di voi due se non avesse lasciato la squadra. Non mi ha più detto nulla, ma Ted è venuto a dirmi che aveva cominciato ad avere incubi quasi ogni notte, e che se n’era accorto solo lui. Ho convinto Ted ad aiutarmi, facendogli dire cose come: ‘fai schifo’, ‘vergognati’ o ‘non voglio dormire in stanza con te’, e ha cominciato ad andare in giro da solo. Ted ha esagerato e ha incominciato a dire in giro di voi ad altri ma vista la sua fama da pallonaro nessuno gli ha creduto, e la notizia non si è diffusa. Ieri è venuto da me accettando il patto, a condizione di lasciare in pace te”.

Alan finalmente vide tutte le sue informazioni unirsi in un’unica, grande verità. Gli incubi erano una conseguenza dello stress che le minacce di Edward gli avevano provocato: non voleva coinvolgere nessuno, soprattutto lui, e aveva deciso di isolarsi, per capire cosa fare. Nel frattempo, Ted gli abbassava il molare fino a fargli perdere la poca autostima che aveva, confermando tutte le sue paure su un possibile coming out.

Poi aveva deciso di rinunciare alla sua più grande passione, solo per evitare che anche lui passasse i suoi stessi travagli interiori.

“Perché non ci ha detto nulla?” chiese Scorpius, una volta metabolizzate tutte le informazioni.

“Ha sempre avuto paura delle vostre reazioni, e Ted lo avrà convinto che aveva ragione”.

“Perché a te ha risposto e a me n- ahi!” esclamò James, che si strofinò il braccio dove Rose, stizzita, lo aveva colpito.

“Siete dei testoni, come potremmo mai odiarvi solo perché vi amate” disse Rose, abbracciando teneramente Alan. Non distribuisce abbracci a chiunque, ma quando decide di stringerti, sa farti tornare il sorriso all’istante.

“Non è detto che sia amore, magari è solo sesso” disse scherzando James, ricevendo una bella linguaccia da Rose.

“Non rovinare questo momento!” replicò Scorpius, sereno, ora che conosceva la verità.

“L’unica cosa che manca in questo momento è Albus” s’intromise Alan.

“Giusto, andiamo a prenderlo!” esclamò James, e tutti uscirono dal passaggio segreto, dirigendosi verso la Sala Grande.

“Ok, però prima liberatemi” disse Edward ai ragazzi, che non diedero segno di averlo sentito.

“Ragazzi?”.

I quattro camminavano allegri per i corridoi della scuola, senza preoccupazioni al mondo. Solo Alan, a un certo punto, si rese conto di un problema ancora irrisolto.

“Ma ora come lo troviamo Al per spiegargli tutto?”.

James stava per rispondergli, quando un urlo riecheggiò dal fondo del corridoio.  Corsero a vedere cosa stava succedendo e trovarono Lysander Scamandro che teneva fra le braccia Lily Potter in preda alle convulsioni.

“È successo all’improvviso, non so che cos’ha!” urlò Lysander. James liberò Lily dalle sue braccia e la lasciò in piedi in mezzo al corridoio, restando comunque vicino.

“Che fai, dobbiamo portarla da Madama Chips!” esclamò Alan.

Prima che succedesse qualcos’altro, Lily aprì gli occhi, mostrando solo il bianco, e cominciò a parlare ma non con la sua voce dolce di sempre. Parlò con una voce profonda e spettrale, come se arrivasse direttamente dall’aldilà:

Il giovane insicuro ha scelto la sua strada,

anche se questa a lui non aggrada,

il suo grave peso cadrà in giù

e lì porrà un Albus in più”

Finito di parlare, Lily perse i sensi, finendo tra le braccia di James, preparato ad afferrarla. Rose si avvicinò a lei per vedere le sue condizioni, mentre Lysander, Scorpius e Alan erano troppo sconvolti e confusi per fare qualsivoglia movimento

“Che cosa è appena successo?” chiese Scorpius molto confuso.

“Ragioniamo su quello che ha detto Lily” disse Rose seria in faccia, cominciando ad andare avanti e indietro davanti a loro.

“Io vorrei parlare del perché l’ha detto, e come ha fatto” esclamò Alan, forse quello che si era ripreso più in fretta: quello che avevano visto era impressionante ma la cosa che veramente lo spaventava era che parlava di Albus.

“Lily è una Veggente” disse tranquillamente James, come se fosse un fatto di poca importanza.

“Perché la vostra famiglia è piena di segreti?” chiese Scorpius. “Tu hai avuto un incidente misterioso, Lily vede il futuro e Albus è gay!”.

“Albus è gay?!” esclamò scioccato Lysander.

“BASTA!” urlò Rose. Tutti si bloccarono di nuovo, pietrificati dal suo sguardo infiammato. Lei riprese a camminare, mentre parlottava fra sé e sé.

“Lily ha parlato di una strada che non gli piace, quindi una scelta che è stato spinto a prendere”. Continuò a bisbigliare qualcosa, poi disse: “Farà qualcosa che distruggerà le sue preoccupazioni, che sono i pesi, ma non capisco che centri Silente…”.

“Andrà anche lui sulle figurine delle Cioccorane?” disse James, e ricevette un coro di ‘ssshh!’ da tutti i presenti.

“Forse i pesi sono qualcosa di fisico, e li sta portando alla tomba di Silente” suggerì Scorpius, ma il suo tono di voce esprimeva molti dubbi.

“Non sulla sua tomba…”.

Tutti fissavano Alan, aspettando che continuasse a parlare ma non ci riuscì. Le sue labbra cominciarono a tremare forte, impedendogli di emettere qualunque suono. Era terrorizzato dalla sua idea, e voleva togliersela dalla stessa, per paura di ricevere delle conferme.

“Silente è morto sulla Torre di Astronomia… cadendo giù”.

Tutti i presenti sospirarono orripilati. James lasciò delicatamente a terra Lily, e prese a urlare istericamente.

“Rose, Lysander, portate Lily in Infermeria!”. Poi indicò Scorpius e Alan: “Noi andiamo a salvarlo!”.

E presero a correre, come mai avevano fatto in vita loro. Anche Scorpius, il meno atletico dei tre, filava veloce come il vento, sorpassando tutti quelli che si trovavano in mezzo a loro, pensando a tutto, tranne che alla domanda che gravava sulle loro spalle.

E se era troppo tardi?

Alan arrivò in cima alle scale della Torre prima degli altri. Guardava quella porta come se potesse saltargli addosso all’improvviso, e divorarlo lentamente, gustandosi la sua carne e il suo dolore.

Non voleva aprire la porta e non vedere Albus. Non voleva affacciarsi dal balcone e vedere una sagoma a metri di distanza.

Non lo voleva vedere morto.

Sentì avvicinare gli altri, e prese abbastanza coraggio da girare la maniglia.

Albus era lì, seduto sul cornicione, e sarebbe bastato un soffio di vento poco più forte a farlo cadere.

“Albus, ti prego non ti buttare!” urlò James terrorizzato. Il suo corpo era pronto a slanciarsi verso di lui ma si fermò, non volendo agitare il fratello.

“Albus, ascolta, sappiamo tutto e ne siamo felicissimi, dico davvero, non devi preoccuparti” esclamò Scorpius con voce roca e lacrimosa.

Alan divenne improvvisamente calmo. Se si concentrava, riusciva a sentire perfettamente i battiti del suo cuore; il mondo attorno a lui si fece più lento; le parole salirono alla bocca come fossero una preghiera antica, che parla non di un singolo ma di tutta l’umanità.

“Hai paura, lo so. Sei confuso e ti senti solo, in questo momento. Sappi però che tutto questo è passeggero. Nessun dolore è eterno, io lo so. Non sono così triste dalla morte dei miei genitori ma ho superato anche quella. E questo perché ho trovato quel calore che credevo impossibile da ritrovare. So che ci vorrà molto prima che tu riesca a rendertene conto, ma con noi, tutti noi, riuscirai a farcela. L’importante è che tu non torni a isolarti, perché quella è la cosa peggiore. La cosa buffa è che succede spesso: allontaniamo gli altri quando invece ne avremmo più bisogno. Pensiamo che non vogliano sapere dei nostri problemi, che sono solo un peso, e invece ci ascoltano con piacere. Perché questo? Perché sopportano i loro e i nostri problemi?”.

“Perché ci amano, ecco perché. E se ti chiedi se qualcuno ti ama, in questo mondo, sappi che io ti amerò per sempre, anche a costo di costringerti a farti amare”.

La cosa assurda di quel discorso, che sembrava scritto da uno scrittore, lo aveva appena creato, e l’emozione aveva cancellato dalla sua mente ogni singola parola, rendendo unico e speciale questo momento.

“Anch’io”.

Era solo un sussurro, che sarebbe stato portato via dal vento se solo ci fosse stato. Eppure, ad Alan quelle due parole arrivarono forti, come se fossero state urlate nell’orecchio.

“È la cosa più romantica che abbia mai visto” piagnucolò James, asciugandosi delle lacrime di commozione. Anche Scorpius aveva iniziato a piangere, ma faceva di tutto per non mostrarlo.

“Che ne dici allora di venire qua?” chiese Alan, non ancora tranquillo.

“Non posso” disse Albus, mentre gli altri rimanevano in ascolto, ansiosi.

“Sono seduto qui da dodici ore, sono terrorizzato dall’idea di cadere”.

E nonostante la delicatezza del momento, tutti quanti (incluso Albus) scoppiarono a ridere dopo quella dichiarazione. Fu una risata liberatoria, che pose la parola ‘fine’ a quella brutta storia, e che dava spazio a un nuovo capitolo per le loro vite, da scrivere alla luce del sole.

 

 

 

 

 

Fine

 

Aspettate…

Manca un piccolo particolare.

Dopo che aiutarono Albus, con calma e senza movimenti bruschi, a scendere dal cornicione, decisero di portarlo nelle cucine per fargli bere della cioccolata calda. Una folla di curiosi, però, ostruiva il passaggio, attirati da una voce furiosa e una terribilmente spaventata.

James si avvicinò a un suo amico Grifondoro e gli chiese: “Che succede?”.

“Guarda chi è venuto a trovarvi” gli disse ridendo sotto i baffi. James allungò il collo per vedere chi ci fosse, e la scena che si ritrovò davanti agli occhi lo traumatizzò per il resto della sua vita.

Harry Potter, suo padre aveva preso per il colletto un Prefetto dei Tassorosso. Continuava a urlargli che se ne infischiava del regolamento scolastico, che non aveva bisogno di nessun invito del preside e che, testuali parole: “Se posso distruggere un Signore Oscuro, allora posso di certo entrare a Hogwarts se si tratta della vita di mio figlio!”.

Sarebbe stato un discorso spaventoso… se non avesse indosso una vestaglia aperta, con sotto solo i boxer, e le pantofole a forma di gufo che gli aveva regalato lo zio Ron.

“Oddio!” sussurrò Albus. “La lettera”.

Tutti lo guardarono per incitarlo a continuare, soprattutto James.

“Ero abbastanza certo di, beh, lo sapete, e mi sembrava giusto informare tutti del perché delle mie azioni”.

“Solo, se avessi saputo che sarebbe andata così, non lo avrei fatto”.

“Di scrivere la lettera?” gli chiese Alan.

“No, di non buttarmi”.

 

 

 

 

 

 

 

Fine

(quella vera)

 

 

 

 

 

Il “vero finale” è dedicato a mia sorella, che ci teneva a far sclerare il povero Harry.

 

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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