Di nuovo insieme... o quasi
Fra mille
scintille azzurrine, Jack-Jack attraversò il muro, entrando nel laboratorio. Si
guardò ancora una volta le mani, mentre gli ultimi luccichii si spegnevano.
Ancora gli sembrava... incredibile quello
che gli stava accadendo. Si era ripromesso di non pensarci troppo, altrimenti
l’ansia e la paura avrebbero potuto avere il sopravvento, ma gli era bastato
trovarsi nuovamente da solo, per la prima volta da quando aveva ritrovato Steve
e Melanie, per sentirsi schiacciato dal peso della responsabilità. Prese un
profondo respiro, per poi diventare invisibile e uscire allo scoperto. Dove
poteva essere la sua famiglia?
Come se
qualcuno gli avesse letto nel pensiero, se la ritrovò davanti. Tutti e quattro
erano appesi nella stessa posizione in cui era stato imprigionato il giorno
precedente; suo padre e suo fratello nei loro supercostumi, sua mamma e sua
sorella, invece, in abiti civili.
Flash
stava cercando di dimenarsi in ogni modo, ma sua madre lo fermò: «Calmati,
tesoro, ci hai già provato, risparmia le energie.»
«No,
mamma, non è possibile che mi abbiano rallentato!»
Violetta
sospirò: «Queste catene sono fatte in modo da annullare i nostri poteri. Mi
piacerebbe poter ripetere il trucchetto che avevo
fatto con Sindrome, ma non riesco nemmeno a rendermi invisibile, ora.»
Suo
padre, invece, era stranamente calmo, così tanto che persino sua moglie si
preoccupò: «Bob, stai bene?»
L’uomo le
fece un piccolo sorriso: «Benissimo, Helen. Sto solo aspettando.»
«Cosa?»
«Chi, vorrai dire.»
Flash
sbottò: «Non per disilluderti, papà, ma questi str...»
Helen
alzò la voce: «Flash, modera le parole, soprattutto quando indossi quel
costume! Sarai maggiorenne, ma non ti permetto di usare certi termini in mia
presenza!»
«...ani professori hanno preso tutti i
supereroi in circolazione, anche quelli in abito civile, compresa la mamma, che
era solo al supermercato a fare la spesa, e Violetta, che si stava facendo gli
affari suoi in ufficio! Odio ammetterlo, ma il loro è un piano perfetto! E, in
barba a tutto il lavoro del governo per proteggere le nostre identità segrete,
gli è bastato analizzare il nostro DNA per capire che siamo tutti imparentati!
Non c’è scampo!»
Bob non
perse il suo sorriso: «Ti sbagli. Io so che
c’è ancora un supereroe in libertà, e che volente o nolente tornerà a
prenderci. Deve solo... fare il punto
della situazione, ma tornerà. Me l’ha promesso.»
Anche se
invisibile, J.J. avvampò.
Helen
abbassò il capo, con gli occhi lucidi: «Lo spero, Bob, lo spero tanto... vorrei
solo avere le mani libere per strappare Jack-Jack dalle loro grinfie... spero
che non gli abbiano fatto del male...»
Violetta
le sorrise rassicurante: «Non credo, mamma, hanno ipnotizzato i civili, ma non
hanno fatto loro del male. Vedrai che starà bene.»
«Non si
può difendere e io... se gli accadesse qualcosa e non fossi lì con lui...
io...»
«Mamma,
ti prego, non piangere. Non serve. Va tutto bene.»
Helen
alzò il volto. Proprio lì, di fronte a lei, c’era il suo bambino, con aria tesa
e preoccupata, e per un attimo pensò di avere le allucinazioni.
«Jack-Jack?»
Il
ragazzo, che si era tornato visibile e si era tirato giù il cappuccio, annuì.
«Ciao.»
Flash
sbarrò gli occhi: «J.J., che ci fai qui?»
Violetta
era sconvolta quanto lui: «Non ti ho visto entrare!»
Il
ragazzo ridacchiò imbarazzato, avvicinandosi al pannello di controllo: «Ne
discutiamo dopo, va bene? Adesso cerco di tirarvi fuori da lì...»
Bob non
disse nulla, si limitò a sorridere orgoglioso al figlio minore, che però non
stava capendo davvero nulla di quel pannello.
Flash
esclamò: «Ok, ma che ci fai conciato così? Sembri...»
Jack-Jack
lo interruppe immediatamente: «Edna. Era il prezzo
per il suo aiuto per entrare qui. Non piace neanche a me, te l’assicuro.»
Le sue
dita continuavano ad armeggiare sul touch screen senza risultato e J.J.
iniziò a perdere la pazienza: «Oh, basta!»
Senza
rifletterci troppo, caricò il braccio destro all’indietro, per poi attraversare
con tutta la mano lo schermo. In qualche modo, era riuscito ad entrare
letteralmente dentro il programma,
aggirando tutti i codici di sicurezza e trovando finalmente quello che stava
cercando. I ceppi improvvisamente cedettero e tutta la famiglia Parr si ritrovò sbalzata sul pavimento, libera. Jack-Jack
tolse la mano dal pannello, notando che, per qualche secondo, era rimasta
virtuale, formata da reticoli verdi, per poi tornare del solito colore e
consistenza.
«Ok,
questo non mi era ancora capitato... dovrò aggiungerlo alla lista...»
Si voltò
per controllare che tutti stessero bene, ma subito dietro di lui si trovò sua
madre, che fissava alternativamente il suo volto e la sua mano con aria
sconvolta.
«J.J. ... tesoro... cosa...»
Il
ragazzo iniziò a scrollare la mano velocemente, come a voler far schizzare
dell’acqua: «Ehm... no, niente, mamma, è tutto a posto!»
«Tu...
hai... dei superpoteri?»
J.J. arrossì
così violentemente che temette di prendere fuoco, mentre Bob si limitò a dargli
una fortissima pacca sulle spalle: «Sedici anni di attesa, ma ne è valsa la
pena, eh?»
Helen
divenne rossa almeno quanto il figlio, ma di rabbia: «Bob Parr! Tu sapevi che nostro figlio,
ripeto, nostro figlio, ha dei superpoteri?»
«Te
l’avevo detto di stare tranquilla, no?»
Helen non
si tranquillizzò neanche un po’: «E da quanto lo sapevi?»
«Solo da
quando mi hanno catturato, prima non lo sapevo neanche io, te lo giuro!»
«Tu hai
sempre qualche segreto! Speravo che la storia con Sindrome ti fosse bastata, e
invece guarda qua!»
«Guarda
qua cosa? Nostro figlio è salvo e tu
ti lamenti!»
«Io...»
Helen
iniziò ad aprire e chiudere la bocca, ma senza emettere alcun suono. Lo stesso
fece Bob, fino a che entrambi non si resero conto di aver perso la voce. J.J. era in mezzo a loro, con le braccia aperte e
l’espressione esasperata.
«Sentite,
non cominciate, va bene? Sì, mamma, ho dei superpoteri nuovi di zecca da meno
di mezza giornata. No, papà, capisco che non volessi che mi trovassero, ma
potevi dare qualche segnale in più alla mamma per tranquillizzarla. Tutto il
resto della discussione sulla vostra fiducia di coppia la rimandiamo a quando
avremo risolto questo enorme casino, va bene?»
Tutta la
famiglia lo guardò sconvolta dal piglio del ragazzo, che per la prima volta non
si sentì affatto in imbarazzo.
«Adesso,
se smettete entrambi di litigare, io vi ridò la voce e andiamo a salvare tutti
gli altri, d’accordo? Fate sì con la testa se accettate.»
I
genitori annuirono e Jack-Jack abbassò le braccia.
Flash
diede una gomitata alla sorella: «Mi sa che stavolta il gene del supereroe gli
si è risvegliato davvero...»
«Buono
tu, o zittisco anche te.»
Violetta
gli si avvicinò: «Scusami, J.J., ma esattamente...
che poteri hai?»
«Quello è
parte del problema che devo risolvere una volta finita questa storia. Adesso
scusate, ma devo andare a recuperare gli altri, non so quanto possano resistere
ancora.»
«Gli
altri chi?»
«Steve,
Melanie ed Edna.»
Bob lo
guardò indignato: «Perché hai portato qui dei civili? È pericoloso...»
J.J. sbottò:
«LO SO! Ma davvero hai creduto che mi bastasse una notte per imparare a usare i
miei poteri? Per ora ho bisogno di una valvola di sicurezza e finora loro erano
gli unici disponibili. Adesso che siamo tutti insieme, magari li teletrasporto
fuori di qui, non so... ma per ora limitiamoci a raggiungerli, per favore.»
Il
ragazzo si avvicinò alla porta senza più degnare i parenti di uno sguardo.
Aveva creduto che liberandoli si sarebbe tolto quel peso che gli opprimeva il
petto, ma quello era rimasto beffardamente lì, intatto. Ora il suo pensiero era
per gli amici che aveva lasciato da soli. Era questo quello che provava sempre
un supereroe? Ansia continua? Come si
poteva vivere così ogni giorno? Più tempo passava e più si convinceva di non
avere la stoffa dell’eroe.
Aprì la
porta di colpo e si sentì mancare il fiato.
Il
corridoio era deserto.
Niente
guardie.
Niente amici.
Le mani
di J.J. iniziarono a tremare, mentre l’ansia lo
assaliva come una bestia selvaggia, portandogli via a morsi violenti tutto il
suo autocontrollo.
Cosa aveva fatto?
Cosa aveva permesso loro di fare?
Flash si
avvicinò: «Bé, dove sono?»
La voce
che udì dal suo fratellino fu poco più di un sussurro spezzato dai singulti:
«Dovevano... essere... qui...»
Per
salvare i suoi amici aveva messo in pericolo la sua famiglia.
Per
salvare la sua famiglia aveva messo in pericolo i suoi amici.
Non c’era
modo di uscire da quel circolo vizioso?
Che razza di eroe era?
Anzi, no,
che razza di persona era?
Jack-Jack
avvertì distintamente qualcosa incrinarsi nella sua anima, come se fosse sul
punto di rompersi. Se fosse accaduto non ci sarebbe stato più ritorno, lo aveva
capito. Se le sue emozioni avessero preso
il sopravvento, lui...
Improvvisamente
si sentì abbracciare con forza.
«Non
pensarci nemmeno. Ti ho detto che ti avrei fatto da valvola di sicurezza e
manterrò la parola.»
J.J.
sussultò: «Melanie? Ma che...»
Poco più
in là si udì anche una voce maschile: «Aspetta, aspetta, forse l’ho trovato...
eccolo!»
Scariche
elettriche comparvero dal nulla, per poi far apparire Steve, sempre col
cappuccio calato sul volto, ma con una specie di pistola in mano che prima non
aveva.
«Che...
cosa...»
Steve lo
ignorò per qualche secondo: «Melanie, premi la seconda J della felpa, quella in
basso.»
Dopo
pochi secondi, con lo stesso effetto ottico, anche Melanie ricomparì
fra le braccia di Jack-Jack.
La
ragazza gli sorrise: «Finalmente! Quando siamo stati attaccati, Edna ci ha fatto qualcosa ai costumi e improvvisamente
eravamo invisibili...»
Steve, abbassato
il cappuccio, armeggiò un po’ con la sua felpa: «Interessante... sembra che si
comportino come la pelle dei camaleonti, si mimetizzano con l’ambiente
circostante...»
Melanie
si staccò da J.J. e iniziò ad attaccare l’altro
ragazzo: «Ma insomma, hai passato la notte a progettare i nostri costumi e non
lo sapevi?»
«Io ho
passato la notte a progettare il costume di J.J. e
basta! I nostri sono solo opera di Edna, non sapevo
nemmeno di queste pistole paralizzanti...»
Helen,
uscendo dalla stanza dov’era stata tenuta prigioniera, intervenne: «Scusate,
ragazzi, ma dov’è Edna?»
I due
ragazzi abbassarono lo sguardo: «Ecco... quegli uomini erano troppi per noi...
così ci ha fatto quella manovra ai costumi e si è fatta catturare. Sembrava che
le guardie avessero l’esplicito ordine di non farle del male, per cui lei li ha
seguiti quasi volontariamente.»
«Quasi, anche così non ha smesso di dare
bacchettate a destra e a sinistra...»
J.J. non
riuscì a trattenere un mezzo sorriso, immaginandosi la scena. Mezzo, però, perché
ora erano al punto daccapo.
Dov’era
finita Edna?
«Signora
Mode! Benvenuta, la stavamo aspettando con ansia!»
La
donnina si guardò intorno con occhio critico. L’avevano trascinata in una sorta
di laboratorio di chimica, in compagnia di una decina di professori in camice.
Sbuffò con aria evidentemente infastidita: «Signorina, prego. E sappiate che
non sono d’accordo neanche un pochino con i vostri metodi di accogliere una
signora... e con i vostri camici! Insomma, ma guardatevi... c’è modo e modo di portare
un abito da laboratorio, fatevelo dire da un’esperta!»
L’uomo
che aveva parlato la prima volta, alto, con i capelli scuri sistemati con la
brillantina e un sorriso mellifluo, annuì: «Sappiamo bene che lei è un’esperta.
Le avevamo anche mandato una lettera un po’ di tempo fa per chiedere la sua
collaborazione.»
La donna
rispose con un gesto stizzito della mano: «E chi si ricorda? Ricevo migliaia di
lettere al giorno, sono una signora molto richiesta...»
Un altro
uomo, più basso, biondo, ma con i capelli fermati dalla stessa brillantina,
s’intromise: «Davvero? Non ricorda una lettera firmata Fenix Genesis?»
La donna
sbarrò gli occhi per un istante, sorpresa. Poi riprese il controllo, offrendo
ai suoi rapitori uno dei suoi migliori sorrisi beffardi: «Oh, così eravate
voi... i pazzi che pensano di sovvertire l’ordine naturale delle cose...»
Un altro
scienziato prese la parola: «Oh, lei lo chiama “ordine naturale delle cose”? Cosa
c’è di “naturale” nei superpoteri? La parola ordine sottintende un equilibrio che ora non esiste. Perché devono
esserci persone privilegiate e altre no? Persone che sono in grado di fare cose
straordinarie e altre no?»
Edna alzò gli
occhi al cielo scuotendo la testa: «Voi vedete solo un lato della medaglia...
il rovescio è molto più pesante di quanto voi sciocchi possiate anche solo
immaginare, evidentemente.»
«Oh, si
riferisce al fatto che loro “ci salvano mettendo in pericolo la loro vita”?
Crede davvero in queste baggianate?»
«Sì, ci
credo! O non farei quello che faccio!»
«Queste
risposte mostrano una stupidità che lei in realtà non possiede, signorina Mode.
Davvero crede che con i poteri che possiedono queste persone siano davvero mai
state in pericolo?»
Edna scoppiò:
«Voi non avete idea di quanti e quanti pomeriggi e sere ho passato in compagnia
di eroi che temevano per la loro incolumità! Avere dei superpoteri non è una
passeggiata, a volte, e molto più spesso di quanto pensiate, sono pericolosi
persino per chi li possiede!»
«È
proprio per questo che abbiamo bisogno di lei. Guardi.»
Uno degli
scienziati digitò qualcosa su una tastiera e su una parete comparve un elenco
di volti, nomi e dati.
La donna
sbuffò: «La catalogazione dei superpoteri che ho sul mio hard disk è molto
meglio.»
«Era
proprio per quello che avevamo chiesto il suo aiuto. Invece, ha visto cosa ci
ha costretto a fare? A dover chiedere aiuto a tutta la popolazione della città
per poter stilare una catalogazione imprecisa e imperfetta.»
«Ah, ora
non vorrete certo farmi credere che sia successo tutto per colpa mia! Perché
non ho accettato di collaborare con dei pazzi che vogliono dare a ognuno un
superpotere senza avere la più pallida idea di cosa questo comporti! E poi
quello che avete fatto non lo definirei “chiedere aiuto”. Diamine, avete
ipnotizzato una città intera per i vostri loschi affari!»
«Convincere
tutti avrebbe richiesto tempi e risorse che non avevamo, anche con i mezzi
della nostra prestigiosa università, ma a nessuno di loro è stato fatto del
male. Non è nel nostro interesse, noi stiamo lavorando proprio per loro, per
dare a ognuno di loro un futuro migliore. Per dare a ognuno di loro proprio
quello di cui ha bisogno.»
Edna
ridacchiò amaramente: «Cioè, volete farmi credere davvero che la vostra idea
sarebbe prendere ogni persona, metterla davanti a questo schermo, dirle “scegli
il potere che vuoi” e darglielo, così, senza nulla in cambio? Signori... potete
smetterla di nascondervi dietro questa maschera di assurdo idealismo, giochiamo
a carte scoperte. Voi volete quello che ogni uomo vuole. Fama, potere, soldi...
la solita roba, insomma.»
Lo
scienziato biondo le rivolse uno sorriso mellifluo: «Quelli potrebbero essere
dei piacevoli effetti collaterali, mettiamola così.»
A quelle
parole la donna si chiuse in un serrato silenzio. Gli scienziati provarono a
insistere ancora per un po’, poi vedendo che non aveva la minima intenzione di
collaborare, la rinchiusero.
«Torneremo
fra qualche ora, per vedere se sarà più ragionevole. Potremmo toglierle fin
d’ora quegli auricolari e renderla ai nostri ordini, ma preferiremmo avere a
che fare con lei in modo meno... meccanico.
A più tardi.»
Edna di tutta
la risposta li scimmiottò finché non si furono allontanati, per poi sospirare e
sedersi in mezzo alla stanza. Fenix Genesis? Insistessero pure quanto volessero, da lei non
avrebbero ricavato nulla. Erano degli sciocchi che non avevano neanche le idee
chiare su come costruire il guscio della loro fenice, figuriamoci il contenuto!
Lei, invece, aveva già un piccolo pulcino che muoveva i suoi primi incerti
passi nel mondo... e che sarebbe cresciuto abbastanza in fretta per venirla a
salvare in volo.
Jack-Jack,
nonostante le infinite capacità di cui teoricamente poteva disporre, si sentiva
impotente. La sua famiglia aveva ripreso il pieno controllo della situazione:
Violetta, suo padre e Steve si erano allontanati per cercare altri supereroi e
liberarli, mentre sua madre, Flash, Melanie e lui erano andati alla ricerca di Edna. Il ragazzo, rimasto nelle retrovie del gruppo,
trattenne a malapena un sospiro. Ma quella stupida di una stilista non poteva
mettere un rilevatore anche sul suo costume? Avrebbe semplificato a tutti la
vita!
«J.J.?»
«Dimmi,
Melanie.»
«Perché
hai quel muso lungo?»
Il
ragazzo alzò le spalle: «Per niente di particolare. Sono solo un po’
preoccupato.»
«Per Edna?»
«Per lei
e per tutto il resto. Però tu puoi stare tranquilla, ho finito d’improvvisare
mettendovi nei guai, loro sono dei professionisti e sapranno cosa fare.»
Melanie
sorrise al modo in cui l’amico, senza usare le mani, aveva indicato suo
fratello e sua madre solo con il mento.
«Sei
stato bravissimo, invece.»
«Loro avrebbero risolto la situazione in
metà del tempo, e senza “coinvolgere civili”... e soprattutto senza perdersene
per strada!»
La
ragazza gli rifilò un pugno: «Tu non hai coinvolto civili innocenti, se è
questo che ti preoccupa! Ci siamo messi in pericolo di nostra spontanea
volontà!»
«Rassicurante...
ricordatemi di portarvi tutti a fare un giro da uno psicologo quando usciremo
di qui, dovete avere tutti e tre manie di autolesionismo...»
Melanie
non ebbe modo di rispondere, perché Helen li interruppe: «Jack-Jack, potresti
aiutarci?»
Il
ragazzo alzò un sopracciglio. Cosa poteva ancora fare lui che la sua
superfamiglia non potesse fare?
La donna
gli indicò una parete: «Secondo me è sospetto: non è un muro portante, ma è
troppo spesso per essere una parete divisoria e non c’è neanche una porta.»
J.J. iniziò a
capire dove volesse arrivare sua madre: «Sospetti ci sia un passaggio segreto o
qualcosa del genere...»
Senza
troppi preamboli, il ragazzo infilò la testa attraverso il muro, facendo
sussultare il fratello dallo spavento.
«Avevi
ragione, mamma, qua c’è un laboratorio grosso almeno il triplo di quelli
precedenti. Forse è la loro base operativa.»
«Puoi
portarci dentro?»
Jack-Jack
annuì: «Datevi la mano e formate una catena.»
Nel
sentire il calore del palmo di sua madre nel suo, J.J.
non riuscì a trattenere un piccolo sorriso. A volte non li sopportava, ma in
fondo non poteva fare a meno di loro. Avrebbero affrontato il pericolo insieme, come dei veri eroi, come una
vera famiglia, per una volta, una famiglia di cui finalmente poteva ritenersi
membro a pieno titolo.
Non
doveva più avere paura, continuava a ripetersi.
Ma anche
così quel groppo allo stomaco non voleva saperne di sciogliersi.
Ed eccoci qua. La famiglia Parr
è di nuovi riunita, ma i problemi non sono finiti...
E mentre questa storia si avvia alla conclusione (ma
il prossimo, credetemi, sarà un capitolo col botto!), ringrazio Fogli e mergana per i loro commenti.
Vi aspetto al prossimo capitolo!
CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Hinata 92