Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: BebaTaylor    07/10/2015    5 recensioni
"Lui mi ha messo le corna e mi ha piantato dicendomi che non mi amava più, che vedeva un'altra da sei mesi e che era meglio lasciarci.
E io avrei voluto piantargli il coltello in mezzo agli occhi.
E in più... il Nerd sta suonando la chitarra. Alle nove del mattino. Di domenica. Dio, lo ucciderei spaccandogli la chitarra in testa.
Lancio via i cuscini, mi alzo e vado verso la porta finestra, guardando quella di fronte, quella della stanza del Nerd. Faccio scorrere la porta finestra e percorro a grandi passi la breve distanza che ci separa.
«Vuoi smetterla?» sbraito battendo il pugno sul vetro, «Te la ficco nel cu-»
La porta finestra si apre.
«Sì?»
E questo è il Nerd brufoloso? Oh. Mio. Dio.
«Piantala di suonare.» dico, puntando lo sguardo sul suo viso, «Io vorrei deprimermi in pace e tu, con la tua musichetta allegra, me lo impedisci.»
«Tu devi essere Lindsay.» dice lui. «Io sono Ryan.»
«E chi se ne frega?» sbraito.
«Bel pigiama.»
Che cosa? Che cosa?"
***
"Io lo odio. Giuro che lo odio, 'sto cretino di Ryan.
Lui ride, «Che c'è?» domando.
«Oh,» dice, «Adesso mi odi, ma poi mi amerai, lo so.»"
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'In a World Like this'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Straight Through
My Heart

Dodici
I Cry
*** I cry silenty, I cry inside of me, I cry hopelessly ***



Io non riesco a capire la facilità con cui perdono Ryan. Basta che lui mi fissi, con quegli occhioni azzurri, che sorrida, che me lo chieda con quella vocina... e io mi sciolgo. E lo perdono.
Esco di casa e mi dirigo verso l'auto di Ryan. Ormai è il diciotto Novembre, fra una settimana ci sarà il Ringraziamento. Sono passati sei mesi da quando sono tornata qui eppure certe volte mi sembra di essere tornata a Miami l'altro giorno.
Ryan esce di casa, «Pronta?» mi dice.
«Mi pare ovvio.» rispondo alzando gli occhi al cielo. Saliamo in macchina e Ryan esce dal cortile. «Sempre Starbucks?» domando.
«Ovviamente.» dice lui, «Altrimenti saresti capace di svenarmi, tu e la tua fame.»
«Tu ti sei offerto.» gli ricordo, «Non rompere.»
Ryan sorride, «Io non rompo.» dice, «Dico la verità.» esclama, «Altro che colazione importante, tu mangi abbastanza per tutto il giorno!»
«Al mattino ho fame.» dico, «Se non mangio poi divento nervosa.»
Ryan ride, «Linds, tu sei sempre nervosa.» dice, «Rilassati.» mi sorride.
Alzo gli occhi al cielo, «Cercherò di farlo.» dico.
Finalmente arriviamo da Starbucks, entriamo, ordiniamo — io prendo un paio di muffin e due ciambelle insieme a un cappuccino — e andiamo a sederci e il mio cellulare squilla. È quell'idiota di Elliot, così lo ignoro.
«Non rispondi?» chiede Ryan.
«È Elliot.» rispondo e bevo un sorso di cappuccino, «Non rispondo a quell'idiota.»
Ryan sorride, «Io lo avevo detto che era un'idiota.» dice, «Ma tu non mi ascolti...» fa una smorfia triste.
«Tu lo prendevi per il culo.» ribatto, «È diverso.»
Ryan ride, «Ma avevo ragione!» esclama, «Linds, lascialo perdere.» dice, «È un'idiota mammone.»
Sospiro e rompo a metà una ciambella, «Mica me lo dovevo sposare!» esclamo, «Era solo...» borbotto, incapace di finire la frase.
«Sesso?» suggerisce Ryan, «Linds, sei diventata rossa!» ride, «Almeno ne è valsa la pena?»
«Stupido.» sbuffo, «Non sono affari tuoi!» esclamo. E no, non è valsa la pena. La differenza fra Elliot e un tronco di legno è che il primo ha due braccia e due gambe, altre differenze non ce ne erano.
«Eddai, dimmelo!» dice lui, «Linds...»
«No!» esclamo, «Non sono affari tuoi.» ripeto.
«Allora vuol dire che è proprio pessimo.» dice lui e mangia un pezzo del suo muffin, «Linds, Linds... dovevi immaginarlo che il web-coso fosse scarso sotto quel punto di vista... è un nerd, dopotutto.»
E adesso che glielo dice che ero convinta che anche lui fosse un nerd? Io no. «Ryan, mi fai un favore?» chiedo.
«Se posso.» replica lui e prende una scaglia di cioccolato che si è staccata dalla mia ciambella.
«Smetti di parlare di quel cretino e della mia vita sessuale.» chiedo.
Ryan sorride, «Ma è divertente.» dice, «Oh, dai, Svetlana è a New York, se non puoi parlarne con lei fallo con me.»
Lo guardo e sbuffo, «Io parlo con lei ugualmente, eh.» dico, «Lei sa tutto di me.»
«E che ti ha detto?»
«Sei troppo curioso.» replico.
«Tu non mi dici nulla!» si lamenta Ryan e le sue labbra si piegano in un finto broncio.
«Io non ti parlo di certe cose.» squittisco. 
«Ma io sono curioso!» esclama Ryan.
Bevo il cappuccino e mangio un pezzo di ciambella, «Tieniti la curiosità.» esclamo sporgendomi verso di lui.
«Sei cattiva.» borbotta anche lui e mi guarda. Mi guarda e mi guarda. E lo fa ancora.
Perché?
Distolgo lo sguardo, puntandolo sulla ciambella quasi finita, così prendo l'ultimo pezzo e lo mangio.
Perché ho detto di sì? Non potevo rimanere ancora arrabbiata?
No. Non potevo.
Stupida.

***

Scendo in cucina ancora mezza addormentata, Marisol si sta asciugando le mani. «Ho scaldato dei croissant.» mi dice, «Quelli al cioccolato.»
Ecco come incominciare bene la giornata! «Grazie.» dico, metto una tazza di caffellatte nel microonde, lo avvio e mi siedo al bancone della cucina, mi allungo per prendere il Miami Chronicle.
«Io non lo farei vedere a Ryan.» mormora Marisol.
«Perché?» chiedo e volto il quotidiano per poter vedere la prima pagina. E rimango di sasso quando vedo l'articolo principale. Ignoro il “ding” del microonde e fisso quelle grandi ed enormi lettere nere che campeggiano sul quotidiano principale di Miami. Quotidiano che leggono centinaia di persone.
“Ryan ci ha sempre causato problemi ed ora non ci vuole aiutare” dice un titolo, “Ha accusato il padre di averlo accoltellato ma non è vero” dice il sottotitolo o come diavolo si chiami.
Chi è che ha scritto 'ste stronzate? Trovo il nome, è un tale Philip Green. Un'idiota, suppongo. Un cretino che ha trovato la laurea in giornalismo nelle patatine. C'è chi trova stronzatine e chi trova lauree. Chissà dove abita e che macchina ha...
«Grazie.» sospiro a Marisol che mi ha portato la tazza di caffellatte e un cucchiaio.
«Vado a vedere se la lavatrice ha finito.» dice. Oggi è il giorno in cui si lavano le tende di tutta casa.
E chi se ne frega, aggiungerei. Scorro velocemente l'articolo, stupide parole false e bugiarde.
“Ryan non ha mai ascoltato nostro padre. Lui era una testa calda e papà cercava di farlo ragionare, non voleva accoltellarlo!”
Stupido fratello di Ryan.
Devo nascondere questo quotidiano e sperare che Ryan decida di fare l'ignorante e che non apra nessun sito di notizie o di gossip. O Twitter, Facebook o qualsiasi social network esistente.
Faccio colazione e getto il quotidiano nella spazzatura, lavo la tazza e il cucchiaio e li rimetto al loro posto.
Dopo essermi lavata i denti esco di casa e vado alla sede del corriere espresso per ritirare un pacco che mi sono fatta spedire da Londra. È più comodo così, visto che non so mai quando sono a casa.
Una mezz'ora dopo torno a casa — anche perché mi sono accorta di aver dimenticato i cellulari nella mia stanza —  e appena entro nel cortile mi accorgo che qualcosa non va. Ryan è seduto sulla panchina che sta fra la porta finestra della sala e la finestra del bagno. E ha in mano il Miami Chronicle.
Posteggio e scendo, lo raggiungo di corsa e mi fermo a un paio di passi da lui. «Ryan...» mormoro.
«Avevo finito il caffè.» dice, «Così sono venuto da te per prenderlo. Avevo una merendina in mano e l'ho mangiata, quando ho buttato la confezione ho trovato questo.» mormora, «Mi sono chiesto perché uno di voi avesse buttato il giornale di oggi... poi ho letto.» continua, la voce incrinata, lo sguardo fisso sui fogli di carta che stringe fra le mani.
Mi siedo accanto a lui e poso la mano sinistra sulla sua schiena, sentendo i muscoli rigidi. «Mi dispiace.» dico, «Io non volevo che lo vedessi.»
Lui si volta verso di me e mi guarda, fa un sorriso tirato e sospira, «Lo so, Linds.» dice, «Grazie.» mormora e ho la sensazione che possa piangere da un momento all'altro. «Linds... non è vero nulla, lo giuro.» mormora, «Sono solo bugie...» continua, «Perché?» chiede e mi fissa.
«Non lo so.» rispondo e gli massaggio la schiena. Ha tutti i muscoli tesi.
«Io... non è vero nulla.» ripete e io lo abbraccio, d'istinto, perché è l'unica cosa giusta che possa fare.
Ryan fa un paio di sospiri, quelli che uno fa quando non vuole piangere, «Lo so che sono solo un mucchio di stronzate.» gli dico e gli accarezzo la schiena.
«Perché ora?» mormora lui stringendomi.
Qualche idea ce l'avrei del perché di tutto questo. «Sono solo gelosi.» dico.
Lui sospira ancora, poi il suo cellulare squilla, lui sbuffa, si stacca da me e prende il cellulare. «È Carl» dice, «Dimmi.» mormora rispondendo. «È qui.» dice, «Carl vuole sapere perché non rispondi.» esclama guardandomi.
«Ho dimenticato i cellulari in camera.» dico e lui lo riferisce a Carl.
«Okay.» sospira. «A dopo.» lo saluta e riattacca, «Fra un'ora dobbiamo essere alla casa discografica.»
Annuisco e strappo il giornale dalle sue mani, «Okay.» esclamo e guardo la mia auto, «Dammi una ventina di minuti...»
Lui annuisce e con il passo stanco se ne torna in casa sua. Attendo qualche istante, poi prendo il pacco dal bagagliaio ed entro in casa, lo nascondo nella mia cabina armadio e sospiro.
Dopo essere andata in bagno recupero i cellulari e li ficco in borsa; esco in giardino e vedo Ryan uscire dalla dependance a testa bassa. «Andiamo con la mia.» esclamo e lui si limita ad annuire e raggiungermi.
In una mezz'ora siamo alla casa discografica, entriamo e saliamo al nostro piano. Jake, Chris, Liam e Aaron sono già qui. Due minuti dopo Carl ci chiama nel suo ufficio.
Carl sospira e si siede sulla sua poltrona, si passa la mano destra sul viso e guarda Ryan. «Devi rilasciare una dichiarazione in cui spieghi come sono andate le cose.» dice, «Spiegherai come sono andate le cose e che c'è un rapporto di polizia e una sentenza che spiega cosa è successo veramente.»
Ryan annuisce, «Okay.» mormora. «Lo farò.» dice e sospira. «Quando?»
Carl lo guarda, guarda me e gli altri e di nuovo Ryan, «Domani pomeriggio.» dice, «E voi starete accanto a lui.» aggiunge, «Non direte nulla, ma sarete di supporto.»
Ryan si limita ad annuire e mi guarda, gli occhi tristi, «Io sarò dietro la telecamera.» sorrido. 
«Ryan, vai con Jacob, ti aiuterà lui a scrivere il comunicato.» esclama Carl
«Perché non può farlo Linds?» chiede Ryan, «Lei sa ed è brava.»
«Perché è coinvolta.» risponde il mio capo.
«Okay.» mormora Ryan.
Rimaniamo ancora un po' lì, poi io vado nel mio ufficio — in realtà un cubicolo con un scrivania, una sedia e un casellario —, accendo il computer e mentre il sistema operativo si carica vado a prendermi un cappuccino.
Torno alla mia scrivania, mi collego al profilo Twitter del gruppo e al mio Facebook privato. Neanche due secondi dopo che la pagina si è caricata, Svetlana mi contatta sulla chat.
“Come sta?” chiede. Non le ho mai raccontato nulla, e neppure Liam.
“Insomma.” digito, “È molto giù.”
“Eh, immagino. Povero.”
“Domani c'è l'intervista in cui spiega tutto, non so ancora a che ora.”
scrivo, “Adesso lo scrivo anche su twitter.” digito e lo faccio, apro anche la pagina con le notifiche. Sono
centinaia. 
“Non mi avevi detto nulla.”
Sospiro e bevo un sorso di caffè, “Ryan non vuole che si sappia.” invio, “Non voleva.” mi correggo subito dopo.
“Anche io non lo vorrei se fossi al suo posto.” scrive lei.
“Nessuno lo vorrebbe.” scrivo, “Dio, le menzioni aumentano a ogni secondo!” mi lamento, “Ma se non so ancora l'ora a fare me la chiedono? Ho detto che lo dirò domani mattina!”
“Vogliono sapere.”
“eh, lo so.”
digito, “Ma neanche io la so... e l'ho anche scritto!”
“Sono impazienti e curiose!”
scrive lei, “Adesso vado che la pausa è finita. Ci sentiamo dopo”
“A dopo.”
la saluto e mi concentro sulle interazioni di Twitter. Tutte che vogliono sapere come sta Ryan, cosa possono fare, che è “un povero cucciolo”, a che ora ci sarà il comunicato. E poi Melanie. Conto almeno una trentina di tweets che dicono tutti la stessa cosa: “Povero Ryan! Vorrei consolarti! Rispondimi, per favore!!!1!!!”
Non le rispondo, ovviamente. Su Facebook non mi può contattare perché per lei sono sempre off-line...
Ma non ho contato il cellulare. Se non le rispondo è capace di chiamarmi all'infinito. «Che c'è?» rispondo in modo brusco.
«Cosa succede a Ryan?» piange la Piaga.
«Non hai letto il giornale?» chiedo.
«Sì.» risponde, «Ma non capisco.» dice. Eh, lo immaginavo. «Perché non me ne ha mai parlato?» piange, «Io sono sua amica!»
Dio, che mal di testa. «Perché lo ha detto solo alle persone di cui si fida e tu non sei una di loro. Io sì.» dico, «Adesso devo salutarti, devo lavorare.» aggiungo e riattacco. Speriamo che non chiami più, altrimenti ficco il suo numero nella blacklist.
Due ore e mezza dopo — e dopo altre dieci chiamate di Melanie, che ha rotto le palle anche ad Aaron — possiamo tornare a casa.
Ryan è silenzioso e guarda fuori dal finestrino. «Puoi accendere la radio, se vuoi.» esclamo. Lui si limita ad annuire ma non fa nulla, così il viaggio prosegue in silenzio.
Una volta a casa Ryan se ne va nella dependance senza salutare e io non gli dico nulla, perché non saprei cosa dire. Saprei cosa fare, però: un bel cazzotto a ogni membro della sua famiglia e uno anche a quel giornalista del cazzo.
Invece entro in casa e vado in camera mia, getto la borsetta sulla poltroncina e mi butto sul letto, esausta.

Mi risveglio che sono le sette meno un quarto. Con uno sbadiglio mi alzo in piedi e vado in bagno, quando scendo in cucina scopro che mamma ha preparato il passato di verdure, «Portane un po' a Ryan.» dice, «Non credo che abbia voglia di cucinare.»
«Okay.» esclamo e prendo uno di quei contenitori che si possono usare anche nel microonde, tolgo il coperchio e passo il tutto a mamma. «Ehm... non è un po' troppo?» chiedo quando vedo che versa almeno due porzioni.
«Tu mangi là con lui.» risponde lei.
«Ah...» faccio, «Okay.» dico e mi accorgo che ha ragione, altrimenti Ryan non mangerebbe nulla. Mamma chiude il contenitore, prende un pacco di crostini e mi mette il tutto fra le braccia. La saluto e vado, uscendo dalla porta finestra del salotto.
Spio dalla finestra della cucina e vedo Ryan prendere una birra dal frigo, busso al vetro e Ryan apre la porta finestra. «Cena a domicilio. Passato di verdure.» sorrido ed entro, poso il contenitore sul ripiano accanto al lavello e lo apro. «I piatti fondi?» domando.
«Resti qui?» chiede lui a bassa voce e io annuisco, «Grazie.» mormora e prende i piatti e un mestolo, mentre verso la cena nei piatti Ryan prepara la tavola.
Ceniamo praticamente in silenzio. Io non so cosa dirgli e lui non ha voglia di parlare. E lo capisco benissimo.
«Domani dobbiamo essere là per le nove.» gli ricordo mentre sparecchiamo.
Ryan annuisce, «Lo so.» dice, «Vuoi un'altra birra?» mi chiede aprendo il frigo.
«No.» rispondo, «E neppure tu dovresti berla.» gli dico.
Ryan fissa la bottiglia che stringe nella mano sinistra, sospira, guarda me, di nuovo la bottiglia e la rimette nel frigo. «Hai ragione.» dice, «Succo ace?» chiede, «Ho anche delle girelle, se vuoi.»
«Okay.» dico, «È perfetto.» sorrido.
Anche Ryan sorride e, anche se ha gli occhi rossi e gonfi, è bellissimo.
Parla, Lindsay. Parla.
Ovviamente non dico nulla e mi siedo al tavolo della cucina, allo stesso posto di prima.
Ryan mi porge un bicchiere pieno di succo e una merendina, lo ringrazio e lo guardo sedersi. Sembra così stanco, provato... 
«Grazie.» mormora dopo una manciata di minuti di silenzio, «Per tutto.» dice.
Io sorrido, «Di nulla.» esclamo.

***

L'intervista è caricata sul sito appena finisce, verso le cinque del pomeriggio.
Condivido il link su Twitter e attendo i messaggi che non tardano ad arrivare.
Tutti dicono che lo sapevano che Ryan non aveva fatto nulla, che è solo un povero cucciolo con una famiglia molto cattiva...
Anche Melanie non si risparmia: continua ad inviare tweets in cui chiede a Ryan di rispondere ai DM.
Ovviamente lui non lo fa. Almeno credo. Liam è al telefono con Svetlana e sono tutti “pucci-pucci, mi manchi, ti amo”; gli altri sono presi a rispondere ai messaggi delle fans.
«E che palle.» borbotto quando Melanie mi chiama, così devio la chiamata alla segreteria e riprendo il mio lavoro ma lei richiama. «Che c'è?» rispondo bruscamente, «Sto lavorando.»
«Puoi dire a Ryan di rispondermi?» mi chiede lei. Ovviamente salutare è roba vecchia.
«No.» rispondo, «Se vuole ti risponde, se non vuole non lo fa.» dico.
«Ma io voglio sapere se posso fare qualcosa per lui!» strilla lei. «Io lo amo!» dice.
Sospiro e mi appoggio contro lo schienale della mia poltrona. «Una cosa la puoi fare,» esclamo «smettere di rompere i coglioni.»
«Sei tu che non vuoi che mi risponda!» strilla quella e se ce l'avessi davanti la strozzerei.
«Senti, perché non scassi le palle a qualcun altro?» sbotto, «Tipo Aaron.» dico e riattacco.
«E io che c'entro?» chiede l'interessato.
«Nulla, ma almeno non mi rompe le palle.» sospiro.
«Quasi quasi smetto di seguirla.» mormora Ryan. «Mi ha mandato tredici DM in un quarto d'ora.»
«Fallo.» dico, «Spero che non se la prenda con me.»
«Puoi dire che è colpa di Aaron.» s'intromette Chris.
Rimaniamo alla casa discografica per un'altra ora, poi abbiamo il permesso di tornare a casa. Anche durante il viaggio di ritorno Ryan è silenzioso. «Come ti senti?» gli chiedo.
«Un po' meglio.» sospira, «A parte Melanie» sorride.
«Chissà cosa farà quando scoprirà che hai smesso di seguirla...» rido.
«Ti dirà che è colpa tua.» dice Ryan. «Puoi sempre spingerla in piscina se ti dà fastidio.»
Rido, «Sembra una buona idea.» esclamo. Sono felice che Ryan stia meglio. «Ma tu non buttarti in piscina per salvarla!»
«Non ci penso neppure.» dice e io gli sorrido.
Arriviamo a casa poco prima delle sette. «Grazie.» dice Ryan scendendo dall'auto.
Scendo anche io e lo guardo, «Di nulla.» esclamo, «Siamo amici, no?»
Ryan continua a fissarmi, «Siamo amici.» conferma, «Ci vediamo domani.» dice ed entra nella dependance.
Siamo solo amici.
Solo amici.
Lo sapevo.
Deglutisco ed entro in casa, trovo una pizza, ancora nella sua scatola, sopra al bancone. “Noi siamo al Soleil, scaldati la pizza. Mamma.” c'è scritto su un post-it accanto alla scatola.
Accendo la tv, ignorando qualsiasi canale dove ci sono telegiornali o trasmissioni da salotto, dove la conduttrice fa facce sconvolte a qualsiasi cosa. Così opto per una televendita di prodotti da giardino. Scaldo la pizza nel microonde e ceno con le parole di Ryan che mi girano in testa.
Io e lui siamo solo amici.
Che schifo. Mi viene da piangere.  

*** 

Questa è la nostra serata libera e dove la passiamo? In discoteca, ovviamente. In mezzo a un casino infernale, dove bisogna gridare per farsi sentire. Ho giù preso tre gomitate e mi hanno schiacciato i piedi per due volte. Non ne posso più.
Adesso siamo seduti su dei divani di pelle nera e ci stiamo godendo i nostri drink, dopo aver ballato per una buona mezz'ora.
Cioè... hanno ballato i ragazzi, io mi sono limitata ad ondeggiare un po'.
«Ballerai, vero?» chiede Ryan. Dove siamo ora il volume della musica è più basso, così non siamo costretti a gridare
«Non credo.» dico.
«Lindsay, su, balla!» esclama un Chris molto alticcio e mi rendo conto che dovrò controllarlo per bene, prima che vomiti nel vaso di uno dei bonsai che decorano la discoteca. «Sei una cheerleader!»
«Lo ero.» lo correggo, «E poi devo tenervi d'occhio.» dico, «Questi erano i patti.»
«Linds... sciogliti un po'!» dice Ryan, «Altrimenti gli altri penseranno che ti annoi!» aggiunge e beve un sorso di birra, «E che sei scontrosa.»
Alzo gli occhi al cielo, «E che lo pensino.» ribatto, li guardo e sbuffo, «E va bene!» cedo, «Ballerò.» dico, «Ma voi dovete fare i bravi.»
«Noi siamo bravi.» commenta Jake, solo che non mi guarda, troppo preso a fissare una ragazza che passa. A dire la verità sta fissando il sedere di quella.
«Non ci è vietato guardare.» esclama Ryan.
«Io non ho detto nulla.» ribatto, «Solo che sai, se Jake parla con me può evitare di guardare le chiappe di una che sta passando.»
«Oops.» ride Jake, «Scusa, ma quella meritava!» dice.
Sbuffo, bevo un sorso di Long Island e non ribatto. Come non lo faccio quando Ryan mi trascina in pista.
Il DJ deve essere appassionato di musica dance anni '90, perché mette su solo quella.
Ballo in mezzo ai ragazzi, Ryan è proprio davanti a me. E si muove dannatamene bene, lo guarderei per ore. Muove i fianchi in una maniera che... Dio, ho bisogno di una boccata d'aria. O di una doccia gelata. Faccio un passo indietro e quasi cado quando inciampo contro qualcosa o qualcuno. Ryan mi afferra la mano e mi impedisce di cadere.
«Tutto okay?» chiede.
«Sì!» rispondo, «Grazie.» dico e guardo la mano di Ryan che stringe ancora il mio polso. E lo guardo. E lui mi fissa.
Un brivido corre lungo il braccio, da dove mi sta stingendo e prosegue lungo la schiena. Resterei qui per sempre. 
E poi... l'ennesima canzone dance finisce, c'è silenzio per un paio di secondi, fino a quando il DJ non ha la brillantissima idea di mettere "I don't wanna miss a thing". Fisso Ryan, incapace di dire qualcosa di sensato. Anche lui mi fissa e poi alza la mano destra, il palmo in alto. E mi guarda.
Mi guarda con i suoi occhi azzurri, le labbra piegate in un sorriso e i capelli leggermente spettinati.
«Linds.» dice, quasi un sussurro che sembra rimbombare lungo le pareti.
E ho paura. Una paura atroce, che mi attanaglia lo stomaco.
«Linds.» ripete avvicinandosi ancora un po'. «Vuoi...» e si ferma. E mi guarda.
E dico la cosa più stupida che possa dire: «Devo andare... in bagno.»
E faccio la cosa più stupida che possa fare. Scappo. Corro via dalla pista, lasciandomi dietro Ryan che probabilmente penserà che sia una cretina e mi rifugio in bagno. Entro in uno dei cubicoli, chiudo il chiavistello e mi appoggio alla porta.
Posso essere più cretina di così?
La risposta è una sola: no.
Avrei potuto ballare abbracciata a lui. Fissarlo negli occhi e magari dirgli quello che provo.
E invece no. Il tutto perché sono la più grande cogliona della Terra, se non dell'intera galassia.
Era la mia occasione e l'ho buttata nel cesso.

Sono quasi le tre quando usciamo dalla discoteca. Nel parcheggio mi blocco quando vedo una stangona dai capelli rossi avvinghiata al braccio di Ryan. La stessa di prima, quella che ballava con lui quando ho avuto il coraggio di uscire dal bagno.
Non c'è bisogno di dire che mi sono dovuta trattenere dal darle un paio di ceffoni.
«Te la porti a casa?» chiedo raggiungendolo.
«Sì, Lindsay, viene a casa con me.» risponde lui, «Si chiama Savannah.» dice, poi le sorride e la bacia. Un bacio che sembra l'antipasto di qualcos'altro. Un qualcosa che non ho voglia di immaginare; poi le mani di Ryan scendono sul sedere di quella, un sedere rifatto, ne sono sicura, e lo palpa.
«Cazzo, Ryan, sei in pubblico!» strillo, «Ricordati quello ti ho detto!» continuo a strillare, «Non puoi farlo!»
«Oh, ma piantala.» sbotta lui staccandosi dalla ragazza di cui mi sono già scordata il nome, «Non sei la mia baby-sitter.» dice.
«Ma sono quella che deve assicurarsi che tu non finisca su qualche stupida rivista di gossip solo perché hai infilato due metri di lingua nella gola della prima che hai raccattato in giro.» ribatto.
«E che palle.» sbuffa Ryan.
«E che palle dovrei dirlo io, non tu.» ribatto, «Santo Cielo, sai appena il suo nome!» sbotto, «Potrebbe essere una prostituta con la gonorrea e la candida e solo Dio sa cosa.» dico indicando la ragazza.
Lui mi fissa e stringe le labbra.
«Non mi offendere.» squittisce quella, «Io non ho quelle cose.» dice.
«Non hai malattie a trasmissione sessuale ma sei una puttana?» rido, «Complimenti!» 
«Lindsay... chiedile scusa.» dice Ryan.
«No.» rispondo.
«La sua è tutta invidia.» dice Savannah, «È solo una stupida frustata... magari è stata anche tradita.»
Se la picchiassi? Sarebbe una vera soddisfazione. Guardo Ryan, in attesa che dica qualcosa ma lui rimane in silenzio. «Idiota.» sbuffo e guardo Ryan che bacia di nuovo quella lì. «Se finisci sui giornali io non voglio avere nessuna colpa, okay? La responsabilità è tutta tua e di quella lì.»
«Lindsay!» esclama lui, «Non rompere i coglioni.» dice, «Muovi il culo, che voglio andare a casa.»
«Oh, sì.» ridacchia quella, una risata che mi fa rimpiangere quella di Melanie, «Vogliamo andare a casa.» continua a ridacchiare.
Non replico perché se lo facessi come minimo darei un pugno a quell'ochetta rifatta.
«Ryan!» esclama Jake.
«Che c'è?» risponde bruscamente l'idiota, «Non rompere!» grida.
«Sei un'idiota.» sbotta Jake.
Ryan gli lancia un'occhiataccia e prosegue verso la sua auto. «Tu sali dietro.» dice, «Lindsay... parlo con te.» sospira.
«Okay.» sbuffo. Apro la portiera e salgo, distogliendo lo sguardo quando Ryan e Savannah si baciano. Che... schifo, ecco.
«Non sbattere la portiera!» sbotta Ryan.
«Non l'ho fatto apposta!» mi giustifico. E non è vero, perché ho chiuso la portiera con forza solo per dargli fastidio. Perché lui sta dando fastidio a me, quando bacia quella, quando allunga le mani su quella...
Lindsay, sei cretina. Ma anche tanto.
Merito il primo premio in stupidità.

Finalmente arriviamo a casa e apro la portiera ancora prima che Ryan fermi l'auto, stringo la mia borsetta, guardo Ryan che bacia quella lì ed esco dalla macchina.
«Lindsay... non saluti?» mi riprende Ryan, mi giro e lo guardo scendere dall'auto, «Non essere maleducata.» dice.
Sto per rispondergli quando vedo la rossa rifatta che scende dall'auto, fa il giro di essa e si butta fra le braccia di Ryan.
C'è bisogno che risponda? No, così mi volto e mi dirigo verso la porta d'ingresso.
«Lindsay!» grida Ryan, «Non rispondi?»
No, non rispondo.
«Su, cicci, lasciala perdere.» esclama quella.
Entro in casa mia, salgo nella mia stanza. E faccio una cosa che non ho mai fatto: apro la porta finestra, chiudo le persiane, la porta finestra e tiro le tende.
Stupido Ryan. E stupida me.
E puttana quella là.

*-*-*

Fisso le persiane chiuse della stanza di Lindsay e mi chiedo cosa diavolo le sia saltato in mente. Era tutto così... perfetto. Stavamo ballando, poi quella canzone e io la volevo ballare con lei, volevo farlo con tutto me stesso, ma lei è scappata, come se avesse avuto davanti un mostro invece che me. E io non ho fatto nulla. Sono rimasto lì come un cretino e ho detto di “Sì” alla prima ragazza che mi ha chiesto di ballare.
Che cretino.
«Cicci... cosa fai?»
Guardo Savannah, sdraiata nel mio letto, ancora nuda. «Secondo te?» sbotto, «Guardo fuori dalla finestra.»
Lei fa una smorfia, «Vieni qui, cicci.» dice.
«Non chiamarmi cicci.» sbotto e mi avvicino al letto, mi ficco sotto le coperte e do le spalle alla ragazza. «Buona notte.» sospiro.
«Non vuoi...» sussurra lei e mi tocca il fianco destro.
«Sono stanco.» rispondo. «Fra tre ore ho un impegno, vorrei dormire ancora un po'.» dico, «Adesso taci e dormi.» sospiro.
Lindsay...

***

Lindsay non c'è. Sono le quattro del pomeriggio e Lindsay è ancora in giro. Non mi risponde quando la chiamo al cellulare. Non risponde quando le invio qualche SMS, né sul suo numero personale né su quello di lavoro.
Dov'è? Sta bene? Cosa diavolo le è preso? 
Sospiro, fisso la mia tazza di caffè e mi viene in mente quando Lindsay è rimasta chiusa fuori di casa e io l'ho fatta dormire qui. Sul divano perché sono un coglione patentato.
Gemo e poso la fronte sul tavolo. Perché sono così coglione? Perché non le dico quello che provo? Potrebbe andare male, anzi, andrebbe di sicuro male, ma almeno lei saprebbe.
E se si licenziasse?
Non voglio che lo faccia! Senza contare che poi litigherei con gli altri che darebbero la colpa tutta a me e avrebbero ragione.
Passa un'altra ora prima che Linds arrivi a casa, esco in fretta dalla cucina, passando per la porta finestra e la raggiungo.
«Che vuoi?» sbotta lei.
«Sapere come stai.» rispondo, «Va tutto bene?» chiedo. «Sei uscita presto...»
Lei mi fissa e sbuffa, si avvicina al portabagagli, sembra che voglia aprirlo ma non lo fa. «Tutto bene.» sbuffa. «La tua amichetta?»
«È a casa sua.» rispondo. Non c'è bisogno che le dica che ho chiamato un taxi, svegliato Savannah e spedita a casa con la promessa che l'avrei richiamata. E credo che lo farò. Perché tanto Lindsay non mi vuole.
Lindsay mi fissa per un'istante, poi si volta e rientra in casa, la seguo perché voglio sapere il motivo per cui ha reagito in quel modo. «Che ti è preso questa notte?» le chiedo entrando dopo di lei.
«Chi ti ha detto che potevi entrare?» sbotta. «Stavo solo facendo il mio lavoro!» dice.
Sospiro, fermo a due passi dalla porta d'ingresso. Da dove sono posso vedere la porta della cucina; se facessi un passo avanti avrei uno scorcio del salotto, con i grandi divani e il pianoforte. «Sembravi isterica.» dico, «È solo quello?» chiedo, «O c'è altro?» continuo, «Perché.. perché lo sai che puoi parlarmi.» dico, «C'è di mezzo il tuo ex? Elliot?» chiedo, «Perché se hai problemi con loro posso aiutarti.»
«Non sono loro il problema.» risponde lei e stringe di più i manici della sua borsa.
«E allora qual è?»
Lei non smette di fissarmi, le labbra strette. Gonfia le guance, espira e poi dice una cosa che non mi sarei mai aspettato, una cosa che non capisco. Un qualcosa che mi fa vacillare. La fisso, incapace di pensare mentre dice: «Il problema sei tu.»
«Adesso esci.» aggiunge dopo qualche secondo. E io lo faccio, perché non voglio che si arrabbi ancora di più con me.
Il problema sono io. Il problema sono io. Forse perché non faccio quello che mi dicono lei e Carl. Forse perché deve stare dietro ai casini che combino.
Merda, questa volta sarà complicato farsi perdonare.

***

«Linds... scusa.» ripeto per l'ennesima volta mentre siamo in ascensore. «Mi dispiace.» dico.
Lei rimane nello stesso silenzio degli ultimi quattro giorni e non mi guarda nemmeno, si limita a sbuffare.
«Linds... dimmi qualcosa, per favore.» la supplico e la guardo ma lei si gira verso la parete dell'ascensore, «Insultami.» mormoro, «Dimmi qualsiasi cosa, ma ti prego, parlami.»
La guardo, sperando che dica qualsiasi cosa. Anche un insulto sarebbe bello, perché almeno non mi ignorerebbe. È terribile essere ignorato in questo modo. «Lindsay...»
L'ascensore si ferma al piano e Lindsay esce senza dirmi una parola.
«Ancora male?» mi chiede Liam.
«Già.» sospiro e la guardo entrare nell'ufficio di Carl, «Non mi dice mezza parola.» dico, «Niente di niente, neppure un “Sei un'idiota”.» sospiro.
Liam alza gli occhi al cielo, «Dalle tempo.» mi dice.
«Sei scemo.» sbotta Jake.
Io non dico nulla e mi giro quando l'altro ascensore si apre ed escono Aaron e Chris. Entriamo nell'ufficio di Carl e ci sediamo. Lindsay non mi degna di uno sguardo mentre saluta gli altri. C'è anche Joshua, il “capo” di Carl.
«Ryan...» sospira Carl e mi lancia una rivista. “Nuova fiamma per Ryan Messer” c'è scritto e c'è una mia foto mentre bacio Savannah.
«Signorina Mars.» esclama Joshua e Lindsay sussulta, «Non le era stato chiesto di controllare Ryan?» chiede e Lindsay annuisce, «Perché non lo ha fatto?» chiede, «La paghiamo anche per questo.» continua, «È il suo lavoro.»
«Io...» pigola lei, «Io l'ho fatto, ma se lui è un coglione non è colpa mia.» dice senza fissarmi neppure per mezzo secondo.
«Avrebbe dovuto fare di meglio.» ripete Joshua, «Aveva detto che sarebbe stata attenta dopo quello che era successo a New York.» continua. «Queste cose non mi piacciono.» dice.
«Io ho fatto il possibile.» esclama e mi accorgo che sta per piangere, «Ma lui non mi ascolta.»
«Avrebbe dovuto fare di meglio.» ripete quel cretino, «Non mi piacciono queste cose.» continua e sulle guance di Lindsay scorrono alcune lacrime.
«Non è colpa sua.» interviene Chris e Lindsay lo fissa, riconoscente.
«Non sto parlando con te.» dice Joshua, «Sto parlando con Lindsay e voglio sapere perché non ha controllato Ryan.»
«Perché Ryan è un coglione.» esclama Chris, «Lindsay fa il possibile per non farci fare cazzate e lo fa anche bene,» continua «ma Ryan è uno scemo che non l'ascolta e fa di testa sua.» dice, «La colpa non è di Lindsay, lei glielo ha detto di non baciare quella lì in pubblico, ma l'imbecille qui presente non le ha dato ascolto.» 
«Chris ha ragione.» interviene Carl e io continuo a guardare Lindsay che piange e vorrei andare da lei e abbracciarla, dirle che sono un coglione e supplicarla di perdonarmi. E magari dirle che sono innamorato di lei. Ma non lo faccio perché sono scemo. «Lindsay non c'entra.» riprende a parlare Carl. «Lei fa il possibile ma Ryan è stupido.»
Io annuisco, «Hanno ragione.» ammetto, «La colpa non è di Lindsay ma solo mia.» dico, «La prego, non la sgridi, ho sbagliato io!» mi rivolgo a Joshua.
Quello mi fissa e sospira, «Per questa volta.» dice e io guardo Lindsay che, però, mi ignora.
«Posso andare in bagno?» pigola lei e mi ricorda una ragazzina delle medie che chiede all'insegnate più severa il permesso di andare in bagno. Carl annuisce e lei afferra la sua borsa e scappa. Ovviamente non mi guarda.
«Lindsay... scusa.» ripeto quando esce dal bagno. Forse ha ragione quando mi dice che sono un maniaco. «Per favore... non ignorarmi!» esclamo, «Se devo mettermi in ginocchio per essere perdonato lo farò!» le dico seguendola nel corridoio, «Linds...»
«Ti rendi conto che sono stata quasi licenziata per causa tua?» sbotta voltandosi verso di me, «Forse non te ne sei reso conto, ma a me questo lavoro piace!» grida, «E non voglio perderlo per causa tua!» continua, «Se ci fossi solo tu mi licenzierei ma ci sono anche gli altri! A loro non pensi? Sei uno stupido cretino che pensa solo a se stesso! Sei un'imbecille!» sbraita, ansima e si allontana da me.
E mi rendo conto di averla persa.
Entro nel bagno degli uomini, mi chiudo in uno dei cessi, faccio un respiro profondo e cerco di non piangere.
Ma non ci riesco.

«Sai dov'è Lindsay?» domando a Rachel.
«È andata a casa.»
«È andata a casa?» ripeto, «Ma siamo venuti qui insieme!»
«Mi ha chiesto l'orario dei bus.» dice Rachel e indica un foglio ripiegato.
«In bus?» chiedo, «Ma da quando è qui non ci è mai salita!» dico. Rachel alza le spalle e beve un sorso di tisana o tè o qualunque cosa sia. «Uhm, okay, grazie.» mormoro, «Ci
vediamo.» dico e mi allontano, dirigendomi verso gli ascensori.
Lindsay ha preferito andare a casa in autobus che aspettarmi e tornare con me. Sono cretino. Stupido. Imbecille.
Credo che mio padre abbia ragione quando mi chiama fallito. Lei ha fatto tante cose per me, è venuta in prigione e dalla mia famiglia con me, mi è sempre stata vicino e io... cosa ho fatto? Per colpa mia ha quasi rischiato il licenziamento.
L'ho persa.

«Perché sei tornata in bus?» domando a Lindsay senza quasi darle il tempo di varcare il cancello, «Avresti potuto tornare con me.»
Lei mi fissa per un'istante poi distoglie lo sguardo, mi supera e non mi risponde, «Linds...» la chiamo, «Scusa.» dico, «Mi dispiace.» esclamo seguendola, «Non volevo che ti sgridassero.» dico, «Perdonami! Per favore...»
«Smettila!» sbotta girandosi verso di me, «Forse non volevi ma quando baciavi quella là non ci pensavi che ci sarei andata di mezzo anche io!»
«Scusami.» ripeto, «Mi dispiace.» ribadisco, «Sul serio, io non pensavo che se la prendessero così tanto.»
Lei mi fissa e sospira, fissa le chiavi che ha in mano e mi guarda, «È questo il problema, Ryan.» dice, «Tu non pensi mai.» mormora, «Non pensi mai.» ripete e prende la chiave della porta d'ingresso.
«Linds... scusami.» ripeto, «Mi dispiace.» dico, «Mi perdoni?»
«No.»
Gemo e chiudo gli occhi per un istante. Non mi perdona. Lindsay non mi perdona.
«E non chiamarmi Linds.»
No.
«Scusami.» dico, «Mi dispiace.» ripeto per l'ennesima volta.
Lindsay non replica, non mi guarda e cerca di infilare la chiave nella toppa ma il mazzo le cade per terra e solo ora mi accorgo che le sue mani tremano. Fissa le chiavi e si china per raccoglierle ma prima che possa farlo le raccolgo io e le apro la porta.
«Lindsay... scusa.» dico mentre entra.
Lei mi fissa per un'istante, «Smettila di scusarti, tanto non cambio idea.» dice.
«Lindsay, ascoltami!» esclamo, «Io...»
Mi fermo. Che senso ha confessare qualcosa a una porta chiusa? Nessuno, così me ne torno in casa, fissando la renna e la slitta di Babbo Natale in fondo al giardino. È quasi Natale e io lo passerò deprimendomi perché Lindsay non mi vuole perdonare.
Ryan sei un coglione. Complimenti, hai fatto allontanare la persona più importante per te.
Con uno sbuffo entro in casa e mi butto sul divano, spingendo la faccia contro il cuscino; chissà, magari mi verrà in mente qualcosa. Ma tanto sarebbe tutto inutile.
Mi rigiro sul divano e fisso il soffitto. Devo dimenticarla, ecco cosa devo fare.
È l'unica cosa che possa fare, adesso. 
Il problema è che non è facile, non lo è perché lei è proprio qui accanto, perché lavora per me, perché è amica degli altri... mi sento un ragazzino scemo.
Il cellulare squilla, lo prendo. È un messaggio di Savannah che mi chiede di uscire. Non mi va, però la invito qui. Magari mi aiuterà a dimenticarla.
O forse no.
Dopotutto sono innamorato di Lindsay da un sacco di tempo. E continuerò a esserlo.



Ciao!
Per prima cosa: NON UCCIDETEMI, PER FAVORE! Tutto ciò ha un senso, lo giuro.
Ecco qui il capitolo 12. La diarrea verbale mi ha contagiato anche questa volta, così è uscito un capitolo lungo. Ormai mancano due capitoli alla fine... ma non temente, ci sarà anche la seconda parte di questa storia di cui sto buttando giù una scaletta molto sommaria, visto che poi le seguo poco xD
Il titolo è una canzone dei Westlife, tanto per cambiare.
Grazie a chi legge/commenta/mette la storia in una delle liste!
Al prossimo capitolo!
P.S: dato che sono tarda mi sono accorta che nel titolo manca la "t" finale a Straight, da questo capitolo in poi lo scriverò correttamente, gli altri capitoli li correggerò appena possibile. P.P.S: non riesco a rispondere alle recensioni, mi dispiace!
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: BebaTaylor