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Autore: Arbiter Ex    07/10/2015    1 recensioni
Il regno di Boletaria, governato da Re Allant XII, fa fronte alla più grande crisi che l'umanità abbia mai affrontato. L'Antico si è risvegliato, e una densa Nebbia incolore è scesa sulla terra. Da essa, terribili Demoni emergono, rubando le anime degli uomini, e facendole proprie. Chi perde la propria anima perde il senno, e i folli attaccano i sani, mentre imperversa il caos. Presto o tardi la Nebbia ammanterà ogni terra, e l'umanità è soggetta ad una lenta estinzione. Ma Boletaria ha ancora una speranza: un prode guerriero, che ha attraversato la Nebbia. Nella sua lotta non sarà da solo, e di lui verrà raccontata la sua storia, narrata da chi lo ha seguito nella speranza che portasse la fine della Piaga e ristabilisse l'ordine del mondo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 5
 
Claire se ne era andata già da parecchi minuti, ma Firion ancora tentava di trovare il modo adatto di seppellire le due donne che avevano trovato appese oltre il parapetto del balcone al primo piano. Non riusciva a pensare in modo chiaro dopo quello che le aveva detto la ragazza. Lui credeva fermamente che la sua umanità avrebbe prevalso sull’istinto di sopravvivenza che stava dilagando tra le persone durante la crisi, e che, anche se lentamente, sarebbe riuscito a ristabilire l’ordine nel regno. Era il suo compito. Tuttavia, abbracciare interamente gli ideali che scaturivano da quel compito comportava delle limitazioni non indifferenti. Significava prendere a cuore ogni vita che incontrava, proteggere gli altri e servirli come meglio poteva, dimenticando sé stesso ed i suoi interessi per favorire quelli degli altri. Ma era davvero la cosa giusta da fare? O la sua passione e compassione per gli uomini era malriposta? Claire gliela aveva mostrata, la diffidenza e la distanza che poteva esistere tra le persone. “Pensi davvero che qualcuno lo farebbe per te?”: ripeté le parole di Claire nella sua mente. Affilate come coltelli, sbrindellarono la sua convinzione più profonda: era forse inutile quello che faceva? Stava realmente aiutando qualcuno, o si era illuso fin dall’inizio? Il Monumentale gli aveva dato una missione che, alla fine, gli avrebbe chiesto il più grande dei sacrifici e avrebbe comportato la perdita più grande…
Qualcuno se ne sarebbe ricordato?
Scacciò prepotentemente quei pensieri, frustrato dal non essere riuscito a darsi una risposta certa. Per il momento, doveva concentrarsi sul lavoro che aveva tra le mani, per poi raggiungere Claire il più velocemente possibile. Lei aveva quasi sicuramente guadagnato un vantaggio che lui avrebbe dovuto colmare correndo, e sarebbe andato ancora più veloce sapendo che Claire correva il rischio di imbattersi in un Demone Maggiore. Purtroppo, però, l’unico campo in cui avrebbe potuto seppellire le due donne era il sito di esecuzione dei prigionieri condannati a morte, raggiungibile per mezzo di un passaggio sottostante il ponte e parallelo allo stesso, non il miglior luogo dove onorare i loro resti. Non era possibile nemmeno un tumulo, a meno che non si mettesse a scavare le pietre del ponte, ma quella non era nemmeno un’opzione. La cosa migliore che gli venne in mente fu montare una sorta di zattera legando insieme le casse che si trovavano sul ponte usando le corde che una volta le fissavano ai carretti trainati dai cavalli. Su di essa avrebbe posato i corpi e si sarebbe assicurato che fossero saldi al mezzo di trasporto, poi li avrebbe calati dolcemente nelle acque del fiume. Decise di agire in quel modo e fece in fretta. Non badava all’aspetto finale dell’imbarcazione, l’importante era che potesse stare a galla per un tempo sufficiente affinché raggiungesse un lago o il mare, sperando che non ci fossero rapide o cascate ad ostacolare il suo viaggio. Quando finì, posò le spoglie sulla zattera e le coprì con una coperta che trovò su uno dei carri, li legò abbastanza stretti perché non scivolassero via, e li calò lentamente oltre il parapetto del ponte in acqua, usando una lunga fune. Sforzò ogni fibra delle sue braccia per non lasciare la presa sulla costruzione troppo presto, mentre le mani bruciavano per lo sfregamento. Quando mancava poco meno di un metro, Firion lasciò finalmente andare, e vide la zattera allontanarsi trasportata dalla corrente.
“Ora troveranno riposo”.
Si soffermò un attimo in più, poi si voltò e cominciò a correre velocemente verso l’androne. Abbandonando molta della sua solita cautela, superò celermente sia quello stanzone oscuro sia la camera di transito successiva, ritrovandosi quasi sul ponte che portava alla Cittadella Reale. Stava superando l’arcata che lo precedeva quando sentì un sibilo, che lo attirò alla sua sinistra. Passarono dei secondi, poi lo sentì di nuovo, questa volta più marcato. Voleva ignorarlo, e stava per andarsene quando sentì parlare.
“C’è qualcuno?”
Fu allora che riconobbe la voce. Si avvicinò alla presunta sorgente, che si trovava dietro ad una grossa grata metallica alla sinistra dell’arcata, illuminata dalla tenue luce di una torcia.
“Ostrava!” esclamò Firion, sollevandosi la visiera.
“Salute, Firion”. Ostrava di Boletaria, fu il nome con cui si presentò a Firion. La prima volta che lo incontrò, era circondato da dregling, gli schiavi ora divenuti demoni, in attesa che scendesse da un cornicione per poterlo massacrare. Firion si sbarazzò velocemente di quei deboli avversari e si accattivò la sua gratitudine. Ostrava portava la sua stessa armatura, per cui Firion dedusse che anche lui provenisse da Boletaria del Sud, ma a differenza di Firion, non si tolse l’elmo per presentarsi. Aveva con sé delle armi uniche, una spada e uno scudo runici e dorati, dai simboli affascinanti e misteriosi. Firion fu tentato di chiedere come un guerriero qualunque fosse riuscito a procurarsele, ma mancò l’occasione di farlo quando, dopo il suo intervento, Ostrava si dileguò senza lasciare traccia. Non l’aveva più visto fino a quel momento.
“Ostrava, che ci fai qui?” gli chiese inginocchiandosi al suo livello.
“Non sono patetico, circondato di nuovo da guerrieri malvagi?” rispose in modo sconsolato.
“Mentre attraversavo il ponte, un drago rosso sputafuoco è volato in picchiata tentando di ghermirmi tra i suoi artigli e di bruciarmi con le sue lingue incandescenti. Non potevo crederci e quasi non ci credo tuttora. Non fosse stato per il passaggio sotto le torri difensive, ora sarei il suo pasto.”
“Temo che dovrai credere a questo e anche a di peggio: ce n’è un altro, dalle scaglie bluastre e più grosso. Probabilmente fiutano le anime demoniache che portiamo con noi, cosa che mi fa pensare siano divenuti anch’essi demoni. Sono sicuro che dovremo aspettarceli anche tra i muri della Cittadella.” Firion vide i due draghi la prima volta che venne al castello, mentre svolazzavano minacciosi sopra la sua testa, in cerca di prede. Avevano fatto di una piccola porzione della montagna intoccata dalle mura il loro nido, e da quando arrivarono collezionarono corpi su corpi di pasti e spuntini, che una volta erano stati i soldati al servizio del regno. Aveva comunque sperato che non lasciassero il loro rifugio per più di qualche ora al giorno, ma l’esperienza dell’amico fece diradare quella possibilità.
Ostrava sembrò assorbire l’informazione con indifferenza.
“Ma io non sarò in grado di proseguire; dopo essere scappato qui, dei soldati privi di senno mi hanno precluso l’uscita. Non potrei, forse, chiederti aiuto un’ultima volta?”
Firion non sapeva che dire. Avrebbe dovuto negare la salvezza ad Ostrava per accorrere in aiuto di Claire, o sarebbe dovuto restare e aiutare l’amico, nella speranza che Claire resistesse fino al suo arrivo? Erano scelte come queste a cui probabilmente si riferiva Claire. Ostrava aspettava silenzioso la risposta, Firion poteva quasi vedere attraverso l’elmo la sua espressione speranzosa ed implorante. Logicamente parlando, sapeva cosa avrebbe dovuto fare: Ostrava si trovava nelle sue immediate vicinanze e gli aveva chiesto apertamente aiuto, mentre Claire lo aveva respinto e si trovava possibilmente all’altro capo del ponte. Ostrava non sembrava capace di poter uscire dal suo guaio da solo, mentre Claire aveva tutti i mezzi per sopravvivere. Eppure, non poteva mettere a tacere una voce dentro di sé, un presentimento che Claire fosse in serio pericolo, e che lui dovesse essere con lei per prevenirle ogni danno.
“Ostrava, ascoltami: in questo preciso momento non posso aiutarti. Prima ho bisogno di attraversare il ponte, ma ti assicuro che accorrerò da te non appena potrò. Nel frattempo devo chiederti di rimanere qui senza attirare l’attenzione, come hai fatto fin ora. Sarò veloce. Io non ti lascerò indietro.”
Infilò una mano tra le sbarre di ferro, con l’intenzione di stringere quella dell’altro. “E’ una promessa.”
Ostrava la fissò qualche secondo, sollevò il capo per guardare il viso di Firion ed estese la sua, stringendola a quella del compagno.
“Io ti credo Firion. Ti aspetterò e la mia fiducia non vacillerà. Si cauto sul ponte: quel drago è continuamente vigile.”
“Ti ringrazio. Attendi. Tornerò sicuramente.”
Detto ciò, si alzò e corse via. Ostrava lo seguì con lo sguardo finché poté, premendosi contro il ferro della grata. Quando non ci riuscì più, adagiò la schiena alla parete e si lasciò scivolare a terra, sforzandosi di trovare una posizione comoda ed illuminata almeno un po’ dalla poca luce che emetteva la fiaccola al muro. Il buio che lo attorniava lo stava cullando verso il sonno, e presto sarebbe stato vinto dalla fatica. Rifletté un ultima volta prima di addormentarsi: Firion rappresentava l’unica possibilità che aveva di salvarsi, ma soprattutto di poter avere udienza da sua padre. Doveva sapere perché i demoni erano riusciti a penetrare così in profondità nel regno e dove fossero finiti i difensori di Boletaria, per non parlare delle voci secondo cui suo padre fosse il responsabile della Piaga dei Demoni. Lui, Re Allant.

Dopo aver promesso ad Ostrava che sarebbe tornato a salvarlo, Firion tornò a correre verso l’esterno, sul ponte che collegava le porte della Cittadella alle mura esterne. Ricordando l’avvertimento che gli diede il cavaliere, puntò un paio di volte gli occhi in cielo in cerca del drago rosso, ma a parte quello, ormai aveva abbandonato la prudenza in favore della velocità. Il ponte offriva due torri difensive come possibile riparo dalla minaccia del demonio volante, ma rimanervi intrappolato non sarebbe stato preferibile al pericolo di un attacco aereo, quindi si convinse ad attraversare l’intero percorso a perdifiato, incurante dell’eventualità di essere visto. Aveva già superato la prima torre ed era oltre metà strada senza che avesse incontrato impedimenti. Ai lati del cammino, notò i cadaveri di due demoni-soldato uccisi da delle frecce conficcate all’altezza del cuore. Se Claire era passata di lì, con tutta probabilità doveva aver raggiunto ed oltrepassato il portone d’ingresso alla Cittadella Reale…sempre che qualcosa non glielo avesse impedito. Si trovava in prossimità della seconda torre quando sentì lo stridio del drago. Il carnivoro volante si trovava ad alcune decine di metri sopra di lui, e stava planando in discesa con gli affilatissimi artigli pronti ad afferrarlo. A Firion servirono un paio di secondi buoni per rendersi conto del pericolo, e ad ognuno che passava il demone alato si faceva più vicino. Non aveva alternativa se non correre più veloce. Si accorse, però, che se anche fosse riuscito ad evitare il primo assalto, il ponte era troppo scoperto perché potesse scampargli una seconda volta, quindi aveva bisogno di trovare un modo di liberarsi di quell’essere diabolico definitivamente. Non aveva il tempo di pensare, ma quando si avvicinò alla seconda torre difensiva pregò che l’idea che gli balenò in mente potesse avverarsi. Si concentrò sull’estendere e ripiegare i muscoli delle gambe rapidamente ignorando il bruciore che stava consumando i suoi polmoni, mentre l’adrenalina faceva battere il suo cuore ad un ritmo tanto forsennato che si sarebbe potuto fermare da un momento all’altro. Il drago era quasi su di lui, pochi metri e lo avrebbe preso. Prima che potesse farlo, Firion oltrepassò l’arcata della torre difensiva con una capriola, sfuggendo alla presa mortale dell’assalitore per un soffio. Il drago, nella foga di catturare la sua preda, non aveva posto attenzione al grosso ostacolo in pietra che sbarrava il suo volo.
L’impatto fu devastante. La sommità della torre venne ridotta in polvere, le macerie volarono ovunque. Incredibilmente, pochissime crollarono sulla testa di Firion, che si affrettò comunque fuori dall’arcata di uscita. Nello scontro, il drago doveva essersi spezzato un’ala, perché Firion lo vide agitare miseramente l’altra mentre cercava disperatamente di appigliarsi con le fauci sul bordo del ponte. Incapace di sostenere il proprio peso, il drago precipitò nella profonda valle sottostante, emettendo un ultimo, agghiacciante verso. Firion non poteva credere che la sua idea, anzi il suo azzardo, avesse funzionato. Aveva previsto che la bestia sarebbe stata troppo concentrata su di lui per notare la torre, ma il risultato superò di molto le sue aspettative. Fissò per un momento il punto dove poco prima il demone tentava di issarsi verso la salvezza, riprese un po’ il fiato, che ancora si soffermava a stento nel suo petto, e si rimise a correre verso il portone d’ingresso. Ormai era vicino. Avrebbe raggiunto Claire e l’avrebbe protetta fino al ritorno al Nexus. D’un tratto sentì un rombo scuotere il suolo pavimentato, come un fulmine in lontananza che si scaricava a terra. Spaventato dall’idea di aver intuito cosa poteva essere stato, accelerò di nuovo la sua corsa. Impallidì quando scorse la Nebbia bianca sotto l’arco che portava alla piazza del portone della Cittadella.
“NO! Claire!”

Claire evitò per pochissimo il gigantesco scudo con cui il Cavaliere della Torre stava per schiacciarla. Le onde d’urto provocate da quel colpo violentissimo fecero scuotere orribilmente il terreno, e lo spostamento d’aria buttò la ragazza a terra. Il Cavaliere stava già preparandosi per infilzarla con la lancia, e Claire si costrinse a tornare in piedi per salire nuovamente le scale della piazza e trovare riparo tra i cornicioni. Mentre correva, evitò per pura fortuna una serie di dardi scoccati dai balestrieri che ancora la bersagliavano dal cornicione opposto. Era riuscita ad uccidere quelli che occupavano i bastioni di destra, e avrebbe fatto lo stesso a quelli che rimanevano se l’insistenza di quel cavaliere titanico gliel’avesse permesso. Poco prima aveva tentato di contrattaccare tornado sulla piazza, ma si era rivelata un’idea davvero stupida, e per poco non s’era fatta ammazzare. S’inginocchiò alla parete di una delle torri di raccordo tra i cornicioni e le scale, controllando i movimenti del Demone per mezzo di alcune strette finestre. Anche quando nascosta alla vista, gli attacchi non cessavano. In particolare, quelli del guerriero colossale conservavano tutta la loro veemenza, dato che, a quanto pareva, poteva attaccare anche a distanza, scagliando delle lance di energia azzurra che s’infrangevano contro i muri della piazza, i continui rombi che emettevano al contatto erano assordanti. Claire non sapeva se fosse quella la magia che usavano i demoni e non gli interessava. L’unica cosa importante al momento era che dietro quelle barriere di pietra lei era al sicuro.
“Ma per quanto ancora?”, pensò insicura. Controllò quante frecce le rimanevano nella faretra e constatò con orrore che era praticamente vuota, poteva averne una ventina al massimo. Sin da quando era rimasta intrappolata lì, non aveva fatto altro che scoccare frecce cercando la morte dei suoi aggressori. Ma, indipendentemente da quante ne scagliasse contro il Cavaliere della Torre, quest’ultimo le respingeva con lo scudo oppure non sembrava minimamente intralciato dalle punte che si conficcavano nella sua armatura, nonostante fosse stato colpito più e più volte in zone critiche come i tendini di gambe e piedi. Il fatto che ora le frecce stavano per finire la metteva in ulteriore svantaggio, in una situazione che fin dall’inizio ammetteva pochissime possibilità di vittoria.
“Venti frecce?! Cosa ci dovrei fare? Cosa dovrei fare adesso?!” pensò disperata. Strinse ancora di più l’arco che serrava in mano e lo guardò alcuni istanti.
“Dannazione!” urlò lanciando l’arma contro il muro, mentre il suo grido veniva assorbito da un’altra delle lance magiche dell’enorme demone in piazza. Appoggiò la schiena al muro, incurante degli scossoni che arrivavano fino a lei a causa del gigante. Riposando una mano sul ginocchio, la testa era crollata e lo sguardo si era dipinto di un velo oscuro e cupo.
“E’ solo colpa mia se mi trovo in questa situazione. E’ colpa mia se Serah è lontana da me e adesso è sola. Perché non sono abbastanza forte. Se avessi avuto la forza necessaria, avrei potuto proteggerla, invece di mandarla via. Se non fossi stata così debole, adesso saremmo insieme e saremmo al sicuro lontane dalle mura. Se fossi più forte, potrei affrontare quei mostri e vincere, invece di nascondermi ed accovacciarmi per la paura. Per la paura di morire.” Ormai la disperazione si stava impadronendo di lei, la sentiva crescere e lei lo permetteva senza opporre resistenza. Voleva combattere, ma la volontà da sola non sarebbe bastata. Cosa poteva fare, circondata e senza vie di uscita?
“Se solo…fossi più forte…”. Poi le rivenne in mente, e al ricordo si fermò un attimo: “Anche se il corpo muore, noi continuiamo a vivere, anche se di un’esistenza un po’ diversa. E’ di questa forza vitale che si nutrono i Demoni, ma la realtà è che possiamo farlo anche noi con le Anime Demoniache.
“Io posso…” Si alzò e si allontanò dalla parete. Portò la mano al petto, pochi secondi dopo s’illuminò. Non dovette nemmeno concentrarsi come la prima volta, ormai era diventato spontaneo e naturale.
“Invece di consumare cibo e guarire dalle ferite, possiamo assorbire anime demoniache per rinvigorirci e sopravvivere.”
Dalla mano comparve l’anima che custodiva all’interno del suo cuore. L’affascinava ancora come quella fiamma bianca rimaneva sospesa sul suo palmo.
“Rinvigorirmi…e sopravvivere…”
Il pensiero si faceva più forte, cresceva nella sua testa, facendo rimpicciolire qualunque altro. Cominciava a persuaderla, dalle periferie dei nervi fino agli angoli più profondi della sua psiche, la corrodeva, cominciava ad assumere un aspetto così…
“Allettante”.
Era un’idea disperata, quanto la situazione in cui si trovava. Ma era la sua condizione a farla ragionare in quel modo, e lei doveva uscirne…
“A qualunque costo!”
“Se consumo adesso quest’anima, forse potrei acquisire delle nuove forze. Se Firion ha detto che lo si può fare con le anime demoniache, che differenza farebbe se io usassi un’anima umana? In entrambi i casi la forza vitale contenuta mi renderebbe più forte, no?"
Rifletteva ad alta voce come se qualcuno avesse potuto darle una risposta. Dirlo ad alta voce l’avrebbe aiutata ad affrontare quello che avrebbe fatto, quasi come per giustificarsi con chi avrebbe dovuto obiettare. Ma, nonostante lo sapesse nel suo intimo, non lo avrebbe mai ammesso, né a sé stessa, né a nessun altro. Era troppo orgogliosa, e troppo vergognata.
“Sono sola adesso, e non posso fare altro. Io devo sopravvivere, per Serah!”
Chiuse gli occhi, non poteva vedere l’attimo in cui sarebbe accaduto, l’attimo in cui avrebbe divorato Hadrian. Avrebbe stretto la mano, avrebbe distrutto l’anima e ne avrebbe assorbito la forza. Lo avrebbe fatto, se, all’ultimo momento, il suo dubbio non l’avesse fermata e se non avesse ricordato: “Perché è una delle uniche cose che mi distingue da un Demone!”
Le parole di Firion la trapassarono come lame di coltelli, ognuna di esse più appuntita di un ago.
“Mi ricorda che sono ancora umano”
“Umano…”. Claire ripotò la mano sul petto, ripose quell’anima nel suo nuovo rifugio.
“Umano…”. Gli occhi si facevano stranamente turgidi, la vista si stava appannando.
“Se io consumassi adesso quest’anima, non sarei diversa da un Demone!” Crollò di nuovo a terra, delle lacrime cominciarono a rigarle il viso.
“Sono ancora troppo debole!” gridò rabbiosa, mentre sbatteva i pugni a terra. Come poteva aver pensato una cosa del genere, usare l’anima che Firion le aveva affidato per accrescere il suo potere? Sarebbe stato qualcosa di mostruoso, ma lei era pronta a farlo, si era preparata a divorare un’anima umana. Non stava più combattendo per riprendersi la sua libertà, stava solo crogiolandosi nel suo sconforto e nella sua debolezza. Aveva smesso di reagire e stava calando il capo difronte al tiranno, anziché combattere e reclamare ciò che era suo.
“Ma non succederà più. Mi dispiace, Serah. Stavo per perdere la mia strada.”
Raccolse l’arco che aveva malamente lanciato prima e si rimise in piedi, forte di una ritrovata determinazione.
“Io combatterò fino alla morte e anche oltre di essa!”
Prima che il Cavaliere della Torre potesse scagliare un’altra delle sue lance, per dei brevi secondi vi fu silenzio, rotto da un nuovo grido.
“Claire!” urlò Firion dalla piazza, poco dopo aver attraversato la Nebbia. Claire, dalla torre in cui stava, credeva di averlo immaginato. Si ricredette quando lo risentì.
“Claire, non sei sola! Abbi fiducia in me, e vinceremo!” urlò di nuovo sguainando la spada che portava al fianco ed alzando lo scudo del braccio. Claire si portò alla finestra per avere conferma che non stesse sognando tutto, e quando capì che era tutto reale, la gioia e lo stupore che divamparono dentro di lei le concessero lo stesso ardore che aveva dimostrato il giovane Difensore di Boletaria. Il Cavaliere della Torre ed i balestrieri del cornicione di sinistra sospesero l’assalto alla ragazza per concentrarsi sul nuovo avversario. Il guerriero demoniaco si voltò lentamente ed in modo inquietante, e quando lo vide avanzò pesantemente, ogni suo passo un terremoto. Firion non si fece intimidire e lo caricò ferocemente, mirando alle gambe del gigante. Claire seguì il suo esempio, corse fuori dal suo riparo e scattò verso il cornicione delle scale opposte, bersagliando i balestrieri, troppo occupati a prendere la mira su Firion. Uno ad uno caddero tutti, e tolti di mezzo loro, Claire fu libera di puntare le poche frecce rimaste alla testa ora scoperta del demone ciclopico, mentre Firion si destreggiava tra i suoi piedi ed attirava tutta la sua attenzione. Firion colpiva e lacerava, si muoveva di continuo, la sua lama era spietata, incurante dei poderosi affondi e spazzate del malevolo diabolico. All’ennesimo fendente di spada, il Cavaliere della Torre cadde all’indietro, incapace di reggersi ancora sulle proprie gambe, e la forza con cui rovinò al suolo distrusse il pavimento della piazza.
“La nostra occasione!” gridò Firion, scattando verso la testa. Nonostante fosse caduto, il Cavaliere agitava la mano che prima teneva la lancia tentando di afferrare il ragazzo, che gli si faceva sempre più vicino. Claire scagliò la sua ultima freccia, che si conficcò proprio nella visiera del demone, che lo distrasse il tempo necessario perché Firion si avvicinasse abbastanza e piantasse con forza la spada nell’elmo del demone, perforandolo in profondità. La sua enorme figura fu percorsa da un fremito irruento. Quando si placò, nella piazza non vi fu un movimento, ed ogni suono si era disperso nell’aria.
“Ce l’abbiamo fatta” disse sottovoce Claire, non credendoci fino in fondo. Ma ormai quell’enorme corpo di ferro era immobile, e questo poteva solo significare che avevano vinto. Il suo sguardo si spostò su Firion, anch’egli rimasto fermo dopo l’ultimo attacco. Stava per raggiungerlo quando il Cavaliere della Torre s’illuminò di una luce opaca. La luce cresceva d’intensità mentre ciò che rimaneva del demone si faceva sempre più incorporeo, finché non si trasformò in una nuvola di scintillii azzurri che convogliarono verso il petto di Firion. Tutta quella luce scomparì dentro il giovane cavaliere, che in quel momento non sembrava diverso da una delle statue che ornavano la piazza. Claire si riprese dalla meraviglia di quello spettacolo e scese velocemente le scale verso il compagno, fermandosi a qualche metro di distanza.
“Firion, sei arrivato proprio quando ne avevo più bisogno. Io ti ho abbandonato ma tu sei tornato comunque. Ti ringrazio tantissimo.” Claire gli parlava, ma lui non sembrava sentirla. Non alzò nemmeno lo sguardo per guardarla.
“Firion?”
Finalmente sembrò accorgersi di lei, ma quando lo vide tentare di fare un passo in avanti, lui baciò la polvere dove prima giaceva l’avversario sconfitto, lasciando andare scudo e spada ed elmo, che si sfilò dal capo rotolando via. Claire lo raggiunse immediatamente, si chinò e lo girò sulla schiena.
“Firion! Che hai?” chiese reggendogli il busto. Cercando i suoi occhi, Claire notò come fossero spenti, e la vista la raggelò.
“Sto bene, Claire. Sono solo un po’ stanco. Fammi appoggiare al muro qualche minuto e mi riprenderò.” Lo disse in modo freddo e senza emozioni, e la cosa la fece preoccupare, anche se non lo diede a vedere.
“Va bene” disse lei senza troppa convinzione. “Riesci a muoverti?”
Aspettava la risposta, ma non venne mai. Firion si appoggiò solo un attimo, poi raggiunse il muro e si lasciò scivolare a terra, riposando una mano su un ginocchio e lasciando la testa ciondoloni. Lo ammantava un silenzio innaturale, e Claire lo raggiunse un po’ riluttante. Si sedette vicino a lui e si abbracciò le ginocchia, unendosi alla sua quiete. Si guardava le punte dei piedi, non sapendo che altro fare o cosa pensare. La malinconica pace che scese tra di loro le ricordò quella che aveva provato vicino alla Fontana. Rifletté sul fatto che probabilmente era così per tutto il regno: non un suono, non un movimento, niente di vivo. Condivise il silenzio per un po’ di tempo, poi trovò il coraggio di romperlo.
“Mi hai salvato prima, sai? E per quello che ho detto prima che ci dividessimo: mi dispiace. Ho parlato a sproposito, invece di ragionare. Scusa.”
“Non dire così. Ho pensato a quello che mi hai detto, e non credo che tu abbia tutti i torti. Piuttosto, ho permesso che ci separassimo, nonostante avessi detto che ti avrei accompagnato. Sei caduta in un grande pericolo a causa mia ed io non ero con te. Non succederà più.” La sua voce aveva ritrovato il calore di sempre, e Claire fu contenta nel sentirlo parlare di nuovo.
“Grazie di esserti fidata di me.”
“Ma io non ho fatto niente per ricambiare.” Fece una pausa, per essere sicura di quello che avrebbe detto.
“Ho insistito per venire alla capitale, perché mia sorella, Serah, è scappata su di un carro diretto qui. Ancora non c’è segno di lei, ed io sono sempre più preoccupata. Non volevo dirtelo perché non sapevo cosa avresti pensato di fare dopo averlo saputo. Ho sbagliato.”
“No, è normale. Vuoi proteggerla, quindi hai agito nel modo che hai ritenuto migliore. Hai fatto la cosa giusta.”
“Grazie.”
I secondi passarono senza che nessuno dei due dicesse altro. Claire sentiva un po’ d’imbarazzo, ma non gli dava molto peso. Probabilmente, non c’era bisogno di dire altro.
“Su, troviamo tua sorella” disse improvvisamente Firion, alzandosi in piedi. Lei lo imitò ed annuì in accordo. Claire lo vide soffermare il suo sguardo su di lei, poi spostarlo rapidamente sul portone d’ingresso alla Cittadella Reale, verso cui s’incamminò. Nel frattempo raccolse l’elmo che gli si era sfilato, ma non lo rimise addosso. Lei lo seguì e si mise vicino a lui. L’armatura in ferro del cavaliere emetteva cigolii ad ogni passo e aveva numerosi squarci di diverse profondità, probabilmente causati dal combattimento affrontato prima.
“E’ stato ferito? Io non ho visto tagli aperti o sangue…”
“Maledizione” sentì dire a Firion sottovoce. Si erano fermati davanti alla grande porta maestra della Cittadella, e per la prima volta Claire si accorse che era ammantata da un alone nebbioso e grigio. Nel bel mezzo della battaglia, non l’aveva notato.
“Che succede?” chiese lei, incuriosita dalla reazione di Firion.
“Spero non sia quello che penso” rispose lui, avvicinandosi alla porta. Quando provò a toccarla, venne respinto subito, senza che fosse riuscito a spostarne i battenti.
“Niente” disse con tono deluso abbassando languidamente il braccio.
“Questa è una barriera eretta perché solo dei veri Demoni possano passare” disse voltandosi verso di lei.
“Devo acquisire un’anima più potente.”
“Non possiamo passare?”
“No, mi dispiace.”
Lei guardò la porta un attimo e poi tornò su Firion. “Beh? Che facciamo allora?”
“Per ora torniamo al Nexus. Riposiamoci un po’. Poi emergeremo in un altro nodo, dove credo che potremo trovare anime demoniache ancor più nere di quelle che si trovano qui.”
“Aspetta! Non possiamo tornare a mani vuote!” esclamò Claire facendosi avanti.
“Mia sorella deve essere dietro quella porta. Se c’era quel colosso a fare la guardia, cosa ci potrebbe essere dietro? Sarà in pericolo, non posso andarmene adesso!”
“Claire, come hai detto tu, dato che non hai trovato segni della presenza di tua sorella finora, lei probabilmente sarà dietro quelle porte. Questo significa che deve essere passata quando la porta non era sigillata e quel mostro non c’era. Se questo è il caso, e probabilmente lo è, lei starà aspettando i soccorsi in un luogo sicuro lontano dai soldati. Sono sicuro che sia così.”
Claire non c’aveva pensato, presa com’era dalla fretta di passare.
“Sì, può essere. Comunque, vorrei tentare ancora.” Firion si avvicinò e posò le mani sulle sue spalle.
“Claire, noi passeremo da quella porta”. La guardava con uno sguardo così serio che non ammetteva alternative.
“Ma adesso devi riposare”. Strinse un poco le mani per enfatizzare quanto ci credesse. Lei non rispose. Voleva salvare Serah, ormai era vicinissima, non poteva lasciarla andare così. Tuttavia, Firion non era riuscito a passare, quindi che possibilità aveva lei?
“Va bene” disse infine con lo sguardo sconfitto.
“Brava” disse lui battendole le spalle. “Usa il Marchio del Nexus per tornare. Concentrati su dove devi andare mentre stringi il bracciale, ed esso ti riporterà a casa. Vai prima tu, ho ancora una cosa da fare qui.”
Claire avrebbe voluto chiedere di che cosa si trattava, ma cominciava a sentire tutta la stanchezza che aveva accumulato in giornata, e l’interesse scemò velocemente.
“Non farti attendere troppo” disse lei con un sorriso stanco.
“Non noterete la mia assenza” rispose ricambiando il sorriso. Dopo di ché, Claire seguì il consiglio, prese nella mano il bracciale, chiuse gli occhi, ed in un battito di ciglia era sparita. Firion fu sollevato nel vederla tornare sana e salva. Per quello che avrebbe dovuto fare, dopotutto, non poteva che agire da solo.
   
 
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