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Autore: lolasmiley    07/10/2015    1 recensioni
«Ma tu, chi cazzo merda sei?»
«Non ha importanza.»
Questa affermazione mi fa arrabbiare non poco.
«Senti, mi hanno sempre dato fastidio i figoni che se ne escono con queste frasi alla James Bond, anzi, ti dirò di più, mi sta abbastanza sulle palle pure lui» mi calmo per fare una breve osservazione a bassa voce «tranne in Casinò Royale, quel film mi piace.» poi riprendo il mio tono incazzato «Ha importanza eccome. Ho assistito ad un omicidio, mi hanno quasi rapita, sei arrivato tu, mi hai salvata e adesso mi porti non so dove e mi dici che non posso andare alla polizia. Ora, non si tratta di avvenimenti irrilevanti per cui chi sei potrebbe non avere importanza. Non sei sbucato dal nulla per comprarmi un gelato, cazzo. Quindi adesso pretendo delle spiegazioni perchè non ho capito assolutamente nulla di quello che è successo.»
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ashton Irwin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(7)

 

 

 

Mescolo distrattamente la tazza di tè. 

Ha un odore strano. Non ho nessuna voglia di berlo, sto solo temporeggiando nell’attesa che Thomas Murray se ne vada e mi lasci da sola, così potrò rovesciare il contenuto della mia tazza nel vaso della pianta grassa al centro del piccolo tavolino davanti a me. Mi sembra di essere in questa stanza da giorni, ma secondo l’orologio appeso al muro sono passate solo tre ore e mezza. Dopo la prima mezz’ora da sola a guardarmi intorno e a studiare l’arredamento di scarso gusto di quella che potrebbe assomigliare a una sala d’attesa, con i muri dipinti di un bianco sbiadito dal tempo, due poltroncine di pelle nera ormai logore e un divanetto da due posti che circondano i lati di un tavolino di plastica ricoperto da un foglio di carta adesiva con disegnate delle venature che dovrebbero farlo sembrare di legno, Thomas era arrivato portando da bere per tutti e due. Aveva preso due semplici bicchieri d’acqua, ma siccome nell’ultima ora avevo iniziato a sentire un po’ di freddo, gli avevo chiesto se potevo avere qualcosa di caldo da bere. Così lui aveva nuovamente lasciato la stanza ed era tornato con la tazza fumante, che stringo ormai fredda tra le dita, e un biscotto -riciclato- incartato in un involucro rosso su cui era stampato il nome dorato di un bar.

Il biscotto l’ho mangiato volentieri: non mi sono accorta di aver fame finchè dopo aver mandato giù l’ultimo boccone non mi sono resa conto di non essere sazia, anzi. Il mio stomaco reclama cibo. 

Ma questo tè... è davvero terribile. Ha comunque svolto parzialmente il suo compito, riscaldandomi le mani. I miei piedi però sono ancora gelati.

Mi abbandono contro lo schienale della poltrona e accavallo le gambe. I miei occhi seguono il percorso della lancetta dei secondi dell’orologio sopra la testa di Thomas. Mi chiedo se dovrà continuare a lungo con le sue domande.

Gli lancio un’occhiata. E’ proteso in avanti, gli avambracci appoggiati alle ginocchia. Mi sta guardando. 

Sollevo le spalle.

«C’è altro?» chiedo, stanca di aver ripetuto almeno una dozzina volte la stessa storia: degli uomini si erano finti dell’MI5, mi avevano fatto salire sull’auto con un pretesto e credo volessero rapirmi, poi degli altri uomini che non conosco hanno sparato alla nostra auto, salvandomi, non so perchè. Ho chiesto loro di portarmi alla polizia, e invece si sono fermati in quel parcheggio e mi hanno chiesto se fossi ferita, e subito sono arrivati i veri agenti. Fine della storia. Non mi ha fatto domande su quello che è successo ieri, sul primo rapimento, e io non ne ho parlato, immagino che non ne sappiano nulla. Thomas non ha neanche risposto alle mie, di domande.

«Mi dia qualche minuto»

Si alza e lascia la stanza senza voltarsi a guardarmi. La porta si chiude con un cigolio troppo rapido per sembrare sinistro. Finalmente sola.

«Scusami» sussurro alla pianta mentre mi libero del tè «spero che tu non muoia»

Appoggio la tazza vuota sul tavolino e mi avvicino alla finestra, attirata dai colori del tramonto. Mi appoggio al vetro freddo e accarezzo con le dita le dolci sfumature di lilla, arancione e rosa. Non posso vedere altro oltre a una striscia di cielo a causa degli edifici che nascondono buona parte del paesaggio. 

Sento un paio di colpi leggeri contro la porta che mi distraggono dai miei pensieri. Mi volto senza sapere se sono solo stupita del fatto che Thomas bussi prima di entrare o anche un po’ seccata per aver interrotto la contemplazione di un cielo così bello. 

«Avan-» mi blocco, stupita «ma cosa..?»

Un pezzo di carta strappato e mal ripiegato a metà giace a terra davanti alla porta. 

«Sul serio?»

Sollevo le sopracciglia e mi lancio un’occhiata intorno, aspettandomi per un secondo che qualcuno salti fuori e risponda davvero alla mia domanda. Siccome nessuno si fa vivo mi avvicino e apro la porta, infilando fuori la testa alla ricerca della persona che ha lasciato il foglietto, ma non c’è nessuno.

Alzo gli occhi al cielo.

«Sì, vabbe’ mi mancava la tuta invisibile.»

Nessun movimento del corridoio alla mia provocazione. Sospiro e mi chino a raccogliere il biglietto, chiudo la porta e torno alla mia postazione alla finestra con le spalle rivolte all’entrata, nel caso in cui qualcuno facesse il suo ingresso e trovasse sospettoso questo pezzetto di carta. Lo apro con poca delicatezza, curiosa di sapere cosa ci sia scritto. Fatico a decifrare il messaggio scarabocchiato in velocità, o almeno così sembra, con una calligrafia piuttosto disordinata.

 

the temple bar

10.00 pm

chiedi di ryan

 

Giro il biglietto per controllare se ci sono altre indicazioni sul retro. Nulla. Guardo l’orologio appeso al muro, che segna le nove e trentasette. Ficco il foglietto nella tasca dei jeans. Il Temple Bar non è molto lontano da qui, potrei arrivarci in dieci minuti a piedi. Mi pizzico leggermente la punta del naso come faccio sempre quando sono intenta a riflettere. 

Non credo che dovrei andarci.

«E’ tutto a posto, può andare.»

Mi volto di scatto. Thomas è arrivato senza che me ne accorgessi e tiene la porta aperta, invitandomi ad uscire. Sorride leggermente, ma è un sorriso tirato, impaziente.

Annuisco decisa a non fargli perdere altro tempo, ma soprattutto ad andarmene di qui il prima possibile. Raccolgo la giacca di pelle che avevo abbandonato sulla poltroncina nonostante la temperatura nella stanza non fosse così alta e mi affretto ad uscire. Aspetto per pura educazione che Thomas chiuda la porta e mi faccia strada, perchè mi ricordo perfettamente il percorso che abbiamo fatto per arrivare qui dall’ascensore. Come previsto lui mi precede a grandi falcate lungo il corridoio, svoltando prima a destra, poi a sinistra due volte. Arriviamo in un atrio abbastanza ampio. 

«Potrò mai sapere chi erano?»

Sono curiosa di sentire la versione ufficiale. Chi è Ashton? E Bond? E Mr. Asiatico Impertinente? Perchè sono stati arrestati? Sono stati arrestati per davvero, quantomeno?

Thomas mi osserva. Preme il pulsante per chiamare l’ascensore.

«Chi?»

Oh, andiamo, non vorrai fare il finto tonto con me.

«Tutti» alzo le spalle.

Scuote la testa.

«Mi dispiace signorina, ma è materiale di sicurezza nazionale»

Ovviamente. Sposto il peso da un piede all’altro, cercando un modo per scucirgli qualche informazione.

«Capisco. Però... vorrei ringraziare gli uomini che mi hanno salvato la vita» azzardo.

«Mi dispiace, ma non le è permesso»

Ovviamente, il sequel.

«Potrebbe... ringraziarli lei da parte mia?»

«Certamente» 

Cerco di mascherare lo stupore: certamente?  

Le porte dell’ascensore si aprono e Murray mi precede all’interno; il bottone tondo contrassegnato da un numero zero piuttosto sbiadito si illumina sotto il tocco delle dita del mio accompagnatore. Mi appoggio alla parete dietro di me e noto che Thomas è un po’ nervoso. Stringe un lembo della giacca tra le dita e si passa l’altra mano sulla fronte, come se si asciugasse del sudore.

«Claustrofobico?»

«Eh?» sobbalza leggermente e si allenta il nodo alla cravatta. Non mi guarda.

«No, si figuri» farfuglia.

Certo, come no.

Un leggero ding annuncia che la corsa è finita e che Thomas può riprendere a respirare regolarmente. Appena le porte si aprono lui schizza fuori e si dirige a quella che potrebbe assomigliare a una reception per ritirare il mio cellulare la mia borsa. Stavolta non credo di dover passare ai metal detector.

Murray mi fa cenno di avvicinarmi e mi porge una penna e un foglio con un elenco di firme. Mi indica uno spazio vuoto accanto all’orario attuale. Scrivo il mio nome un po’ malamente: devo ammettere che, se fossi famosa, il mio autografo sarebbe davvero orribile. 

«Ecco qua» Thomas mi porge i miei effetti personali. 

«Grazie»

Mi butto la borsa in spalla e controllo velocemente che ci sia tutto. Quando alzo lo guardo Murray mi sta guardando e indica con il capo le grandi porte di vetro al di là dei metal detector. Li indico.

«Devo...?» 

«Ah, no, vada pure» accenna un sorriso. Annuisco. 

E’ la tipica situazione di silenzio imbarazzate in cui vorresti andartene via ma temporeggi aspettando il momento opportuno -che non si sa esattamente con che criterio giudichiamo più opportuno di un altro- per andartene, perchè, be’, andartene adesso ti farebbe sentire maleducato. 

Sposto il peso da una gamba all’altra, e decido che è arrivato il secondo perfetto. Sorrido educatamente e porto due dita alla fronte nel saluto un po’ alla “hasta la vista”, giro i tacchi senza aspettare una risposta precisa e mi avvio a grandi falcate verso la libertà. Mi butto contro la porta, che è più pesante del previsto, e fatico un po’ ad aprirla. Una volta fuori vengo accolta dall’aria fresca e un po’ pungente e me ne riempio i polmoni. 

Non andarci.

Scendo la larga scalinata due gradini alla volta.

Torna a casa, Alice.

Sono quasi alla fine della scalinata.

Non andarci. E’ una pessima idea. 

Sì, è davvero una pessima idea. Non appena i miei piedi toccano il marciapiede svolto decisa a destra, diretta verso il Temple Bar.

 

 

«Che cazzo» sbotto alla quinta gomitata che ricevo mentre cerco di farmi strada verso il bancone del bar, che a quell’ora è piuttosto affollato. Tengo stretta la borsa perchè la paura dello shippo è cresciuta dopo l’incidente con il portatile. Sono entrata solo una volta in questo locale prima d’ora, ma è esattamente come me lo ricordavo: dall’aria un po’ rustica, con delle botti di legno usate come tavolini e sottobicchieri da birra appesi alle pareti, poco illuminato dalla luce soffusa. E’ gremito di persone: turisti curiosi di assaggiare la Guinness e gente del posto che si ritrova abitualmente per bere e giocare a carte. L’aria sa di birra e anche un po’ di fumo.

Finalmente riesco a spingere in malo modo una donna un po’ in carne -che mi aveva precedentemente colpita con una gomitata allo stomaco- e ad arrivare al bancone. Ci appoggio un braccio e batto la mano sul ripiano di legno per attirare l’attenzione del barista. 

«Una pinta?» 

Asciuga un boccale appena lavato con uno strofinaccio e lo appoggia vicino agli altri bicchieri.

«Emh, no» devo quasi gridare per farmi sentire.

«...mezza?» chiede, inarcando leggermente le sopracciglia. Fatica a nascondere il disappunto: mezza pinta è da femminuccia.

«No, io sto cercando, emh, Ryan» 

Lui si fa serio improvvisamente, si asciuga le mani sul grembiule e mi fa cenno con la mano di seguirlo. Impreco a bassa voce prima di rituffarmi in mezzo alla folla, lottando per crearmi un varco tra la gente e cercando di non perdere di vista il barista, che sta entrando in una sala accanto. Man mano che mi avvicino all’altra stanza l’ambiente si fa un po’ meno affollato e riesco a procedere con meno difficoltà, fino ad affiancare il ragazzo che -immagino- mi sta portando da Ryan, chiunque lui sia.

La stanza è simile all’altra, un po’ più spaziosa e rumorosa anche se meno affollata. Il barista si avvicina per urlarmi nelle orecchie.

«Laggiù» indica uno dei barili adibiti a tavolini nell’angolo. 

Annuisco, alzandomi sulle punte per vedere chi sia Ryan, ma i capelli stranamente folti di un vecchietto mi coprono la visuale.

«Grazie!» dico, rivolta al barista.

«Di nulla. Fatemi sapere se volete qualcosa»

Si allontana, lasciandomi sola in mezzo alla stanza, principalmente popolata da vecchietti che giocano a carte, qualcuno con l’aria da motociclista punk-rocker in pensione, altri simili in modo inquietante ai folletti irlandesi dei libri per bambini. Nessuno fa caso a me, così mi avvio a passo spedito verso il tavolo mentre la curiosità mi sta letteralmente corrodendo lo stomaco.

Forse è la fame.

Quando vedo la persona seduta al tavolo nell’angolo mi mordo le labbra per mascherare un sorriso. Sta ammirando con attenzione un boccale di birra ancora pieno. Mi siedo di fronte a lui e mi appoggio la borsa in grembo.

Alza lo sguardo.

«Ryan, eh?» 

Le sue labbra si curvano leggermente in un sorriso sghembo. Scrolla le spalle.

«Qualche volta»

Appoggio le braccia sul tavolo. Ci studiamo a vicenda, in silenzio, e sembra che nessuno dei due voglia essere il primo a distogliere lo sguardo. O a parlare.

«Pareva che l’MI5 ti avesse arrestato, Ashton» è la prima volta che pronuncio il suo nome ad alta voce e fa un effetto strano.

«Ho detto di non credere a tutto»

«Ho detto pareva. Mica ci ho creduto»

«Ah no?»

«No. Il tipo che mi ha interrogata non ha parlato affatto male di voi, acconsentendo addirittura di ringraziarvi da parte mia, per avermi salvato la vita, senza pensarci un secondo. Se foste stati arrestati significherebbe che avreste fatto qualcosa di male, e che lui avrebbe avuto delle riserve su di voi... Ma non è stato così, quindi ho immaginato che fosse stata una messa in scena quella dell’arresto» spiego.

«Perspicace» sorride.

«Ma a che scopo tutta questa farsa?»

«Non dovresti sapere che lavoro faccio, ne va della mia copertura, e accoglierci tutti come... colleghi...» fa una pausa, valutando che cosa dire «saresti venuta a conoscenza dell’identità di tre agenti operativi. Avresti potuto anche spiattellarlo su internet. Non si sa mai»

«Prevenire è meglio che curare»

«Esatto»

«Quello che mi stai dicendo non sarebbe qualcosa come... tradimento?»

Abbassa lo sguardo per un secondo alla pinta di birra. Quando punta di nuovo gli occhi nei miei ha un’espressione amareggiata e la mascella contratta.

«Non posso tradire nessuno» ribatte in tono acido. Corrugo la fronte e mi piego leggermente in avanti verso di lui.

«Che vuoi dire?»

«E’ complicato»

«Spiegami»

«Ti ho detto che è complicato»

«Nel 99,9% dei casi questa è solo una banalissima scusa. Potresti fare di meglio, Bond»

Sospira pesantemente e si lascia ricadere sullo schienale dello sgabello, il suo sguardo vaga tra gli altri clienti del Temple Bar. Speravo che chiamarlo Bond lo facesse storcere il naso, o sorridere, o che gli causasse una qualsiasi reazione.

Restiamo in silenzio per un po’, evitando l’una lo sguardo dell’altro.

«Perchè mi hai chiesto di venire qui, se non hai intenzione di spiegarmi nulla?» sbotto.

«Sinceramente? Non lo so»

«Fantastico» ribatto ironica. 

La mia pancia si contorce di nuovo e spero che il chiasso abbia attutito il rumore gutturale del mio stomaco. Tamburello con le dita sul tavolo, pensando a che cosa fare.

«Io vado a mangiare qualcosa, sto morendo di fame» annuncio, alzandomi in piedi.

Lui mi guarda stupito. 

«Puoi...ordinare qualcosa da mangiare anche qui» pronuncia questa frase così piano che faccio fatica a sentirlo nella confusione del bar.

«Intendo cibo vero, tipo, non so, della pizza» azzardo «lontano dalle sfide a carte di questi vecchietti» indico con il pollice dietro le mie spalle.

Lui si limita ad annuire, dopodichè restiamo entrambi in silenzio. Io guardo lui, lui si guarda la punta delle scarpe. 

«Andiamo?» chiedo.

Lui solleva la testa di scatto. Mi fissa, un po’ stupito.

«Come?»

«Ti ho chiesto se vuoi venire con me. Pensavi davvero che ti saresti liberato di me così facilmente?»

Fa per dire qualcosa, però poi scuote leggermente la testa e si limita a sorridere. Scende dallo sgabello, prende la giacca e se la infila.

«Quella?» chiedo, indicando la pinta ancora colma sul tavolo. Lui scrolla le spalle.

«Non mi piace la birra»

Be’, ha senso ordinare una pinta di birra se non ti piace la birra.

 

 

 

 

 

MA CIAO

(scusate il ritardo mostruoso ma vi avviso che prossimamente dubito di riuscire ad aggiornare più di due volte al mese causa scuola -piango)

Prima che mi prendiate per pazza: la storia è ambientata più o meno a luglio inoltrato e in quel periodo in irlanda fa buio per le dieci mi sembra

Che poi voi non avete idea di quante ricerche ho fatto sui servizi segreti e annessi e connessi, ho pure trovato un prototipo di distintivo da agente segreto ahahah 

Però ci sono cose che ancora mi sfuggono e che dovrò inventarmi di sana pianta quindi non prendete tutte le informazioni che scrivo per vere perchè molte lo sono, ma alcune non sono state confermate o me le sono inventate.

MA COMUNQUE

Non sapete quanto lotto con me stessa negli spazi autrice per non iniziare tutte le frasi con “comunque” “che poi” “boh, comuque” “in realtà” “che poi, in realtà” ed evitare i “ma/no vabbe’” “no/ma okay” 

.....COMUNQUE

Oggi mi sono fatta interrogare su Machiavelli e sono piuttosto soddisfatta di com’è andata (alleluia) 

Voi come state/come va a scuola? :)

Cambiando di nuovo discorso: vi prego, leggete Royalty di @cucchiaia (aka extraordinharry -mi pare- su efp) su wattpad PERCHE’ E’ TROPPO BELLA AHAHAHA no sul serio fa straridere

Poi volevo chiedervi se avete qualche fanfiction da consigliarmi (qui o anche su wattpad), o anche libri o film (nella speranza di avere tempo per leggere/guardare la tv) possibilmente non cose drammatiche perchè poi mi deprimo e ci manca anche questa

Quindi plis consigliatemi qualcosa c:

vi salutooo e buonanotte a tutte e grazie a tutti quelli che leggono/recensiscono/preferiscono/seguono la storia, vi adoro ♥

 

 

  
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