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Autore: Midori Kumiko    08/10/2015    1 recensioni
Ormai era deciso. Sarebbe cominciato quel periodo di terrore, angoscia e paura. In questo gioco mortale avremmo dovuto partecipare come alleate, pur possedendo caratteri diversi, anzi opposti. Avremmo dovuto fare la stessa fine di tutti gli altri...o forse no? Storia scritta a quattro mani: da me e dalla mia migliore amica (Questa è la nostra prima fanfiction)
Genere: Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 2
Coincidenze?
 
P.O.V.  FUJIKO
 
- Bene ragazzi, mi raccomando! Siate gentili e non fatela sentire a disagio, va bene? – la classe rispose in modo affermativo in coro, ma c’era un qualcosa di lamentoso nella loro voce, quasi cantilenante. Mi sa che la mia era l’unica voce entusiasta del gruppo.
 
- Allora, vediamo dove puoi andare a sederti…- fa che venga qui, ti prego, fa che venga qui, pensai in quell’istante con tutta me stessa. Ero sempre stata una ragazza sempre alla ricerca di nuove conoscenze e amicizie, ma in particolare quella ragazza aveva un qualcosa che m’incuriosiva e spingeva a volerla conoscere più affondo.
 
 – Siediti vicino a Fujiko: quella ragazza dai capelli castani lì in fondo- dentro di me esplodevo di felicità (peccato che i miei desideri non si esaudissero in questo modo anche quando speravo di non essere interrogata!), finalmente una nuova compagna, e per lo più sarebbe stata seduta vicino a me. Ero sicurissima che avremmo fatto subito amicizia.
 
 –Ciao Aisu!- la salutai sorridendole -il mio nome è Fujiko. Piacere di conoscerti!- dissi  tendendo la mano verso di lei, con tutta la sicurezza e la vivacità che avevo in me. Lei, da parte sua, lanciò un’occhiata quasi riluttante alla mia mano.
 
– Ciao- disse lei non stringendomela, ma guardandomi con i suoi occhi di ghiaccio, un misto fra azzurro e grigio, priva di espressioni facciali: sembrava un vero e proprio blocco di ghiaccio. La guardai mentre tirava fuori dalla valigetta un astuccio nero; m’ignorò totalmente per il resto del tempo.
 
Lei continuava a fissare un punto imprecisato della classe; sembrava intenta a pensare, mentre io ne approfittavo squadrarla meglio, per capire che tipo di persona potesse essere, ma solo il tempo me lo avrebbe rivelato. In tutta risposta, ricevevo solamente delle occhiatacce da parte sua, che mi facevano immediatamente distogliere lo sguardo. Forse pensava che fossi una specie di maniaca!
 
Le ore di scuola passarono in fretta tra equazioni di secondo grado e ripasso delle leggi di Mendel: una noia insomma. Aisu, durante le ore successive, si presentò alle professoresse sempre con il suo fare freddo e distaccato, e ogni volta che tornava al banco, quando i nostri sguardi s’incontravano, lei mi guardava con un’occhiataccia e distoglieva lo sguardo.
 
Finalmente la campanella suonò e subito dopo essere uscita dal cancello scolastico, cercai di seguire Aisu sperando di poterle chiedere di passare un po’ di tempo insieme.
 
- Ehi Aisu! Senti, ti andrebbe di venire con me a mangiare qualcosa al centro per pranzo? Potremmo approfittarne per conoscerci meglio e magari diventare amiche!- lei mi squadrò e mi disse freddamente senza alcun interesse nella sua voce – No, ho altri programmi.
 
Provai a insistere afferrando un lembo della sua divisa – Ma dai! Vieni con me! Vedrai che ti divertirai!-
 
A quel punto mi scostò la mano e mi disse – Senti, non intendo sprecare altro tempo con una tipa rose e fiori come te. Non insistere: tanto non accetterò - disse guardandomi con i suoi occhi di ghiaccio. Quelle parole mi avevano ferita.
 
Il vento le fece muovere fluentemente i suoi bellissimi capelli biondi e alcuni fiori di ciliegio volavano spinti dal vento e uno di questi si posò sulla mia mano.
 
Lei se ne andò lasciandomi lì spiazzata.
 
Sentivo qualcosa di strano nel petto, come un dolore che prontamente scacciai con un profondo sospiro. Desideravo conoscerla meglio: sembrava una ragazza che dal suo modo di fare nascondesse quello che provava! Non mi sarei arresa facilmente!
 
P.O.V. AISU
 
La professoressa mi indicò un banco in fondo alla classe, dove era seduta una ragazza castana che aveva tutta l’aria di essere un’esaltata: aveva gli occhi sgranati e la bocca spalancata e aveva cominciato a fissarmi da quando ero entrata. Mi sedetti, poggiai la cartella a fianco al banco e tirai fuori un astuccio nero.
 
-Ciao Aisu! Il mio nome è Fujiko, piacere- disse lei tendendomi la mano, la guardai per un momento, guardando prima lei e poi la mano. La salutai con indifferenza prendendo un quaderno per prendere appunti: non avevo mai capito quella cosa di stringersi la mano, la ritenevo inutile e insensata.
 
 Dopo qualche minuto, il mio sguardo si perse per la classe: non pensavo a niente di preciso, ascoltavo semplicemente la lezione, poiché mi ero stufata di prendere appunti. Quella tipa accanto a me, Fujiko, continuava a fissarmi pensando che io non me ne accorgessi e dopo tanti anni passati dentro quella casa al buio, mi ero dimenticata quanto fosse fastidiosa la sensazione di qualcuno che ti fissa.
 
Ogni tanto l’ammonivo con lo sguardo, giusto per farle capire che non ero tonta, ma dubito avesse recepito il messaggio.
 
Nel corso delle varie ore si presentarono diverse prof e dovetti presentarmi a tutte loro, una ad una. Almeno non era poi così noioso quello che blateravano in classe e le ascoltavo apprendendo cose di cui non sapevo l’esistenza come “Equazioni di secondo grado” o “Legge di Mendel.
 
Nonostante tutto, le ore passarono con una lentezza assoluta, sembrava quasi che quel maledetto orologio alla parete si prendesse gioco di me, come se le lancette fossero attaccate con la colla e non si volessero smuovere. Quando il suono della campanella segnò la fine definitiva di quel giorno, mi alzai di scatto afferrando la cartella e dirigendomi verso l’uscita. Osservavo i miei piedi mettersi uno davanti all’altro nel sentiero che stavo percorrendo, ogni tanto calci a qualche sasso.
 
L’aria frizzante di quella mattina mi colpiva in pieno volto, solleticandomi leggermente il naso, così come il polline che viaggiava nell’aria a causa del venticello che tirava da un po’. Una voce squillante e fastidiosa come la sirena di un’ambulanza in piena notte mi colpi i timpani facendomi strizzare gli occhi un momento per il fastidio. Mi voltai di 180 gradi rivolgendo un occhio nella direzione della voce e, come sospettavo, era quella tipa del banco.
 
- Ehi, Aisu! Senti ti andrebbe di venire con me a mangiare qualcosa al centro per pranzo? Potremmo approfittarne per conoscerci meglio e magari diventare amiche!- quella voce era talmente fastidiosa. Mi davano veramente sui nervi le tipe insistenti come lei.
 
-No, ho altri programmi- la liquidai con questa scusa piuttosto generica, ma in parte vera: avevo ben altro da fare che fare amicizia con una tipa che sembrava avere una paralisi facciale del sorriso. Mi voltai per andarmene prima che cominciasse ad insistere, ma sentii qualcosa tirarmi per la camicia e rivolsi gli occhi al cielo chiedendomi perché dovessero capitare tutte a me.
- Ma dai! Vieni con me! Vedrai che ti divertirai! – mi aveva veramente stufato, era meglio mettere le cose in chiaro fin dal principio. Scostai la sua mano dalla mia divisa con uno strattone e la fissai con espressione gelida, per farle capire che non scherzavo.
 
- Senti, non intendo sprecare altro tempo con una tipa rose e fiori come te. Non insistere: tanto non accetterò. – fui chiara e concisa, come sarei dovuta essere fin dall’inizio. Almeno non mi avrebbe più dato fastidio, peccato che me la sarei ritrovata pochi giorni dopo di fianco a me nel banco di scuola. Mi girai del tutto dandole le spalle e lasciandola lì con quell’espressione imbambolata a guardarmi la schiena.
 
Mi era difficile orientarmi con i mezzi, quali autobus e metro: non ci ero abituata e le prime volte mi ero dovuta sforzare nel chiedere all’autista come funzionasse e mi aveva guardata come se non fossi un essere di quella terra. Magari aveva pure ragione.
 
Non ci misi molto a tornare a casa, circa un quarto d’ora. Purtroppo ero sempre costretta a percorrere un grande pezzo a piedi, poiché la mia casa era piuttosto isolata. Il percorso stesso, una stradina stretta e putrida, era sempre deserta, se non per alcuni ubriaconi che la attraversavano la sera tardi, rovesciando il a terra il contenuto delle bottiglie per poi buttarle a terra in una pioggia di vetri. Io stessa non mi fidavo a percorrere quelle zone la sera tardi, a meno che non avessi qualcosa con cui tenere a bada eventuali scocciatori.
 
 Una volta arrivata di fronte all’ingresso, lo spalancai per poi richiudermelo alle spalle. Gettai svogliatamente quella ridicola valigetta in un angolo del salotto, svestendomi immediatamente di quella divisa stretta e scomoda. Sopra le calze nere, indossai un paio di pantaloni neri di un vecchio pigiama sgualcito e consumato, con sopra un maglione a collo alto del medesimo colore e tessuto.
 
Mi sedetti di fronte alla toletta del bagno, da cui fuoriuscivano ancora schegge di legno, e guardai la mia immagine riflessa nello specchio, il cui angolo era una ragnatela di crepe. Uno di quei frammenti era mancante, ma lo ricordavo bene: quando lo avevo fracassato con un pugno, la mia mano si era rigata di un liquido scarlatto, mentre un frammento di specchio era rimasto infilato nel dorso.
 
Era stato atroce toglierlo, ogni millimetro che lo estraevo, corrispondeva a un gemito di dolore e un urlo soffocato. Era rimasto un lieve segno bianco da quell’episodio, ma, quando la guardavo, sentivo ancora il bruciore della ferita sotto la schiumetta bianca dell’acqua ossigenata.
 
Mi spazzolai i lunghi capelli con una spazzola rossa dalle setole consumate, non ricordavo nemmeno da quanto tempo la possedessi. I miei capelli, sotto la luce chiara e spettrale del piccolo bagno, sembravano bianchi, come lunghi fili di platino.
 
 Metteva inoltre in risalto la mia carnagione chiara e borse scure sotto gli occhi azzurri-grigi. Le labbra carnose e rossicce spiccavano in quell’insieme latteo, come della neve macchiata di sangue. Ci mettevo sempre un’eternità per spazzolare quella chioma infinita. Più di una volta avevo pensato di tagliarli: erano un vero impiccio.
 
D’estate, quando quell’abitazione si trasformava in un contenitore di aria bollente e viziata, quell’ammasso di capelli s’incollava alla mia schiena sudata. Una vera tortura. D’inverno, invece, dopo le rare docce che facevo, era uno strazio il doverli asciugare, anche perché il mio phone era talmente vecchio e logoro che rischiava di esplodere da un momento all’altro.
 
Dopo aver finito con gli ultimi nodi, presi fra le mani il telefono, leggendo le ultime note: non diceva niente d’interessante. Probabilmente, l’unica pecca era quella: il mio diario mi dava poche informazioni, perché, quando arrivavano, erano utili per vendicarsi. Prima di entrare in classe, per esempio, mi era arrivata una notifica. Diceva che, all’intervallo, un gruppo di ragazze alla mia destra avrebbe sparlato di me, mentre prendevo qualcosa alle macchinette e che per vendicarmi avrei rubato il portafogli a una di loro. In compenso, grazie a questa messaggio, seppi che la ragazza in questione lo nascondeva in una tasca esterna della borsa firmata che portava con sé.
 
Fingendo di scontrarmi erroneamente con lei, glielo avevo furbescamente sottratto: mi chiesi come una ragazza potesse portarsi tutti quei soldi a scuola. Per farci cosa, poi? Comprarsi l’intera macchinetta? Sapevo però che, finché non cambiavano le note, non avevo nulla di cui preoccuparmi, se non di quello strazio della scuola. Stavo cominciando a cambiare idea: forse non era un gran che essere una studentessa, ma il bello di una sfida era il saperla vincere.
 
Stravaccai a terra, sul pavimento lurido, che mi sarei dovuta decidere a pulire una buona volta. Non mi andava di fare compiti o robe varie: gli unici testi letterali che volevo leggere erano quelli che mi forniva il mio nikki. All’improvviso sentii uno strano rumore, simile a un’interferenza radiofonica: spalancai gli occhi dalla sorpresa, portando il telefono di fronte ai miei occhi. Lessi la frase in men che non si dica, elaborando pian piano le informazioni e sviluppando nella mia mente un piano.
 
Ero una tipa che restava sulle sue, solitamente, ma se qualcuno mi sfidava, o metteva in dubbio quel che dicevo, potevo essere al pari di Lucifero, bello e terribile.
 
Si era fatta quasi mezzanotte, dopo essermi vestita in modo adeguato e aver preso “il necessario” per la serata. Indossavo dei pantacollant neri e una felpa verde scuro dai motivi mimetici, insieme a degli anfibi scuri, le scarpe adatte a ogni occasione.
 
 I lunghi capelli erano nascosti all’interno del cappuccio della felpa, completamente invisibili. Probabilmente si notava comunque che fossi una ragazza, ma forse i vecchi ubriaconi non erano abbastanza sobri per constatarlo. Gli autobus di quella zona, a quell’ora, erano ormai fuori servizio, ma ebbi la fortuna di incrociare un taxi, che mi portò al luogo prestabilito.
 
Il taxista era un bel po’ riluttante a lasciarmi in quel posto, così malandato, e ci misi un po’ a convincerlo. D’altronde il cliente ha sempre ragione. Mi richiusi di botto la portiera alle spalle, sentendo il taxi andarsene lungo la strada, illuminata dolo dai pochi lampioni non fulminati.
 
Di fronte a me, un piccolo e malridotto supermarket, simile a una baracca dall’insegna al neon mezza distrutta. Era ancora aperto, si notava dalle luci provenienti dalle porte scorrevoli. Le attraversai con passo sicuro, coprendomi un po’ meglio con il cappuccio della felpa. Vidi la figura del cassiere, un signore grasso e dall’aria assonnata, e un cliente in una delle cinque corsie presenti. Sorrisi sotto i baffi, fingendo che la mia attenzione fosse rivolta alla sezione frigo, fissando le etichette dei prodotti, pur non leggendole realmente.
 
Sentii il rumore delle porte scorrevoli: un altro scocciatore a intralciare i miei piani. Voltai di poco il capo, giusto quel che bastava per osservare con la coda dell’occhio il nuovo arrivato. Quando lo vidi, mi morsi impercettibilmente il labbro.
 
Oh, no. Perché doveva sempre mettersi in mezzo
 
P.O.V. FUJIKO
 
Comunque rassegnata, tornai a casa con l’autobus incontrando le mie amiche Alice e Kim che iniziando a parlare del più e del meno mi fecero una domanda:
 
- Senti Fujiko…- io guardai Alice la quale mi aveva rivolto la domanda – ma la ragazza nuova, come si chiamava… ah sì Aisu! Come ti sembrava? Mi spiego meglio, qual è stata la tua prima impressione?- quella domanda precisa non me l’aspettavo! La mia prima impressione…
- Diciamo che è una ragazza un po’ sulle sue che sembra non voglia fare amicizia con nessuno… ma avanti! È solamente il primo giorno! Sono sicura che con il tempo diventeremo amiche!- le mie amiche mi guardarono e poi mi sorrisero.
 
- Forse è solamente una ragazza chiusa in se stessa per chissà che cosa, ma con il passare del tempo potresti scoprire molte cose di lei! Poi essendo sua compagna di banco potrai conoscerla a fondo- esclamò Kim. Sorrisi in segno di assenso e, accorgendomi della fermata del bus premetti il pulsante di prenotazione della fermata e scesi.
 
Durante il cammino per tornare a casa mia mi misi ad ascoltare della musica, l’ideale per scaricare un po’ la tensione e isolarmi in una dimensione tutta mia.
 
Mi incamminai e iniziai a leggere il diario, e continuando ad accorgermi che le informazioni sul mio futuro erano cambiate ed erano ancora scritte lì! Pensai che questa fosse una cosa molto strana, insomma leggere informazioni del genere non capita di certo tutti i giorni. Eppure a me tutto ciò sembrava irreale, un’allucinazione che delle note su avvenimenti futuristici si trovassero scritte nel mio diario!
 
Non aveva senso continuare a rimuginare sul fatto che tutto ciò potesse essere solo un sogno ad occhi aperti, perché continuando a rifletterci sopra, non avrei trovato le risposte ai dubbi nella mia testa!
 
Svoltai l’angolo che mi separava dalla via di casa, solamente che, appena guardai dritto davanti a me, la musica nelle cuffiette aumentò il volume improvvisamente ed essendo assorta nei miei pensieri sobbalzai per lo spavento. Dopo essermi ripresa, levai di scatto le cuffie e mi misi a ridere per sdrammatizzare e far riprendere al mio cuore un battito “umano”. Probabilmente, chiunque mi avesse visto in quel momento avrebbe pensato che fossi una pazza.
 
Arrivata davanti a casa, inserii la chiave nella toppa rigirandola all’interno ed entrando sentii un invitante profumo di stufato provenire dalla cucina. Quel profumo mi ricordava la mia infanzia: ricordavo che mia madre me lo cucinava nelle fredde sere d’inverno, quando ci raggomitolavamo entrambe sotto le coperte sul divano per guardare un film. Mi sfilai le scarpe e le posai all’ingresso, ma improvvisamente due mani mi coprirono gli occhi.
 
- Ti ho presa…- sentì sussurrare. Inizialmente il mio cuore perse un battito, ma la voce mi risuonò più volte in mente, accorgendomi che c’era qualcosa di familiare in essa. Presi le mani “dell’estraneo” e le spostai dai miei occhi voltandomi verso quest’ultimo…
-Mamma!- urlai abbracciandola. Il suo delicato profumo mi avvolgeva come una ventata fresca, dandomi un senso di tranquillità e familiarità, dopo lo spavento di poco prima– mi hai fatto prendere un accidente!-
 
 A quella mia esclamazione sorrise – Eheh, piaciuta la sorpresa?- sciolsi l’abbraccio e la guardai negli occhi con felicità. Oh, sì che mi era piaciuta. Mi sembrava un’eternità che non la vedevo, eppure avrei dovuto esserci abituata, no?
 
-Come mai sei tornata così presto? Nel foglio che tu mi avevi lasciato, avevi scritto che saresti tornata dopodomani-  Lei mi superò e si diresse in cucina continuando a parlarmi.
 
- Fortunatamente non era una cosa impegnativa! Un cliente molto importante voleva comprare i prodotti della mia azienda e sono riuscita a convincerlo subito. Ovviamente li ha presi in cambio di un po’ di grana… ma sono sicura che mi chiameranno presto!-
 
- Sicuramente sarà stato sorpreso dal trattamento che gli hai riservato… praticamente gli hai presentato tutti i prodotti e poi l’azienda che gestisci è praticamente la migliore del paese nel rapporto qualità-prezzo nell’ambito tecnologico.
 
Pur essendo una donna ricca e benestante, mia madre era una donna dai gusti semplici ma raffinati. Bastava vedere la nostra casa, che era una semplice villetta a schiera, ma che poteva benissimo essere un superattico.
 
Mia madre però trovava uno spreco una casa troppo grande per due persone semplici e modeste come noi, che necessitavano solo del minimo indispensabile.
 
Arrivata in cucina notai che era tutto apparecchiato e che la mamma stava posando sul tavolo una pentola di ceramica rossa dalla quale proveniva il profumo di stufato, che mi stuzzicava l’appetito. Sentendo l’invitante profumo, come risposta, il mio stomaco brontolò e arrossii sedendomi a tavola.
 
-Che bello! Hai cucinato lo stufato!- esclamai porgendole il mio piatto, per avere una porzione bella abbondante di quella portata gustosa e succulenta che mi faceva sempre leccare i baffi.
 
Tesoro ti ho portato una cosa da New York! – disse con enfasi. I miei occhi si illuminarono dalla felicità.
 
Mi porse una busta colorata di giallo canarino e appena la aprii con mia grande soddisfazione trovai una pallina di vetro con la neve rappresentante lo skyline newyorkese e dei cioccolatini.
 
Mi avventai sui doni e istintivamente aprii un cioccolatino e ne mangiai uno: era un cioccolatino bianco ripieno di crema al cioccolato al latte. Era delizioso e ne porsi uno a mia madre che rifiutò dicendomi che era sazia dal pranzo.
 
Finito di mangiare mia madre mi disse una frase odiosa:- Tesoro… appena vai su ricordati di studiare- disse con tono quasi sadico, evidenziando l’ultima parola.
 
Quella frase mi colse alla sprovvista, ma mi rassegnai e salì in camera mia dopo aver salutato mia madre, iniziando a studiare.
 
Impiegai diverse ore a finire il tutto e si erano fatte all’incirca le dieci di sera. Per sfizio, controllai le informazioni sul mio diario dove vi era scritto che sarei andata in salone trovando mia madre addormentata sul divano. Doveva essere sfinita dopo tutto quel lavoro.
 
Scesi e andai in salotto, notando lì mia madre. La coprii amorevolmente con la coperta e, dopo essere andata in cucina, aprì il frigorifero, alla ricerca di qualcosa da mangiare. Mi feci giusto un panino con della mortadella, per placare l’appetito della sera.
 
Notai, inoltre, che il latte era finito e sapevo che mia madre amava fare colazione con del latte fresco e dei cornetti così, per farla contenta, uscì di casa per andare a comprare il tutto.
 
Presi l’autobus per andare fino all’alimentari più vicino. Era strano prendere l’autobus la sera. Lasciavo vagare lo sguardo lungo il paesaggio illuminato appena dai lampioni. La stanchezza della giornata, però, si fece sentire, e le palpebre si fecero pesanti, fino a chiudersi completamente.
 
Sentii una voce in lontananza che mi chiamava: - Scusi…- mi svegliai di soprassalto –Signorina, mi scusi, ma l’autobus è arrivato al capolinea…-
 
Era il conducente che mi stava parlando. Possibile che mi fossi addormentata e fossi arrivata fino al capolinea?!?
 
Ringraziai il conducente con un debole e assonnato “grazie” e scesi alla fermata.
 
Mi fermai, alla ricerca di un qualche negozio aperto dove chiedere informazioni e magari, con un po’ di fortuna, avrei fatto la spesa. Vidi un alimentari proprio vicino alla fermata con la scritta a neon del supermercato quasi scarica.
 
Entrai per prendere del latte. Inizialmente, mi guardai semplicemente intorno, per osservare meglio il locale e scorsi una figura incappucciata vicino al banco frigo. Questa aveva un corpo chiaramente femminile e dal cappuccio fuoriusciva appena una ciocca di capelli biondi.
 
La vidi voltarsi appena verso di me e scorsi una luce fredda negli occhi della figura, una freddezza a me familiare. Era Aisu! Meno male! Non mi andava di rimanere sola con quel cassiere inquietante e quel cliente! Mi avvicinai a lei. Stavo per salutarla, ma a pochi metri dietro di me, con la coda dell’occhio, notai il cliente dalla lunga giacca verde estrarre dalla tasca interna qualcosa che emetteva un luccichio metallico…
 
ANGOLINO DELLE AUTRICI
Buongiorno o buonasera a tutti!
Ecco il nuovo capitolo scritto da Midori e Yuki <3
Nel prossimo capitolo le cose si faranno interessanti…
Noi speriamo vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto e ringraziamo chiunque recensisca o semplicemente legga!
Al prossimo capitolo!
Saluti, Midori e Yuki.
   
 
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