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Autore: Adeia Di Elferas    10/10/2015    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Francesco Pazzi mi è fedele per certo. E così pure suo zio Jacopo.” disse il papa, scuotendo il capo di fronte alle insinuazioni mosse da suo nipote.
 “Pensaci, zio – riprese Girolamo, non curandosi del commento di Sisto IV – quante volte hanno provato a mettere a segno l'attentato? Non lo so nemmeno più. E mai ci riescono...! E poi, avanti...! Sono anche imparentati per matrimonio coi Medici...!”
 “Per questo lo siamo anche noi con gli Sforza, eppure tuo cugino non ci ha pensato due volte a far sgozzare il Duca di Milano.” constatò Sisto IV.
 Girolamo, allora, allargò le braccia in modo plateale e si chiuse in un ottuso silenzio.
 Il papa si mordicchiò l'interno della guancia a lungo. Si sentiva stanchissimo e vecchio. Quell'inverno era stato per lui una vera tragedia. E ora anche quei maledetti Pazzi in cui tanto sperava lo stavano deludendo.
 Avrebbe tanto voluto chiedere consiglio alla moglie di suo nipote, perchè era certo che Caterina Sforza gli avrebbe dato delle dritte utili, ma non voleva coinvolgerla in quella congiura. Prima di tutto il rischio era troppo alto, quindi meno persone sapevano, meglio era. In più quel piano avrebbe ricordato alla giovane l'attentato in cui le avevano ucciso il padre, ed era fondamentale che Caterina non colegasse in nessun modo i Riario o i Della Roverealla morte di Galeazzo Maria Sforza.
 “Sei il solito stupido.” commentò piano il papa, lanciando un'occhiata delusa al nipote: “Ti chiedo aiuto per architettare un piano decente e tu non fai altro che dire che i Pazzi non ci sono fedeli. Ormai vedi traditori ovunque.”
 Girolamo incassò il colpo senza controbattere.
 “I Pazzi sono una famiglia in ascesa. Sanno che se metteranno a segno il colpo, avranno tutti gli incarichi che ora sono dei Medici.” disse il papa: “Non possono immaginare che li useremo come fantocci una volta che Giuliano e Lorenzo saranno stati eliminati e che al loro posto metterò te come signore di Firenze.”
 “E perchè non possono? Perchè a parte il papa sono tutti stupidi?” ribatté Girolamo, alterato.
 “Perchè pensano che il papa non abbia la forza di comandare anche su Firenze! Perchè pensano che il papa sia solo un vecchio pieno di idee strampalate e senza futuro!” lo rimbeccò Sisto IV, alterandosi a sua volta: “E visto i nipoti che ha il papa, io sarei d'accordo con loro!”
 A quel punto, Girolamo, da giorni intrattabile, si alzò e se ne andò, senza ascoltare le ultime rimostanze di suo zio.
 Sisto IV fu contento che il nipote se ne fosse andato e si ripromise di non coinvolgerlo mai più in operazioni tanto delicate. Continuava a sperare che, essendo lui sangue del suo sangue, alla fine avrebbe cambiato mentalità, mentre restava sempre e solo un ragazzotto di Savona.
 Il papa pensò a lungo e dopo un po', mentre osservava uno degli affreschi che stavano sopra la sua testa, ebbe un'illuminazione folgorante.
 Si affrettò a prendere carta e inchiostro e annotò in modo criptato quello che gli era venuto in mente. Oh, sarebbe stato un colpo da maestro. Non gli restava che far sapere la sua idea geniale a Jacopo e Francesco Pazzi.

 Quando quella sera Girolamo arrivò nella camera di Caterina, aveva il viso trasfigurato dalla rabbia e le mani che tremavano.
 Non guardò nemmeno la moglie, prendendo a misurare a grandi passi la stanza. Sembrava una furia fatta a persona e Caterina non sapeva come calmarlo.
 Non temeva troppo suo marito, perchè ne conosceva la profonda codardia. Tuttavia ricordava bene suo padre Galeazzo Maria e conosceva l'ira cieca che un uomo può provare e le sue conseguenze. Fu contenta di non essersi ancora cambiata per la notte e non aver ancora messo da parte il pugnale che teneva nascosto sotto le vesti.
 “Siete nervoso.” disse a un certo punto Caterina, la voce un po' arrochita dalla tensione.
 Solo a quel punto Girolamo parve accorgersi di lei. La fissò con gli occhi accesi e furenti: “Il tuo caro Lorenzo Medici, quello che stimi così tanto e che prendi come esempio di virtù...!” sbottò lui.
 Caterina non riusciva a capire cosa mai intendesse dire suo marito con quella frase.
 “Devono bruciare tutti all'inferno!” ululò Girolamo, picchiando un pugno contro la parete.
 “Tutti all'inferno!” sbraitò di nuovo, afferrando la prima cosa che gli capitò tra le mani – un vestito di sua moglie – e gettandolo in terra.
 “Tutti!” urlò ancora una volta, prendendosela stavolta con le lenzuola del letto, appallottolandole e buttandole da un lato.
 Caterina si mosse verso di lui, per farlo smettere. Non voleva che mettesse sottosopra tutta la stanza per qualcosa che nemmeno capiva.
 Tutto si svolse in pochissimi secondi.
 Quando Caterina afferrò per un braccio Girolamo, questi si divincolò, facendola barcollare di lato e alzò il braccio, la mano stretta a pugno, già intento a sferrare il suo colpo. Caterina, però, fu incredibilmente pronta e rapida.
 Senza che Girolamo potesse capire da dove arrivava o cosa fosse, la lama del pugnale che sua moglie si nascondeva addosso da anni guizzò verso la sua gola, appoggiandosi alla sua pelle come un filo di ghiaccio.
 Mentre il pomo d'Adamo dell'uomo saliva e scendeva, scontrandosi pericolosamente con il metallo affilato, Caterina sussurrò: “Sei bravo ad alzare le mani sui deboli, sugli indifesi e sulle donne... Ma ricordati che io sono una Sforza.”
 Caterina non cedette all'impulso di premere di più la lama contro la gola del marito, malgrado la tentazione fosse incredibilmente forte.
 Girolamo, dal canto suo, restò paralizzato dalla paura. Temeva tutti, a Roma e nel resto del mondo, ma verso sua moglie aveva una sorta di senso di inferiorità, non di timore. Con quel pugnale a dividerli, Girolamo sentì in sé cambiare qualcosa.
 Caterina lo allontanò e gli fece segno di uscire subito dalla stanza.
 Girolamo si avvicinò alla porta, cercando la maniglia con la mano, gli occhi ancora fissi su sua moglie e su quell'arma che mai le aveva visto in pugno.
 “I tuoi diritti non comprendono questo. La prossima volta che alzerai le mani su di me, non mi fermerò.” gli disse lei.
 Girolamo uscì, sudato fradicio, le gambe molli per lo spavento appena provato. Ora sapeva che anche da sua moglie si doveva guardare, perchè lei più di tutti poteva avere il coraggio di ucciderlo davvero.
 Caterina, intanto, rimise a posto ciò che il marito aveva buttato per aria. Quando fu tutto sistemato, la ragazza si sedette sul letto, rimirando il pugnale che stava abbandonato accanto a lei.
 Aveva ragione su tutto, dunque. Suo marito era davvero un codardo. E ora lo aveva in pugno.

 “Un complotto con così tanti contrattempi... Comincio a credere che sia un segno di Dio...” disse abbattuto Jacopo Pazzi, passandosi una mano sui capelli un po' ispidi.
 “Abbiamo il papa dalla nostra, quindi anche Dio è con noi.” lo rincuorò Francesco Pazzi: “Tuttavia, proprio non ci voleva...”
 Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, aveva il viso scavato e gli occhi cerchiati da pesantissime occhiaie. Tra tutti loro, era quello che si era lasciato più influenzare da tutta quella sfortuna.
 “Suvvia, Salviati!” lo riprese Francesco Pazzi, dandogli una pacca tra le scapole: “Non fate quella faccia! A breve avremo la nostra vendetta nei confronti di quei Medici!”
 “Ma a Fiesole era cosa fatta!” ribatté l'arcivescono, lamentoso: “Perchè Giuliano non è andato, eh? E perchè anche a Roma abbiamo fallito? Vi rendete conto che qualcosa ci sta dicendo di lasciar perdere?!”
 Jacopo Pazzi lo guardava come se fosse d'accordo con ogni singola parola. Forse avevano osato troppo. Forse non era destino che loro diventassero i nuovi signori di Firenze...
 Il Conte Giovan Battista di Montesecco, che era arrivato da poco con l'ennesima cattiva notizia – ossia che Giuliano non sarebbe andato al banchetto che avevano individuato come possibile trappola – sospirò rumorosamente: “Beh, un'alternativa c'è...”
 Francesco Pazzi non ebbe bisogno d'altro per capire. Ne avevano parlato giusto quella mattina, e in  fondo era stata una delle idee che il papa stesso aveva proposto in extrema ratio.
 “Io però due cristiani non li ammazzo in una chiesa.” si affrettò a dire il Conte: “Anche se appoggerò la vostra decisione, io non li ammazzo in chiesa, men che meno a Pasqua.”
 “Che codardo che siete...” sussurrò Francesco Pazzi, ma subito riprese, con più vigore: “L'esempio l'abbiamo sempre avuto! Così come hanno ammazzato quel cane di Galeazzo Maria Sforza a Milano a Santo Stefano, così noi ammazzeremo Giuliano e Lorenzo a Pasqua.”
 Jacopo si accigliò, ma non parve molto contrario.
 L'arcivescovo si fece il segno della croce, ma poi ammise: “Abbiamo due eserciti vicino al confine e basta il nostro nulla osta per farli entrare a Firenze... E poi... Insomma... Faremmo solo il nostro dovere per il bene dello stato pontificio...”
 “E Girolamo Riario? Non dovrebbe essere qui con noi a discuterne?” chiese di punto in bianco Jacopo.
 Francesco Pazzi rise: “Come no. Dice che preferisce 'tenersi pronto' per poter mandare le truppe di Imola in nostro aiuto. Figuratevi! Non è nemmeno a Imola. Sta ancora a Roma dal suo vecchio zio. Ve lo dico io, quello non è uomo, è un coniglio.”
 “La sua unica utilità sta nel fatto che ci ha dato un pretesto per infiltrarci alla messa di Pasqua. Raffaele Sansoni Riario, ecco chi sarà il nostro cavallo di Troia.” commentò l'arcivescovo, improvvisamente lucido e rinvigorito.
 “E sia.” concluse Jacopo. Prese un calice e l'alzò: “All'ascesa della nostra famiglia!”
 “Ai Pazzi!” gridarono gli altri in coro.

   
 
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