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Autore: Matih Bobek    10/10/2015    1 recensioni
Il cosmo nel caos è una raccolta di poesie che racchiude le esperienze emotive dell'ultimo anno (2014/2015). Si toccano tematiche differenti: il senso di colpa e la ricerca dell'io, l'essere e il divenire, la rassegnazione in campo amoroso e l'inquietudine sociale, il tutto raccolto in contorni naturalistici ( che richiamano la poesia cinese). Segna una nuova tappa nel mio percorso di maturazione.
La raccolta presenta prevalentemente poesie in versi liberi, ma anche quartine brevi in quattro o cinque parole ( anche qui, sulla base di una struttura metrica appartenente alla poesia cinese).
Questi componimenti sono pensati per raccogliere in un microcosmo di parole due mondi distanti, : l'occidente e l'estremo oriente. Perciò sono frequenti i riferimenti al mondo letterario e culturale cinese, in particolar modo, e giapponese, nonché alla filosofie orientali.
Il cosmo nel caos appare senza la minima coesione interna. In realtà fa del suo caos il cardine per erigere un cosmo poetico.
Spero che la mia seconda raccolta sia di vostro gradimento. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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La linea tenue rinvigoriva 
i suoi contorni al dilatarsi piano
della nebbia e i vessilli
smeraldini spuntavano ingenui
dalle fessure rocciose.
si stagliò terrosa la sagoma dell'isolotto
i cui margini eran cinti dallo sguazzare placido
delle spettrali correnti cobaltee.
Le netticore in volo si richiamarono
liberando alto un lamento d'amore,
poi s'accompagnarono struggendosi
e planarono infine regali sulle pieghe
infeste dell'acquitrino che riluceva
 coriaceo sottomesso al crepuscolo.
Le ore macinavano lente come
le ruote di un carro nelle fanghiglie della palude.
Il ventre mio fu vessato: 
una fortezza in stato d'assedio
nella stoica attesa di vedersi
capitolare sublime.
La brezza piegò l'acqua
in schiere di turgide crespe
che riflettavano nel cuore mio
le stesse inquietuini.
Attesi che le ore diventassero giorni
e i giorni mesi e i mesi anni
lì, sull'altra sponda della riva
e tu non arrivasti mai.
Avrei sacrificato l'ultimo respiro
tra le braccia affamate del destino
affinchè tu sapessi quanto ho sofferto,
affinchè tu sapessi quanto ti ho amato.
Che ora le onde dell'ansa ti accolgano!
E io allora tornerò ad oscillare incostante
con la disperazione incastrata
nel petto e il divino cielo al di sopra,
che maestoso, ceruleo e mirabile
ospita paterno il lamento delle netticore.
Esse si innalzano con un colpo d'ali,
sollevando gocce di fiume 
e si disperdono alte e lontane
dove il sole esaurisce bianco l'ultima luce.
   
 
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