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Autore: NeNe97    10/10/2015    2 recensioni
Shane Water è una ragazza solitaria e con un carattere difficile.
La sua infanzia l'ha segnata nel profondo, costringendola ogni giorno a lottare contro i fantasmi del passato.
Ha una famiglia, quasi, perfetta: una madre e tre fratelli gemelli che farebbero di tutto per lei.
Quando la sua vita sembra ormai essere fatto solo di ricordi dolorosi, Shane dovrà trasferirsi da Los Angeles a Milano. Ed è lì che qualcosa cambierà. Una ragazza sconvolgerà lentamente la sua esistenza, facendole dubitare di aver mai saputo cos'è il vero Amore, prima di averla incontrata.
Riuscirà finalmente a essere felice, a lasciarsi tutto alle spalle?
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Mi trovavo a casa di Juliette, in camera sua. Mi guardai in torno, era tutto come mi ricordavo. Non era cambiato niente.  

-Shane, dobbiamo parlare seriamente- era la sua voce e il mio cuore perse un battito. Mi girai verso la porta e la trovai li, in tutto il suo splendore, era perfetta. Non pensavo che l'avrei rivista.
  
-Juliette...- mormorai a voce bassissima, tanto che non mi sentì. 
Mi alzai dal suo letto su cui ero seduta. Non mi sembrava vero che eravamo di nuovo insieme, non dopo tutto quello che avevamo passato. Una strana sensazione di euforia mi assalì.

-Non possiamo più stare insieme- disse secca. Il mondo mi cascò per la milionesima volta addosso. Non poteva averlo detto una seconda volta, noi due eravamo fatte per stare insieme. 

-Juliette, non possiamo lasciarci. Io... Mi sei mancata tantissimo...- parlai, quasi singhiozzai. Volevo prenderla tra le mie braccia e baciarla, ma sembrava lontana chilometri da me. Mi guardava con aria fredda, metteva i brividi. 

-Sono io che non voglio più stare con te. Tu non sei più la Shane che io ho conosciuto. Non sei più la stessa persona di cui mi sono innamorata- sputò con tutto la cattiveria che aveva. Cominciarono a scendermi le prime lacrime. Non poteva succedere un'altra volta, non avrei retto. 

-Ma io ti amo. Posso cambiare- dissi, quasi la pregai. Ma lei mi rivolse uno sguardo pieno di disprezzo. 

-Non cambierebbe niente, adesso io e Mark usciamo insieme. Non c'è più posto per te nella nostra vita- mi disse. Mi sentii mancare, avevo voglia di urlare. Non poteva farmi questo.
Provai a camminare verso di lei, ma ero come bloccata. 

-Juliette!- la chiamai, se ne stava andando.  Un'altra volta. Bastava solo un passo e potevo prenderla per un braccio. Ma non ci riuscivo. 

-Juliette, ti prego!- ero disperata. Mi sentivo morire. Ero a tanto così da averla con me... 
Mi guardò un'ultima volta e mi persi nei suoi occhi castani. Mi stava per dire qualcosa. Non feci in tempo a capire cosa che mi ritrovai non so come nella mia camera a Milano.  

-Shane!- qualcuno mi chiamò. Era Rose. 
Avevo il respiro affannoso ed ero madida di sudore. Mi trovavo seduta sul mio letto. Ci misi un po' a capire che era stato uno sogno. 

-Juliette...- le mie labbra si movevano da sole. Avevo addosso un senso di malinconia e sofferenza che non avevo mai provato. Scoppiai scoppiai a piangere. 
Le ferite si erano riaperte un'altra volta e sembrava che qualcuno ci avesse messo sopra il sale. 
Subito Rose si infilò nel letto con me e mi strinse in un abbraccio. 

-Era solo un incubo, non è successo niente- mi sussurrò all'orecchio mentre mi cullava tra le sue braccia. Piansi come non avevo mai fatto, sfogai tutto il mio dolore. 
Dimenticare Juliette era un'impresa titanica a quanto pare. Quel sogno era così reale... potevo ancora sentire il suo profumo. 
Piansi finché non avevo più lacrime. 

-Shane, va tutto bene. Calmati ora- Rose provò a tranquillizzarmi massaggiandomi la schiena. Mi sforzai di riacquistare il controllo. Ancora scossa dai singhiozzi mi raggomitolai contro il suo petto, avevo bisogno che qualcuno mi facesse sentire al sicuro in questo momento. 

-Hai sognato ancora lei?-mi chiese dopo un po'.  Annuii solamente, non avevo neanche la forza di rispondere. Mi rannicchiai contro di lei, nascondendo il volto tra il suo seno. La senii sospirare pesantemente.

-Dormi adesso- disse lasciandomi un bacio sulla fronte. 
Inutile dire che rimanei tutta la notte a rimuginare su Juliette e Mark. Così la mattina seguente ero in un pessimo stato. Le occhiaie che avevo facevano impressione ed ero pallida come il latte. 
Molto lentamente mi preparai e scesi giù in cucina dove c'erano gli altri.  

-Buongiorno, tesoro- mi salutò la mamma dandomi un bacio in fronte. Poi mi guardò meglio mettendosi una mano sul fianco.  

-Dormito bene?- mi chiese. Feci una smorfia contrariata sedendomi al tavolo.  

-Per niente- risposi sbuffando. Era inutile negare l'evidenza: ero veramente uno zombie.
Rose doveva averle già detto tutto.  

-Vuoi rimanere a casa?- mi domandò apprensiva. Le feci un sorriso anche se tirato, per farle capire che era tutto a posto.
 
-No no, vado a scuola, non sto mica male.- risposi. Rose mi lanciò un'occhiata indecifrabile mentre scriveva qualcosa al cellulare. 

-Sicura?- insistette la mamma. 
Oddio... 

-Certo. Anzi, ci vado a piedi. Così può darsi che mi sveglio un po'- dissi alzandomi dalla sedia. La mamma mi guardò una attimo indecisa. Sospirò. 

-Va bene, ma per qualunque cosa chiamami.- si preoccupò. Le diedi un bacio sulla guancia  sorridendole. 
Uscii di casa e il freddo mattutino mi colpì in pieno. Non era neanche una bella giornata, di bene in meglio. 
La scuola distava più o meno venti minuti a piedi, potevo camminare tranquillamente. Avevo proprio bisogno di rimanere da sola. Sarei entrata nella squadra di calcio, avevo deciso. Ero arrivata alla conclusione che avevo veramente tanto tempo libero che occupavo a pensare e ripensare alle solite cose, finendo per deprimermi.  
Neanche a dirlo cominciò a piovere. Merda! Mi riparai sotto la tenda di un negozio per controllare se nello zaino avessi un ombrello che ovviamente non avevo. La mia sfortuna non aveva mai fine. Imprecando contro tutti i santi corsi cercando di coprirmi alla meno peggio con il giubbotto. Arrivai a scuola che ero completamente bagnata. E neanche a dirlo le lezioni erano già cominciate.
Non per proprio la mia giornata. 
Bussai avevo alla porta della mia classe prima di aprirla.

-Shane, ma cosa hai fatto?- mi chiese la prof Castillo non dandomi neanche il tempo di sedermi al mio posto.

-Ero a piedi e mi sono presa la pioggia- risposi. Ero come appena uscita dalla doccia.
In ultima fila vidi Julian buttato sul banco, sembrava che stesse dormendo.

-Sei completmente zuppa, ti ammalerai- mi disse la prof preoccupata. Feci spallucce. Stavo per risponderele quando una mia compagna parlò.
-Puoi metterti i vestiti che teniamo nell'armadio. Noi li usiamo per le emergenze- doveva chiamarsi Chiara se non sbagliavo. Era una dei pochi che non mi stavano sul cazzo.

-Oh, thanks.- li presi e andai in bagno a cambiarmi. Dovevano essere di qualche maschio visto che erano quasi il doppio di me. Erano un paio di jeans larghi e consumati e una felpa rossa sbiadita. Mi asciugai come meglio potei i capelli con i fazzoletti di carta, ma rimasero un po' umidi. Tornai in classe con passo stanco.

-Bhe, dire che sono proprio sexy così- dissi sarcastica e tutta la classe scoppiò a ridere. Mi trascinai al mio banco lasciandomi poi cadere seduta. Adesso la stanchezza della nottata passata in bianco si faceva sentire, eccome. Volevo solo dormire e non svegliarmi più, non chiedevo molto. Appoggiai la testa sul banco.
La prof continuò a spiegare qualcosa della grammatica inglese. La sua voce era calda e mi cullava. Mi ritrovai a pensare a quanto fosse bella. Non era una bellezza che ti colpiva subito, dovevi capirla. La cosa migliore poi erano gli occhi, verdi come lo smeraldo, di un verde scuro che ti penetrava fin dentro l'anima. Mai visti degliocchi simili, neanche quelli di Juliette erano belli come i suoi.
E questa cosa mi spaventava alquanto. Era da un po' di tempo che pensavo parecchio alla Castillo, ma non come professoressa. E mi ritrovavo spesso ad ammettere che sotto certi punti di vista era molto meglio di Juliette. 
Come il sorriso per esempio. Era uno di quelli che ti scobussolavano, che ti mettevano felicità ma allo stesso agitazione, perché sapevi che stava sorridendo proprio a te. E questa cosa dell'agitazione l'avevo provata anche con Juliette.
Ogni volta che la Castillo mi rivolge anche solo uno sguardo sentivo qualcosa muoversi in me. Mi sentivo strana, in fibrillazione. Se mi faceva una battutina delle sue arrossivo immediatamente, neanche fossi una ragazzina di 12 anni.

-Water! Stai dormendo per caso?- mi alzai di scatto dal banco sentendomi chiamare. Neanche mi ero accorta che era finita l'ora  di inglese e che il prof di matematica stava già iniziando la lezione. Mi passai una mano sulla faccia, cercando di apparire il più sveglia possibile.

-No, no. Non mi permetterei mai, le sue lezione sono sempre così stimolanti!- risposi sarcastica. La classe scoppiò a ridere divertita. Lo vidi avvampare dalla rabbia, forse avevo esagerato un po'.
Si vede che un po' di fortuna allora ce l'avevo anche io, perché la prof Castillo bussò alla porta prima che il prof potesse urlarmi contro.

-Scusami Marcello, Shane può uscire 5 minuti? Devo discutere di una cosa- disse la prof. Alzai le sopracciglia. Il mio stomaco sussultò quando mi puntò gli occhi addosso.

-Certo, fai pure. Tanto la stavo giusto cacciando dalla classe- rispose il prof. Mi alzai dalla sedia sistemandomi la felpa troppo grande per me.

-Ma prof, dicevo sul serio! Le sue lezione sono così stimolanti per il sonno!- risposi mentre passavo davanti alla cattedra. Ancora una volta i miei compagni risero e il vecchio diventò rosso dalla rabbia. La prof Castillo mi prese per un braccio tirandomi fuori dalla classe.

-Grazie!- disse velocemente al prof per poi chiudersi la porta dietro. Poi si girò a guardarmi scuotendo la testa in segno di disapprovazione.

-Cosa gli hai fatto?- mi chiese. Io mi strinsi nelle spalle mettendomi le mani in tasca. 

-Niente, stavo solo appoggiata sul banco- risposi con aria innocente. Lei mi rivolse uno sguardo di ammonimento.

-Vieni che ti offro un caffè- disse per poi incamminarsi verso le macchinette.

-Lo sa vero, che non si fa? Portare un'alunna fuori dalla classe per prendersi un caffè...- le dissi.

-Puoi tranquillamente ritornare in classe a fare matematica- disse con aria da sfida.

-Rimango solo perché ho bisogno assolutamente di un caffè- risposi sedendomi con lei in un banco in sala professori che anche oggi era vuota. In un sorso finii il mio caffè, dovevo proprio svegliarmi. 

-Comunque ti ho chiamato fuori perché volevo chiederti come stai? Non hai proprio una bella cera oggi- mi disse sorseggiando il suo caffè. Non capii quello che mi aveva detto, c'erano ancora alcune parole e modi di dire in italiano che mi sfuggivano. 

-Non ho una bella cera? Che significa?- domandai confusa.

-Che non sembra che tu stia molto bene. È tutto okay?- chiarì guardandomi preoccupata. Le accennai un sorriso, ero contenta che si fosse interessata a me.

-Sì, va tutto bene. Ho solo dormito poco sta notte- risposi omettendo volutamente dei particolari. Lei mi rivolse uno sguardo titubante. 

-Sicura? Non mi sembri molto convinta- Giocherellai con il bicchierino di plastica del caffè, non sapendo cosa dire.

-Sì, è solo che...- non riuscii a completarei la frase, la mia testa in questo momento stava pensando ad un sacco di cose, era un caos.Lasciai un sospiro scuotendo la testa. -Niente, è tutto a posto- risposi.
Cosa credevo di fare?! Di raccontarle di Juliette e tutto il resto? Certe volte mi stupivo di me stessa. La prof mi guardava in modo strano.

-Sei vuoi sfogarti puoi farlo. Se posso fare qualcosa per aiutarti lo farei, mi dispiace vederti così giù di morale- mi accarezzò i capelli. Non riuscii a staccare gli occhi dal tavolo.

-Non è facile. Vorrei farlo, ma... tutte le volte che mi sono aperta con le persone ne sono rimasta ferita- dissi. Non ero mai stata brava a sfogarmi con gli altri, a rendermi in qualche modo vulnerabile. Questo è sempre stato uno dei miei più grandi diffetti.
Mi prese una mano e a quel contatto avvampai subito. Mi aveva colto di sorpresa.

-Magari non erano le persone giuste- rispose. Mi sentivo ardere sotto quel tocco. Non riuscii a formulare una frase di senso compiuto, il mio cervello ero come andato in tilt. Lei non sembrò accorgersene.

-Maybe. Only that my life is pretty complicated. You can't understand- dissi. Non mi accorsi di aver parlato in inglese finché lei non alzò le sopracciglia sorpresa.

-How do you know?- mi chiese con la sua pronuncia british che tanto adoravo. I suoi occhi mi guardavano nel profondo dell'anima, sembravano scavarmi dentro. Mi sentivo nuda sotto il suo sguardo. Mi stavano chiedendo silenziosamente di provare ad aprirmi con lei.
Decisi di provarci. Il mio senso di volontà si annullava con lei. Sperai solo di non pentirmene.
Lei mi sembrava una persona diversa da tutte le altre che avevano fatto parte della mia vita, ma sapevo che non dovevo sognare troppo. E poi era comunque una mia insegnante...

-Tutte le persone a cui ho dato un pezzo del mio cuore mi hanno lasciata inevitabilmente da sola. Mio padre, bhe... gliel'ho già raccontato. La mia ragazza, il mio migliore amico... se ne sono andati, come se non gliene importasse niente di me- spiegai. Sentivo un nodo alla gola che non mi permetteva di respirare.
Il suo sguardo era puntato su di me. La sua mano ancora nella mia. Stavo provando così tante emozioni che non ci stavo capendo più niente.

-Mi dispiace- ormai parlavamo soltanto in inglese.
Mi sentivo come un fiume in piena, volevo dirle tutto, senza pensare poi alle conseguenze.

-Da quando mio padre ci ha lasciati, ho sempre pensato che fosse colpa mia, che in qualche modo non ero la figlia che lui si aspettava. E forse è vero. Non mi sono mai sentita abbastanza con tutti. Neanche con Juliette. Lei era fantastica, mentre io non potevo darle niente. Mi sentivo un peso nella sua vita. Però l'amavo, più di ogni altra cosa. Dopo mesi che eravamo insieme lei mi ha lasciata, dicendo che non ero più la stessa persona di cui si era innamorata. Il fatto era che involontariamente mi ero allontanata da lei. Ho provato più volte a farle cambiare idea, ma lei non ne voleva sapere. Così se n'è uscita dalla mia vita facendomi soffrire come un cane. Io la amo, ma a quanto pare lei no. Io le avevo permesso di entrare nella mia vita e lei mi ha calpestata. Sono pure arrivata ad odiarla per questo, anche se mi manca più di ogni altra cosa-raccontai.
Mi sentivo svuotata adesso. Mai nella mia vita mi era parso più facile parlare così liberamente con qualcuno.
Aspettavo una risposta dalla prof, che non tardò ad arrivare.

-E il tuo migliore amico cosa c'entra?- mi chiese.
La sua mano era ancora appoggiata alla mia, era come un'ancora per me.

-I successivi quattro mesi sono stata malissimo. Non mangiavo, non parlavo e non uscivo più dalla mia camera. Soffrivo anche di attacchi di panico. Mia madre era preoccupatissima tanto da volermi mandare da uno psicoanalista. Ma io non volevo, mi sembrava inutile. Così un giorno Cameron mi ha praticamente trascinata in una discoteca perché voleva che mi distraessi un po'. Inutile dire che non mi ero per niente divertita. Dopo che ebbi avvisato Cam che sarei tornata a casadasola mi incamminai per la strada. Erano tipo le 2 di notte e non c'era nessuno in giro. Ero quasi arrivata a casa quando un tipo esce fuori da un vicolo e mi trascina con sé. Mi ha chiuso in una macchina con lui e poi... Bhe non penso che serva raccontare tutto...- parlai quasi tutto d'un fiato.
Penso che sia stato il discorso più complicato che io abbia mai fatto. Puntai gli occhi su di lei per vedere la sua reazione: spalancò gli occhi esterrefatta diventando improvvisamente pallida. Era la prima persona, oltre ai miei familiari, a cui l'ho raccontato. Neanche Juliette lo sapeva.
Avevo preferito non rispondere alla sua domanda su Mark, sentivo che se avessi parlato di lui sarei scoppiata a piangere. 

-Oddio... Io... Non lo sapevo, scusami...- non trovò le parole giuste. In quel momento mi venne anche da ridere. Mi sentivo talmente confusa che non sapevo cosa fare.

-Vederla balbettare non è una cosa da tutti i giorni- le presi in giro ridendo appena. Lei non si aspettò che glielo dicessi, infatti rimase un attimo a guardarmi spaesata. Poi assottigliò gli occhi dandomi uno schiaffo sulla mano.

-Scema...- mi ammonì alzando gli occhi al cielo.

-Cercavo solo di alleggerire la situazione- risposi grattandomi la testa. Dovevo assolutamente buttarla sul ridere, non volevo passare per la vittima.

-Tranquilla, non mi fai pena, solo... Ci sono rimasta un attimo, non pensavo che ti fosse successa una cosa del genere. Penso che tu sia una persona forte e da ammirare, davvero- disse accarezzandomi un braccio. Mi aveva spaventata, sembrava che mi avesse letto nel pensiero. Quella donna mi sorprendeva sempre di più. 

-Thanks...- mormorai lasciandole un sorriso sincero.

-Figurati, ragazzina.- mi scompigliò i capelli ridendo. Avvampai. -Che ne pensi dopo di andare a mangiare un gelato invece di studiare italiano?- chiese. Era un appuntamento per caso? Alzai le sopracciglia contenta.

-E me lo chiede pure?- risposi. Lei rise divertita.

-Hai ragione, è meglio se rimaniamo a studiare, dovrei saperlo ormai che sei completamente devota a Dante- mi prese in giro. Mi scappò un sorrisetto.

-Oh si certo, lui e il suo maledetto italiano incomprensibile...-  commentai alludendo all'italiano che usava, non ci capivo una mazza... La prof scoppiò a ridere divertita.



Alla prossima:)
  
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